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ORDINAMENTO GIUDIZIARIO  

Criteri per l’assegnazione degli affari negli uffici giudiziari previsti dalla nuova circolare sulla formazione delle tabelle.

  Giudiziario 
 mercoledì, 5 luglio 2017

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Caterina Mangano, Presidente di Sezione del Tribunale di Messina

 
 

 

Un valore fondamentale del nostro sistema giustizia è quello del giudice naturale precostituito per legge, garantito dalla Carta Costituzionale all'art. 25 Cost.. Sulla falsariga di un percorso tracciato fin dai primi anni '70 dal CSM, la garanzia del giudice naturale è oggi assicurata, oltre che dalle norme in materia di competenza, dal c.d. sistema tabellare, e propriamente dagli artt. 7 bis e 7 ter del r.d. 30 gennaio 1941, n. 12..

L'art. 7 bis disciplina le "tabelle degli uffici giudicanti" mentre l'art. 7 ter indica i "criteri per l'assegnazione degli affari e la sostituzione dei giudici impediti": l'art. 7 bis precisa che le tabelle vengono approvate ogni tre anni "con decreto del Ministero della giustizia, in conformità delle deliberazioni del Consiglio superiore della magistratura, assunte sulle proposte dei presidenti delle Corti di appello, sentiti i Consigli giudiziari".

 È certo, pertanto, che le tabelle degli uffici giudiziari si formano in conformità di normative secondarie date da circolari del CSM, le quali, oltre a garantire l'indipendenza interna dei magistrati, rendono concreto il diritto al giudice naturale.

Ai sensi dell’art. 7 ter dell’ordinamento giudiziario,  …..L'assegnazione degli affari alle singole sezioni ed ai singoli collegi e giudici è effettuata, rispettivamente, dal dirigente dell'ufficio e dal presidente della sezione o dal magistrato che la dirige, secondo criteri obiettivi e predeterminati, indicati in via generale dal Consiglio superiore della magistratura ed approvati contestualmente alle tabelle degli uffici e con la medesima procedura. Nel determinare i criteri per l'assegnazione degli affari penali al giudice per le indagini preliminari, il Consiglio superiore della magistratura stabilisce la concentrazione, ove possibile, in capo allo stesso giudice dei provvedimenti relativi al medesimo procedimento e la designazione di un giudice diverso per lo svolgimento delle funzioni di giudice dell'udienza preliminare. Qualora il dirigente dell'ufficio o il presidente della sezione revochino la precedente assegnazione ad una sezione o ad un collegio o ad un giudice, copia del relativo provvedimento motivato viene comunicata al presidente della sezione e al magistrato interessato. 2. Il Consiglio superiore della magistratura stabilisce altresi' i criteri per la sostituzione del giudice astenuto, ricusato o impedito.

Da ultimo, il Capo V della Circolare del Consiglio Superiore della Magistratura sulla formazione delle tabelle degli Uffici Giudiziari per il triennio 2017/2019, adottata con la delibera del plenum del 25 gennaio 2017, individua i criteri per l’assegnazione degli affari negli Uffici Giudiziari (e tra questi anche la Corte di Cassazione, nei limiti della compatibilità con le peculiarità dei tale Ufficio) premettendo alcuni principi fondamentali che regolano l’istituto ordinamentale che ci occupa.

Viene in rilievo in primo luogo l’attribuzione dei compiti concernenti l’articolazione e l’attuazione dei criteri di assegnazione degli affari: i primi, spettano al dirigente dell’Ufficio, i secondi spettano al presidente di sezione o al magistrato che dirige la sezione ai sensi dell’art. 47 quater R.D. n. 12/1941, fatti salvi il dovere di vigilanza ed il potere sostitutivo che comunque compete al dirigente dell’Ufficio (art. 163 disp. cit)  .

In secondo luogo, viene enunciato il principio di “precostituzione del giudice”, secondo cui gli affari devono essere assegnati alle sezioni, ai collegi ed ai giudici, monocratici o componenti del collegi, in base a criteri oggettivi e predeterminati nella proposta tabellare; detti criteri  dovranno riguardare anche la ripartizione degli affari della materia tra le diverse sezioni e tra i diversi magistrati, quando la stessa materia sia assegnata a più sezioni o a più giudici all’interno dell’unica sezione.

Analoghi principi regolano i criteri di distribuzione degli affari e di determinazione del relatore per le singole controversie con riferimento alle sezioni specializzate in materia di impresa (art. 164 disp. cit.).

Del pari,  criteri oggettivi e predeterminati valgono con riferimento alla designa del giudice estensore, da parte del presidente del collegio,  nell’ambito dei suoi componenti.

La regola è tuttavia temperata dalla necessità che il presidente tenga conto della specifica condizione soggettiva del magistrato, in ossequio ai principi che, nella recente circolare, valorizzano le esigenze di tutela del magistrato all’interno degli uffici giudiziari con specifico riguardo alle condizioni di benessere materiale e psicologico.

In linea con tale impostazione, particolare attenzione viene espressamente riservata ai magistrati in astensione obbligatoria per maternità, rispetto ai quali è prescritto che il presidente non proceda all’assegnazione della redazione del provvedimento quando il termine di deposito venga a scadere  nel periodo di astensione (art. 165 disp. cit.).

La tutela è rafforzata dalla disposizione successiva che pone il divieto di assegnazione di affari nel periodo di congedo per maternità, paternità o parentale  anche nel caso in cui si tratti di affari di immediata e urgente trattazione e fatta salva l’ipotesi della sostituzione del magistrato (art. 166 disp. cit.).

Si tratta di disposizioni del tutto coerenti con i principi innovativi introdotti dal Titolo IV che, per la prima volta,  riconduce nell’ambito della circolare sulle tabelle alcune norme dirette a garantire il benessere fisico psicologico e sociale dei magistrati.

Come si legge nella relazione introduttiva alla nuova Circolare  ….Per garantire lo sviluppo e l’efficienza dell’amministrazione della giustizia, le condizioni emotive dell’ambiente in cui si lavora e la sussistenza di un clima organizzativo positivo costituiscono elementi di fondamentale importanza, in grado di favorire il miglioramento degli ambienti di lavoro e di incidere positivamente sull’efficacia dell’azione giudiziaria, sul potenziamento della professionalità e sui livelli di produttività. È necessario quindi creare le specifiche condizioni che possano incidere sul miglioramento del sistema sociale interno, delle relazioni interpersonali e, in generale, della cultura organizzativa.

Compito specifico del dirigente dell’ufficio è, quindi, quello di attivarsi oltre che per raggiungere obiettivi di efficacia e di produttività, anche per mantenere il benessere fisico e psicologico dei magistrati, attraverso la costruzione di ambienti e relazioni di lavoro che  contribuiscano al miglioramento della qualità della loro vita professionale (articolo 274).

Oggettivi e predeterminati nelle tabelle di organizzazione dell’ufficio giudicante, saranno anche i criteri di attribuzione degli affari al Presidente del Tribunale, ai Presidenti di Sezione del Tribunale e delle Corti d’Appello ed al Presidente aggiunto della sezione GIP/GUP (art. 167 disp. cit.)

 Strettamente correlato al principio di precostituzione del giudice che viene in rilievo in materia di assegnazione degli affari da parte del dirigente, è quello che si riferisce alla obiettività ed automaticità dei criteri di sostituzione dei magistrati astenuti, ricusati o comunque impediti.

Ulteriore garanzia è assicurata dalla disposizione secondo cui il provvedimento di sostituzione deve essere congruamente motivato con l’indicazione delle ragioni e modalità della scelta e ciò soprattutto nel caso in cui siano stati derogati i criteri automatici tabellari (art. 168 disp. cit.).

Sono ammissibili, più in generale, deroghe ai criteri predeterminati di assegnazione degli affari “in caso di comprovate esigenze di servizio” che devono esser adeguatamente e specificamente motivate e comunicate al magistrato che sarebbe stato competente in base ai criteri tabellari (art. 169 disp. cit.).

Disposizioni particolari concernono l’assegnazione degli affari in singole materie: si tratta delle controversie in materia di lavoro, di previdenza e di assistenza obbligatoria, dell’assegnazione degli affari negli uffici GIP/GUP,  negli Uffici minorili, nei Tribunali ed Uffici di sorveglianza.

In tutti i casi, la distribuzione degli affari è presidiata da criteri obiettivi e predeterminati che si armonizzano con le peculiarità dell’organizzazione e del contenzioso relativo all’Ufficio Giudiziari che viene in rilievo.

Quanto alle controversie in materia di lavoro, previdenza e assistenza obbligatoria, è previsto il riferimento ai correttivi che siano volti ad assicurare evidenti esigenze di funzionalità,  ad evitare la prevedibilità dell’assegnazione ovvero la possibilità di scelta del giudice ad opera della parte (art. 170 disp. cit.)

Con riferimento agli affari degli uffici GIP/GUP, i criteri di ripartizione del lavoro devono assicurare un equilibrio tra esigenze di specializzazione e di rotazione negli affari ai fini dell’acquisizione di una professionalità comune a tutti i magistrati.

E’ indicato il criterio della concentrazione nello stesso giudice di tutti gli incidenti probatori e di tutti i provvedimento relativi allo stesso procedimento (art. 171 disp. cit.).

Quanto agli Uffici minorili, è espressamente privilegiata la diretta e contestuale esperienza di ciascun giudice nelle diverse attribuzioni della funzione giudiziaria minorile, sia nelle funzioni civili che penali. E’ espressamente prevista l’assegnazione ai giudici onorari delle materie che risultino congrue riguardo alle loro attitudini e preparazione (art. 172 disp. cit.).

Nell’ambito dei Tribunali ed Uffici di sorveglianza, sono perseguiti criteri di assegnazione diversi a seconda che l’affare concerna i condannati detenuti o quelli liberi: nel primo caso, opera il riferimento all’istituto di detenzione sulla cui organizzazione il magistrato di sorveglianza è chiamato a vigilare combinato con altri criteri automatici; nel secondo caso, i criteri di assegnazione privilegiano la continuità della trattazione da parte dello stesso magistrato (art. 173 disp. cit.).

E’ espressamente prevista l’assegnazione degli affari ai componenti esperti nelle materie che richiedono valutazioni compatibili con le specifiche attitudini e preparazione professionale degli stessi.

Strettamente correlato alla materia dell’assegnazione degli affari, è il tema dei provvedimenti funzionali al riequilibrio dei carici di lavoro.

L’art. 174 disp. cit. contiene una disposizione innovativa, disciplinando l’intervento del dirigente dell’Ufficio nel riequilibrio dei carichi di lavoro ed individuando alcune tra le “ragioni di servizio” che giustificano tali misure, quali l’esigenza di definire i procedimenti che abbiano superato i termini previsi dalla c.d. legge Pinto, nonché i procedimenti in tema di riconoscimento della protezione internazionale. I provvedimenti di riequilibrio devono indicare le ragioni che giustificano la misura, illustrare i criteri oggettivi e predeterminati adottati e tendere a conservare l’attività processuale già svolta (art. 174 disp. cit.) .

Il procedimento da seguire è quello concernente le variazioni tabellari ed il provvedimento di riequilibrio dei carichi di lavoro, trascorsi 12 mesi, deve essere seguito da una relazione descrittiva dell’esito di tale iniziativa e del contributo dei magistrati interessati (art. 175 e 176 disp. cit.).

Misure organizzative peculiari concernenti anche la distribuzione degli affari, possono essere imposte dalla necessità di prevenire o porre rimedio ai casi di significativo ritardo nel deposito dei provvedimenti da parte dei magistrati addetti all’Ufficio.

Detti interventi, che sono espressamente dichiarati immediatamente esecutivi nei limiti stabiliti dall’art. 40 (ovvero dal momento in cui il Consiglio giudiziario esprime parere favorevole, salva la deliberazione del C.S.M. per la relativa variazione tabellare), presuppongono una verifica semestrale da parte del dirigente dell’ufficio con la collaborazione dei presidenti di sezione, della tempestività nella trattazione degli affari assegnati ai magistrati e muovono dall’accertamento di situazioni di criticità che impongano l’adozione di misure organizzative peculiari. Queste dovranno essere adottate sentiti i presidenti di sezione ed i magistrati interessati e dovranno rendere esplicite le ragioni e le esigenze di servizio che li giustificano (art. 177 disp. cit.).

Quanto al contenuto specifico di detti interventi, è previsto che essi attengano al riequilibrio dei ruoli, al numero, al dimensionamento e alla competenza per materia  delle sezioni e che siano funzionali allo smaltimento dei procedimenti in cui sono maturati i ritardi, attraverso la programmazione di un piano di rientro sostenibile (art. 178 disp. cit.).

Un’espressa previsione disciplina il caso di insufficienza del programma di smaltimento o di inefficacia dello stesso, disponendo che il dirigente  adotti ulteriori misure organizzative, indicate a titolo esemplificativo nella stessa disposizione nel parziale o totale esonero temporaneo del magistrato dall’assegnazione di nuovi affari;

nell’esonero temporaneo da specifiche attività giudiziarie; nella redistribuzione dei procedimenti o processi all’interno della sezione, con l’assegnazione di ruoli aggiuntivi ai singoli giudici, disponendo l’affiancamento di G.O.T., ovvero con l’eventuale formazione di ruoli autonomi da assegnare ai G.O.T. nei casi espressamente indicati.

 E’ significativamente previsto che tali  misure organizzative non devono comportare una sperequazione permanente dei carichi di lavoro tra tutti i magistrati dell’ufficio per cui, attuato il programma di rientro, devono prevedere adeguati meccanismi compensativi.

In conclusione di questa breve disamina giova osservare che l’art. 7 bis dell’Ordinamento Giudiziario, prevede  tra l’altro che … La violazione dei criteri per l’assegnazione degli affari, salvo il possibile rilievo disciplinare, non determina in nessun caso la nullita` dei provvedimenti adottati.

Fino alla riforma introdotta con legge n. 111/2007(Modifiche alle norme sull'ordinamento giudiziario), le conseguenze sul piano processuale della violazione delle regole imposte dall'ordinamento giudiziario e dalle circolari del Consiglio superiore della magistratura, in materia di predeterminazione del giudice destinato ad emettere i singoli provvedimenti, era stata affidata soltanto alla elaborazione giurisprudenziale.

Per un verso, l'art. 158 c.p.c. afferma che i vizi relativi alla costituzione del giudice determinano una nullità insanabile e rilevabile d'ufficio, per altro la giurisprudenza della Suprema Corte aveva sempre precisato che non determina un siffatto vizio la formazione di un collegio con magistrati non risultanti dalle tabelle di composizione, trattandosi di mera irregolarità interna (Cfr. Cass. 18 gennaio 2000 n. 48).  e che neppure costituisce motivo di nullità del procedimento e della sentenza la trattazione della causa da parte di un giudice diverso da quello individuato secondo le tabelle, determinata da esigenze di organizzazione interna, anche se mancante di un formale provvedimento di sostituzione, in quanto la nullità di un atto per inosservanza di forme non può essere pronunciata se non è comminata dalla legge e, pertanto, non può che risolversi in mera irregolarità (Cfr. Cass. 22 maggio 2001 n. 6964).

Anche  Corte Costituzionale (Cfr. sentenza 23 dicembre 1998 n. 419) sindacando la legittimità dell’art. 33 comma 2 c.p.p. – che, in campo penale,  stabilisce in modo specifico che non si considerano attinenti alla capacità del giudice le disposizioni sulla destinazione del giudice agli uffici e alle sezioni e sulla assegnazione degli affari- aveva escluso la illegittimità della norma, assumendo che la disciplina ivi prevista in materia di capacità del giudice evita che vicende amministrative ed irregolarità formali possano incidere sulla validità dei processi.

Significativamente, il Giudice delle Leggi aveva precisato che, per contro, la  capacità del giudice deve essere identificata con l'idoneità a rendere il giudizio, mentre tutti i criteri che presidiano alla destinazione dei giudici e degli affari attengono all'esercizio della funzione e pertanto il principio di precostituzione del giudice non implica che i criteri di assegnazione debbano essere configurati come elementi costitutivi della sua generale capacità, sebbene la violazione dei criteri di assegnazione degli affari non rimanga per ciò priva di rilievo, dovendo essere prefigurati appropriati rimedi.

Con l’introduzione dell’art. 7-bis, comma 1, dell'ordinamento giudiziario, il legislatore, in coerenza con l’indirizzo della giurisprudenza di legittimità, ha scelto di intervenire sulla materia, non sul versante della capacità del giudice- istituto sensibile in quanto coinvolgente il principio costituzionale del giudice naturale- ma sul versante dei criteri di distribuzione degli affari ai giudici all'interno dell'ufficio, ed ha stabilito che la sanzione per la violazione di quelle regole non è di carattere processuale, ma eventualmente disciplinare: la violazione dei criteri di assegnazione degli affari all'interno dell'ufficio non può mai incidere sulla capacità del giudice, così che la stessa incompetenza funzionale deve escludersi, qualora si assumano violate le regole che - nell'ambito di una data funzione - concorrono a identificare il giudice che concretamente è chiamato a svolgerla, anche mediante lo strumento della supplenza.

Anche successivamente, la Suprema Corte ha ribadito tali principi, arricchendone la portata attraverso la specificazione delle conseguenza di violazioni delle norme tabellari volte ad eludere la garanzia costituzionale della precostituzione del giudice: secondo Cass. Pen. n. 34244/2010, infatti,  …le norme dell'ordinamento giudiziario che regolano le tabelle degli uffici giudicanti e i criteri per l'assegnazione degli affari penali non attengono alla capacità del giudice e, quindi, la loro inosservanza non è causa di nullità, esclusa l'ipotesi in cui venga accertato che la violazione delle norme tabellari è stata posta in essere proprio per eludere la garanzia costituzionale della precostituzione del giudice naturale.

Infine, significative indicazioni in ordine alla natura ed all’efficacia  degli atti  presidenziali di assegnazione degli affari, provengono da una recente pronuncia del Consiglio di Stato (Consiglio di Stato, Sezione V,  4 gennaio 2017 n. 10): il presidente di tribunale ….è il preposto con funzioni di direzione a un organo della giurisdizione e come tale nell'esercizio degli specifici poteri di legge emette vuoi atti monocratici di giurisdizione o inerenti alla giurisdizione vuoi - ad es., per quanto concerne il governo del personale - atti amministrativi in senso proprio……Quanto a tipologia dell'atto……. avente ad oggetto l’assegnazione della trattazione ad una sezione o a un giudice …, esso non incide sui contenuti del ius dicere perché non ne rappresenta un parametro né di rito né di merito: esso esaurisce gli effetti in una dimensione meramente organizzativa e gestoria, interna all'ufficio giudiziario e relativa alla ripartizione degli affari tra le articolazioni dell'unitario ufficio. Non si tratta quindi di un atto del processo, perché è un atto di amministrazione del processo. Ma è un atto comunque non amministrativo: non giurisdizionale in senso stretto (cioè processuale), ma comunque inerente alla giurisdizione. Non è infatti cura diretta di interessi pubblici, ma solo necessaria organizzazione della trattazione e della dichiarazione a opera del giudice della volontà di legge nel caso controverso. L'organo da cui emana è un organo giudiziario e non vi è soggetto a controlli esterni o gerarchie ministeriali. I suoi effetti naturali si dispiegano sulla gestione del singolo processo.

Ed è proprio nella gestione del singolo processo che la garanzia del giudice naturale precostituito per legge assicurata dal sistema tabellare costituisce un presidio irrinunciabile.

 

 

 
 
 
 
 
 

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