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CIVILE

Immissioni sonore: tutela cautelare del diritto di proprietà in ragione del diritto all’abitazione e al rispetto della vita familiare (commento all’ordinanza del Tribunale di Napoli, Nona Sezione Civile, del 22.06.2017, Est. Di Tonto)

  Civile 
 giovedì, 2 novembre 2017

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Luca Caputo, giudice del tribunale di Santa Maria Capua Vetere

 
 

 

1. Il Tribunale di Napoli, chiamato a pronunciarsi su un ricorso ex art. 700 c.p.c. proposto in corso di causa per ottenere il rilascio di un appartamento di cui si prospetta l’occupazione sine titulo, accoglie la domanda, ritenendo integrati tanto i presupposti del fumus boni iuris che del periculum in mora.
In particolare, con riferimento al requisito del fumus boni iuris, il Tribunale partenopeo afferma che la documentazione prodotta a sostegno della domanda era tale da far ritenere sussistente, almeno in termini di probabile fondatezza della pretesa azionata nel giudizio di merito come richiesto in sede di tutela cautelare, il diritto alla restituzione dell’immobile; ciò in considerazione del fatto che la parte ricorrente chiedeva la restituzione in virtù di un contratto di compravendita da ritenersi valido e opponibile ai resistenti occupanti l’immobile, in quanto regolarmente trascritto.
Il Tribunale di Napoli ritiene poi integrato il requisito del periculum in mora, valorizzando una serie di circostanze che erano state dedotte e documentate dal ricorrente. Quest’ultimo, in particolare, prospettava e documentava che, in conseguenza della separazione dalla moglie, con la quale si era concordato l’affido paritario dei figli minori, era stato costretto a lasciare la casa familiare e a trasferirsi presso la madre in un appartamento di circa 95 mq. Tale situazione aveva inciso negativamente non solo nella sfera personale del ricorrente, ma anche dei figli minori, i quali, nei periodi di convivenza con il padre, erano costretti a vivere all’interno di un ambiente ristretto sia per le dimensioni, sia per il fatto che in esso viveva la nonna materna, il che non solo determinava una effettiva limitazione degli spazi, ma escludeva anche che i minori potessero percepire quell’ambiente come una vera e propria “dimora familiare”. Gli informatori escussi nel procedimento cautelare avevano inoltre riferito che la situazione descritta di convivenza forzata tra i minori, la nonna materna e il padre all’interno di spazi non particolarmente estesi – considerato anche che si trattava di due minori di sesso diverso in età prepuberale – aveva creato nei minori un profondo disagio che stava incrinando anche il rapporto con la figura paterna, con il rischio ulteriore che  si deteriorasse con il trascorrere del tempo. 
2. Il provvedimento in esame, oltre che per quanto si osserverà nel prosieguo, risulta di particolare interesse perché, in primo luogo, nel ritenere implicitamente ammissibile il ricorso proposto ai sensi dell’art. 700 c.p.c., sembra inserirsi nel solco del principio espresso dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6653 del 12.06.1991. Con tale decisione la Suprema Corte ha affermato la possibilità per il ricorrente di scegliere di tutelare il proprio diritto mediante lo strumento cautelare atipico anziché attraverso la tutela possessoria, in considerazione della diversa natura del diritto dominicale rispetto alla situazione fattuale del possesso.
Aldilà di tale profilo, l’ordinanza resa dal Tribunale di Napoli offre spunti di grande attualità nella parte relativa all’esame del requisito del periculum in mora. In essa, infatti, si pone l’accento su una serie di circostanze peculiari del caso specifico – correlate, in particolare, alla descritta situazione di convivenza forzata di nonna materna e minori nell’immobile di dimensioni non particolarmente ampie in cui già viveva il ricorrente – che inducono il Tribunale di Napoli a ritenere sussistente in concreto il requisito del pregiudizio irreparabile con prevalenza del diritto del ricorrente su quello dei resistenti occupanti (sine titulo) dell’immobile oggetto di causa.
Più specificamente, la sussistenza di una situazione di urgenza tale da giustificare l’accoglimento della domanda cautelare viene correlata alla tutela del diritto di proprietà considerato, però, non in una prospettiva statica e formale di mera titolarità e disponibilità del bene, ma in una prospettiva dinamica e sostanziale che guarda al diritto del ricorrente in un’ottica più ampia, correlandone la relativa tutela a quella del nucleo familiare (nel caso di specie essenzialmente i figli minori ad esso coaffidati) e, in ultima analisi, al diritto all’abitazione, diritto centrale nell’ottica comunitaria. È proprio in questa prospettiva, infatti, che si afferma la prevalenza del diritto del ricorrente inquadrandolo come diritto all’abitazione che, come tale, assurge a diritto fondamentale, in quanto “precondizione per il godimento di tutta una serie di diritti fondamentali, quali ad esempio il diritto alla salute, alla riservatezza, alla sicurezza, all’inviolabilità del domicilio ed alla sua libera scelta”.
Particolarmente significativo, in questo senso, è il passaggio contenuto nel provvedimento in commento in cui, richiamando una pronuncia della Suprema Corte (la numero 9908 del 24.02.2011), si afferma che “Oggi più che mai, la misura della dignità e della libertà della vita umana si rileva anche e soprattutto in considerazione dell’adeguatezza dell’abitazione ai bisogni della persona e della sua famiglia”. Si attribuisce, in questo modo, nel bilanciamento dei diversi interessi in gioco, un peso prevalente al diritto all’abitazione proprio in considerazione del fatto che quest’ultimo è essenziale per la realizzazione di diritti fondamentali della persona garantita in primo luogo all’interno della principale formazione sociale costituita dalla famiglia.
Da qui, quindi, il richiamo, particolarmente pertinente nel caso di specie, al diritto al rispetto della vita privata e familiare riconosciuto dall’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e alla cui realizzazione risulta quindi strumentale anche il diritto all’abitazione, dovendosi escludere, come si afferma nel caso di specie, che lo scioglimento del matrimonio determini il venir meno del diritto alla salvaguardia della vita familiare, considerato che questo attiene anche ed in particolare al rapporto genitori – figli che, come tale, prescinde dalle vicende relative al rapporto coniugale.
3. Nell’affermare la prevalenza del diritto all’abitazione – inteso come precondizione per il godimento di diritti fondamentali della persona e per la realizzazione della comunità familiare – la decisione in commento si pone nel solco di pronunce giurisprudenziali che sempre più spesso valorizzano il rapporto tra l’individuo e l’abitazione non in un’ottica puramente patrimoniale. In questi termini, ad esempio, la sentenza del Tribunale di Firenze n. 147 del 21.01.2011 che, nell’affrontare il problema della tutela anche “non patrimoniale” della proprietà giunge all’affermazione secondo cui il diritto di proprietà è un diritto personale dell’uomo, con la conseguenza che diviene risarcibile anche la condotta illecita del terzo che abbia compromesso quelle utilità economiche connesse al godimento del bene (appunto, la propria abitazione intesa non solo come bene patrimoniale, ma come luogo di realizzazione degli affetti familiari, personali, di raccoglimento e così via). Così sul punto la sentenza citata: "Va invece riconosciuta la risarcibilità del danno non patrimoniale per la violazione del diritto di proprietà, rientrante nella categoria dei diritti fondamentali inerenti alla persona (secondo l'interpretazione fornita in diverse pronunce dalla Corte europea di Strasburgo ed in considerazione dei rapporti delineati dalla nostra Corte costituzionale, nelle sentenze nn. 348 e 349 del 2007, tra ordinamento interno e diritto sovranazionale). (…) Pur non costituendo una prerogativa assoluta, tale diritto viene di fatto tutelato alla stregua di un diritto fondamentale e costituzionalmente garantito, le cui restrizioni devono soggiacere al giusto equilibrio tra interesse generale e interesse privato. Non è dubbio infatti che nella specie la lesione del diritto di proprietà dell'attrice abbia ecceduto una apprezzabile e consistente soglia di offensività, rendendo il pregiudizio tanto serio da essere meritevole di tutela in un sistema che pur impone un grado minimo di tolleranza. Anche se occorre adoperare il filtro della gravità della lesione e della serietà del danno al fine di attuare il bilanciamento tra il principio di solidarietà verso il soggetto danneggiato e quello di tolleranza, con la conseguenza che il pregiudizio non sia futile e quindi il risarcimento del danno non patrimoniale è dovuto solo nel caso in cui sia superato il livello di tollerabilità in virtù del dovere della tolleranza che la convivenza impone (art. 2 Cost.), ritiene il giudicante che entrambi i requisiti sussistono nella fattispecie secondo il parametro costituito dalla coscienza sociale nel determinato momento storico. Non può dubitarsi infatti che la ripetuta presenza di infiltrazioni nel corso di cinque anni consecutivi ha chiaramente limitato ed intralciato fortemente il diritto dell'attrice nel godimento del diritto di proprietà sulla propria abitazione. Basta visionare le fotografie agli atti (v. docc. 1 e 2 allegati al ricorso ex art. 700 c.p.c. e doc. 23) per rendersi conto di ciò che, per cinque lunghi anni si verificava all'interno dell'abitazione dell'attrice nei giorni di pioggia, con la cucina rimasta per lungo tempo sprovvista di un pannello di copertura poiché quello originario, rigonfio a causa dell'acqua, era stato necessariamente rimosso per misure anche di sicurezza. È palese, quindi, la limitazione avvenuta nel caso in esame al diritto di proprietà dell'attrice, definito dall'art. 832 c.c. come diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo e costituzionalmente tutelato (art. 42 della Costituzione). La sua limitazione, anche ai sensi della recente sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione sopra citata è quindi fonte di danno risarcibile. È innegabile poi che l'abitare in un appartamento interessato da infiltrazioni d'acqua frequenti e protrattesi per lunghissimo tempo (5 anni) senza che le richieste di "intervento" vengano considerate in alcun modo, abbia causato nell'attrice uno stato di stress e di frustrazione rilevanti sotto il profilo del danno morale".
Proprio in questa prospettiva, del resto, si è progressivamente affermata la risarcibilità del danno non patrimoniale in presenza di un fatto illecito che si sia sostanziato nell’aver determinato una condizione di difficile vivibilità di un immobile adibito ad abitazione privata, ad esempio per effetto di immissioni di rumore sopra la norma (e di vibrazioni comunque non comuni). E ciò nella prospettiva che correla il diritto di godimento della proprietà e dell’abitazione al diritto alla serenità familiare, alla godibilità della quotidianità, da ritenersi costituzionalmente tutelati in via indiretta mediante la previsione ad opera della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea.
In quest’ottica, infatti, il diritto all’abitazione rientra nei beni fondamentali riconducibili proprio al citato art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nonché all’art. 7 della Carta di Nizza (intitolato “rispetto della vita privata e familiare”).
In una prospettiva meramente interna, invece, si tratta di un diritto pur sempre riconducibile a norme fondamentali della carta costituzionale, ed in particolare all’articolo 2 in collegamento con l’art. 29 laddove tutela i diritti fondamentali della persona in rapporto alle formazioni sociali nelle quali gli stessi si esplicano, tra cui rientra senza dubbio la famiglia e, quindi, in via mediata, anche i luoghi fisici in cui la vita familiare viene condotta.
Del resto, a ben vedere, proprio con un ragionamento di questo tipo la Corte di Cassazione ha progressivamente ammesso la risarcibilità del danno non patrimoniale a fronte della violazione di doveri coniugali e familiari (Cass. n. 9801/05): in quell’occasione, infatti, la Corte di Cassazione in sede di motivazione ha valorizzato soprattutto il fatto che la famiglia (intesa come formazione sociale e quindi come luogo in cui si esplicano diritti fondamentali) deve essere considerato un luogo in cui “la personalità di ogni individuo si esprime, si sviluppa e si realizza e non già sede di compressione e di mortificazione di diritti irrinunciabili”.
Pertanto, non vi è dubbio che in virtù delle norme richiamate il diritto alla tutela della vita privata e familiare deve essere inteso non solo, in negativo, come diritto alla salvaguardia da “intrusioni” esterne, ma anche, in positivo, come diritto ad un ambiente familiare (anche monofamiliare) sereno, salubre, e che goda di quei confort che oramai attengono a bisogni incomprimibili della persona.
Del resto, questa lettura ha trovato riconoscimento anche in pronunce più recenti della Suprema Corte; così, Corte di Cassazione, sentenza n. 26899/14, secondo cui: “L'accertata esposizione ad immissioni sonore intollerabili può determinare una lesione del diritto al riposo notturno e alla vivibilità della propria abitazione, la cui prova può essere fornita dal danneggiato anche mediante presunzioni sulla base delle nozioni di comune esperienza”. Tale principio ha trovato ulteriore riscontro nella successiva sentenza n. 20987/15, che ha ricostruito questo tipo di danno proprio sulla scorta di una lettura orientata anche dalla disciplina comunitaria, affermando che: “Il danno non patrimoniale conseguente ad immissioni illecite è risarcibile indipendentemente dalla sussistenza di un danno biologico documentato quando sia riferibile alla lesione del diritto al normale svolgimento della vita familiare all'interno della propria abitazione e del diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane, trattandosi di diritti costituzionalmente garantiti, la cui tutela è ulteriormente rafforzata dall'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, norma alla quale il giudice interno è tenuto ad uniformarsi a seguito della cd. "comunitarizzazione" della Cedu”.
È un principio che ha da ultimo ricevuto l’avallo delle Sezioni Unite nella recentissima decisione n. 2611 dell’1.02.2017, che, con riferimento ad una fattispecie in cui si lamentavano immissioni di rumori oltre soglia, hanno ribadito che l’assenza di un danno biologico non è di ostacolo al risarcimento del danno non patrimoniale “allorché siano stati lesi il diritto al normale svolgimento della vita familiare all'interno della propria abitazione ed il diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane, quali diritti costituzionalmente garantiti, nonché tutelati dall'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, la prova del cui pregiudizio può essere fornita anche con presunzioni”.
Sebbene con riferimento ad una situazione diversa, non riconducibile al pregiudizio derivante da immissioni intollerabili, il Tribunale di Napoli, con la decisione in commento, ha quindi, nel solco delle più recenti opzioni giurisprudenziali di merito e di legittimità, accordato anche nell’ambito della tutela cautelare tutela prevalente al diritto all’abitazione inteso in un’ottica moderna che ne valorizza il ruolo di strumento per la piena realizzazione della comunità familiare e di precondizione per il godimento di diritti fondamentali.


TRIBUNALE DI NAPOLI
IX Sezione Civile
R.G.S. n.________
Procedimento speciale ex art. 700 c.p.c in corso di causa
Il Giudice di turno per il procedimento cautelare, come designato in atti, dr.ssa Barbara Di Tonto letti gli atti ed i verbali di causa; esaminata la relativa documentazione;
sciogliendo la riserva formulata all’udienza del ______;
OSSERVA
In via preliminare va osservato che il ricorso introduttivo è pienamente valido, benché proposto in forma cartacea, sulla base dell’introduzione di un autonomo giudizio cautelare (sia pure in corso di una causa già pendente per il merito), con l’urgenza che lo caratterizza; la corretta instaurazione del contraddittorio ed il diritto di difesa di parte resistente risultano, peraltro, pienamente rispettati (lo dimostra la corposa memoria di costituzione e le difese ivi rappresentate dai resistenti), per cui alcuna nullità può dirsi realizzata nel caso in esame; trattasi - semmai - di mera irregolarità superata dalla costituzione di parte resistente, dall’esplicazione esaustiva del suo diritto di difesa, e dalla corretta formazione del fascicolo d’ufficio (anche da un punto di vista telematico) relativo alla fase cautelare. La estrema libertà delle forme che caratterizza peraltro il procedimento cautelare avalla, se ve ne fosse ulteriore bisogno, le conclusioni di cui sopra.
Ancora in via preliminare va rilevato che la tutela cautelare ex art.700 c.p.c., da un punto di vista propriamente strutturale, si connota per essere veicolata in un procedimento di tipo sommario destinato a sfociare in un provvedimento di tipo provvisorio, in quanto inidoneo a dettare una disciplina definitiva del rapporto controverso. Nel vigente sistema peraltro i provvedimenti cautelari possono essere efficaci ex se sino all’instaurazione - meramente eventuale - del giudizio di merito. Esso poggia, in generale, essenzialmente sulla valutazione di due requisiti: da un lato intorno alla sussistenza del fumus boni iuris, che implica esclusivamente la formulazione di un giudizio di probabilità in ordine all’eventuale fondatezza della pretesa dedotta; dall’altro lato sul cd. periculum in mora, involgente l’imminenza ed irreparabilità del pregiudizio al diritto che si vuol far valere in via ordinaria.
Accanto alla caratteristica della natura anticipatoria degli effetti e della provvisorietà eventuale della sua tenuta, il provvedimento cautelare è connotato dalla sommarietà dell’inerente cognizione.
Posto ciò, nel merito il ricorso appare fondato e deve essere, pertanto, accolto per quanto di ragione. Ed infatti il fumus nonché il periculum sono chiaramente evincibili dalla documentazione in atti e dagli informatori escussi in corso di causa che avallano le motivazioni di seguito evidenziate.
Ed invero il fumus boni iuris, inteso come probabile fondatezza della pretesa azionata nella fase di merito, è fondato sul buon diritto dei ricorrenti di ottenere il rilascio dell’immobile di loro proprietà, occupato senza titolo dai convenuti oggi resistenti.
Parte ricorrente dettagliatamente allega e produce fatti e documentazione a sostegno della propria domanda: ed invero dagli atti di causa risulta a tutti gli effetti di legge la validità della compravendita dell’immobile sito in _________ in favore degli odierni ricorrenti; questi ultimi hanno acquistato il detto immobile dalla ¬¬¬¬¬¬¬_________ per atto notarile stipulato in data _______, regolarmente trascritto; contestualmente alla
compravendita era concesso un usufrutto biennale in favore di ________, odierna resistente, che già occupava l’immobile in quanto originaria dante causa della società ________, a sua volta dante causa della ________ (tutti atti di trasferimento regolarmente trascritti come per legge e mai impugnati prima dell’odierno giudizio); sta di fatto che la ________ ed il suo nucleo familiare, allo scadere dell’usufrutto, si sono dichiarati impossibilitati a liberare l’immobile, chiedendo una proroga fino al _________; ciò è anche stato loro concesso, con separato atto di transazione, di cui parte resistente non contesta in alcun modo 1’esistenza, eccependone genericamente la nullità, con l’accordo che i coniugi _______ avrebbero trattenuto - a titolo di penale - la buonuscita di euro 200.000,00 pattuita allo scadere dell’originario termine di usufrutto.
Parte resistente contesta la validità dell’atto di compravendita, ritenendosi legittimata ad occupare l’immobile in forza di un titolo di proprietà, in quanto la primigenia vendita stipulata tra se stessa e la ________, nonché le successive, sarebbero simulate ed i coniugi ________ sarebbero stati ben consapevoli della natura simulata di tali atti, quindi, privi di tutela in quanto terzi in malafede. Invero parte resistente farebbe discendere la natura simulata degli atti, stipulati innanzi ad un notaio e regolarmente trascritti, da una semplice allegazione di una scrittura privata (in data _____). Va rilevato che, anche a voler ammettere resistenza e la validità di tale controdichiarazione, essa ha efficacia solo tra le parti stipulanti e non è opponibile ai terzi di buona fede che abbiano regolarmente acquistato e, come nel caso di specie, trascritto l’atto di acquisto dell’immobile in proprio favore. Difatti, mentre risultano trascritti tutti gli atti di compravendita precedenti a quello stipulato in favore degli odierni ricorrenti, non c’è alcuna trascrizione di domanda volta all’accertamento della simulazione e/o nullità invocata da parte resistente (dei detti atti) fondata sulla detta controdichiarazione.
Né la buona fede deve essere provata dagli odierni ricorrenti posto che, ai sensi dell’art. 1147 c.c., la buona fede si presume ed è onere dell’altra parte dimostrare il contrario.
A sostegno della malafede dei coniugi ________ parte resistente allega genericamente la scelta del notaio, lo stesso che aveva stipulato gli atti per le società dante causa, cosa che - alla luce di quanto dichiarato in atti - sembrerebbe quantomeno sospetto. Ebbene, ciò non può in alcun modo assurgere a prova della malafede dei coniugi ________, e rimane una semplice affermazione “apodittica” priva di qualsivoglia riscontro fattuale oltre che probatorio. Ed invero, secondo costante giurisprudenza, il terzo è in mala fede solo quando vi sia stata collusione con il suo dante causa attraverso un accordo. Al fine di integrare il requisito della mala fede, necessario ai sensi dell’art. 1415 c.c. per opporre la simulazione al terzo che abbia acquistato dal titolare apparente, non è sufficiente la mera scienza della simulazione, richiedendosi che il terzo abbia proceduto all’acquisto per effetto della simulazione, nel senso che, accordandosi con il titolare apparente, abbia inteso favorire il simulato alienante per consolidare rispetto agli altri terzi lo scopo pratico perseguito con la simulazione, ovvero abbia voluto personalmente profittare della simulazione stessa in danno del simulato alienante. Di tale accordo non vi è alcuna prova (ma nemmeno un semplice valido elemento indiziario) nel caso in esame, il che induce a qualificare terzi di “buona fede” gli odierni ricorrenti, con tutto quel che ne consegue in termini di validità dell’acquisto dai predetti ricorrenti effettuato.
Allo stesso tempo parte resistente invoca la nullità della compravendita originaria per violazione del divieto di patto commissorio. Anche in questo caso, pur essendo la nullità rilevabile d’ufficio, la parte, su cui grava quantomeno l’allegazione in punto di fatto, non allega alcunché da cui sia possibile desumere l’effettiva condotta fraudolenta richiamata. Né ha alcuna rilevanza in tale sede può avere il fatto che per gli amministratori della ________ sia stata disposta l’imputazione coatta per il reato di usura nelle transazioni da loro effettuate per conto della società; ed invero, posto che la loro responsabilità penale è ben lungi dall’essere affermata, in virtù del principio costituzionale sancito nell’art. 27 Cost., non si può ritenere sin d’ora che il contratto sia nullo perché con “causa illecita dettata dal fine usurario”, in quanto non vi è allo stato alcuna prova che tanto dimostri in sede civilistica.
In ogni caso la prevalente elaborazione giurisprudenziale, valorizzando il dato testuale dello stesso 1815 c.c., afferma la prevalenza, rispetto alla declaratoria di nullità radicale ed assoluta, della nullità parziale; ed invero, l’applicazione della nullità virtuale contrasterebbe con l’inciso contenuto nello stesso art. 1418 comma 1 c.c., il quale specifica che la stessa si applica solo ove manchi una diversa sanzione. La legge in questo caso ha, infatti, previsto una diversa sanzione civile, riconoscendo a pieno quel meccanismo protezionistico della vittima dell’usura, che non solo vede il vantaggio della conservazione del finanziamento, ma si vede destinatario della non debenza in assoluto di alcun interesse.
Parimenti irrilevante è la previsione normativa della confisca di cui all’art 644 c.p., che viene disposta solo a seguito di condanna, che è cosa assolutamente inconferente rispetto all’odierno thema decidendum in cui si controverte dell’occupazione senza titolo dell’immobile oggetto di causa da parte dei resistenti.
Quanto alla sospensione ex ar. 295 c.p.c., invocata da parte resistente nelle more dello svolgimento del processo penale a carico degli amministratori della ________, preliminarmente va rilevata la sua incompatibilità con il sistema della tutela cautelare. Questa, infatti, sostanziandosi in un rimedio contro un pregiudizio imminente e irreparabile, sarebbe frustrata nella sua intima essenza da un provvedimento sospensivo che, peraltro, non ha certezza nei requisiti imposti al fine per legge; giova rimarcare, infatti, che la sospensione prevista dall’art. 295 c.p.c. presuppone un vero e proprio vincolo di consequenzialità tra due questioni, una delle quali costituisca un indispensabile antecedente logico-giuridico dell'altra, finalizzata ad evitare un contrasto di giudicati. Con riferimento al processo penale in particolare, quanto ai rapporti tra giudizio civile e penale (c.d. pregiudiziale penale, ricorrente ogni qualvolta nel corso di un processo civile emerga un fatto nel quale possano ravvisarsi gli estremi di un reato), la giurisprudenza (cfr. Cass. 673/2014) è costante nell'affermare la completa autonomia dei due giudizi (ad eccezione dei casi di cui al terzo comma dell'art. 75 del c.p.p.) autonomia che, pertanto, sussiste appieno anche nel caso in esame.
Quanto al periculum in mora parte ricorrente allega e prova il pregiudizio di una situazione di vita che è ormai divenuta insostenibile per il proprio nucleo familiare. ____, infatti, padre di due figli minori di otto anni, _____, si è separato di fatto dalla moglie _______, addivenendo ad un accordo per l’affido paritario dei figli minori. Lasciata la casa coniugale, l’unica soluzione abitativa possibile per _____ - in assenza della disponibilità dell’immobile oggetto del presente procedimento - è stata quella di trasferirsi a vivere con la madre ultraottantenne in un appartamento di 95 mq, ove ha la disponibilità di una stanza da condividere con entrambi i figli minori. Tale situazione ha ingenerato (ed ingenera sempre più con il passare del tempo) un disagio profondo nei minori che si vedono fortemente limitati, nell’espressione della propria crescita personale, dalla mancanza di spazi propri e di privacy in cui coltivare le proprie peculiarità caratteriali e le proprie esigenze ricreative, trattandosi peraltro di gemelli di sesso diverso ed in un’età tale che iniziano a manifestare le prime esigenze di riservatezza, con conseguente necessità di un ambiente esclusivo in cui esprimere la propria personalità oltre che le esperienze affettive con gli amici ed i compagni di scuola in tutta libertà.
Come riferito dagli informatori escussi in corso di giudizio, la situazione di forzata convivenza dei minori con la nonna ed il papà, in spazi ristretti e privi di autonomia, sta creando un profondo disagio nei minori, minando il loro rapporto con il padre in maniera irreparabile e crescente con il decorso del tempo. Secondo quanto riferito, infatti, i ragazzi non sono lieti di trascorrere le giornate con il padre e con la nonna perché in quell’ambiente ristretto ed in quelle circostanze di luogo sono costretti a rinunciare alle attività ludiche che sarebbero proprie della loro età in considerazione della mancanza di spazi adeguati, oltre a non poter studiare in un ambiente tranquillo che ne favorisca la singola concentrazione.
Aggiungendo a ciò la destabilizzazione che può provocare in un minore la separazione dei genitori, appare di tutta evidenza la necessità di garantire un luogo stabile ed una “dimora familiare” in cui i minori possano continuare a percepire il senso della famiglia e della casa (intesa quale dimora familiare), stante l’importanza che l’ambiente domestico riveste per il corretto costruirsi della personalità del minore, specie nella delicata fase dello sviluppo, e per la crescita equilibrata e serena dello stesso.
Per la corretta crescita del minore è, difatti, necessario che rimanga un rapporto significativo e paritario con entrambi i genitori. Tale principio è alla base della recente novella legislativa in tema di diritto di famiglia, che pone al centro il benessere del minore il suo diritto alla bigenitorialità, ossia a mantenere un sereno rapporto con entrambi i genitori in posizione egualitaria da un punto di vista affettivo, ma anche materiale oltre che educativo. Il non avere una casa “vera” in cui riconoscersi “famiglia”, il dover vivere tutti (genitore e figli di sesso diverso) precariamente in una stanza, in una situazione in cui i minori sono già “palleggiati” tra due case, genera instabilità e col tempo può portare irreparabilmente a rifiutare il genitore (nel caso in esame il padre) che non sia in grado di soddisfare i bisogni affettivi propri dell’età evolutiva, con il rischio, frequente nei minori figli di coppie separate, della sindrome della “negazione genitoriale” nei confronti del genitore che “delude” le aspettative materiali ed affettive dei figli.
D’altronde il diritto all’abitazione rientra a pieno titolo tra i diritti fondamentali, inerenti alla persona, in forza dell'interpretazione desumibile da diverse pronunce dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU) e nelle sentenze della Corte costituzionale nn. 348 e 349 del 2007, che delineano i rapporti tra ordinamento interno e diritto sovranazionale, dovendosi ricomprendere tra quelliindividuabili ex art. 2 Cost., la cui tutela “non è ristretta ai casi di diritti inviolabili della persona espressamente riconosciuti dalla Costituzione nel presente momento storico, ma, in virtù dell'apertura dell'art. 2 Cost., ad un processo evolutivo, deve ritenersi consentito all'interprete rinvenire nel complessivo sistema costituzionale indici che siano idonei a valutare se nuovi interessi emersi nella realtà sociale siano, non genericamente rilevanti per l'ordinamento, ma di rango costituzionale attenendo a posizioni inviolabili della persona umana ...” (Cass. civ., sez. un., 11.11. 2008 n. 26972). Il diritto all'abitazione è, quindi, protetto dalla Costituzione entro l'alveo dei diritti inviolabili di cui all'art. 2 Cost. (Corte cost. 28 luglio 1983, n. 252; Corte cost. 25 febbraio 1988, n. 217; Corte cost. 7 aprile 1988, n. 404; Corte cost. 14 dicembre 2001, n. 410; Corte cost. 21 novembre 2000, n. 520; Corte cost. 25 luglio 1996, n. 309), atteggiandosi a precondizione per il godimento di tutta una serie di diritti fondamentali, quali ad esempio il diritto alla salute, alla riservatezza, alla sicurezza, all’inviolabilità del domicilio ed alla sua libera scelta. Oggi più che mai, la misura della dignità e della libertà della vita umana si rileva anche e soprattutto in considerazione dell’adeguatezza dell’abitazione rispetto ai bisogni della persona e della sua famiglia (cfr. Cass. 9908 del 24/02/2011). Il favor costituzionale non si indirizza alla proprietà della casa in sé, ma alla casa in quanto essa sia destinata all’abitazione del proprietario e del suo nucleo familiare. La casa viene concepita come componente essenziale e, dunque, presupposto logico di quei valori collegati al pieno sviluppo della persona umana che la Costituzione pone, accanto all’istanza partecipativa, quale elemento centrale della democrazia sostanziale; allora è consequenziale ritenerla uno strumento di irradiazione degli altri diritti fondamentali, dal momento che la sua garanzia rappresenta il mezzo per renderli non solo effettivi, ma anche dotati di senso. L’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) dispone, inoltre, che “1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza...” La Corte Edu ha elaborato una nozione di vita familiare più ampia di quella tradizionale, attribuendo agli Stati contraenti la facoltà di differenziare, in relazione ai diversi modelli della stessa, le varie forme di tutela.
Il concetto autonomo di vita familiare include, in primo luogo, i coniugi nonché i figli legittimi dal momento della loro nascita ed a prescindere dal requisito della coabitazione. Relativamente al rapporto tra ciascun coniuge e la prole, la vita familiare persiste anche nel caso di scioglimento del matrimonio essendo il rapporto familiare riconnesso solo al fatto della nascita, anche in assenza di convivenza tra i genitori, dovendosi salvaguardare le esigenze affettive e di crescita del nucleo familiare che rimane comunque tale per i figli nonostante la fine della convivenza dei genitori.
Orbene, nella situazione provata dai ricorrenti, l’ulteriore trascorrere del tempo in assenza di un ambiente familiare idoneo al corretto sviluppo psico-fisico dei minori ________ provocherebbe un pregiudizio irreparabile alla loro corretta crescita psico - fisica, nonché un insanabile logoramento dei rapporti con la figura paterna tale da pregiudicare - in maniera irrecuperabile - la sana ed equilibrata crescita degli stessi.
Per quanto sin ora esplicitato, sussistendo allo stato degli atti il fumus boni iuris nonché il periculum imminente ed irreparabile, il ricorso va accolto e i resistenti vanno condannati al rilascio immediato dell’immobile sito in ______, in favore dei ricorrenti; alcun termine ex art. 56, comma 1, 1. 392/1978 va fissato per l’esecuzione, trattandosi di occupazione sine titulo e, dunque, di materia sottratta all’ambito di operatività della richiamata disposizione legislativa.
Un’ultima annotazione: parte resistente sostiene che non vi è urgenza perché di qui a poco il giudizio sarà riservato in decisione; orbene, posto che tale ultima asserzione di parte non genera di per sé sola alcuna certezza, va sottolineato che le esigenze dei minori come sopra illustrate (coltivate, peraltro, attraverso continue istanze formulate da parte ricorrente in corso di giudizio che non hanno avuto - per motivazioni varie - seguito alcuno) rappresentano un pericolo immediato che non può essere in alcun modo posticipato, nemmeno di pochi giorni, rispetto ad un interesse eventuale di parte resistente che (tutt’al più) potrebbe configurarsi come di tipo economico - risarcitorio (peraltro nemmeno nei confronti degli odierni ricorrenti). Spese alla sentenza definitiva.
P.Q.M.
Il Tribunale di Napoli, IX Sezione civile, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza, difesa o eccezione, così provvede:
a) Accoglie il ricorso e per l’effetto ordina ai resistenti __________, il rilascio immediato, in favore dei ricorrenti, dell’immobile sito in ___________;
b) spese al definitivo.
Si comunichi.
Così deciso in Napoli il 22.06.2017
IL GIUDICE
(dr.ssa Barbara Di Tonto)

 
 
 
 
 
 

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