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CIVILE

Organizzazione del lavoro del giudice civile, benessere e flessibilitĂ  organizzative: tra un modello verticistico burocratico-formale e un modello snello e fondato sui risultati .[1]

  Civile 
 mercoledì, 31 maggio 2017

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dott. Antonio Lepre, Sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Paola

 
 

 

 

Sommario. 1. Premessa: società “liquida” e modelli processuali organizzativi “rigidi”.  2. Il primo problema, la determinazione del carico di ciascuna udienza: l’etero organizzazione derivante dalla citazione. Limiti e potenzialità dell’art. 168 bis, 5° comma, c.p.c. - 3. Il rapporto tra le esigenze di autorganizzazione e di organizzazione dell'ufficio. Le norme che disciplinano le udienze come momento della giurisdizione riservata all’intangibile autonomia del giudice civile e le norme che disciplinano le udienze come mero momento organizzativo-burocratico riservato al potere del presidente del Tribunale e della Corte di Appello. – 4. Il controllo sui risultati del giudice introdotto dall'art. 11 d. lgs. n. 160/2006: inammissibilità di una responsabilità individuale per etero organizzazioni. Il confronto col giudice contabile: il giudice civile figlio di un Dio minore? – 5. I vantaggi derivanti dall’organizzazione autonoma del ruolo e delle udienze da parte del giudice: recupero della natura intellettuale della professione, semplificazioni organizzative, valorizzazione del processo telematico e responsabilizzazione del magistrato. – 6. Le prime aperture del CSM: benessere e flessibilità organizzativa nella nuova circolare sulle tabelle.

 

 

 

1. Premessa: società “liquida” e modelli processuali organizzativi “rigidi

Una breve e fatalmente carente premessa mi pare necessaria, prima di affrontare più specificamente il tema oggetto della relazione.

La crisi della giustizia civile e la sua cronica incapacità di soddisfare le esigenze dei cittadini, a mio modesto avviso, oggi non dipendono solo ed esclusivamente dall’abnorme numero di procedimenti, dalle carenze organizzative e di personale; forse, a ben vedere, a queste obiettive cause, se ne affiancano altre che hanno radici più profonde di tipo e natura più squisitamente culturali.

Alcuni indizi di quanto detto, mi pare di poterli scorgere in quelle che, a mio parere, sembrano evidenti contraddizioni.

In particolare, nonostante si assista da anni ad una economia sempre più frenetica e a fenomeni epocali quali l’immigrazione di massa e pur chiudendosi il secondo decennio del nuovo millennio, le soluzioni proposte sembrano sempre figlie di impostazioni culturali del secolo scorso, in quanto si persevera:

- nel proporre soluzioni normative di tipo, per così dire, sovrastrutturali: continue modifiche al codice di procedura civile, come se per incanto il mutamento di un rito al posto dell’altro avesse di per sé la capacità taumaturgica di incidere positivamente sulla “struttura” e cioè sul  numero delle sopravvenienze e sulla difficoltà della decisione e sulla complessità della fattispecie sostanziale;

- nel proporre soluzioni organizzative burocratico-formaliste, destinate a produrre relazioni su relazioni, udienze su udienze e ad utilizzare il poco personale di cancelleria per attività spesso del tutto inutili e rituali (si pensi a quante udienze inutili di sostanziali meri rinvii si celebrano in tutti i tribunali e corti di appello italiane);

- nell’utilizzare un processo telematico fondato su software oramai vetusti, senza neppure porsi il problema di adeguare l’impianto normativo processuale alle peculiarità del sistema informatico prescelto e al fine di valorizzarne le potenzialità[2];

- nell’ignorare del tutto le necessità impellenti di semplificare drasticamente interi settori del diritto civile tradizionalmente destinati ad accumulare pendenze ed arretrati[3];

- nell’adottare soluzioni normative o interpretative iper garantiste nei confronti del debitore, in spregio peraltro del favor creditoris codicistico, attraverso previsioni e soluzioni procedurali tendenti a complicare il processo a partire dalle notificazioni[4];

- nel non affrontare una seria riforma della pubblica amministrazione, che non può che partire dall’oramai anacronistica, oltre che fatalmente sfuggente, dicotomia tra diritto soggettivo e interesse legittimo, con le conseguenze, invero, paradossali di anni di processo passati ad interrogarsi sulla giurisdizione che si sarebbe dovuta adire, oppure della necessità, a fronte del medesimo fatto storico e/o evento della vita con più conseguenze giuridiche, di adire l’una e l’altra giurisdizione, per poi puntualmente proporre integralmente la domanda in tutte le giurisdizioni per evidenti ragioni di prudenza difensiva, che tuttavia finiscono col rendere complesso ciò che in ipotesi era semplice[5];

- nel concepire soluzioni organizzative che troppo spesso muovono dal presupposto, tanto implicito quanto evidente, di sfiducia nella correttezza e operosità del singolo magistrato e che, quindi, inevitabilmente si traducono in direttive, che sviliscono la natura eminentemente intellettuale della nostra professione per trasformarla in modelli impiegatizi e non di rado gerarchizzati: si pensi alla, talvolta ossessiva, pretesa della presenza in ufficio, anche quando del tutto inutile, alle previsioni di udienze superflue, alla normativa primaria e secondaria quanto mai singolare in materia di ferie dei magistrati; soluzioni  non solo sterili, ma addirittura controproducenti sotto il profilo del contenimento dei costi, della valorizzazione del capitale umano e dell’autostima e senso di utilità del singolo operatore di giustizia;

- infine, nel persistere nella difesa dell’atto di citazione come strumento introduttivo delle liti, pur essendo – per le ragioni di seguito rappresentate – oramai mezzo vetusto e dannosamente anacronistico.

In definitiva, quindi, sommessamente si ritiene che la problematica dell’organizzazione del lavoro del giudice civile non possa e non debba prescindere da questo scenario di fondo e ciò al fine di provare a proporre soluzioni che vadano oltre quelli che talvolta sembrano essere veri tabù, come:

- recuperare integralmente il valore intellettuale della professione e restituire al giudice civile in modo esclusivo i compiti che gli sono propri e cioè lo studio dei fascicoli e la redazione dei provvedimenti, senza più o meno surrettizie imposizioni di ruoli di tipo amministrativo e tipicamente di cancelleria;

- restituire, quindi, dignità, senso di utilità sociale ed economica alla professione del giudice civile, anche attraverso la semplificazione delle procedure esecutive, sì che i cittadini vedano che alla decisione del giudice conseguono effetti concreti e immediati;

- valorizzare il poco personale di cancelleria esistente, senza disperderne le energie in attività inutili poste in essere in ossequio a modelli organizzativi meramente burocratici;

- superare ed eliminare definitivamente la concezione impiegatizia-gerarchica che sempre più si è voluta ritagliare sulla funzione del giudice civile.

 

2. Il primo problema, la determinazione del carico di ciascuna udienza: l’etero organizzazione derivante dalla citazione. Limiti e potenzialità dell’art. 168, bis, 5° comma, c.p.c.

La prima anomalia da evidenziare da cui consegue una serie di problematiche è la constatazione che, forse, i tribunali civili sono l’unico luogo della Pubblica Amministrazione dove, pur nella straordinaria complessità della struttura, paradossalmente l’inizio dell’organizzazione dei carichi di lavoro non è determinato dalla struttura, ma da terzi e cioè dalle parti che fatalmente sono del tutto ignare della situazione concreta di questo o quell’ufficio.

Si assiste così al paradosso che l’ufficio giudiziario non è in grado di programmare e organizzare con cadenza regolare, ordinata e prevedibile la gestione del flusso di domanda di giustizia.

Ad ogni citazione infatti, consegue la fissazione di una giornata di udienza la più casuale, da cui, poi, discendono tutte le attività burocratiche descritte dall’art. 168 bis c.p.c. con le sue oramai inspiegabili rigidità.

Il quarto comma della citata disposizione processuale, infatti, prevede che se nel giorno fissato per la comparizione, il giudice istruttore designato non tiene udienza, la comparizione delle parti è d’ufficio rimandata all’udienza immediatamente successiva tenuta dal giudice designato. E non ha quindi alcuna importanza se, poi, in questa udienza – come in origine fissata in citazione o come differita ai sensi del menzionato comma quarto – il giudice già ha fissato prove complesse, un numero significativo di trattazione etc.: a quel punto, dovrà essere lo stesso giudice a porre in essere dei rinvii, con l’accortezza di fissare udienze successive evitando la ripetizione di fissare nuovamente nelle successive udienze cause che, per il loro numero e/o la loro complessità qualitativa, non possono essere trattate contestualmente.

Tutto ciò, ovviamente, si risolve in un dispendio di energia da parte del giudice civile, chiamato a svolgere una funzione in qualche misura di tipo burocratico e meramente organizzativa, laddove nelle altre giurisdizioni tutto ciò è in buona sostanza demandato all’organizzazione di cancelleria.

Può essere utile, ovviamente, la previsione del comma quinto dell’art. 168 bis c.p.c., secondo cui il giudice istruttore può differire, con decreto da emettere entro cinque giorni dalla presentazione del fascicolo, la data della prima udienza fino ad un massimo di quarantacinque giorni, con conseguente onere di comunicazione alle parti costituite.

Tale norma vive, come noto, in una prassi interpretativa, che ha considerato derogabili sia il termine di cinque giorni che quello di 45 giorni, sicché può essere un utile strumento per il magistrato che voglia quanto meno regolarizzare in modo razionale il flusso di entrata delle cause.

Tuttavia, non sfuggono i rilevanti limiti di tale disposizione:

- resta in ogni caso la difficoltà, anzi, impossibilità di una anticipata e ordinata programmazione del carico di ciascuna udienza, giacché di volta in volta si dovranno gestire  le casuali fissazioni di udienza nelle citazioni di volta in volta iscritte a ruolo;

- il rinvio manifestamente non può essere eccessivo, anche per ragioni di, per così dire, “autotutela” vista la crescente pressione derivante dalla legge 89/2001, nonché non di rado dagli stessi dirigenti degli uffici, che chiedono fissazioni di udienze non troppo lontane nel tempo, pur nella consapevolezza della inutilità di tali fissazioni: il che crea maggiori difficoltà e, in qualche misura, sterilizza l’utilità dell’art. 168 bis, 5° comma, c.p.c. proprio laddove se ne dovrebbe fare maggiore uso e cioè con riferimento ai ruoli già sovrabbondanti e in premessa già non gestibili razionalmente;

- in ogni caso, per ogni citazione, vi sarà un rilevante dispendio di energie organizzative, poiché: 1) deve essere predisposto un decreto dalla Cancelleria; 2), il decreto deve essere sottoscritto dal magistrato; 3) il provvedimento va comunicato alle parti, non sembrando che il giudice possa emanare un provvedimento organizzativo generale senza necessità dei singoli decreti di fissazione di udienza; 4) non è da escludere, che – in caso di rinvii significativamente più ampi dei 45 giorni prescritti dalla norma – non si debba corredare il decreto di una sia pur succinta motivazione;

- ad ogni modo, l’applicazione di tale norma genera, non di rado, contenzioso processuale, se è vero come è vero che ancora nel 2017 la Corte di Cassazione – che dovrebbe occuparsi di ben altro – è dovuta intervenire per chiarire che “ai sensi dell'art. 343, comma 1, c.p.c., l'appello incidentale si propone, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta, e poiché tale costituzione deve avvenire almeno venti giorni prima dell'udienza di comparizione fissata nell'atto di citazione, ovvero differita d'ufficio dal giudice giusta l'art. 168-bis, comma 5, c.p.c., ove il giudice si avvalga di tale facoltà di differimento il termine per la proposizione dell'appello incidentale va calcolato assumendo come riferimento la data dell'udienza differita, e non quella originariamente indicata nell'atto di citazione[6];

- infine, tale attività potrebbe risultare del tutto inutile, atteso che solo alla prima udienza si deve procedere alla verifica della regolarità del contraddittorio e dell’eventuale comunicazione del decreto ex art. 168 bis c.p.c., con la conseguenza che virtualmente (e non certo raramente) la causa potrebbe subire un nuovo rinvio, che determina una duplicazione delle attività innanzi descritte.

E’ appena il caso di ricordare come in altre giurisdizioni, tutto questo viene evitato attraverso la fissazione delle udienze con i carichi di lavoro ad opera della stessa Cancelleria sulla base di disposizioni generali organizzative; semplificazione organizzativa che consente la fissazione agevole di carichi esigibili di lavoro di volta in volta per ciascuna udienza, atteso che – ad esempio- nella giurisdizione tributaria, la causa viene introdotta con ricorso e si procede alla fissazione della udienza solo dopo la notifica del ricorso stesso[7].

Di fronte a tale rigidità normativa, ci si deve, quindi, chiedere come, valorizzando tutti gli strumenti processuali previsti, il giudice civile possa porvi rimedio organizzando il proprio ruolo in modo che sia concretamente gestibile, non solo in una prospettiva meramente quantitativa di numero di definizioni, ma anche e soprattutto in una prospettiva di qualità della giurisdizione a cui hanno diritto i cittadini.

 

3. Il rapporto tra le esigenze di autorganizzazione e di organizzazione dell'ufficio. Le norme che disciplinano le udienze come momento della giurisdizione riservata all’intangibile autonomia del giudice civile e le norme che disciplinano le udienze come mero momento organizzativo-burocratico riservato al potere del presidente del Tribunale e della Corte di Appello

Dalla normativa complessiva, a parere dello scrivente, emerge un quadro chiaro, teso ad individuare un confine netto tra il momento organizzativo-burocratico spettante al dirigente ai fini dell’organizzazione generale dell’ufficio e il momento della giurisdizione, riservato invece alla autonomia del singolo giudice civile.

Specificamente, dalla normativa primaria pare desumersi che il principio per cui il progetto tabellare deve considerarsi un mero modulo organizzativo, che certamente non può imporre al giudice di esercitare la sua giurisdizione, cioè di gestire il suo ruolo, secondo uno schema obbligatorio. Prevedere, infatti, che il giudice debba fissare fascicoli in tutti i giorni in cui è prevista udienza significherebbe in pratica sottrargli gran parte del potere costituzionale confermato dalle norme ordinarie che chiaramente distinguono la gestione delle udienze come momento della giurisdizione, dalla previsione dei giorni di udienza come momento amministrativo. In definitiva, il Presidente del Tribunale stabilisce quali giorni della settimana sono destinati alle prime comparizioni e quali giorni alle udienze istruttorie: ciò al fine di evitare un accavallarsi disordinato dei giorni della settimana e consentire così all’avvocatura di avere un quadro chiaro di quali giorni della settimana sono previsti per le udienze: se si fissa udienza in un giorno diverso da quello previsto dal Presidente del Tribunale, si versa nella ipotesi conosciuta come “udienza straordinaria”. E’ poi il giudice a decidere se e come utilizzare questi giorni di udienza.

In ogni modo, a tal fine pare opportuno riportare, secondo lo schema, proposto, la normativa primaria di riferimento, distinguendo quella destinata al giudice nell’esercizio della giurisdizione, da quella di cui è destinatario il dirigente dell’ufficio nella sua funzione burocratica-amministrativa di organizzazione generale dell’ufficio.

Le norme che inequivocabilmente pongono il principio dell’autonomia del giudice civile nella direzione del processo sono le seguenti:

- art. 175 (Direzione del procedimento) ( 1° comma: <<Il giudice istruttore esercita tutti i poteri intesi al più sollecito e leale svolgimento del procedimento>> (cfr. anche art. 127 sulla direzione dell’udienza); 2° comma: <<Egli fissa le udienze successive e i termini entro i quali le parti debbono compiere gli atti processuali>>; già da tali disposizioni sembra emergere chiaramente che è il giudice istruttore a decidere se e quando rinviare la causa ad altra udienza e a quale udienza. Ritenere che il giudice debba necessariamente utilizzare tutte le udienze previste in tabella per settimana significa di fatto incidere sulla libertà e autonomia dell’art. 175;

- art. 81 disp. att. cpc (Fissazione delle udienze d’istruzione) (1° comma: <<Le udienze di istruzione per ogni causa sono fissate di volta in volta dal giudice istruttore>>; 2° comma: <<Nello stesso processo l’intervallo tra l’udienza destinata esclusivamente alla prima comparizione delle parti e la prima udienza d’istruzione, e quello tra le successive udienze di istruzione, non può essere superiore a quindici giorni, salvo che, per speciali circostanze, delle quali dovrà farsi menzione nel provvedimento, sia necessario un intervallo maggiore>>): tale norma conferma che è il giudice a stabilire se e come utilizzare le udienze previste in tabella; peraltro, indirettamente, tale norma pone anche un numero minimo di udienze mensili, pari a due: ciò si desume abbastanza chiaramente dal fatto che è previsto un intervallo minimo di 15 giorni, il che significa che, almeno ogni 15 giorni, deve esserci un’udienza.

- art. 81 bis disp. att. cpc (Calendario del processo) (<<Il giudice, quando provvede sulle richieste istruttorie, sentite le parti e tenuto conto della natura, dell’urgenza e della complessità della causa, fissa il calendario del processo con l’indicazione delle udienze successive e degli incombenti che verranno espletati. I termini fissati nel calendario possono essere prorogati anche d’ufficio, quando sussistono gravi motivi sopravvenuti. La proroga deve essere richiesta dalle parti prima della scadenza dei termini>>): anche questa norma pare rendere evidente che spetta al giudice decidere come e in che misura utilizzare le udienze previste in tabella.

- art. 168 bis, 5° comma (Designazione del giudice istruttore) (5° comma: <<Il giudice istruttore può differire, con decreto da emettere entro i cinque giorni dalla presentazione del fascicolo, la data della prima udienza fino ad un massimo di quarantacinque giorni>>): tale norma conferma l’autonomia del giudice nel disciplinare e organizzare il suo ruolo; una volta designato, infatti, egli può senza motivazione alcuna spostare la data della prima udienza, entro un termine di 45 giorni pacificamente considerato come ordinatorio.

 

Le norme che prevedono un potere eminentemente amministrativo/organizzativo del Presidente del Tribunale sono le seguenti:

 

- art. 163, 2° comma, cpc (Contenuto della citazione) (2° comma: <<Il presidente del tribunale stabilisce al principio dell’anno giudiziario, con decreto approvato dal primo presidente della Corte di Appello, i giorni della settimana e le ore delle udienze destinate esclusivamente alla prima comparizione>>): in definitiva, in base a tale norma, il Presidente del Tribunale dice in quali giorni della settimana il giudice può fissare i fascicoli di prima udienza ai sensi dell’art. 168 bis, 5° comma;

- art. 69 bis, disp. att. cpc (Determinazione delle udienze di prima comparizione) (<<Il decreto del presidente del tribunale, che stabilisce a norma del secondo comma dell’art. 163 del codice, i giorni delle udienze destinante esclusivamente alla prima comparizione delle parti, deve essere affisso in tutte le sale d’udienza del tribunale entro il 30 novembre di ogni anno e rimanervi durante il successivo anno giudiziario a cui si riferisce>>): tale disposizione è chiaramente servente rispetto all’art. 163, 2° comma cpc e prevede esclusivamente una modalità di esercizio del potere amministrativo;

- art. 80, disp. att. cpc (Determinazione delle udienze dei giudici istruttori) (<<Il presidente del tribunale stabilisce con decreto, al principio e alla metà dell’anno giudiziario, i giorni della settimana e le ore in cui egli stesso, i presidenti di sezione e ciascun giudice istruttore debbono tenere le udienze destinate esclusivamente alla prima comparizione delle parti, e le udienze d’istruzione. Il decreto deve rimanere affisso in tutte le sale d’udienza del tribunale durante il periodo al quale si riferisce. Se nel corso dell’anno uno o più giudici istruttori cessano di fare parte del tribunale, o della sezione, debbono di volta in volta essere apportate al decreto le necessarie modificazioni>>): anche questa norma conferma che si versa in un’ipotesi di potere meramente organizzativo;

- art. 16, decreto legislativo n. 273/1989: All’inizio di ciascun anno giudiziario il presidente della corte di appello, sentito il procuratore generale, stabilisce i giorni della settimana e le ore in cui la corte, la corte di assise di appello e le loro sezioni tengono udienze per i dibattimenti. Il calendario elle udienze dibattimentali dei tribunali, anche per la corte di assise, nonché delle preture e delle loro sezioni è approvato dal presidente della corte di appello, su proposta formulata dal presidente del tribunale e dal pretore, sentiti i procuratori della Repubblica presso i rispettivi uffici. Se il tribunale è diviso in sezioni, la sezione correzionale ne tiene non meno di quattro (cfr. anche art. 102 sulla trattazione degli affari urgenti nel periodo feriale);

- art. 104, Regio Decreto n. 2641/1865: I tribunali devono riunirsi in seduta non meno di tre giorni in ogni settimana. Le sedute sono dal presidente ripartite tra gli affari civili e i giudizi penali, in ragione dei bisogni del servizio;

- per i collegi:

e 1.  art. 113 disp. att. cpc (Determinazione dei giorni delle camere di consiglio e composizione dei collegi): al principio di ogni trimestre il presidente del tribunale o della sezione determina con decreto i giorni in cui si tengono le camere di consiglio e la composizione dei relativi collegi giudicanti

e 2. art. 114, disp. att. cpc (Determinazione dei giorni d'udienza e composizione dei collegi): all’inizio di ciascun anno giudiziario, il presidente del tribunale stabilisce, con decreto approvato dal primo presidente della Corte d'appello, i giorni della settimana e le ore in cui il tribunale o le sezioni tengono le udienze di discussione di cui ai commi terzo e quarto dell'art. 275 del codice.

 

4. Il controllo sui risultati del giudice introdotto dall'art. 11, d.lgs. n. 160/2006: inammissibilità di una responsabilità individuale per etero organizzazioni. Il confronto col giudice contabile: il giudice civile figlio di un Dio minore?

Le conclusioni proposte sembrano, infine, avvalorate da un raffronto con le regole generali che disciplinano la valutazione di professionalità del magistrato.

È noto, infatti, che ai sensi dell’art. 11, decreto legislativo n. 160/2006 i magistrati sono sottoposti a valutazione di professionalità ogni quadriennio a decorrere dalla data di nomina fino al superamento della settima valutazione di professionalità.

La valutazione di professionalità riguarda la capacità, la laboriosità, la diligenza e l’impegno. Essa è operata secondo parametri oggettivi che sono indicati dal Consiglio Superiore della Magistratura ai sensi del comma 3. La valutazione di professionalità riferita a periodi in cui il magistrato ha svolto funzioni giudicanti o requirenti non può riguardare in nessun caso l’attività di interpretazione di norme di diritto, né  quella di valutazione del fatto e delle prove. In particolare:

a) la capacità, oltre che alla preparazione giuridica e al relativo grado di aggiornamento, è riferita, secondo le funzioni esercitate, al possesso delle tecniche di argomentazione e di indagine, anche in relazione all’esito degli affari nelle successive fasi e nei gradi del procedimento e del giudizio ovvero alla conduzione dell’udienza da parte di chi la dirige o la presiede, all’idoneità a utilizzare, dirigere e controllare l’apporto dei collaboratori e degli ausiliari;

b) la laboriosità è riferita alla produttività, intesa come numero e qualità degli affari trattati in rapporto alla tipologia degli uffici e alla loro condizione organizzativa e strutturale, ai tempi di smaltimento del lavoro, nonché all’eventuale attività di collaborazione svolta all’interno dell’ufficio, tenuto anche conto degli standard di rendimento individuati dal Consiglio superiore della magistratura, in relazione agli specifici settori di attività e alle specializzazioni;

c) la diligenza è riferita all’assiduità e puntualità nella presenza in ufficio, nelle udienze e nei giorni stabiliti; è riferita inoltre al rispetto dei termini per la redazione, il deposito di provvedimenti o comunque per il compimento di attività giudiziarie, nonché alla partecipazione alle riunioni previste dall’ordinamento giudiziario per la discussione e l’approfondimento delle innovazioni legislative, ed  alla conoscenza dell’evoluzione della giurisprudenza;

d) l’impegno è riferito alla disponibilità per sostituzioni di magistrati assenti e alla frequenza di corsi di aggiornamento organizzati dalla Scuola superiore della magistratura; nella valutazione dell’impegno rileva, inoltre, la collaborazione alla soluzione dei problemi di tipo organizzativo e giuridico.

E’, quindi, chiaro che sono stati introdotti parametri valutativi oggettivi, che consentono, quindi, di valutare l’attività del magistrato in base, sostanzialmente, ai risultati dallo stesso raggiunto. Ed è chiaro che, in questa prospettiva e cioè del controllo sui risultati, un ruolo determinante assume la individuazione degli standard di rendimento, standard, che, tuttavia, – nonostante i dieci anni trascorsi dalla riforma dell’ordinamento giudiziario - il CSM ancora non ha colpevolmente approvato.

La valutazione quadriennale di professionalità, infine, spiega rilievo, a ulteriore conferma della tesi qui sostenuta, anche in virtù di una considerazione evidente.

Ed, infatti, se il magistrato – come è giusto che sia – deve essere valutato e anche molte volte nel corso della sua carriera, è chiaro che egli può rispondere solo ed esclusivamente dei risultati attribuibili alla sua organizzazione, senza che carenze organizzative o progetti tabellari in astratto pure ragionevoli ma in concreto errati, possano incidere negativamente sulla sua valutazione e progressione di carriera.

Si vuole, cioè, dire che la sottoposizione al controllo di professionalità del magistrato deve presuppore – ai fini della sua tollerabilità costituzionale – una piena autonomia organizzativa del singolo magistrato che di certo non può rispondere di irrazionali o complicatorie scelte operate autoritativamente.

Del resto, le conclusioni qui rassegnate circa la piena autonomia organizzativa del giudice civile nella fissazione o meno di fascicoli nelle udienze previste in calendario e nella misura del numero delle cause da fissare trova definitiva conferma appena si volta lo sguardo alla normativa esistente in altre giurisdizione.

Ed, infatti, con riferimento alla Corte dei Conti nella funzione di giudice unico previdenziale art. 42, 1° comma, l. 69/2009: <<All'articolo 5 della legge 21 luglio 2000, n. 205, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 1, l'ultimo periodo è sostituito dai seguenti: «Il giudice unico fissa ogni semestre il proprio calendario di udienze e, con proprio decreto, fissa la trattazione dei relativi giudizi. I provvedimenti cautelari del giudice unico sono reclamabili innanzi al collegio, il quale, nel caso in cui rigetti il reclamo, condanna alle spese»; dunque, per il giudice unico della Corte dei Conti vi è ancora maggiore autonomia, perché non è predeterminato alcun giorno della settimana nel quale egli deve tenere udienza e spetta solo a lui, senza interferenze di sorta, fissare il calendario semestrale delle udienze coi giudizi da trattare nelle rispettive occasioni.

Ebbene, non si comprende il perché per il giudice civile non dovrebbero valere analoghi principi di autonomia organizzativa, tanto più a fronte del rigido sistema valutativo appena innanzi accennato. E non pare irragionevole affermare che solo ed esclusivamente il giudice che gestisce quel ruolo è in grado di sapere come concretamente sia meglio portarlo avanti, non avendo il presidente di sezione e a maggior ragione il dirigente dell’intero ufficio alcuna possibilità di conoscere le specificità del contenzioso di volta in volta spettante a questo o quel giudice. Ne consegue che deve considerarsi del tutto ragionevole attribuire al giudice del ruolo la scelta circa la gestione dello stesso, rispondendo poi dei risultati di tali gestione.

 

5. I vantaggi derivanti dall’organizzazione autonoma del ruolo e delle udienze da parte del giudice: recupero della natura intellettuale della professione, semplificazioni organizzative, valorizzazione del processo telematico e responsabilizzazione del magistrato

L’organizzazione del ruolo di udienza, la determinazione dei giorni in cui fissare i fascicoli e il tipo di procedure da fissare rappresentano, per quanto detto, il cuore del meccanismo gestionale delle procedure da parte del giudice civile.

In particolare, poi, si è tentato di dimostrare come il sistema normativo consenta al giudice una grande autonomia nella gestione del proprio calendario in ordine all’an, quando, quomodo nella individuazione dei giorni di udienze e dei fascicoli da trattare.

Deve solo osservarsi che l’accoglimento pieno di tale impostazione porterebbe evidenti vantaggi sotto molteplici profili, in quanto:

- la responsabilizzazione in vista dei risultati e la conseguente valorizzazione dell’autorganizzazione restituirebbe al lavoro del giudice civile quella piena dignità di professione intellettuale e non meramente impiegatizia-burocratica che negli ultimi anni surrettiziamente si è andata imponendo;

- la fissazione di un numero adeguato e concretamente gestibile di fascicoli consentirebbe:

a) il recupero della oralità del processo;

b) meno dispendio di energie di cancelleria, posto che non si avrebbe più l’attuale fenomeno vagamente surreale di fascicolo chiamati a numerose udienze, pur sapendo in anticipo che quei fascicoli saranno certamente rinviati;

c) netta semplificazione della gestione delle ferie, posto che, una volta stabiliti turni per le urgenze, ogni giudice potrebbe utilizzar il c.d. “periodo cuscinetto” in piena autogestione e sempre, ovviamente, nell’ottica di un controllo finale sui risultati;

d) si potrebbe valorizzare lo strumento telematico, capitalizzandone le potenzialità operative a prescindere dalla concreta celebrazione dell’udienza tradizionale;

e) la stessa grave problematica del continuo turn over caratterizzante uffici periferici potrebbe essere in misura significativa ridimensionata, posto che spesso e volentieri tali uffici sono velocemente lasciati dai colleghi non tanto per la qualità del ruolo o del foro ma per difficoltà logistiche legate alla presenza in posti poco raggiungibili o raggiungibili con difficoltà.

 

6. Le prime aperture del CSM: benessere e flessibilità organizzativa nella nuova circolare sulle tabelle

La nuova circolare sulle tabelle da ultimo approvata dal CSM contiene alcune timide, ma pur sempre significative, aperture ad un modello di organizzazione meno burocratico e più moderno.

Con riferimento alla gestione delle udienze da parte del giudice civile, la nuova circolare ha peraltro dettato una normativa specifica e cioè l’art. 202.

A tal proposito, tale disposizione è la traduzione in normazione secondaria del parere emesso dal CSM in seguito al quesito posto dallo scrivente. In particolare, il parere è stato emesso nella pratica n. 179/VV/2010, aperta in seguito al quesito formulato dal sottoscritto, all’epoca giudice del Tribunale di Napoli, sul rapporto tra poteri amministrativi tabellari del dirigente e potere giurisdizionale del giudice civile di gestire il processo e fissare le udienze.

Con tale quesito, lo scrivente appunto chiedeva al CSM se fosse o meno vincolato al numero di udienze settimanali deciso in sede tabellare e ritenuto superfluo e non compatibile con le carenze della cancelleria.

Con il parere citato il CSM, dopo aver affermato il principio generale per cui il giudice è tenuto a fissare fascicoli nelle udienze previste in calendario, tuttavia ne ammise anche la derogabilità, affermando che è possibile derogare a tale regola; specificamente, il CSM affermò in parte motiva che “alla luce della cornice normativa sopra sinteticamente delineata, risulti necessario che il magistrato si attenga a tutte le disposizioni contenute nelle tabelle, anche con specifico riguardo al numero ed ai giorni in cui devono essere fissate le udienze, salve motivate e specifiche esigenze da comunicare tempestivamente al magistrato dirigente dell’ufficio”.

L’organo di autogoverno concluse di rispondere al quesito nel senso che:

“- la previsione nella tabella dell’ufficio giudiziario dell’indicazione dei giorni di udienza di ciascun magistrato risponde alla necessità che le tabelle costituiscono “essenziale atto organizzativo degli uffici giurisdizionali;

- i presidenti degli uffici giudiziari devono fondare, a norma di circolare, il proprio progetto tabellare  (dunque la previsione del numero delle udienze) sull’analisi dei flussi e delle pendenze, in maniera da poter elaborare compiuti programmi di definizione dei procedimenti, tesi a garantire la ragionevole durata dei processi;

-  al giudice civile è riconosciuta dalle norme processuali autonomia nell’organizzazione e nella gestione delle udienze secondo le previsioni contenute negli artt. 175 e 168 bis, comma 5, c.p.c. nonché 81 e 81 bis disp. att. c.p.c.;

- le competenze del giudice civile nella gestione dell’attività d’udienza devono collocarsi sistematicamente e razionalmente nella su indicata cornice organizzativa, nell’ambito della quale egli si trova ad operare, sicché, approvato il progetto tabellare, il giudice civile è tenuto a celebrare le udienze individuate nel progetto tabellare salve motivate e specifiche esigenze da comunicare tempestivamente al magistrato dirigente dell’ufficio”.

Tale conclusione è stata tradotta a livello di normazione secondaria nella circolare 81/VV/2016 sulla formazione delle tabelle di organizzazione degli uffici giudiziari per il triennio 2017/2019.

L’art. 202 della circolare rubricato Settore civile così dispone:

- 1° comma: “nel settore civile devono essere indicati, tenendo conto di quanto disposto dagli articoli 113, 114 disp. att. c.p.c. e 16 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 273 nonché degli articoli 102 e 104 del regio decreto 14 dicembre 1865, n. 2641, per ciascun magistrato i giorni delle udienze monocratiche e i giorni delle udienze collegiali, distinguendo le udienze per le trattazioni degli appelli, dalle udienze per la discussione delle cause e dalle udienze per le procedure in camera di consiglio”;

- 2° comma: “l’autonomia nell’organizzazione e nella gestione delle udienze riconosciuta al giudice civile dagli articoli 175 e 168 bis, quinto comma  c.p.c. e dagli articoli 81 e 81 bis disp. att. c.p.c. non esclude che il magistrato sia tenuto a celebrare le udienze individuate nel progetto tabellare, salve motivate e specifiche esigenze da comunicare tempestivamente al capo dell’ufficio”.

In definitiva, quindi:

- il giudice deve in linea di massima fissare fascicoli nelle udienze tabellarmente previste;

- può tuttavia organizzarsi in modo diverso in presenza di esigenze specifiche;

- tali esigenze vanno tempestivamente comunicate al capo dell’ufficio.

Ebbene, a tal proposito, può osservarsi che:

- forse, il CSM poteva mostrare più coraggio e valorizzare il parere che, all’epoca in cui fu emanato, doveva considerarsi innovativo rispetto al clima culturale prevalente volto a valorizzare gli aspetti burocratici dell’attività gestionale del ruolo del giudice civile;

- ad ogni modo, il CSM ha confermato quanto disse in sede di parere e cioè che il capo dell’ufficio ha solo ed esclusivamente il diritto di venire a conoscenza della singola decisione del giudice civile di non utilizzare tutte le udienze settimanali, senza che sia previsto alcun potere di veto o di interdizione di qualsivoglia natura;

- la disposizione, in ogni caso, introduce un elemento di forte flessibilità, poiché autorizza il giudice civile ad adattare la gestione delle udienze in presenza di specifiche esigenze.

Si tratta, quindi, in buona sostanza, di comprendere cosa debba intendersi per “specifiche esigenze”.

A parere dello scrivente a tale locuzione deve darsi il senso più ampio possibile, in modo da ricomprendere sia la necessità di apportare modifiche organizzative per esigenze contingenti, quanto la scelta generale di organizzare il proprio lavoro, dando prevalenza al tempo da decidere allo studio dei fascicoli e alla redazione dei provvedimenti rispetto a quello da trascorrere in udienza nell’esaminare fascicoli fatalmente destinati ad essere rinviati.

In definitiva, il singolo magistrato, ad avviso di chi scrive, può motivare la scelta di non celebrare tutte le udienze tabellarmente previste, proprio al fine di meglio rispettare i parametri di cui all’art. 11, d.lgvo n. 160/2006 e in particolare al fine di produrre un numero di definizioni in linea con gli standard di rendimento rispettando anche la qualità della decisione e l’accuratezza dello studio del fascicolo; ciò tanto più che, come visto, ai fini del parametro della “capacità” si deve tener conto anche dell’esito degli affari nelle successive fasi e nei gradi del procedimento e del giudizio.

Tale impostazione volta a favorire l’introduzione di concezioni organizzative più flessibili trova, poi, definitiva conferma nelle disposizioni dettate nel titolo IV della circolare rubricato significativamente “Del benessere organizzativo, della tutela della genitorialità e della salute”.

L’art. 271 (Misure organizzative a tutela del benessere fisico, psicologico e sociale dei magistrati) prevede, quasi solennemente che “l’organizzazione dell’ufficio deve garantire il benessere fisico, psicologico e sociale dei magistrati”. Tale norma è, poi, completata:

dall’art. 274 (Benessere fisico e psicologico dei magistrati), secondo cui “è compito del dirigente dell'ufficio attivarsi, oltre che per raggiungere obiettivi di efficacia e di produttività, anche per mantenere il benessere fisico e psicologico dei magistrati, attraverso la costruzione di ambienti e relazioni di lavoro che contribuiscano al miglioramento della qualità della loro vita professionale”;

dall’art. 276 (Clima relazionale), secondo cui “è compito del dirigente dell'ufficio mantenere un clima relazionale sereno, attraverso la valorizzazione delle competenze, la partecipazione ai progetti di innovazione e l'equa distribuzione dei carichi di lavoro”.

Al fine, quindi, di assicurare il raggiungimento di tale benessere organizzativo la normativa successiva è volta a dettare disposizioni che attraverso la previsione di moduli organizzativi flessibili e non rigidi tendono a conciliare le esigenze dell’ufficio con quelle connesse alla genitorialità e alla tutela della salute[8].

Non è questa la sede per soffermarsi sui dettagli e contenuti di tali importanti disposizioni secondarie, potendosi rinviare a tal fine ad un lavoro di altra collega di prossima pubblicazione avente ad oggetto proprio l’analisi di tali profili[9]. Ciò che qui preme sottolineare è la portata fortemente innovativa di tale parte conclusiva della circolare, che, in modo nettamente in contro tendenza rispetto agli ultimi anni, oltre alle esigenze di produttività ed efficienza, impone al dirigente dell’ufficio:

- di assicurare il benessere fisico, psicologico e relazionale dei magistrati componenti l’ufficio;

- di realizzare, a tal fine, la costruzione di ambienti e relazioni di lavoro che contribuiscano al miglioramento della qualità della loro vita professionale;

- di distribuire in modo equo i carichi di lavoro.

E’, quindi, evidente che la gestione e fissazione dei carichi di lavoro in modo equo e razionale assume esplicitamente una valenza centrale per il perseguimento di una vita professionale soddisfacente; così come risulta implicitamente, ma in modo altrettanto evidente come, in questo contesto volto a favorire la serenità lavorativa del singolo, assicurare al singolo magistrato piena autonomia nella gestione del proprio ruolo civile e la conseguente flessibilità organizzativa assume fatalmente natura di presupposto quasi indispensabile per la realizzazione degli inderogabili obiettivi valoriali sintetizzati felicemente dall’organo di autogoverno nella formula del “benessere organizzativo”.

Scandicci, 08.03.2017

Antonio Lepre

 

 

 



[1]  Relazione tenuta al Corso Misure organizzative e buone prassi nella gestione del contenzioso, Scandicci 8-10 marzo 2017.

[2] Si pensi al fascicolo di parte depositato telematicamente e di fatto non più ritirabile dal difensore oppure, sotto il profilo delle potenzialità non utilizzate, alle possibilità, per così dire, di ridurre telematicamente le distanze geografiche etc.

[3] Si pensi al diritto successorio, ai diritti reali, oppure alla rigidità del sistema codicistico nel tipizzare in modo rigido i rimedi, come risolutori, in caso di inadempimento, etc. etc.

[4] Si pensi, ad esempio, in materia fallimentare, alla invalidità della notifica del ricorso per fallimento notificato presso la sede leale e non già presso quella effettiva oppure della notifica eseguita presso la residenza anagrafica e non effettiva (cfr., ex multis, Cass. n. 6559 del 20/03/2014: “in tema di notifiche alle persone giuridiche, l'art. 46 cod. civ. - che stabilisce che i terzi "possono" considerare come sede, oltre a quella amministrativa, anche quella effettiva - va interpretato alla luce dei principi di buona fede, di solidarietà e della finalità, propria delle notifiche, di portare a conoscenza del destinatario gli atti processuali, cosicché il precetto normativo non può tradursi nella facoltà di non tenere conto della sede effettiva conosciuta dal notificante, deponendo in tal senso la previsione di obblighi di ricerca del destinatario gravanti sull'ufficiale giudiziario ai sensi dell'art. 148, secondo comma, cod. proc. civ. (che presuppongono, a loro volta, l'obbligo del notificante di indicare tutti gli elementi utili in suo possesso) e il disposto di cui all'art. 145 cod. proc. civ., che, non distinguendo ai fini della notificazione tra sede legale ed effettiva, comporta che quest'ultima non possa essere pretermessa ove conosciuta dal notificante, nonché, con riguardo alla materia societaria, il rilievo della conoscenza dei fatti, indipendentemente dalla loro iscrizione nel registro delle imprese, stabilito in via generale dall'art. 2193, primo comma, cod. civ. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che ha ritenuto la nullità della notifica ex art. 143 cod. proc. civ. in quanto inizialmente tentata presso la sede legale di una società e non anche presso la sede effettiva, ben conosciuta dal notificante, avendovi egli provveduto alla notificazione di precedenti atti processuali”); Cass. n. 11550 del 14/05/2013: “le risultanze anagrafiche rivestono un valore meramente presuntivo circa il luogo dell'effettiva abituale dimora, il quale è accertabile con ogni mezzo di prova, anche contro le stesse risultanze anagrafiche, assumendo rilevanza esclusiva il luogo ove il destinatario della notifica dimori, di fatto, in via abituale

[5] Si pensi ai fenomeni espropriativi; cfr., Cass Sez. U - , Ordinanza n. 1643 del 23/01/2017: “in tema di espropriazione, è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario la controversia concernente l'invocato risarcimento dei danni conseguenti all'inadempimento di un contratto di transazione di liti promosse dinanzi al G.A., aventi ad oggetto la parziale cessione di un immobile in favore dell’espropriante e la determinazione delle indennità spettanti per il diminuito valore della residua parte del bene, atteso che si tratta di un giudizio rientrante nella riserva di giurisdizione ordinaria sancita dalla disposizione speciale di cui all’ultima parte dell’art. 133, lett. g), del d.lgs. n. 104 del 2010, e che attiene, non già a due distinti crediti, ma unicamente alla determinazione della indennità di espropriazione, la quale, per definizione, riguarda l’intera diminuzione patrimoniale patita dal soggetto passivo per effetto del provvedimento ablativo, comprendendo, pertanto, anche il risarcimento per il deprezzamento subito dalle parti residue del bene espropriato”; Cass. Sez. U, Ordinanza n. 15471 del 15/10/2003: “le controversie riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza di atti ablativi, ai sensi dell'art. 34 della legge n. 80/1998, come sostituito dall'art. 7, comma primo, lett. b), legge n. 205/2000, applicabile <ratione temporis>, vanno così ripartite: sono riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le domande di risarcimento dei danni da occupazione acquisitiva e da occupazione illegittima (per la sua omogeneità morfologica e funzionale rispetto all'indennizzo espropriativo) e alla giurisdizione del giudice ordinario le domande di corresponsione dell'indennità di occupazione legittima. (Fattispecie relativa a controversia introdotta da uno IACP nei confronti di un Comune, contenente domanda di risarcimento del danno per l'occupazione acquisitiva ed occupazione illegittima e domanda di per il pagamento dell'indennizzo relativo al periodo di occupazione legittima)

[6] Cass. Ordinanza n. 3081 del 06/02/2017; cfr. anche Cass. sent. n. 2299 del 30/01/2017

[7] Cfr. art. 18, 22, 23 decreto legislativo n. 546/1992.

[8] Art. 278, 279, 280, 281, 282

[9] Cfr. Ida Ponticelli, La nuova circolare sulla formazione delle tabelle di organizzazione degli uffici giudiziari.Spunti di riflessione sulle disposizioni a tutela della genitorialità e della malattia: ricadute pratiche in punto di mobilità interna, riequilibrio dei carichi di lavoro e prevenzione dei ritardi, in corso di pubblicazione nella rivista telematica Il diritto vivente

 

 
 
 
 
 
 

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