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PENALE

L’ESERCIZIO DELLA POTESTA’ PUNITIVA E L’ESTINZIONE DELLA PENA PER INTERVENUTA PRESCRIZIONE TRA VECCHI DUBBI ERMENEUTICI E NUOVE CONFERME GIURISPRUDENZIALI

  Penale 
 lunedì, 6 marzo 2017

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Alessandro Centonze, consigliere della Corte di cassazione

 
 

 

Sommario: 1. La prescrizione della pena e gli effetti del decorso del tempo sulla sentenza di condanna: limiti applicativi e fondamenti di politica criminale. – 2. Il modello di computo del termine di prescrizione della pena previsto dagli artt. 172 e 173 cod. pen. – 3. Il problema dell’individuazione dei termini per il computo della prescrizione della pena e l’intervento regolatore delle Sezioni unite. – 4. Il consolidamento dell’orientamento ermeneutico affermato dalle Sezioni unite e l’individuazione dei termini per il computo della prescrizione della pena. – 5. L’individuazione dei termini di prescrizione della pena nelle ipotesi previste dall’art. 172, comma quinto, cod. pen. – 6. Il computo del termine di prescrizione della pena nelle ipotesi di condizioni preclusive rappresentate dalla condizione di recidivo dell’imputato. – 7. Il computo del termine di prescrizione della pena nelle ipotesi di condizioni preclusive rappresentate dall’intervenuta condanna dell’imputato alla reclusione per un delitto della stessa indole.

 

1. La prescrizione della pena e gli effetti del decorso del tempo sulla sentenza di condanna: limiti applicativi e fondamenti di politica criminale.

 

Il tema degli effetti del decorso del tempo sulla sentenza penale di condanna, rilevante ai fini dell’estinzione della pena per intervenuta prescrizione, così come prefigurata dalle disposizioni degli artt. 172 e 173 cod. pen., si ripropone periodicamente all’attenzione della giurisprudenza nostrana, coinvolgendo molteplici profili applicativi, sostanziali e processuali, con i quali questo intervento intende confrontarsi[1].

L’importanza di questo tema è dimostrata dal periodico interesse che il legislatore mostra nei confronti dell’istituto prescrizionale, sulla scorta delle pressioni dell’opinione pubblica finalizzate a riformare la disciplina normativa degli effetti del decorso del tempo sull’esercizio della potestà punitiva, con particolare riferimento alla prescrizione del reato, rispetto alla quale la prescrizione della pena – sul piano dei fondamenti di politica criminale – presenta molteplici profili di similitudine[2].

Deve, innanzitutto, osservarsi che il tema della funzione di politica criminale della pena deve essere inquadrato in una prospettiva sistematica armonica con i precetti costituzionali, in ragione del fatto che il principio di rieducazione del reo, prefigurato dagli artt. 25 comma 2 e 27, comma 3, Cost., presuppone un percorso di recupero del condannato che il decorso di un lungo periodo dalla condanna può rendere difficoltoso.    

La complessità di questa tematica, che coinvolge sia profili di diritto penale sostanziale che profili di diritto processuale penale, impone una ricognizione preliminarmente sui limiti applicativi dell’istituto della prescrizione della pena, che riguardano i delitti puniti con l’ergastolo, le pene accessorie e gli effetti penali della condanna.

Quanto ai delitti puniti con l’ergastolo deve osservarsi che, per questi reati, la pena è imprescrittibile e che tali conseguenze giuridiche discendono dalla sua natura di pena detentiva non temporanea, che non è compresa nell’ambito disciplinatorio degli artt. 172 e 173 cod. pen., esclusivamente applicabili alle pene detentive temporanee della reclusione e dell’arresto e alle pene pecuniarie della multa e dell’ammenda.

L’imprescrittibilità dell’ergastolo, quindi, discende dalla sua natura di pena detentiva non temporanea, rispetto alla quale non assume rilievo la disciplina dell’imprescrittibilità dei reati puniti con tale sanzione, prevista dall’art. 157, ultimo comma, cod. pen., a tenore del quale: «La prescrizione non estingue i reati per i quali la legge prevede la pena dell’ergastolo, anche come effetto dell’applicazione di circostanze aggravanti»[3].

L’ulteriore limite all’applicazione dell’istituto prescrittivo al trattamento sanzionatorio riguarda le pene accessorie e gli effetti penali della condanna, a proposito dei quali deve affermarsi l’inapplicabilità della prescrizione – fatta eccezione per quelle pene accessorie che presuppongono una pena principale eseguibile – che deriva dalla previsione degli artt. 172 e 173 cod. pen., che fanno riferimento alle sole pene principali. Ne consegue che, in questi casi, il decorso del tempo dispiega i suoi effetti prescrittivi in modo residuale, nei confronti delle sole pene accessorie che, come nel caso dell’interdizione legale, presuppongono una pena principale eseguibile[4].

La prescrizione della pena, pertanto, esplica i suoi effetti nei confronti delle pene accessorie solo quando, queste, presuppongono la pena principale e non possono durare oltre la sua estinzione, come nel caso dell’art. 32, comma terzo, cod. pen., che disciplina la durata dell’interdizione legale, stabilendo: «Il condannato alla reclusione per un tempo non inferiore a cinque anni è, durante la pena, in stato d’interdizione legale; la condanna produce altresì, durante la pena, la sospensione dall’esercizio della potestà dei genitori, salvo che il giudice disponga altrimenti»[5].  

L’esclusione della prescrizione per le pene accessorie, dunque, è la conseguenza di un’opzione di politica legislativa, finalizzata a limitare l’applicazione dell’istituto prescrizionale alle sole pene principali detentive temporanee e pecuniarie e non per l’ergastolo e – salvo le eccezioni di cui si è detto – per le pene accessorie[6].

Ne deriva, infine, che, in queste ipotesi, non si tiene conto della previsione generale dell’art. 20 cod. pen., che disciplina gli effetti della sentenza penale di condanna, disponendo: «Le pene principali sono inflitte dal giudice con sentenza di condanna; quelle accessorie conseguono di diritto alla condanna, come effetti penali di essa».

 

2. Il modello di computo del termine di prescrizione della pena previsto dagli artt. 172 e 173 cod. pen.

 

Nella cornice sistematica descritta nel paragrafo precedente, alcune precisazioni ulteriori si impongono, allo scopo di inquadrare correttamente il modello di computo dei termini di prescrizione della pena previsto dagli artt. 172 e 173 cod. pen.

Queste precisazioni si rendono indispensabili per inquadrare l’istituto prescrizionale nel più ampio contesto dell’esercizio della potestà punitiva dello Stato e si impongono con specifico riferimento all’applicazione della prescrizione della pena agli istituti dell’indulto, della continuazione e delle misure di sicurezza.

Deve, innanzitutto, rilevarsi che, ai fini del computo dei termini di prescrizione previsti dagli artt. 172 e 173 cod. pen., non si tiene conto della diminuzione della pena conseguente all’applicazione dell’indulto, disposto a norma dell’art. 174 cod. pen., attese le finalità clemenziali sottese a questo istituto[7].

Questo principio può ritenersi espressione di un orientamento consolidato, sul quale la Corte di Cassazione è ripetutamente intervenuta, affermando che, ai fini di cui all’art. 172 cod. pen., per pena inflitta, deve intendersi quella risultante dalla pronunzia di condanna e non anche quella che residua tenendo conto di eventuali cause estintive, quali, per l’appunto, l’indulto[8].

Un’ulteriore questione interpretativa riguarda l’applicazione della prescrizione della pena alle ipotesi di concorso di reati e di continuazione tra reati, così come disciplinate dall’art. 81 cod. pen., che devono essere esaminate congiuntamente, anche se la norma di riferimento, rappresentata dall’art. 172, comma sesto, cod. pen., si riferisce espressamente al solo concorso di reati.

Deve, in proposito, evidenziarsi che, in ipotesi di questo genere, conformemente a quanto previsto dall’art. 172, comma sesto, cod. pen., ai fini dell’applicazione della prescrizione della pena, occorre riferirsi a ciascuno dei reati presupposti, anche se le relative pene sono state irrogate nel contesto della stessa decisione.

Da tutto ciò deriva che il principio in esame deve essere applicato tanto nelle ipotesi di concorso di reati quanto nelle ipotesi di continuazione tra reati, alle quali ultime l’art. 172, comma sesto, cod. pen. non fa espressamente riferimento. Né potrebbe essere diversamente, atteso che le ipotesi di reato continuato sono considerate dalla legge, attraverso una finzione giuridica, come un unico reato ai fini della determinazione della pena applicabile, ma, sotto ogni altro profilo, devono essere assoggettate alla disciplina del concorso materiale di reati[9].

Questo principio può ritenersi espressione di una posizione ermeneutica incontroversa, per inquadrare la quale è utile richiamare l’orientamento consolidatosi in seno alla giurisprudenza di legittimità, secondo il quale la disposizione dell’art. 172, comma sesto, cod. pen., prevede che, nel caso di concorso di reati, si ha riguardo, per l’estinzione della pena, a ciascuno di essi, anche se le pene sono state inflitte all’esito di uno stesso procedimento penale. Ne consegue che, nelle ipotesi continuazione, per stabilire il tempo necessario al verificarsi degli effetti della prescrizione della pena, si deve avere riguardo alla pena irrogata per ciascuno dei reati ritenuti in continuazione, in quanto, analogamente al concorso formale di reati, come affermato dalla Suprema Corte, il reato continuato «è fittiziamente considerato dalla legge come un unico reato ai fini della determinazione della pena, ma sotto ogni altro profilo e per ogni altro effetto, esso è soggetto alla disciplina del concorso materiale di reati»[10].

In stretta connessione con questo profilo, si pone l’ulteriore questione della rilevanza della rideterminazione della pena in sede esecutiva, eventualmente richiesta dal condannato ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen.[11]

Tale questione assume peculiare rilievo nelle ipotesi in cui la rideterminazione deriva da una rivalutazione della continuazione tra reati operata in sede esecutiva, a norma dell’art. 671 cod. pen., per la cui risoluzione occorre fare riferimento alla previsione dell’art. 172, comma quarto, cod. pen., che individua il termine di decorrenza della prescrizione della pena dal giorno in cui la sentenza è divenuta irrevocabile ovvero l’imputato si è volontariamente sottratto alla sua esecuzione. Ne consegue che, in queste ipotesi, il termine al quale occorre fare riferimento non è quello in cui è stata effettuata la rideterminazione del trattamento sanzionatorio dal giudice dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., ma quello in cui la pronunzia di condanna è diventata irrevocabile in relazione ai singoli reati oggetto di contestazione.

Si ritiene, in proposito, utile richiamare un risalente arresto della Corte di Cassazione, a tenore del quale l’ordinanza con cui il giudice dell’esecuzione, riconoscendo la continuazione o il concorso formale tra reati, determina la pena da eseguire incide sul trattamento sanzionatorio, ma non sulla decorrenza della prescrizione delle singole sanzioni penali irrogate, i cui termini «in forza della regola stabilita nel quarto comma dell’art. 172 cod. pen., vanno computati dal giorno in cui la condanna è divenuta irrevocabile in relazione alle singole imputazioni contestate»[12].

Residua, infine, un ulteriore problema, riguardante gli effetti della prescrizione della pena sulle misure di sicurezza, per inquadrare il quale occorre prendere le mosse dalla previsione dell’art. 210, comma primo, cod. pen., espressamente dedicato a tale profilo applicativo, secondo cui: «L’estinzione della pena impedisce l’applicazione delle misure di sicurezza, eccetto quelle per le quali la legge stabilisce che possono essere ordinate in ogni tempo, ma non impedisce l’esecuzione delle misure di sicurezza che sono state già ordinate dal giudice come misure accessorie di una condanna alla pena della reclusione superiore a dieci anni. Nondimeno, alla colonia agricola e alla casa di lavoro è sostituita la libertà vigilata».

Allo scopo di inquadrare, sul piano sistematico, la previsione dell’art. 210, comma primo, cod. pen., si ritiene utile richiamare l’orientamento ermeneutico affermato dalla Suprema Corte nell’ambito di un arresto, datato ma tuttora insuperato, nel quale si affermava il seguente principio di diritto: «L’estinzione della pena e non già l’espiazione della stessa comporta l'estinzione delle misure di sicurezza»[13].

In questo ambito, la principale eccezione alla regola generale affermata dall’art. 210, comma primo, cod. pen. è costituita dalle misure di sicurezza patrimoniali, così come disciplinate dagli artt. 236, comma secondo e 240, comma secondo, cod. pen., a proposito delle quali, in linea con l’orientamento consolidatosi in seno alla giurisprudenza di legittimità, occorre affermare che l’estinzione del reato o della pena non precludono la confisca delle cose che ne costituiscono il prezzo, prevista come obbligatoria dall’art. 240, comma secondo, n. 1, cod. pen. per effetto della condanna, atteso che il provvedimento ablativo non presuppone l’esistenza di un giudicato formale, ma esclusivamente un accertamento giurisdizionale di natura incidentale[14].

La confisca, infatti, presuppone «unicamente la necessità di un accertamento incidentale equivalente rispetto all’accertamento definitivo del reato, della responsabilità e del nesso di pertinenzialità che i beni oggetto di confisca devono presentare rispetto al reato stesso, a prescindere dalla formula con la quale il giudizio viene ad essere formalmente definito»[15].

 

3. Il problema dell’individuazione dei termini per il computo della prescrizione della pena e l’intervento regolatore delle Sezioni unite.

 

Nella cornice ermeneutica descritta nei due paragrafi precedenti, occorre adesso soffermarsi sulle questioni interpretative di maggiore rilievo in tema di prescrizione della pena, concentrandoci sulla questione dell’individuazione dei termini per il calcolo della prescrizione della pena, che costituisce il problema centrale dell’istituto in esame.

Per inquadrare questo profilo applicativo occorre prendere le mosse dalla previsione normativa del quarto comma dell’art. 172 cod. pen., a tenore della quale: «Il termine decorre dal giorno in cui la condanna è divenuta irrevocabile, ovvero dal giorno in cui il condannato si è sottratto volontariamente alla esecuzione già iniziata della pena»[16].

Per affrontare questo tema occorre muovere dal risalente intervento regolatore delle Sezioni unite, riconducibile alla sentenza “Cellerini” del 1994, che prefigura un modello di computo del termine di prescrizione della pena, che deve ritenersi a tutt’oggi insuperato, al quale si collegano alcuni successivi interventi confermativi di tale orientamento.

Le Sezioni unite, risolvendo il contrasto ermeneutico che ne avevano richiesto l’intervento,   innanzitutto, affermavano il seguente principio di diritto: «In tema di estinzione della pena per decorso del tempo, l’art. 172 cod. pen. individua il relativo “dies a quo” nel momento in cui la sentenza di condanna è divenuta “irrevocabile”, aggettivo, quest’ultimo, che indica la connotazione della sentenza richiesta dalla legge per la sua concreta utilizzazione come titolo esecutivo»[17].

Queste considerazioni, riguardanti l’individuazione dei termini di prescrizione della pena, a loro volta, si collegano al principio di formazione progressiva del giudicato penale che costituisce un’elaborazione giurisprudenziale fondata sull’interpretazione dell’art. 624, comma 1, cod. proc. pen., secondo la quale: «Se l’annullamento non è pronunciato per tutte le disposizioni della sentenza, questa ha autorità di cosa giudicata nelle parti che non hanno connessione essenziale con la parte annullata».

Con specifico riferimento al principio di formazione progressiva del giudicato di cui all’art. 624, comma 1, cod. proc. pen., nella stessa pronunzia, le Sezioni unite affermavano il seguente principio di diritto: «In tema di annullamento parziale della sentenza impugnata da parte della cassazione, il principio della formazione progressiva del giudicato – desumibile da una corretta interpretazione del disposto dell’art. 545 comma primo cod. proc. pen. del 1930 (e parallelamente dell’art. 624, comma primo, nuovo cod. proc. pen.) – che ne importa la configurabilità in ordine alle parti non annullate della sentenza concernenti l’esistenza del reato e la responsabilità dell’imputato e non in rapporto di connessione essenziale con quelle annullate, legittima la conclusione che esclude la operatività delle cause di estinzione del reato, relativamente alle parti della decisione sulle quali si è formato il giudicato, non potendo l’art. 152 cod. proc. pen. del 1930 (e l’art. 129 nuovo cod. proc. pen.), che pur prevede l’efficacia di dette cause in ogni stato e grado del procedimento, superare la “barriera del giudicato”, essendosi per quelle parti della sentenza che tale autorità hanno acquistato, ormai concluso, in maniera definitiva, il loro “iter” processuale»[18].

Veniva, in questo modo, affermata la necessità di differenziare l’irrevocabilità della pronunzia con la possibilità di eseguirla, in ragione del fatto che il giudicato produce effetti differenti dall’esecutorietà di una decisione, essendo pacifico che possono esservi decisioni aventi autorità di cosa giudicata senza essere eseguibili[19].

Questa distinzione deve essere applicata per tutte le sentenze di condanna, nel periodo di tempo intercorrente tra il momento in cui la decisione è stata pronunciata e quello della sua messa in esecuzione da parte dell’autorità giudiziaria procedente. Tale differenziazione cronologica, al contempo, si può verificare per espressa volontà legislativa, come nelle ipotesi di condanne condizionalmente sospese di cui all’art. 163 cod. pen. e di differimento dell’esecuzione della pena di cui agli artt. 146 e 147 cod. pen.

In questi termini, la possibilità di eseguire una pronunzia di condanna deve essere posta in relazione alla formazione di un titolo esecutivo e alla correlata possibilità di eseguire la decisione coperta da giudicato nei confronti di un soggetto sul presupposto della sua irrevocabilità. Ne consegue che l’autorità di cosa giudicata di una sentenza di condanna, collegata alla sua irrevocabilità e attribuita a una o più statuizioni contenute nella stessa decisione, deriva dall’esaurimento del relativo giudizio e permette di fare decorrere da tale momento i termini per la prescrizione della pena previsti dall’art. 172, comma 4, cod. pen.

Questi fondamentali principi venivano richiamati e ulteriormente ribaditi in una successiva pronunzia di legittimità, con cui la Corte di Cassazione tornava ad affrontare il tema dell’individuazione dei termini di prescrizione della pena, affermando che la disposizione dell’art. 172 cod. pen. individua il dies a quo ai fini dell’estinzione della pena nel momento in cui la pronunzia di condanna è passata in giudicato e le cause di sospensione di tale termine sono esclusivamente quelle riferite alla sentenza di condanna e non invece quelle riferibili all’attività posta in essere dagli organi deputati all’esecuzione[20].

Si ribadiva, in questo modo, che le connotazioni di esecutorietà di una decisione irrevocabile non sono una caratteristica del provvedimento decisorio sovrapponibile a quella della sua irrevocabilità che, difatti, discende dall’autorità di cosa giudicata della stessa decisione. Occorre, del resto, ribadire, in linea con la dottrina nostrana più autorevole, che ben vi possono essere provvedimenti decisori aventi autorità di cosa giudicata senza essere in tutto o in parte eseguibili[21].

In proposito, si ritiene utile richiamare i passaggi della pronunzia in esame in cui la Suprema Corte, ribadendo ancora una volta la necessità di distinguere irrevocabilità ed esecutività della sentenza, affermava: «In tema di estinzione della pena per decorso del tempo, l’art. 172 c.p. individua il relativo dies a quo nel momento in cui la sentenza di condanna è divenuta “irrevocabile”, aggettivo quest’ultimo che indica la connotazione della sentenza richiesta dalla legge per la sua concreta utilizzazione come titolo esecutivo […]». E ancora: «L’estinzione della pena è, quindi, da ricollegare non all’eventuale inerzia degli organi esecutivi, bensì al semplice decorso del termine, misurato dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna, salve le ipotesi di diversa decorrenza previste nell’art. 172 c.p.»[22].

 

4. Il consolidamento dell’orientamento ermeneutico affermato dalle Sezioni unite e l’individuazione dei termini per il computo della prescrizione della pena.

 

Nella cornice descritta nel paragrafo precedente, che possiamo ritenere consolidata già sul finire degli anni Novanta, si inseriscono alcuni ulteriori e più recenti arresti giurisprudenziali che meglio definiscono – sul piano dei parametri ermeneutici di riferimento – la questione della decorrenza dei termini per il calcolo della prescrizione della pena.

In questo ambito, occorre richiamare l’orientamento giurisprudenziale affermatosi sul tema della sottrazione volontaria dell’imputato all’esecuzione della pena irrogata nei suoi confronti, con cui si chiariscono gli elementi di distinzione tra l’ipotesi disciplinata dell’art. 172, comma quarto, cod. pen. e quella disciplinata dal quinto comma della stessa disposizione.

Deve, in proposito, rilevarsi che, secondo la giurisprudenza di legittimità, in tema di estinzione della pena per decorso del tempo, il dies a quo, ai sensi dell’art. 172, comma quarto, cod. pen., si individua nel giorno in cui il provvedimento decisorio è divenuto irrevocabile ovvero in quello in cui il condannato si è volontariamente sottratto alla sua esecuzione; mentre, le cause di sospensione di tale termine, previste dal quinto comma della stessa disposizione, sono esclusivamente quelle riferibili alla pronunzia di condanna e non quelle riferibili all’attività – cui si riconnette la possibile inerzia – posta in essere dagli organi deputati all’esecuzione[23].

Queste opzione ermeneutica è stata successivamente confermata in un contesto applicativo affine, quando la Corte di Cassazione, intervenendo in tema di computo dei termini di prescrizione della pena in pendenza di una procedura di estradizione per l’estero, ribadiva i principi che si sono appena esposti con riferimento alla portata applicativa dell’art. 172, comma quarto, cod. pen.[24]

 Sulla scorta di tale ricostruzione sistematica, occorre affermare conclusivamente che, in tema di estradizione per l’estero, il termine finale per il calcolo della prescrizione della pena, irrogata dalla sentenza di condanna costituente titolo per l’attivazione della procedura di estradizione, è rappresentato dalla data della presentazione della richiesta e non dalla data della decisione con cui l’autorità giudiziaria competente provvede sull’istanza, accogliendola o rigettandola[25].

 

5. L’individuazione dei termini di prescrizione della pena nelle ipotesi previste dall’art. 172, comma quinto, cod. pen.

 

Come si è detto, qualora l’esecuzione della pena è subordinata alla scadenza di un termine ovvero al verificarsi di una condizione, il tempo necessario per determinare l’estinzione della pena decorre dal giorno in cui il termine è scaduto o si è verificata la condizione.

Queste ipotesi, in particolare, riguardano il differimento dell’esecuzione della pena, nei casi previsti dagli artt. 146 e 147 cod. pen.; la sospensione condizionale della pena, nei casi previsti dall’art. 163 cod. pen.; la sospensione dell’esecuzione della pena nei casi di indulto condizionato, nei casi previsti dall’art. 174 cod. pen.

Quanto alla portata applicativa delle prime due ipotesi, deve osservarsi che, ai fini dell’emissione di una declaratoria di estinzione della pena, così come prefigurata dall’art. 172, comma quinto, cod. pen., qualora l’esecuzione della sanzione penale sia subordinata alla scadenza di un termine o al verificarsi di una condizione, i termini decorrono dal giorno in cui è divenuta definitiva la decisione che ha accertato la causa della revoca, in quanto solo da quel momento si ha la certezza giudiziale dell’avvenuta verificazione della causa risolutiva[26].

In questo contesto sistematico, peculiare rilievo assumono le ipotesi di sospensione condizionale della pena previste dall’art. 163 cod. pen., per le quali il termine di prescrizione della pena decorre dal giorno in cui è divenuta irrevocabile la pronunzia che ha accertato il verificarsi di una causa di revoca del beneficio. Solo a partire da questo momento, infatti, si ha la certezza che il condannato a pena sospesa ha commesso, nei cinque anni successivi al passaggio in giudicato della decisione presupposta, un delitto della stessa indole, per il quale ha riportato condanna irrevocabile, dando luogo alla condizione risolutiva prevista dall’art. 168, comma primo, cod. pen. per la revoca del beneficio sospensivo.

Ne discende che il periodo di estinzione della pena condizionalmente sospesa, nelle ipotesi di sospensione revocata per la commissione di un delitto nei cinque anni successivi al passaggio in giudicato della sentenza, decorre dal giorno in cui è divenuta definitiva la pronunzia che ha accertato la causa della revoca[27].

In senso differente, infine, rilevano le ipotesi in cui l’esecuzione della pena sia subordinata alla revoca del beneficio dell’indulto concesso al reo, per le quali deve richiamarsi l’intervento chiarificatore delle Sezioni unite, riconducibile alla sentenza “Maiorella” del 2014, con cui veniva risolto il contrasto giurisprudenziale sul calcolo del dies a quo per i casi di applicazione dell’indulto, affermandosi il seguente principio di diritto: «Nel caso in cui l’esecuzione della pena sia subordinata alla revoca dell’indulto, il termine di prescrizione della pena decorre dalla data d’irrevocabilità della sentenza di condanna, quale presupposto della revoca del beneficio»[28].

 

6. Il computo del termine di prescrizione della pena nelle ipotesi di condizioni preclusive rappresentate dalla condizione di recidivo dell’imputato.

 

Occorre, infine, affrontare il tema delle condizioni preclusive dell’applicazione della prescrizione della pena, previste dall’ultimo comma dell’art. 172 cod. pen., secondo cui l’istituto prescrizionale non si applica nelle ipotesi di condannati recidivi, nei casi previsti dai capoversi dell’art. 99 cod. pen., né nelle ipotesi di delinquenti abituali, professionali o per tendenza.

Su queste ipotesi occorre soffermarsi separatamente.

La condizione preclusiva della recidiva risulta espressamente prevista dall’art. 172, comma settimo, cod. pen., a tenore del quale: «L’estinzione delle pene non ha luogo, se si tratta di recidivi, nei casi preveduti dai capoversi dell’articolo 99 […]».

In questo ambito, un primo elemento di chiarificazione è costituito dalla sede giurisdizionale in cui la condizione di recidivo dell’imputato deve emergere, avendo la giurisprudenza di legittimità costantemente affermato che tale condizione può essere accertata esclusivamente nel processo di cognizione[29].

Su questa tema, è utile richiamare la sentenza “Milacic” del 2013, che costituisce il più recente ed esaustivo intervento della Suprema Corte, con cui si ribadiva che tale condizione processuale deve essere accertata nel processo di cognizione dopo una rituale contestazione in quella sede giurisdizionale.

Nella sentenza “Milacic”, sulla rilevanza della recidiva ai fini della declaratoria di prescrizione della pena, innanzitutto, si affermava il seguente principio di diritto: «La recidiva non è un mero “status” soggettivo desumibile dal certificato penale ovvero dal contenuto dei provvedimenti di condanna emessi nei confronti di una persona, sicché, per produrre effetti penali, deve essere ritenuta dal giudice del processo di cognizione dopo una sua regolare contestazione in tale sede. Ne consegue che, in tema di estinzione della pena per decorso del tempo, non è consentito al giudice dell’esecuzione, ai fini dell’applicazione dell’art. 172, settimo comma, cod. pen., desumere la recidiva dall’esame dei precedenti penali, in mancanza di un accertamento in sede di cognizione»[30].

In stretta connessione con questo principio di diritto, la Suprema Corte, affermava ulteriormente: «L’estinzione della pena per decorso del tempo non opera nei confronti dei condannati recidivi di cui ai capoversi dell’art. 99 cod. pen., a condizione che la recidiva venga accertata in un qualsiasi momento immediatamente precedente al decorso del termine di prescrizione della pena»[31].

La Corte di Cassazione, dunque, muoveva dall’assunto giurisdizionale che era incontroversa l’irrilevanza della condizione preclusiva che si verificava dopo la scadenza del termine di prescrizione della pena, essendo, in questo caso, l’effetto dell’estinzione ormai irreversibile[32].

Si affermava, al contempo, che la disciplina delle cause di esclusione della prescrizione della pena, alla luce della previsione dell’art. 172, comma settimo, cod. pen., accreditava la conclusione «che deve aversi riguardo al momento immediatamente precedente la maturazione del dies ad quem del termine della prescrizione, nel senso, appunto, che è sufficiente che alcuna delle cause preclusive risulti perfezionata illo tempore, perché la estinzione della pena non abbia luogo»[33].

Secondo la stessa pronunzia di legittimità, tali conclusioni erano avvalorate dalla previsione della residua «causa impeditiva, costituita dalla commissione di un delitto della stessa indole, alla quale la legge annette rilevanza in funzione del dato cronologico della perpetrazione del reato “durante il tempo necessario per l’estinzione della pena” e, dunque, in epoca necessariamente posteriore alla data della condanna che ha inflitto la pena de qua e, a fortiori, posteriore alla data di commissione del delitto per il quale la pena in questione è stata applicata»[34].

Questa decisione, come detto, si muove sul solco di un orientamento ermeneutico risalente, secondo il quale solo la recidiva accertata nel processo di cognizione può rappresentare una condizione preclusiva all’applicazione dell’istituto prescrizionale, a norma dell’art. 172, comma settimo, cod. pen., anche se una volta accertata in tale ambito giurisdizionale, questa condizione può farsi valere anche per ulteriori condanne riportate dall’imputato, antecedenti o successive[35].

In altri termini, la recidiva, per produrre i suoi effetti, deve essere accertata dal giudice di cognizione, ma, una volta compiuto tale vaglio, opera come preclusione per tutte le condanne riportate dal recidivo siano esse antecedenti o successive a quella in riferimento alla quale tale condizione è stata ritenuta[36].

Da ultimo, questa posizione ermeneutica è stato ribadita con specifico riferimento al processo di esecuzione, affermandosi che la recidiva non può essere ritenuta ai fini dell’applicazione della prescrizione della pena nel solo ambito esecutivo.

La Suprema Corte, in particolare, nel ribadire i principi consolidati in tema di interpretazione dell’art. 172, comma settimo, cod. pen., ha escluso che la recidiva potesse essere accertata in sede esecutiva ai fini della prescrizione della pena. Ne consegue che, in sede di verifica delle condizioni preclusive previste dall’art. 172, comma settimo, codpen., il giudice dell’esecuzione non può sindacare l’esistenza della recidiva in presenza di un accertamento positivo compiuto in sede di cognizione[37].

D’altra parte, la recidiva non è una condizione soggettiva desumibile dall’anagrafe giudiziaria del condannato e dai provvedimenti di condanna emessi nei suoi confronti, con la conseguenza che deve essere sottoposta a un apposito vaglio da parte del giudice di cognizione, in assenza del quale non può svolgere alcuna funzione preclusiva rispetto all’applicazione dell’art. 172, comma settimo, cod. pen.

Occorre, pertanto, ribadire conclusivamente che, ai fini della prescrizione della pena, il giudice dell’esecuzione non può desumere la condizione di recidivo del condannato dall’esame dei suoi precedenti penali, essendo indispensabile a tal fine un preliminare accertamento in sede di cognizione[38].

 

7. Il computo del termine di prescrizione della pena nelle ipotesi di condizioni preclusive rappresentate dall’intervenuta condanna dell’imputato alla reclusione per un delitto della stessa indole.

 

A conclusione di questa panoramica sulla prescrizione della pena, occorre prendere in esame la condizione preclusiva costituita dalla condanna alla reclusione per un delitto della stessa indole, per la quale l’art. 172, comma settimo, cod. pen., dispone: «L’estinzione delle pene non ha luogo […] se il condannato, durante il tempo necessario per l’estinzione della pena, riporta una condanna alla reclusione per un delitto della stessa indole».

Per inquadrare tale condizione preclusiva occorre fare riferimento alla categoria dei delitti della stessa indole rilevanti ai fini dell’applicazione dell’art. 172, comma settimo, cod. pen., mediante il richiamo espresso della previsione dell’art. 101 cod. pen.

In questo contesto sistematico, occorre richiamare la posizione recentemente affermatasi in seno alla giurisprudenza di legittimità, secondo la quale, in tema di estinzione della pena, per individuare la nozione di reati della stessa indole, rilevante ai fini della configurabilità della causa ostativa prevista dall’art. 172, ultimo comma, cod. pen., deve farsi riferimento alle connotazioni di identità prefigurate dall’art. 101 cod. pen.[39]

In questa cornice, deve rilevarsi che ricorre il requisito dell’identità dell’indole dei reati sia nell’ipotesi di condotte illecite che violano la stessa disposizione di legge, sia nell’ipotesi in cui le fattispecie poste a confronto presentano connotazioni di omogeneità, rilevanti, sul piano oggettivo, in relazione al bene giuridico tutelato, ovvero, sul piano soggettivo, in relazione ai motivi a delinquere che esplicano efficacia causale sulla decisione criminosa[40].

Il riferimento all’art. 101 cod. pen., infine, impone una puntualizzazione conclusiva, dovendosi evidenziare che, per reati della stessa indole, devono intendersi non soltanto quelli che violano una medesima disposizione di legge, ma anche quelli che, pur essendo previsti da testi normativi diversi, per la natura dei fatti che li costituiscono o dei motivi che li hanno determinati, presentano, nei casi concreti, caratteri fondamentali comuni[41].

 

 

                                                                        alessandro centonze

                                                              Consigliere della Corte di Cassazione


[1] Per una prima ricognizione sui fondamenti dell’istituto della prescrizione della pena, così come prefigurata nel nostro ordinamento dopo l’entrata in vigore del Codice Rocco, si rinvia agli studi di E. Antonini, Contributo alla dommatica delle cause estintive del reato e della pena, Giuffrè, Milano, 1990, pp. 14 ss.; A. Molari, Prescrizione del reato e della pena (voce), in Noviss. Dig. It., UTET, Torino, 1966, XIII, pp. 679 ss.; P. Pisa, Prescrizione (diritto penale) (voce), in Enc. dir., Giuffrè, Milano, 1986, XXXV, pp. 78 ss.; M. Rossetti-G. Nanni, L’estinzione del reato e della pena, in AA.VV., Giurisprudenza sistematica di diritto penale, diretta da F. Bricola e V. Zagrebelsky, UTET, Torino, 1996, III, pp. 392 ss.; L. Stortoni, Estinzione del reato e della pena (voce), in Digest. pen., UTET, Torino, 1990, IV, pp. 342 ss.

Per completezza, si ritiene utile richiamare gli studi, provenienti dalla dottrina italiana precedente l’entrata in vigore del Codice Rocco, utili per comprendere il dibattito dottrinario su cui si innestava la disciplina normativa degli artt. 172 e 173 cod. pen., di L.C. Civoli, Trattato di diritto penale, Società Editrice Libraria, Milano, 1912, I, pp. 345 ss.; V. Manzini, Trattato di diritto penale italiano, UTET, Torino, 1921, III, pp. 216 ss.; A. Zerboglio, Prescrizione penale, Bocca, Torino, 1893.

[2] In questa prospettiva, ci si sembra utile il rinvio alla ricostruzione storica dei fondamenti della potestà punitiva compiuta da M.A. Cattaneo, Pena diritto e dignità umana. Saggio sulla filosofia del diritto penale, Giappichelli, Torino, 1990; G. Leo, Automatismi sanzionatori e principi costituzionali, in Dir. pen. contemp., 7 gennaio 2014; S. Moccia, Carpzov e Grozio. Dalla concezione teocratica alla concezione laica del diritto penale, Novene, Napoli, 1979; G. Vassalli, La potestà punitiva, UTET, Torino, 1942. 

[3] Sull’imprescittibilità dei delitti puniti con la pena dell’ergastolo, da ultimo, sono intervenute le Sezioni unite, con la sentenza Cass. pen., Sez. un., n. 19756 del 24 settembre 2015 (dep. 12 maggio 2016), Trubia, in C.E.D. Cass., n. 266329; si vedano, inoltre, il commento alla pronunzia di legittimità richiamata di P. Diglio, Il rapporto tra ergastolo edittale e prescrizione del reato prima della legge “ex Cirielli”, in Riv. pen., 2016, 7-8, pp. 640 ss.; I. Gittardi, Una discutibile sentenza delle Sezioni unite su prescrizione e reati punibili con l’ergastolo commessi prima del 2005, in Dir. pen. cont., 13 giugno 2016; F. Rippa, La prescrizione dei reati punibili con l’ergastolo al vaglio delle Sezioni unite, in Dir. pen. proc., 2016, 11, pp. 1443 ss. 

[4] Su questi temi si rinvia a R. Gargiulo-M. Vessichelli, Art. 172, in Codice penale. Rassegna di giurisprudenza e dottrina, a cura di E. Lupo e G. Lattanzi, Giuffrè, Milano, 2010, V, pp. 482-483.

[5] Su questi temi si rinvia a M. Rossetti-G. Nanni, L’estinzione del reato e della pena, cit., pp. 392-393.

[6] Su questi profili, si veda la ricostruzione dei fondamenti di politica criminale della prescrizione della pena, nel più ampio contesto del potere punitivo dello Stato, di F. Bricola, Funzione promozionale, tecnica premiale e diritto penale, in Quest. crim., 1981, pp. 445 ss.; L. Eusebi, La « nuova » retribuzione. L’ideologia del retributiva e la disputa sul principio di colpevolezza, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1983, pp. 493 ss.

[7] Sull’istituto dell’indulto, si veda G. Marini, Amnistia e indulto nel diritto penale, in Dig. disc. pen., UTET, Torino, 1971, XXI, pp. 252 ss.; su questo tema, si veda anche la ricostruzione storica del risalente, ma insuperato, studio di A. Rocco, Amnistia, indulto e grazia nel diritto penale romano, in Riv. pen., 1899, pp. 19 ss.

[8] Si vedano Cass. pen., Sez. I, n. 21867 dell’1 giugno 2006 (dep. 22 giugno 2006), Riva, in C.E.D. Cass., n. 234638; Cass. pen., Sez. V, n. 4988 del 3 ottobre 2003 (dep. 19 febbraio 2004), Iucci, in C.E.D. Cass., n. 227456; Cass. pen., Sez. I, n. 2069 del 14 marzo 1997 (dep. 27 maggio 1997), Seel, in C.E.D. Cass., n. 207740.

[9] Su questi temi, si vedano R. Gargiulo-M. Vessichelli, Art. 172, cit., pp. 493-495; P. Pisa, Prescrizione, cit., pp. 95-96; sui fondamenti di politica criminale degli istituti della continuazione e del concorso di reati si rinvia all’insuperato studio di G. Leone, Del reato abituale, continuato e permanente, Jovene, Napoli, 1933.

[10] La frase riportata nel testo è estratta dalla massima elaborata dall’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di Cassazione con riferimento alla sentenza Cass. pen., Sez. I, n. 4060 del 10 giugno 1997 (dep. 24 giugno 1997), Gallo, in C.E.D. Cass., n. 207957; sullo stesso tema, si vedano anche Cass. pen., Sez. I, n. 5111 del 22 settembre 1999 (dep. 08 novembre 1999), Visciglio, in C.E.D. Cass., n.; Cass. pen., Sez. V, n. 1775 del 20 marzo 1998 (dep. 4 aprile 1998), Tobia, in C.E.D. Cass., n. 211808.

[11] In generale, sul tema dell’esecuzione della pena e sui poteri del giudice dell’esecuzione, si rinvia a G. Canzio, La giurisdizione e la esecuzione della pena, in Dir. pen. contemp., 21 aprile 2016.

[12] Il principio di diritto riportato nel testo è estratto dalla massima elaborata dall’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di Cassazione con riferimento alla sentenza Cass. pen., Sez. I, n. 18791 del 27 marzo 2013 (dep. 29 aprile 2013), Spadavecchia, in C.E.D. Cass., n. 256027; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Cass. pen., Sez. I, n. 18791 del 27 marzo 2006 (dep. 13 febbraio 2007), Soldati, in C.E.D. Cass., n. 253901; Cass. pen., Sez. I, n. 636 del 28 gennaio 2000 (dep. 6 marzo 2000), Landi, in C.E.D. Cass., n. 215493. Su questi temi, si veda anche la posizione dottrinaria espressa da A. Zacchia, La decorrenza della prescrizione nel caso di applicazione della continuazione in sede esecutiva, in Cass. pen., 2014, 5, pp. 1666 ss.

[13] Il principio di diritto riportato nel testo è estratto dalla massima elaborata dall’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di Cassazione con riferimento alla sentenza Cass. pen., Sez. I, n. 41584 dell’1 ottobre 2009 (dep. 29 ottobre 2009), Baldo, in C.E.D. Cass., n. 245567; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Cass. pen., Sez. 1, n. 47524 del 2 dicembre 2008 (dep. 22 dicembre 2008), Zonno, in C.E.D. Cass., n. 242073; Cass. pen., Sez. I, n. 13797 dell’11 marzo 2008 (dep. 2 aprile 2008), Mammoliti, in C.E.D. Cass., n. 239799.  

[14] Si vedano Cass., Sez. I, n. 39756 del 5 ottobre 2011 (dep. 4 novembre 2011), Ciancimino, in C.E.D. Cass., n. 251195; Cass. pen., Sez. V, n. 48680 del 23 ottobre 2012 (dep. 14 dicembre 2012), Abelkhaki, in C.E.D. Cass., n. 254077; Cass. pen., Sez. VI, n. 31597 del 25 gennaio 2013 (dep. 23 luglio 2013), Cordaro, in C.E.D. Cass., n. 255596.

[15] La frase riportata nel testo è estratta dalla massima elaborata dall’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di Cassazione con riferimento alla sentenza Cass., Sez. I, n. 39756 del 5 ottobre 2011 (dep. 4 novembre 2011), Ciancimino, cit.

[16] Su questi temi, si vedano R. Gargiulo-M. Vessichelli, Art. 172, cit., pp. 485-493.

[17] Il principio di diritto riportato nel testo è estratto dalla massima elaborata dall’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di Cassazione con riferimento alla sentenza Cass. pen., Sez. un., n. 4460 del 19 gennaio 1994 (dep. 19 aprile 1994), Cellerini, in C.E.D. Cass., n. 196889; su questa pronuncia di legittimità si veda il commento di G. Romeo, La continuazione ancora senza incertezze, in Cass. pen. proc., 1994, 8, pp. 2027 ss.

[18] Il principio di diritto riportato nel testo è estratto dalla massima elaborata dall’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di Cassazione con riferimento alla sentenza Cass. pen., Sez. un., n. 4460 del 19 gennaio 1994 (dep. 19 aprile 1994), Cellerini, in C.E.D. Cass., n. 196886.

[19] Sugli effetti del giudicato penale e sull’eseguibilità della sentenza penale si vedano gli studi di F. Cordero, Codice di procedura penale, Giuffrè, Milano, 1990, pp. 764; G. Leone, Manuale di diritto processuale penale, Jovene, Napoli, 1985, pp. 729 ss.; E.M. Mancuso, Il giudicato nel processo penale, Giuffrè, Milano, 2012, pp. 486 ss. 

[20] Si veda Cass. pen., Sez. I, n. 31196 del 17 giugno 2004 (dep. 15 luglio 2004), Giorgetta, in C.E.D. Cass., n. 229286, p. 3; in relazione a questa pronunzia di legittimità si ritiene utile richiamare anche la massima riportata dall’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di Cassazione, nella quale si afferma: «L’art. 172 cod. pen. individua il dies a quo ai fini dell’estinzione della pena nel momento in cui la sentenza di condanna è passata in giudicato e le cause di sospensione di tale termine sono esclusivamente quelle riferite alla sentenza di condanna e non invece quelle riferibili all’attività posta in essere dagli organi deputati alla esecuzione».  

[21] Si veda F. Cordero, Codice di procedura penale, cit., pp. 764 ss. 

[22] Si veda Cass. pen., Sez. I, n. 31196 del 17 giugno 2004 (dep. 15 luglio 2004), Giorgetta, cit.; sul punto, si vedano anche le considerazioni di F. Cordero, Codice di procedura penale, cit., pp. 764-765.

[23] Si vedano Cass. pen., Sez. VI, n. 21627 del 29 aprile 2014 (dep. 27 maggio 2014), Antoszek, in C.E.D. Cass., n. 259700; Cass. pen., Sez. V, n. 18586 del 4 marzo 2004 (dep. 22 aprile 2004), D’Aria, in C.E.D. Cass., n. 229826; Sez. I, n. 5518 del 18 novembre 1994 (dep. 30 gennaio 1995), Montagna, in C.E.D. Cass., n. 200212.  

[24] Si veda Cass. pen., Sez. VI, n. 44604 del 15 settembre 2015 (dep. 4 gennaio 2015), Wozniak, in C.E.D. Cass., n. 265454; in relazione a questa pronunzia di legittimità si ritiene utile richiamare la massima riportata dall’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di Cassazione, nella quale si afferma: «In tema di estradizione per l'estero, il termine finale per il calcolo della prescrizione della pena, oggetto della sentenza di condanna costituente titolo per l’attivazione della procedura di estradizione, è rappresentato dalla data di presentazione della richiesta di estradizione e non da quella di emissione della sentenza con cui la corte di appello dichiara sussistenti le condizioni per il relativo accoglimento».  

[25] Si veda Cass. pen., Sez. VI, n. 44604 del 15 settembre 2015 (dep. 4 gennaio 2015), Wozniak, cit.  

[26] Si vedano Cass. pen., Sez. I, n. 14939 del 13 marzo 2008 (dep. 9 aprile 2008), Perinelli, in C.E.D. Cass., n. 240145; Cass. pen., Sez. I, n. 38048 del 6 novembre 2006 (dep. 20 novembre 2006), Gattuso, in C.E.D. Cass., n. 235168; Cass. pen., Sez. I, n. 46929 del 17 novembre 2004 (dep. 2 dicembre 2004), Calderino, in C.E.D. Cass., n. 230168.  

[27] Si vedano Cass. pen., Sez. I, n. 12466 dell’11 marzo 2009 (dep. 19 marzo 2009), Armento, in C.E.D. Cass., n. 243498; Cass. pen., Sez. I, n. 8640 del 10 febbraio 2009 (dep. 26 febbraio 2009), D’Agostino, in C.E.D. Cass., n. 242886; Cass. pen., Sez. I, n. 2998 del 15 aprile 1999 (dep. 11 giugno 1999), Iacofci, in C.E.D. Cass., n. 213589.  

[28] Il principio di diritto riportato nel testo è estratto dalla massima elaborata dall’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di Cassazione con riferimento alla sentenza Cass. pen., Sez. un., n. 2 del 30 ottobre 2004 (dep. 2 gennaio 2015), Maiorella, in C.E.D. Cass., n. 261399.    

[29] Si tratta di una posizione ermeneutica risalente alla sentenza Cass. pen., Sez. VI, n. 1061 del 14 dicembre 1977 (dep. 3 febbraio 1978), Lai, in C.E.D. Cass., n. 137800.  

[30] Si veda Cass. pen., Sez. I, n. 256021 del 19 febbraio 2013 (dep. 21 marzo 2013), Milacic, in C.E.D. Cass., n. 256021, in relazione alla quale il principio di diritto richiamato nel testo è estratto dalla massima riportata dall’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di Cassazione.  

[31] Si veda Cass. pen., Sez. I, n. 256021 del 19 febbraio 2013 (dep. 21 marzo 2013), Milacic, in C.E.D. Cass., n. 256022, in relazione alla quale il principio di diritto richiamato nel testo è estratto dalla massima riportata dall’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di Cassazione.  

[32] Si veda Cass. pen., Sez. I, n. 256021 del 19 febbraio 2013 (dep. 21 marzo 2013), Milacic, cit.  

[33] La frase riportata nel testo è tratta dalla motivazione della sentenza Cass. pen., Sez. I, n. 256021 del 19 febbraio 2013 (dep. 21 marzo 2013), Milacic, cit., p. 5

[34] La frase riportata nel testo è tratta dalla motivazione della sentenza Cass. pen., Sez. I, n. 256021 del 19 febbraio 2013 (dep. 21 marzo 2013), Milacic, cit., p. 5

[35] Si è detto che tale orientamento giurisprudenziale è riconducibile alla sentenza Cass. pen., Sez. VI, n. 1061 del 14 dicembre 1977 (dep. 3 febbraio 1978), Lai, cit.; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Cass. pen., Sez. I, n. 11348 del 16 marzo 2006 (dep. 30 marzo 2006), Boscarolo, in C.E.D. Cass., n. 233469; Cass. pen., Sez. I, n. 44061 del 21 ottobre 2008 (dep. 26 novembre 2008), Cirillo, in C.E.D. Cass., n. 241836; Cass. pen., Sez. I, n. 23878 del 26 maggio 2010 (dep. 22 giugno 2010), Di Muro, in C.E.D. Cass., n. 247673.

[36] Si vedano Cass. pen., Sez. I, n. 11348 del 16 marzo 2006 (dep. 30 marzo 2006), Boscarolo, cit.; Cass., Sez. 1, n. 44061 del 21 ottobre 2008 (dep. 26 novembre 2008), Cirillo, cit.

[37] Si vedano Cass. pen., Sez. I, n. 20496 dell’8 aprile 2015 (dep. 18 maggio 2015), Migliore, in C.E.D. Cass., n. 263609; Cass. pen., Sez. I, n. 44612 del 3 novembre 2013 (dep. 5 novembre 2013), Mari, in C.E.D. Cass., n. 257896; Cass. pen., Sez. I, n. 10425 del 2 febbraio 2005 (dep. 16 marzo 2005), Esposito, in C.E.D. Cass., n. 231209.  

[38] Si veda Cass. pen., Sez. I, n. 30707 del 16 aprile 2002 (dep. 13 settembre 2002), Triulcio, in C.E.D. Cass., n. 222238; in relazione a questa pronunzia di legittimità si ritiene utile richiamare la massima riportata dall’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di Cassazione, nella quale si afferma: «La recidiva non è un mero “status” soggettivo desumibile dal certificato penale ovvero dal contenuto dei provvedimenti di condanna emessi nei confronti di una persona, sicché, per produrre effetti penali, deve essere ritenuta dal giudice del processo di cognizione dopo una sua regolare contestazione in tale sede. Ne consegue che, in tema di estinzione della pena per decorso del tempo, non è consentito al giudice dell’esecuzione, ai fini dell’applicazione dell’art. 172, settimo comma, cod. pen., desumere la recidiva dall’esame dei precedenti penali, in mancanza di un accertamento in sede di cognizione, a nulla rilevando la non obbligatorietà della relativa contestazione».  

[39] Si veda Cass. pen., Sez. VI, n. 4974 dell’8 settembre 2016 (dep. 8 febbraio 2016), Siepak, in C.E.D. Cass., n. 266264.

[40] Si vedano Cass. pen., Sez. V, n. 52301 del 14 luglio 2016 (dep. 9 dicembre 2016), Petroni, in C.E.D. Cass., n. 268444; Cass. pen., Sez. I, n. 44255 del 17 settembre 2014 (dep. 23 ottobre 2014), Durdev, in C.E.D. Cass., n. 260800.

[41] Si vedano Cass. pen., Sez. I, n. 46138 del 27 ottobre 2009 (dep. 1 dicembre 2009), Greco, in C.E.D. Cass., n. 245504; Cass. pen., Sez. II, n. 40105 del 21 ottobre 2010 (dep. 12 novembre 2010), Apostolico, in C.E.D. Cass., n. 248774; Cass. pen., Sez. VI, n. 53590 del 20 novembre 2014 (dep. 23 dicembre 2014), Genchi, in C.E.D. Cass., n. 261869.

 

 
 
 
 
 
 

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