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CONVEGNI  

Intervento convegno M.I. 11,12 e 13 maggio 2018 Napoli (antonello racanelli)

  Convegni 
 martedì, 15 maggio 2018

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Ho il compito di introdurre i lavori di questo convegno ma, preliminarmente, voglio rinnovare il ringraziamento a tutti gli intervenuti di oggi ed a coloro che interverranno in questi giorni ed in particolare  al sig. Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura che sarà con noi domenica mattina, al Ministro della Giustizia (che ci ha inviato un messaggio di saluto), al Sottosegretario di Stato alla Giustizia, al Presidente della Corte di Cassazione, ai Consiglieri del Consiglio Superiore, al Presidente della Regione Campania, al Presidente della Corte d’Appello ed al Procuratore Generale di Napoli, al Sindaco di Napoli (che saluto con particolare piacere, avendo avuto   modo in passato di collaborare con lui in alcune indagini collegate),

al Presidente del Tribunale di Napoli, al Presidente ed al Procuratore della Repubblica di Napoli Nord, ed a tutti i relatori che interverranno.
Saluto tutte le colleghe ed i colleghi intervenuti, i rappresentanti delle forze di polizia e tutti i presenti.
Un ringraziamento particolare ai colleghi del distretto di Napoli che hanno voluto fortemente ed hanno così bene organizzato questo convegno : cito un solo nome per ringraziarli tutti: il segretario distrettuale Antonio D’Amato, unitamente a tutti coloro che hanno collaborato con lui ed a quanti hanno reso possibile, anche sul piano pratico, l’organizzazione di questo convegno.

Pochi giorni fa abbiamo ricordato il 40esimo anniversario della morte di Aldo Moro (le vicende di questi giorni ancora di più ci rendono consapevoli della mancanza di uomini politici di quel livello) e vorrei incominciare il mio intervento con due brevi citazioni di Aldo Moro, citazioni che ci devono far riflettere:

“Questo Paese non si salverà,la stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà effimera, se in Italia non nascerà un nuovo senso del dovere”;
“Se fosse possibile dire saltiamo questo tempo e andiamo direttamente a domani, credo che tutti accetteremmo di farlo. Ma non è possibile. Oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità. Si tratta di essere coraggiosi e fiduciosi al tempo stesso. Si tratta di vivere il tempo che ci è dato vivere con tutte  le sue difficoltà”.

Abbiamo voluto intitolare questo convegno: Giustizia a risorse limitate: esercizio indipendente e responsabile della giurisdizione?

Indubbiamente qualcosa è cambiato negli ultimi tempi nel settore giustizia, ma ancora molto c’è da fare.
Dobbiamo però, per onestà intellettuale, esprimere il nostro apprezzamento per interventi in materia di risorse e di organizzazione: qualcosa ha incominciato a muoversi. Mi riferisco in particolare all’assunzione di personale amministrativo dopo quasi venti anni, all’aumentata frequenza dei concorsi per l’accesso in magistratura (anche se occorre riflettere seriamente su un ampliamento della pianta organica dei magistrati e sulle attuali modalità di accesso che hanno messo in evidenza una serie di criticità).

Ma molto ancora deve essere fatto: penso all’assunzione di nuovo personale amministrativo (in molte sedi non è possibile tenere udienza nelle ore pomeridiane per la mancanza di personale amministrativo), penso ai necessari interventi di edilizia giudiziaria e in materia di sicurezza dei Palazzi di Giustizia (purtroppo non sono più isolati gli episodi di aggressione all’interno degli uffici giudiziari così come sempre più frequenti sono gli infortuni sul lavoro all’interno dei palazzi di giustizia).
Ancora una volta invochiamo una riforma della disciplina delle ingenti somme recuperate attraverso il Fondo Unico Giustizia.
Nonostante ciò e nonostante la prassi di continuare a prevedere riforme a costo zero (non esistono riforme serie a costo zero), i magistrati continuano a garantire un esercizio indipendente e responsabile della giurisdizione.
La mia risposta al quesito che il convegno pone è : sì. I magistrati, a costo di sacrifici personali e grazie al prezioso contributo della magistratura onoraria, del personale amministrativo e della polizia giudiziaria riescono ancora a garantire un esercizio indipendente e responsabile della giurisdizione, ma stiamo attenti a non tendere troppo la corda: rischia di spezzarsi.

Come gruppo di Magistratura Indipendente abbiamo voluto organizzare questo convegno per una riflessione sull’attuale stato della giustizia e per  offrire e raccogliere spunti utili.

Il convegno si articola infatti in quattro sessioni.

Nella prima sessione affronteremo il rapporto tra giustizia ed economia.
Sul punto ribadisco un principio che da sempre fa parte del patrimonio di Magistratura Indipendente:
i giudici sono chiamati ad applicare le leggi: ad altri spetta prevedere e valutare le conseguenze delle scelte normative. Da anni viviamo una situazione nella quale la magistratura è chiamata, direi costretta, a svolgere un ruolo di supplenza rispetto all’inerzia del legislatore che, consapevolmente o meno, evita di intervenire in determinati settori, nonostante anche alcuni reiterati inviti della Corte Costituzionale. In uno Stato di diritto, quale il nostro, non è corretto delegare scelte ai magistrati, ai quali, come recentemente testimoniato anche da alcune note vicende, viene impropriamente delegata anche la selezione della classe politica dirigente, che dovrebbe spettare ai partiti.

I magistrati applicano la legge (saranno poi i vari gradi di giudizio a stabilire se l’applicazione sia stata corretta nei singoli casi): non possiamo chiedere ai magistrati di fare scelte che, nel tentativo di risolvere problemi anche reali e rilevanti, prescindano dall’applicazione della normativa vigente, nel rispetto dei valori costituzionali. Se si ritiene di voler modificare l’assetto normativo vigente, lo si deve fare solo ed esclusivamente attraverso l’intervento legislativo, ovviamente sempre nel rispetto dei valori costituzionali. Anche le scelte di bilanciamento tra valori eventualmente in conflitto non spettano alla magistratura, ma al potere politico che deve assumersi le sue responsabilità delle quali risponderà poi in sede elettorale.

Ripetendo un concetto che ho già avuto modo di esprimere in un’altra occasione, personalmente considero pericolosa la trasformazione del giudice, utilizzando un’espressione formulata dal prof. Fiandaca, da “pianista-interprete” che esegue trame normative intessute dal legislatore in “compositore” in proprio. Così come considero pericolosa l’immagine del giudice “in sintonia con le aspettative del Paese e dei cittadini”: sono le scelte legislative che devono farsi carico delle sensibilità prevalenti nel Paese. I giudici dovranno limitarsi ad applicare nei casi concreti quelle scelte, ovviamente con competenza professionale e con responsabilità e quindi con motivazioni adeguate a consentire un controllo, anche dell’opinione pubblica, sulle decisioni, nonché una verifica della loro giustezza nelle sedi processuali competenti.

La motivazione è lo strumento attraverso il quale e solo attraverso il quale il giudice rende conto della sua decisione ed appare ovvio ritenere che, nei casi più delicati, nei quali valori ugualmente meritevoli di tutela vengano in conflitto, la motivazione consentirà di ricostruire l’iter logico-giuridico attraverso il quale il giudice, nell’applicare in concreto la norma posta dal legislatore, è arrivato ad una certa decisione.

Nella seconda sessione parleremo di organizzazione degli uffici giudiziari.

E’ indubbio che la giustizia in Italia viva da anni una situazione di grave crisi. Le numerose condanne internazionali, la cronica carenza di risorse, i tempi lunghi dei processi ed il generale clima di sfiducia dei cittadini nei confronti del sistema giudiziario impongono una seria riflessione in chiave organizzativa sul funzionamento del nostro sistema giudiziario. Da alcuni anni anche le tematiche organizzative sono entrate a pieno titolo nei dibattiti sulla giustizia.
Strettamente connesso al tema dell’organizzazione degli uffici giudiziari è la scelta dei titolari di incarichi  direttivi e semidirettivi da parte del Consiglio Superiore della Magistratura: per organizzare bene un ufficio giudiziario ci vuole un buon organizzatore e chi è chiamato sul campo ad organizzare bene un ufficio giudiziario?
In primis il capo dell’ufficio ed i suoi collaboratori.
Il nuovo testo unico sulla dirigenza, approvato dopo un lungo lavoro di preparazione e di discussioni all’interno del Consiglio e della magistratura in generale, segna sicuramente un punto di svolta positivo ed ha l’obiettivo di delineare la figura di un dirigente moderno, efficiente ed esperto. Tuttavia l’esperienza di questi anni  e soprattutto le numerose polemiche che hanno caratterizzato alcune decisioni in materia del Consiglio evidenziano la necessità di una riflessione su alcuni punti per dare maggiore credibilità alla dirigenza giudiziaria e maggiore efficienza agli uffici.
L’obiettivo di superare l’arbitrio o meglio l’eccessiva discrezionalità  e le  logiche di appartenenza in favore di una maggiore oggettività e trasparenza delle nomine non sempre è stato realizzato.

E’ necessario evitare anche il semplice sospetto che il criterio dell’appartenenza correntizia possa giocare un ruolo nelle nomine: il problema c’è e riguarda tutti, anche se ovviamente diversi sono i livelli di responsabilità, direttamente proporzionali al peso ed alla forza che i diversi gruppi associativi hanno rivestito negli ultimi anni all’interno dell’Associazione Nazionale Magistrati e all’interno del Consiglio. Forse è opportuno pensare all’introduzione di regole ancora più vincolanti per il Consiglio.
Strettamente collegata a quest’aspetto è anche la questione del rispetto del giudicato amministrativo: in alcune circostanze ciò non si è verificato e continua a non verificarsi. E’ necessario riflettere sul rapporto tra il giudicato amministrativo e le successive determinazioni amministrative (sottolineo amministrative) del Consiglio.

Vi sono numerosi casi nei quali il CSM non tiene nella dovuta considerazione – ed uso un eufemismo- il giudicato amministrativo perchè la maggioranza politica (ed uso con consapevolezza questo nobile termine) del Consiglio non vuole questo: in alcuni casi la forza dei numeri, che non necessariamente corrisponde alla forza delle argomentazioni e delle ragioni giuridiche, rischia di produrre decisioni illegittime.
Notevoli perplessità suscita il passaggio diretto da funzioni fuori ruolo ad incarichi direttivi e/o semidirettivi.
Occorre valorizzare sul piano organizzativo il contributo del singolo magistrato e dei titolari di funzioni semidirettive. Non dimentichiamo che solo  una collaborazione convinta e seria di tutti i componenti dell’ufficio  può consentire al capo dell’ufficio  di programmare e realizzare buoni risultati per l’intera struttura organizzativa.

Nello stesso tempo però dico : stiamo attenti a non arrivare ad una concezione meramente aziendalistica del servizio giustizia. Il servizio giustizia non può essere equiparato ad una qualsiasi azienda o struttura economica produttiva perché risponde a criteri diversi.
Occorre affrontare alcuni snodi fondamentali uscendo dalla logica degli interventi urgenti ed emergenziali per ricercare soluzioni strutturali, organiche e definitive in un’ottica di razionalizzazione del sistema.
Una riflessione che considero importante deve riguardare anche la questione del divieto di ultradecennalità nell’esercizio delle medesime funzioni. Anche la magistratura associata deve avere il coraggio di fare autocritica: la temporaneità nell’esercizio delle medesime funzioni è stato un cavallo di battaglia di alcune componenti della magistratura associata, recepito prima nella normativa secondaria del Consiglio Superiore e poi dal legislatore in sede di riforma dell’ordinamento giudiziario.
Occorre riflettere sulla questione in modo laico, senza pregiudizi e idee precostituite: vi sono diversi elementi da valutare. Bisogna monitorare quello che è successo in questi anni per valutare la necessità di eventuali interventi modificativi, rimettendo eventualmente in discussione il principio del divieto di ultradecennalità come principio assoluto ovvero rendendo meno rigida la previsione normativa del limite di permanenza in una funzione  ovvero riducendo le funzioni per le quali applicare il principio del limite di permanenza massima.
Peraltro, recenti scelte legislative sembrano voler puntare sempre di più sulla specializzazione: scelte che appaiono evidentemente in contraddizione con il divieto dell’ultradecennalità.

Sono auspicabili anche interventi che restituiscano entusiasmo e dignità alla magistratura onoraria: siamo tutti consapevoli dell’importante e direi insostituibile ruolo dei magistrati onorari. Circa un anno fa al convegno di Torino eravamo stati proprio noi di Magistratura Indipendente a lanciare un allarme sulla ventilata riforma della magistratura onoraria. La riforma è intervenuta e numerose appaiono le criticità emerse. In questi mesi le prolungate astensioni dei magistrati onorari hanno aggravato la situazione complessiva degli uffici giudiziari: emerge la necessità di una rinnovata riflessione sul tema anche da parte della magistratura associata, che tenga in maggiore considerazione le richieste provenienti dai magistrati onorari.

E a proposito di organizzazione non possiamo non fare un appello al nuovo Ministro della Giustizia: è necessario sospendere rinviare l’entrata in vigore della nuova normativa sulle intercettazioni. Gli uffici giudiziari non sono assolutamente pronti a far fronte alle numerose incombenze organizzative che la riforma prevede.
Nella terza sessione affronteremo un altro delicato tema: il Pubblico Ministero e l’obbligatorietà dell’azione penale.

Finalmente, dopo un lungo percorso di elaborazione e riflessione, il Consiglio Superiore della Magistratura ha approvato una dettagliata circolare sull’organizzazione degli uffici di Procura. La circolare si  richiama alle importanti risoluzioni del 2007 e del 2009, nonché alle successive risoluzioni in materia del Consiglio. Non si può non sottolineare che nella nuova normativa il sostituto viene definito correttamente “magistrato” e quindi assume una posizione che rientra pienamente nella previsione dell’art. 105 della Costituzione.  Indubbiamente gli spazi entro i quali il Consiglio poteva muoversi non erano ampi, dovendo l’intervento di normazione secondaria muoversi nel rispetto delle disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 106 del 2006,  ma, ad un primo esame della circolare, è possibile formulare un giudizio positivo.
Viene giustamente valorizzata la partecipazione dei magistrati dell’ufficio alle scelte organizzative, pur nella consapevolezza dei poteri spettanti al procuratore.
Appare evidente che la circolare, come d’altronde era inevitabile, è frutto di un compromesso tra due visioni opposte del ruolo del capo dell’ufficio:
si poteva forse fare di più e meglio, ma sicuramente rappresenta un buon punto di partenza per una rinnovata riflessione sul tema. Peraltro, non si può ignorare che sin dall’entrata in vigore del nuovo ordinamento giudiziario, anche all’interno della magistratura, si sono delineate visioni contrapposte sul ruolo del procuratore.
La gestazione di questa circolare, come delle precedenti risoluzioni, è stata il frutto di complessi percorsi: è notorio che in passato ci siano stati anche interventi ufficiali del Presidente della Repubblica, nella sua qualità di presidente del Csm in occasione delle discussioni consiliari sul tema, a dimostrazione dell’estrema delicatezza della materia.
La valutazione favorevole sull’impianto complessivo della circolare si impone anche alla luce della circostanza che la tendenza del legislatore, già evidenziata dalle norme introdotte con il d.lgs. 106 del 2006 (come successivamente modificato con legge 24 ottobre 2006 n. 269 che ne ha parzialmente attenuato l’impianto originario), appare invece diretta ad esaltare il ruolo del capo dell’ufficio inquirente.
In tale contesto l’intervento consiliare, tenendo conto dei già ricordati limiti di intervento, risulta ancora più apprezzabile.
Condivido pienamente il richiamo del Sindaco De Magistris alla necessità di garantire non solo l’indipendenza esterna, ma anche l’indipendenza interna del magistrato.

In adesione ad un ormai consolidato orientamento consiliare, il procuratore della repubblica, nel rispetto del principio di obbligatorietà dell’azione penale e dei parametri fissati dall’art. 132 bis disp. att. c.p.p. e delle altre disposizioni in materia, può elaborare criteri di priorità nella trattazione dei procedimenti da indicarsi nel progetto organizzativo di ciascun ufficio requirente.
Indubbiamente, di fronte all’enorme carico di procedimenti e di processi,alla sempre crescente domanda di giustizia vi è un problema di risposta, ma credo che la responsabilità di trovare una risposta sotto il profilo anche dell’eventuale priorità delle risposte non possa spettare ai magistrati ma spetti al legislatore: noi magistrati dobbiamo applicare le leggi.

Pur comprendendo le esigenze poste alla base di tale indicazione, personalmente resto perplesso sull’elaborazione di criteri di priorità non fondati su espresse e specifiche disposizioni legislative, ritenendo che  spetti solo ed esclusivamente al legislatore l’elaborazione di criteri di priorità, trattandosi di organo politicamente responsabile a differenza dei capi degli uffici giudiziari, soggetti soltanto alla legge. 
Indubbiamente la fissazione di criteri di priorità risponde ad un’esigenza pratica in relazione all’eccessiva domanda di giustizia penale presente nel nostro Paese, ma è altrettanto certo che tale scelta si pone in contrasto con il principio di obbligatorietà dell’azione penale. La fissazione di criteri di priorità di fatto comporta, vista l’attuale situazione degli uffici giudiziari, la prescrizione di alcuni reati e si risolve quindi in una denegata giustizia per i cittadini. E’ necessario riflettere su questo partendo anche dalla considerazione che il livello di fiducia dei cittadini nella giustizia dipende soprattutto dall’esperienza personale che ciascun cittadino ha nell’entrare in contatto con il sistema giustizia. Al singolo cittadino interessa certamente il grande processo o la grande inchiesta ma interessa altrettanto certamente anche che vengano perseguiti il furto da lui subito, la truffa da lui subita.

Dalla prospettiva del cittadino che, persona offesa o indagato, lo vive ogni procedimento è ugualmente importante. Dobbiamo interrogarci su questo e stare molto attenti: i criteri di priorità (peraltro, ogni tanto emerge una nuova categoria di reati prioritari e quindi diventa anche difficile fare  una graduatoria delle priorità) indubbiamente pongono in crisi, di fatto, il principio di obbligatorietà dell’azione penale, principio che, ritengo, debba essere difeso ad ogni costo. 

Infine, nell’ultima sessione tratteremo della dignità delle condizioni di lavoro dei magistrati, della dignità delle parti processuali e della dignità dei detenuti.

Abbiamo già accennato alle condizioni di scarsa sicurezza nella quale si trovano molti uffici giudiziari,così come è notorio anche il gravoso carico di lavoro che  riguarda numerosi uffici giudiziari.
Solo qualche breve riflessione sul tema sempre attuale dell’ordinamento penitenziario. E’ necessario premettere che non può certamente essere messa in discussione la necessità di assicurare la dignità dei detenuti, garantendo loro condizioni civili e tutti gli strumenti necessari per adempiere alle finalità previste dall’art. 27 della Costituzione, anche attraverso il ricorso a pene alternative rispetto al carcere, laddove ne ricorrano i presupposti. Ma, pur consapevole di non essere politicamente corretto, è altrettanto necessario ricordare che varie sono le finalità della pena (esiste anche una finalità retributiva) e che anche la certezza nell’esecuzione della pena, in condizioni,ripeto, rispettose della dignità di ciascun detenuto, è un obiettivo da perseguire.

In Italia, peraltro, assistiamo a due grandi paradossi: da una parte si pensa di risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri non, come sarebbe logico, costruendo nuove carceri ma mettendo in libertà i detenuti con provvedimenti di vario tipo e dall’altra parte abbiamo una situazione per la quale i presunti colpevoli sono in carcere mentre i condannati ne sono fuori (peraltro,oggi,dopo più o meno recenti interventi normativi, i presupposti per l’applicazione di misure cautelari sono più rigorosi: è sufficiente pensare a ciò che avviene nei giudizi direttissimi a seguito di arresto in flagranza). Appare evidente che c’è qualcosa che non funziona. Ma non vorrei essere frainteso:

nessuno invoca il carcere a tutti i costi per ogni tipo di reati e per ogni soggetto (è opportuno riflettere sulla perdurante validità o meno di un sistema carcero-centrico, è necessario pensare ad un radicale cambiamento dei meccanismi di funzionamento del carcere), ma rendiamo serio e soprattutto utile il sistema sanzionatorio in una prospettiva, retributiva e rieducativa al tempo stesso, della pena. Anche qui non pensiamo a riforme a costo zero: non illudiamoci: è necessario investire risorse.

Mi riservo, in sede di assemblea nazionale, che si terrà domenica al termine dei lavori del convegno, di esporre alcune riflessioni sulla situazione del nostro gruppo, sulla situazione associativa e soprattutto sulle prossime elezioni per il Consiglio Superiore della Magistratura. Ma fin da ora ringrazio i nostri candidati che sono oggi qui presenti e formulo agli stessi ( Paola Braggion, Corrado Cartoni, Paolo Criscuoli, Antonio Lepre e Loredana Miccichè) un caloroso in bocca al lupo!

Un invito a noi tutti qui presenti: noi di Magistratura Indipendente abbiamo un’identità e dei valori : non possiamo certo imporli agli altri, ma dobbiamo avere la forza di recuperarli dal mondo della nostra sfera individuale e trasferirli al mondo delle nostre relazioni.

Vorrei chiudere il mio intervento con un doveroso omaggio alla splendida città di Napoli che ci ospita e per farlo citerò una frase, tra le tante frasi che importanti scrittori hanno dedicato a Napoli. Ho scelto una frase di Luciano De Crescenzo tratta dal suo libro “Così parlò Bellavista”: “Napoli per me non è la città di Napoli ma solo una componente dell’animo umano che so di poter trovare in tutte le persone, siano esse napoletane o no. A volte penso addirittura che Napoli possa essere ancora l’ultima speranza che resta alla razza umana”.

Vi ringrazio per l’attenzione ed auguro a tutti buon lavoro!

 
 
 
 
 
 

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