ultimo aggiornamento
mercoledì, 10 aprile 2024 10:27

PENALE

Primi approdi ermeneutici inerenti i profili processuali e sostanziali del reato di omicidio stradale (legge 23 marzo 2016, n. 41).

  Penale 
 mercoledì, 14 dicembre 2016

Print Friendly and PDF

Antonio D’Amato
Procuratore Aggiunto
Santa Maria Capua Vetere


Sergio Occhionero
Sostituto procuratore
Santa Maria Capua Vetere

 
 

Sommario: - 1. Premessa. La ricognizione dei profili della riforma. - 2. I prelievi biologici coattivi. Analisi delle modifiche ex artt. 224-bis e 359-bis cpp. - 2a. La modifica dell’art. 224-bis cpp. La scarsa praticabilità della perizia. - 2b. La modifica dell’art. 359-bis cpp. Il potere di accompagnamento coattivo affidato alla polizia giudiziaria presso il più vicino presidio ospedaliero. Prelievi biologici coattivi. Ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria. La questione del prelievo ematico coattivo. - 2c. Protocolli operativi per il caso che venga prestato il consenso. - 3. L’arresto in flagranza. - 4. La questione della procedibilità. - 5. La disciplina acceleratoria della definizione dei procedimento per reati stradali. - 6. La competenza del giudice. I fatti commessi prima della data di entrata in vigore della legge (25 marzo 2016).



1.      Premessa. La ricognizione dei profili della riforma.

Occorre premettere che la legge n. 41/16, che, fra l’altro, ha introdotto nel nostro ordinamento i reati di omicidio stradale e di lesioni personali stradali, ha apportato anche alcune modifiche, con la tecnica della novellazione, al codice di procedura penale (ad es. si veda, fra le altre norme, l’art. 359-bis cpp), ponendo sul tappeto, come sovente accade in simili casi, svariati problemi interpretativi. Il primo di essi sottende l’esigenza di un coordinamento della modifica con le altre norme del codice di rito in tema di libertà personale, in considerazione del significativo innalzamento dei limiti edittali, con effetti anche sulla disciplina concernente l’arresto in flagranza di reato.
Prima di entrare nel merito delle singole modifiche e dei conseguenziali riflessi sugli istituti processuali di riferimento, si riportano, qui di seguito, i singoli interventi, attraverso i quali il legislatore ha inteso creare una sorta di “statuto dei reati stradali”, alla stregua di quanto realizzato in precedenza in materia di azione di contrasto alle mafie ovvero, più di recente, con la normativa sul c.d. femminicidio ( D.L. 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, nella L. 15 ottobre 2013, n. 119) [1]:

a)      l’istituto di cui all’art. 224-bis cpp[2] è stato reso applicabile anche ai reati di omicidio stradale e lesioni personali stradali;
b)      specularmente è stata prevista, per la fase delle indagini preliminari, una nuova ipotesi di accertamento tecnico, ad iniziativa del PM, nei procedimenti per i suddetti reati, con inserimento, nel corpus dell’art. 359-bis cpp, del comma 3-bis;
c)      è stata introdotta una nuova ipotesi di arresto obbligatorio in flagranza (art. 381, comma 2, lett. m-quater, cpp) in caso di omicidio colposo stradale aggravato ex art. 589-bis, comma 2 e 3, cp (punito fino a 12 anni di reclusione), mentre per quello aggravato ai sensi dei commi 4 e 5 della nuova norma (ipotesi per le quali i limiti edittali sono stati portati, nel massimo, a 10 anni di reclusione) l’arresto è facoltativo;
d)      è stata introdotta una nuova ipotesi di arresto facoltativo in flagranza (art. 381, comma 2, lett. m-quinquies,cpp) in caso di lesioni (gravi o gravissime) stradali aggravate ex art. 590-bis, comma 2, 3, 4 e 5, cp;
e)      è stato posto il limite di una sola proroga del termine per la chiusura delle indagini preliminari (art. 406, comma 2-ter, cpp,), nel caso in cui si proceda per i delitti di omicidio stradale o di lesioni gravi o gravissime stradali;
f)        è stato previsto un nuovo termine massimo di trenta giorni tra le scadenza del termine di chiusura delle indagini preliminari e la richiesta di rinvio a giudizio per il delitto di omicidio stradale (art. 416, comma 2-bis, cpp);
g)      è stato previsto un nuovo termine massimo di sessanta giorni tra l’emissione del decreto che dispone il giudizio e la data fissata per il giudizio (art. 429, comma 3-bis cpp), per il delitto di omicidio stradale;
h)      è stata introdotto l’ennesimo caso di citazione diretta a giudizio riguardante appunto il delitto di lesioni personali stradali, anche se aggravate (art. 550 comma 2, lett. e-bis, cpp);
i)        è stato previsto un nuovo termine massimo di trenta giorni tra la scadenza del termine di chiusura delle indagini preliminari e l’emissione del decreto di citazione a giudizio per il delitto di lesioni personali stradali (art. 552, comma 1-bis);
j)        è stato fissato un nuovo termine massimo, di novanta giorni, tra l’emissione del decreto di citazione a giudizio e l’udienza di comparizione (art. 552, comma 1-bis, cpp).


2.      I prelievi biologici coattivi. Analisi delle modifiche ex artt. 224-bis e 359-bis c.p.p.

2a. La modifica dell’art. 224-bis cpp. La scarsa praticabilità della perizia.
Tra le modifiche processuali di maggiore impatto introdotte dalla legge n. 41/16, si annovera, in primis, l’introduzione di un nuovo caso di prelievo biologico coattivo, sia nelle forme della perizia (artt. 224-bis, comma 1, cpp) sia sotto forma di accertamento tecnico durante le indagini preliminari (art. 359-bis cpp).
Il tema dei prelievi assume una rilevanza centrale poiché le aggravanti speciali previste dalle nuove norme presuppongono, per poter essere riconosciute, l’accertamento positivo dell’effettivo tasso alcoolemico (che deve essere superiore al limite di 1,5 grammi per litro) ovvero dello stato di alterazione derivante dall’uso di sostanze stupefacenti.
L’interpolazione degli artt. 224-bis e 359-bis cpp si è resa necessaria, proprio al fine di consentire (nel rispetto della riserva di legge di cui all’art. 13 Cost.) la introduzione di nuovi reati per i quali sia possibile procedere a prelievi coattivi sulla persona dell’indagato, a fini di prova[3]. Dunque, per effetto della legge in commento, quando si procede per i delitti di cui agli artt. 589-bis e 590-bis cp, l’autorità giudiziaria può procedere a prelievi coattivi nei confronti dell’indagato, al fine di stabilire il tasso di alcoolemia ovvero lo stato di alterazione psicofosica scaturente dall’assunzione di sostanza stupefacente.

È stato immediatamente osservato che la nuova disciplina avrà verosimilmente una scarsa utilità, per quanto concerne la perizia disposta dal giudice. Infatti, la natura ontologicamente urgente dell’accertamento, mediante prelievo sulla persona dell’indagato, è incompatibile con i tempi richiesti per l’accesso ad una perizia a fini di prova. E, invero, quando si proceda per omicidio stradale o lesioni personali stradali gravi o gravissime, gli accertamenti disposti mediante prelievi si renderanno immediatamente necessari, anche in vista di scelte da adottare nei confronti del presunto responsabile, quali quelle sull’arresto, nei casi in cui possa parlarsi di flagranza, che in talune ipotesi - con riferimento all’art. 589-bis c.p. - è obbligatorio, in altre è facoltativo.

2b. La modifica dell’art. 359-bis cpp. Il potere di accompagnamento coattivo affidato alla polizia giudiziaria presso il più vicino presidio ospedaliero. Prelievi biologici coattivi. Ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria. La questione del prelievo ematico coattivo.
Viceversa, appare più concretamente praticabile la strada della nuova disposizione dell’art. 359-bis, comma 3-bis, cpp: ove sia commesso uno dei nuovi delitti stradali, quando il conducente rifiuti di sottoporsi agli accertamenti sullo stato di ebbrezza o di alterazione, nei casi urgenti e ove sussista il fondato motivo di ritenere che dal ritardo possa derivare grave o irreparabile pregiudizio alle indagini, il PM, con decreto motivato, può disporre il prelievo coattivo di campioni biologici. Della misura, che può essere anche adottata “oralmente” e poi confermata per iscritto, il PM deve comunque chiedere, entro 48 ore, la convalida al GIP, il quale, a sua volta, deve provvedere, nelle 48 ore successive. Gli ufficiali (e non anche gli agenti) di PG procedono all’accompagnamento dell’interessato presso il più vicino presidio ospedaliero, al fine di sottoporlo al necessario prelievo o accertamento, dove si procede all’esecuzione coattiva delle operazioni, se la persona rifiuta di sottoporvisi.
Coerentemente con la disciplina introdotta dalla legge 85/2009[4], il prelievo coattivo di campioni biologici, previo accompagnamento del potenziale indagato, non sembra potersi accordare anche agli agenti di polizia giudiziaria, invocando la disciplina di cui all’art. 113 dd.aa. cpp, trattandosi di accertamenti con effetti limitativi della libertà personale e non delle res (arg. anche ex art. 354, comma 3, cpp).
Del decreto e delle operazioni da compiersi è data tempestivamente notizia al difensore dell’interessato, che ha facoltà di assistervi, senza che ciò possa comportare pregiudizio per il compimento delle operazioni. La disposizione fa rinvio ai commi 1 e 2 dell’art. 365 c.p.p. che disciplina quegli atti garantiti ai quali il difensore ha il diritto di assistere, pur senza avere il diritto del preventivo avviso del loro compimento. Il rinvio all’art. 365 cpp sembra poi confermare la natura di atti irripetibili ex lege del prelievo e degli accertamenti in parola.
L’ultimo periodo del comma 3-bis dell’art. 359-bis cpp, di nuova introduzione, prevede che le operazioni debbano sempre svolgersi “nel rispetto delle condizioni previste dai commi 4 e 5 dell’art. 224-bis cpp”.
A presidio di tale precetto tuttavia non è prevista alcuna sanzione processuale espressa. In proposito, nei primi commenti alla norma si è osservato che si tratterebbe di veri e propri divieti probatori, con conseguente inutilizzabilità delle prove eventualmente acquisite, ai sensi dell’art. 191 c.p.p.
Sul punto vi poi da dire che la norma in esame non opera alcun richiamo al comma 2 dell’art. 224-bis cpp (che indica i requisiti che deve avere l’ordinanza con cui il giudice dispone l’esecuzione coattiva dei prelievi necessari per la perizia, richiamata dal comma 2 dell’art. 359-bis cpp quale contenuto del decreto del PM). Tale scelta sembra trovare il suo fondamento, ancora una volta, nelle peculiarità degli accertamenti in parola, nonché nel potere, spettante al PM, di autorizzarne l’esecuzione anche in forma orale.
Occorrerà poi capire se il comma 3 bis costituisca una species del genus “accertamento tecnico coattivo”, disciplinato ai commi precedenti, con relativa applicazione delle norme ivi richiamate (che sono in massima parte quelle dell’art. 224 bis c.p.p.), ovvero una fattispecie autonoma e “chiusa”, con applicazione delle sole norme cui lo stesso comma 3 bis fa riferimento.
Al fine di suffragare la prima impostazione si potrebbe valorizzare il richiamo del nuovo comma 3 bis al “decreto di cui al comma 2”: tale richiamo potrebbe essere inteso come rinvio in toto al decreto motivato emesso nei casi di urgenza ai sensi dell’art. 359 bis comma 2 cpp, con la non trascurabile conseguenza di ritenere applicabile anche l’art. 224-bis, comma 2, cpp ed i relativi contenuti, a pena di nullità[5].
Aderendo invece alla seconda opzione, la nuova fattispecie di accertamento urgente di cui al comma 3-bis verrebbe a configurarsi come istituto autonomo, con conseguente applicazione dei soli commi 4 e 5 dell’art. 224-bis cpp, ivi richiamati.
Ciò detto occorre, piuttosto, soffermare l’attenzione sulle attività che possono essere compiute “coattivamente”.
Sul punto, occorre, in primis, precisare come la disciplina dei prelievi coattivi, in quanto derogatoria dei principi costituzionali di cui all’art. 13 Cost., va interpretata in modo rigoroso e non estensivo. Ciò significa che la predeterminazione, per legge (art. 13 Cost.), dei casi e dei modi con cui può procedersi al prelievo coattivo (prelievo di capelli, di peli o di mucosa dal cavo orale….altri “accertamenti medici”) non è da ritenersi meramente esemplificativa bensì tassativa, tant’è che la categoria degli accertamenti medici cui fa riferimento la norma viene tendenzialmente interpretata in maniera restrittiva, vietando quegli accertamenti invasivi o che possano incidere, sia pure in modo minimale, sulla salute[6].
Ne consegue che non sarebbe legittimo imporre il prelievo ematico (non ricompreso tra quelli espressamente autorizzati) che, pur in casi del genere, risulta lo strumento più affidabile per accertare l’alterazione psico-fisica determinata dall’abuso di alcool o droghe. Questa appare l’unica soluzione interpretativa conforme all’art. 13 Cost. e ai principi espressi dalla Corte Cost. nella sentenza n. 238 del 1996, laddove si è affermato il principio secondo cui il prelievo ematico comporta certamente una restrizione della libertà personale, quando se ne renda necessaria l’esecuzione coattiva, laddove la persona sottoposta all’esame peritale non acconsenta spontaneamente al prelievo, ed è una restrizione che investe, sia pure in modo minimale, la sfera corporale della persona, anche se non compromettendone ex se l’integrità fisica o la salute (anche psichica) né la sua dignità, in quanto trattasi di pratica medica di ordinaria amministrazione[7].
Il prelievo ematico quindi non potrebbe essere imposto coattivamente per via giudiziaria.

Potrà certamente essere utilizzato, ai fini della prova dello stato di alterazione, il certificato medico relativo all’accertato tasso di alcool e/o alla presenza di tracce di stupefacenti nel sangue dell’interessato, ove l’analisi del sangue sia stata effettuata dal personale ospedaliero, non a richiesta specifica degli organi di polizia, ma unicamente per motivi clinici ed a scopo curativo delle lesioni riportate dal predetto nell’incidente stradale in cui questi sia stato coinvolto ( cfr. Sez. IV, 17 luglio 2012, Massucco: siamo in tal caso in presenza di una prova documentale ex art. 234 cpp).
Dalle superiori osservazioni, sembrano trarsi due conseguenze:

-         il prelievo ematico non potrebbe essere imposto coattivamente neppure attraverso il ricorso allo strumento di cui al combinato disposto degli artt. 224-bis e 359-bis cpp;

-         nei casi in cui il prelievo ematico venga sollecitato, al di fuori di specifiche ragioni sanitarie, dovrà ritenersi - anche aderendo alla giurisprudenza prevalente - che, se i sanitari non abbiano ritenuto di sottoporre il conducente a cure mediche con prelievo ematico, la richiesta degli organi di PG di effettuare l’analisi del tasso alcoolemico e/o sulla presenza dei principi attivi stupefacenti, per via ematica, dovrà implicare sempre l’avviso all’indagato della facoltà di farsi assistere dal difensore di fiducia. In mancanza si configura una nullità a regime intermedio, ex art. 178, comma 1, lett. c) cpp, nella parte relativa all’inosservanza delle disposizioni concernenti “l’assistenza dell’imputato”), non più deducibile, secondo le regole generali, solo “dopo la deliberazione della sentenza di primo grado”, alla stregua di quanto previsto dall’art. 180 cpp richiamato dall’art. 182, comma 2, secondo periodo c.p.p.

Ci si troverebbe cioè in presenza di un atto riconducibile al novero di quelli di cui all’art. 354 c.p.p., ovvero ad un atto urgente e indifferibile, per il quale è necessario che la PG avverta il soggetto del diritto all’assistenza del difensore ex artt. 356 c.p.p. e 114 disp. att. c.p.p. assimilabile nella disciplina all’accertamento eseguito dalla PG sul tasso alcoolemico del conducente di un veicolo per la verifica dei parametri di cui all’art. 186, comma 2, C.D.S., con l’impiego di un etilometro e secondo metodologie previste dall’art. 379 del regolamento per l’esecuzione e attuazione del C.D.S[8].

Preme evidenziare che la condivisibile soluzione sopra prospettata, fatta propria dalla Procura di Trento, non è tuttavia unanime: secondo altra impostazione, si è infatti ritenuto che il prelievo ematico sia ricomprensibile nella nuova disciplina del 224-bis e 359-bis c.p.p., perché provoca sofferenze di lieve entità; è stato infatti evidenziato che le modifiche apportate agli artt. 224-bis e 359-bis cpp e il tenore letterale dell’art. 224-bis cpp consentano di affermare quanto segue:

A) il prelievo ematico coatto è certamente divenuto uno dei modi previsti dalla legge per accertare tasso alcoolemico e alterazione correlata all’uso di sostanze stupefacenti nel caso di commissione dei reati di cui agli artt. 589-bis e 590-bis cp;
B) il combinato disposto degli artt. 224-bis e 359-bis cpp, a maggior ragione nel testo novellato, disciplina con chiarezza e precisione i casi ed i modi di limitazione della libertà personale previsti dalla legge, con la conseguenza che devono ritenersi superate le ragioni che avevano portato la C. Cost., con la sentenza 238/96, a dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 224 cpp;
C) il prelievo ematico coatto, pur da considerarsi atto di limitazione della libertà personale, è del tutto conforme alla previsione dell’art. 224-bis, comma 4 cpp, nel senso che provoca sofferenze di lieve entità;
D) al prelievo ematico coatto si potrà far luogo, in sintonia con quanto previsto dall’art. 224 bis comma 5 c.p.p., espressamente richiamato dall’art. 359-bis cpp, ultimo periodo, solo qualora non siano disponibili altre modalità/tecniche di prelievo meno invasive quali i test precursori sulla mucosa del cavo orale.

Ulteriore profilo problematico della disciplina in esame concerne la prova della sussistenza della condizione di ebbrezza alcoolica o dello stato di alterazione psicofisica da assunzione di sostanze stupefacenti, atteso che la sussistenza dell’aggravante è stata costruita dal legislatore facendo non già riferimento generico alla condizione di ebbrezza alcolica o all’alterazione psicofisica da stupefacenti, bensì richiamo alla configurabilità dei presupposti delle fattispecie contravvenzionali previste dagli artt. 186 comma 2, lett. c), e 187 c.d.s., che ancorano la configurabilità del reato a parametri tecnici, numerici, a delle soglie alcoolemiche e, con riguardo all’abuso di droghe, allo stato di alterazione psicofisica provocata dall’assunzione di sostanze stupefacenti.
È pertanto necessario, per entrambe le situazioni, un preciso riscontro di natura tecnica per la configurabilità delle contravvenzioni di cui sopra e, per quanto interessa in questa sede, per la configurabilità delle ipotesi aggravate di nuovo conio.
Ne consegue che per poter configurare l’ipotesi più grave della contravvenzione e, conseguentemente, di omicidio stradale è essenziale, per la dimostrazione del superamento della soglia di cui alla lettera c), la presenza di un riscontro di natura tecnico-scientifica, vuoi rappresentato dall’alcool test, vuoi da altro accertamento tecnico in grado di determinare, nel senso indicato dalla norma, il tasso alcoolemico: la mancanza di tale accertamento non sarà quindi efficacemente surrogabile da altri strumenti, ed in particolare dalla testimonianza degli organi di polizia, che non potrà fornire il dato tecnico richiesto expressis verbis ai fini dell’integrazione della fattispecie.
Analoghe considerazioni valgono per la guida in stato di alterazione psicofisica per uso di stupefacenti.
La contravvenzione di cui all’art. 187 cds, che è evocata ai fini della sussistenza della relativa aggravante nell’art. 589 bis e nell’art. 590 bis cp, è integrata dalla condotta di guida “in stato di alterazione psico-fisica determinato dall’assunzione di sostanze” e non già dalla mera condotta di guida tenuta dopo l’assunzione di sostanze stupefacenti e richiede, ai fini del giudizio di responsabilità, che sia provata non solo la precedente assunzione di sostanze stupefacenti, ma anche che l’agente abbia guidato in stato di alterazione causato da tale assunzione.
Dunque, ai fini dell’accertamento del reato, appare dunque necessario:

1)      un accertamento tecnico-biologico in ordine all’assunzione delle sostanze;

2) che si altresì dimostrata la situazione di alterazione psico-fisica.

Nell’ambito di tale impostazione è stato inoltre correttamente osservato che se lo stato di alterazione non deve essere necessariamente provato mediante l’espletamento di una specifica analisi medica, atteso che il giudice può desumere l’alterazione dagli accertamenti biologici che dimostrino l’avvenuta precedente assunzione di sostanze stupefacenti, unitamente all’apprezzamento delle deposizioni raccolte e del contesto in cui il fatto si è verificato, senza che sia quindi necessario espletare un’analisi su campioni di diversi liquidi biologici, il riscontro tecnico sull’assunzione delle sostanze è sempre necessario e non surrogabile con altri mezzi probatori[9].


2c. Protocolli operativi per il caso che venga prestato il consenso.
Sebbene la legge n. 41/2016 non ne faccia alcun richiamo, non vi è dubbio che nei casi di reati stradali (nella nuova formulazione) trovino applicazione le disposizioni codicistiche che disciplinano il caso in cui il consenso sia prestato.
Si tratta in particolare, delle norme introdotte dall’art. 29 delle legge n. 85/2009, che, a sua volta, introduceva tre nuovi articoli alle disposizioni di attuazione cpp,
L’articolo 72-bis dd.aa. c.p.p. è diretto ad individuare i soggetti che possono validamente esprimere il consenso (ovvero negarlo) nel caso in cui la persona da sottoporre al prelievo di campioni biologici o agli accertamenti medici si trovi in stato di incapacità, legale o naturale. Qualora, poi, le persone indicate per esprimere il consenso (o il dissenso) mancano o non sono reperibili o sono in conflitto di interessi con la persona interessata, il consenso è prestato da un curatore speciale nominato dal giudice[10].

L’articolo 72-ter contiene un richiamo implicito alle modalità di documentazione degli atti previste dal codice di procedura penale e fissa l’obbligo a carico, di volta in volta, del giudice, del perito ovvero del consulente tecnico del pubblico ministero di menzionare espressamente nel verbale il consenso prestato dalla persona interessata.

L’articolo 72-quater disciplina la sorte dei campioni biologici prelevati. Trattandosi di atti ripetibili, si è preferito prevedere che, su disposizione del giudice, si proceda alla distruzione del campione immediatamente, a cura del perito o del consulente. All’avverbio immediatamente si fornisce, poi, una dimensione temporale precisa, vale a dire che, subito dopo avere eseguito l’analisi - ad esempio, dopo avere estratto il profilo del DNA - debbono andare distrutti i campioni, con contestuale verbalizzazione di tale operazione materiale, da allegare agli atti.
Se la regola è quella della distruzione immediata del campione biologico, in via eccezionale è ammessa la conservazione qualora sia ritenuta assolutamente indispensabile. L’ipotesi ordinaria è da rapportare all’avvenuta assunzione della prova: solo dopo tale momento il campione potrà essere distrutto. Suscettibili di giustificare invece, la conservazione dei campioni, potranno essere esigenze di approfondimento dei risultati probatori.
Il secondo comma dell’articolo 72-quater prevede che, in ogni caso, dopo la definizione del procedimento, o con archiviazione o con sentenza non più soggetta ad impugnazione, la cancelleria procede, in ogni caso senza ritardo, alla distruzione dei campioni biologici prelevati.
Occorre evidenziare che i campioni biologici prelevati ed acquisiti agli atti del procedimento penale ai fini di prova racchiudono senza dubbio dati personali cd. sensibili; la conservazione di tali dati, in omaggio ai principi sanciti da d.lgs. n. 196 del 30 giugno 2003 (cd. “Codice della privacy”) e dalla normativa secondaria in materia, costituita, in primis, dagli atti del Garante della privacy (cfr. sul punto, autorizzazione n. 8/2014 – Autorizzazione generale al trattamento dei dati genetici – 11 dicembre 2014), dovrà pertanto avvenire con modalità che assicurino il loro utilizzo e trattamento esclusivamente per le finalità probatorie in vista delle quali viene disposto il prelievo dei campioni.
Sul punto tuttavia, in assenza di indicazioni normative, è stato evidenziato che la custodia del campione debba far capo alla cancelleria, alla quale spetterà di individuare un luogo adeguato, in vista della salvaguardia del diritto alla riservatezza sopra richiamato.
È stato inoltre osservato che ove il prelievo sia avvenuto in modo consensuale, non è prevista la distruzione del relativo campione biologico: per ovviare al deficit di tutela, una strada che appare praticabile è quella di un’applicazione estensiva dell’art. 72 quater disp. att. cpp.
Tale essendo la disciplina di carattere generale, preme altresì osservare che nel caso che ci occupa, come detto in precedenza, il prelievo di campioni biologici finalizzato all’accertamento dello stato di ebbrezza alcoolica o di alterazione scaturente dall’assunzione di sostanze stupefacenti è ontologicamente un atto irripetibile, dovendo essere necessariamente effettuato nell’immediatezza dell’incidente stradale con evento mortale o lesivo, nelle forme e con le garanzie già descritte.
Quanto alla successiva attività di analisi del campione oggetto di prelievo, non v’è dubbio che la stessa sia riconducibile al novero degli accertamenti tecnici: ne consegue che, di volta in volta, dovrà valutarsi, eventualmente anche con l’ausilio di un consulente tecnico, la ripetibilità o meno dell’accertamento, in vista dell’applicazione della disciplina di cui all’ art. 360 cpp: si pensi, a titolo esemplificativo, ai casi in cui l’accertamento de quo possa determinare la distruzione del campione ( il cui prelievo, come detto, non potrebbe più essere utilmente rinnovato), donde l’irripetibilità ex art. 117 disp. att cpp, oppure ai casi nei quali il differimento nel tempo dell’accertamento sul campione prelevato possa non fornire più dei risultati affidabili.


3.      L’arresto in flagranza.

Altre ricadute di ordine processuale della legge in commento concernono l’introduzione di nuove ipotesi di arresto obbligatorio e facoltativo in flagranza. Infatti, per il reato omicidio stradale ovvero aggravato ai sensi dei commi 4 e 5 ( per cui è prevista la pena massima di anni 10 di reclusione) si applica l'arresto facoltativo in flagranza, ma per quello aggravato ai sensi dei commi 2 e 3 (per cui è prevista la pena massima di anni 12 di reclusione) vige l'arresto obbligatorio: si tratta delle ipotesi in cui: 1) venga accertato lo stato di ebbrezza per un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro o lo stato di alterazione psicofisica per uso di sostanze stupefacenti o psicotrope del conducente (comma 2 ), 2) venga accertato lo stato di ebbrezza per un valore corrispondente ad un tasso alcolemico tra lo 0,8 e il 1,5 grammi per litro del conducente che eserciti attività di trasporto di persone o di cose o sia alla guida di mezzi pesanti. Si è subito discusso dell’eccentricità dell’intervento in parola, sol che si consideri che ai sensi del comma 2 dell’art. 380 c.p.p. si procede all’arresto obbligatorio in flagranza esclusivamente in caso di “delitti non colposi”: sotto il profilo pratico, allorquando verrà adottata dalla PG la misura precautelare, nei tempi necessari per l’espletamento dell’udienza di convalida, sede nella quale il giudice è chiamato a pronunciarsi anche sulle richieste cautelari del PM, laddove non si intenda in ogni caso avanzare richiesta di misura cautelare inframuraria ( che potrebbe in tali ipotesi non essere l’ unica adeguata a fronteggiare le esigenze cautelari ravvisate) il PM potrà disporre, ex art. 386 comma 4 cpp che l’arrestato sia condotto agli arresti domiciliari.
Al riguardo, diviene ininfluente la condotta operosa del responsabile; infatti, va segnalata la modifica dell'art. 189, comma 8, del codice della strada che escludeva l'arresto in flagranza di reato sempre che il conducente si fermasse e prestasse assistenza: ora la norma vale solo per le lesioni, ma non per l'omicidio ( sia nell’ipotesi in cui l’arresto in flagranza è obbligatorio, sia in quella in cui l’arresto è facoltativo ). Ciò potrebbe determinare la conseguenza non voluta di aumentare le fughe successive al sinistro[11].
Per quanto concerne le lesioni gravi o gravissime derivanti da sinistro stradale e aggravate ai sensi dei commi 2,3,4 e 5 dell’art. 590 bis c.p. vige l'arresto facoltativo in flagranza di reato.
È il caso di ricordare che stante la pena edittale massima di 7 anni di reclusione per l’ipotesi “base”, non aggravata, di omicidio stradale, ex comma 1 art. 589 bis c.p., anche questo caso rientra tra quello per cui è previsto l’arresto facoltativo in flagranza di reato ex art. 381 comma 1 c.p.p.

Conclusivamente, ed in sintesi, in caso di flagranza del reato di omicidio stradale o di lesioni personali stradali, l’arresto è:

1)      obbligatorio
-         per il reato di omicidio stradale, nelle ipotesi previste dal comma 2 (allorquando venga accertato lo stato di ebbrezza per un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro o lo stato di alterazione psicofisica per uso di sostanze stupefacenti o psicotrope del conducente) e dal comma 3 (laddove venga accertato lo stato di ebbrezza per un valore corrispondente ad un tasso alcolemico tra lo 0,8 e il 1,5 grammi per litro del conducente che eserciti attività di trasporto di persone o di cose o sia alla guida di mezzi pesanti) dell’art. 589 bis c.p. ;
2)      facoltativo
-         per il reato di omicidio stradale, nelle ipotesi previste dal comma 4 ( allorquando venga accertato lo stato di ebbrezza per un valore corrispondente ad un tasso alcoolemico tra lo 0,8 e il 1,5 grammi per litro del conducente) ed in quelle previste dal comma 5 ( laddove cioè siano violate alcune regole del codice della strada – analiticamente descritte nella disposizione richiamata - di particolare gravità) dell’art. 589 bis cp;
-         per il reato di omicidio stradale, nell’ipotesi “base”, di cui al comma 1 dell’art. 589 bis cp, che, in considerazione della pena edittale massima di 7 anni di reclusione, rientra nei casi per i quali è previsto l’arresto facoltativo in flagranza di reato ex art. 381 comma 1 c.p.p.
-         per il reato di lesioni personali stradali ( gravi o gravissime ) nelle ipotesi previste dall’art. 590 bis commi 2,3,4 e 5 cp: si tratta delle ipotesi in cui il conducente a) si sia messo alla guida in stato di ebbrezza per un valore corrispondente ad un tasso alcoolemico superiore a 0,8 grammi per litro; b) si sia messo alla guida in stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti o psicotrope; c) abbia commesso una violazione del codice della strada di particolare gravità, tra quelle descritte al comma 5 dell’art. 590 bis cp

4.      La questione della procedibilità.


I nuovi reati di lesioni colpose gravi o gravissime derivanti da sinistro stradale sono ora procedibili d'ufficio (mentre resta procedibile a querela il solo reato di lesioni lievi, la cui disciplina va ricercata ancora nell'art. 590 c.p. e che resta tuttora di competenza del giudice di pace) ed il rito è quello della citazione diretta.
Poiché le lesioni gravi e gravissime cagionate dalla violazione delle regole sulla circolazione stradale sono state espunte dall’art. 590 cp, per essere collocate nell’art. 590-bis cp, si pone il problema del regime giuridico processuale della nuova fattispecie incriminatrice, con significative ricadute (pratiche) ai fini dell’individuazione del regime di procedibilità.
Infatti, laddove il nuovo art. 590-bis cp dovesse essere qualificato come autonoma fattispecie di reato - stante la mancanza di alcuna previsione in merito - sarebbe caratterizzato dalla procedibilità ex officio; ove fosse qualificato come norma “contenitore” di un catalogo di circostanze aggravanti della fattispecie base di cui all’art. 590 cp, il delitto, ai sensi dell’ultimo comma della norma, sarebbe punibile a querela di parte.
A favore della prima soluzione milita, oltre che la rubrica della nuova legge che reca “introduzione….del reato di lesioni personali stradali”, l’ulteriore dato “testuale” che l’art. 590-quater c.p. indica espressamente come circostanze solo le ipotesi descritte ai commi da 2 a 6 dell’art. 590-bis cp.
Secondo altra parte della dottrina la tesi della fattispecie autonoma desta delle perplessità, sia perché le lesioni stradali lievi e lievissime, commesse con violazione della normativa sulla circolazione stradale, restano disciplinate dall’art. 590 c.p., sia perché la tecnica di formulazione della norma, che è quella della “specialità per specificazione” induce a ritenerla un ipotesi aggravata e non già autonoma rispetto all’art. 590 cp.
Se, come probabilmente accadrà, la questione dovesse essere risolta in favore dell’autonomia del titolo di reato del 590 cp rispetto al 590-bis cp, taluni hanno osservato che la conseguenza più immediata sarebbe quella di consegnare migliaia di procedimenti penali per lesioni stradali, oggi sub condicione, alla competenza ex officio del Tribunale, atteso che le norme sulla procedibilità – in quanto norma di natura processuale - soggiacciono non già al principio di irretroattività ma a quello del tempus regit actum.

Al di là della tesi che prevarrà nell’elaborazione della dottrina e della giurisprudenza circa la natura, autonoma o circostanziale, delle nuove fattispecie in disamina, deve sin d’ora evidenziarsi che l’affermazione da ultimo richiamata appare in ogni caso opinabile sol che si tenga in considerazione della natura “mista”, sostanziale e processuale, dell’istituto della procedibilità - affermata nella giurisprudenza di legittimità - al quale deve pertanto applicarsi la disciplina di cui all’art. 2 c.p.[12].


5.      La disciplina acceleratoria della definizione dei procedimento per reati stradali.

Tra le modifiche al codice di rito si segnalano ancora quelle disposizioni dirette a sollecita la rapida definizione dei procedimenti in materia di omicidio e di lesioni stradali. In relazione alle ipotesi previste dagli artt. 589 comma 2, 589-bis, 590, comma 3 e 590-bis cp:

-         il comma 2-ter dell’art. 406 cpp prescrive che la proroga del termine previsto per le indagini preliminari, possa essere concesso solo una volta; in altre parole, le indagini non possono durare più di 12 mesi, pena l’inutilizzabilità degli atti investigativi compiuti dopo la scadenza del termine

In relazione ai delitti di cui agli artt. 589 comma 2 e 589-bis cp
-         Il comma 2 bis dell’art. 416 cpp stabilisce che la richiesta di rinvio a giudizio debba essere depositata dal PM nella cancelleria del GIP entro 30 giorni “dalla chiusura delle indagini preliminari”, anche come sopra prorogate;

-         Il comma 3 bis dell’art. 429 cpp dispone che tra la data che, in sede di udienza preliminare, dispone il giudizio e quella fissata per il giudizio, non possa intercorrere un termine superiore a 60 gg., fermo restando che lo stesso non possa essere inferiore a 20 gg.

Nella medesima ottica, in relazione al delitto di lesioni personali stradali gravi o gravissime si prevede che il DC debba essere emesso entro 30 gg. Dalla chiusura delle indagini e che la data di comparizione in udienza debba esser fissata non oltre 90 gg. dalla emissione del DC,
Si è osservato come tali previsioni, che impongono una codificazione dei tempi massimi che debbono intercorrere tra gli atti propulsivi e la data del giudizio, risultino contrastanti con la volontà, di segno opposto, di allungare i tempi prescrizionali.
Inoltre, il termine di decorrenza, la “chiusura delle indagini preliminari”, è un termine che appare variabile ed assoggettato anche alle eventuali scelte difensive, soprattutto post notifica dell’avviso ex art. 415 cpp, che potrà –vieppiù allorquando il PM decida di svolgere nuove attività investigative su sollecitazione della difesa– dilatarsi. Appare comunque ragionevole ritenere che il termine di 30 gg. a disposizione del PM per l’esercizio dell’azione penale possa iniziare a decorrere solo a seguito del compimento dell’intera procedura disciplinata dall’art. 415-bis c.p.p.
Per inciso, ai sensi del combinato disposto degli artt. 132 e 160 disp. att. cpp, il PM può procedere al deposito del decreto di citazione in segreteria solo dopo che il presidente del tribunale gli abbia comunicato la data dell’udienza e la sezione davanti alla quale comparire; si tratta, quindi, di una contrazione, quella di nuova introduzione, che grava tutta sul giudice e sul PM; è pur vero che trattasi di termini ordinatori e non perentori, privi, pertanto, di sanzione processuale, ma è anche vero che le prescrizioni rilevano ex art. 124 cpp che pongono a carico dei magistrati il rispetto delle norme processuali.



6.                  La competenza del giudice. I fatti commessi prima della data di entrata in vigore della legge (25 marzo 2016).

Per quanto attiene al reato di omicidio colposo derivante da sinistro stradale, aggravato per grave stato di ebbrezza o di assunzione di sostanze stupefacenti (o anche in caso di ebbrezza lieve nei casi di cui all'art. 186-bis c.d.s., commi 2 e 3 dell’art. 589-bis cp) la competenza è del tribunale in composizione collegiale ed anche in caso di omicidio stradale aggravato per la sola fuga (per cui è irrogabile la pena massima di anni 11 e mesi 8 di reclusione), in considerazione della disciplina di cui all’art. 33-bis, comma 2 cp; per l’ipotesi non aggravata o aggravate ex commi 4 e 5 dell’art. 589-bis cp, monocratico con udienza preliminare.
Il nuovo comma e-bis dell’art. 550, comma 2 cpp, prevede la citazione diretta a giudizio davanti al Tribunale in composizione monocratica per il delitto di lesioni personali stradali ex art. 590-bis c.p., anche nella forma aggravata.  Ne deriva che è sottratta tout court alla competenza del GDP, con attribuzione al Tribunale in composizione monocratica, la fattispecie delle lesioni personali stradali gravi o gravissime, anche se aggravate. Giova, comunque, ricordare che già in passato, con il dl n. 92 del 2008 conv. in l. n. 125/2008, nell’art. 4 comma 1, lett. A) d. lgs n. 274/00, era stata inserita un’apposita eccezione ed era già stata sottratta al GDP la competenza in ordine al reato di lesioni colpose aggravate ex art. 590, comma 3 secondo periodo cp (lesioni colpose gravi o gravissime commesse da soggetto in stato di ebbrezza alcolica o sotto l’effetto di stupefacenti), che era così devoluto alla competenza del Tribunale monocratico.
Residua comunque un ambito di competenza del GDP: il trasferimento della competenza al giudice ordinario ha riguardato le sole lesioni stradali di cui al 590-bis c.p. (gravi o gravissime).
Per le lesioni lievi, procedibili a querela, permane la competenza del GDP, con  esclusione   - ex art. 4 comma 1 lett. a) d.lgs n. 274/00-    solo delle fattispecie connesse alla colpa professionale e dei fatti commessi con violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni o relativi all’igiene sul lavoro o che abbiano determinato una malattia professionale, quando, nei casi anzidetti, derivi una malattia di durata superiore a  venti giorni.
Tutto ciò posto, il nodo interpretativo da sciogliere, attiene evidentemente all’aspetto intertemporale, ossia ai fatti, in astratto riconducibili alle nuove fattispecie criminose ex artt. 589-bis e 590-bis c.p., ma in concreto storicamente verificatesi in data antecedente al 25.3.2016, data di entrata in vigore della legge 41/2016.
Non vi è dubbio che si è in presenza di un fenomeno  di successione, nel tempo, di norme penali  sostanziali, la cui  base normativa  è costituita dall’art. 2 c.p.
Appare allora chiaro come il netto irrigidimento sanzionatorio introdotto per effetto della novella legislativa, comporta che quest’ultima, ex art. 2 comma 4 cp, non possa applicarsi ai fatti avvenuti in epoca precedente alla data della sua entrata in vigore.

Ciò detto, quid iuris per ciò che concerne gli innegabili riflessi processuali che le norme sopra richiamate  determinano?
In particolare, occorre stabilire quali riflessi pratici determinerà l’irrigidimento sanzionatorio per l’omicidio stradale aggravato dai commi 2 e 3 che -  come detto, reca con sé lo spostamento della competenza dinnanzi al Tribunale Collegiale -   rispetto ai fatti avvenuti in data antecedente all’entrata in vigore della L. n. 41/16.
In altre parole, ciò che rileva, sotto il profilo processuale, è comprendere se l’applicazione ad un omicidio stradale verificatosi ante L. n. 41/16  dell’art. 589, comma 2 e 3, c.p. originaria formulazione  (soppiantato dal nuovo art. 589-bis, comma 2 e 3 cp), determinerà  la perpetuatio competentiae del tribunale monocratico o, per contro,  uno spostamento, “verso l’alto”,  della competenza per materia dinnanzi al Tribunale Collegiale.
Tale problematica, che  non trova alcuna soluzione nel dettato normativo  della L. 41/06, che è priva  norma di coordinamento sulle vicende intertemporali,   può essere cionondimeno affrontata tenendo conto  degli approdi  giurisprudenziali delineatisi in relazione a situazioni normative analoghe.
Ci si riferisce, in particolare, per il carattere generale dei principi ivi affermati, alle pronunce della S.C. che hanno affrontato, e risolto, i problemi di diritto intertemporale scaturienti  dalla modifica del reato di usura a seguito dell’inasprimento sanzionatorio ex d. l. 306 del 1992[13].
La Cassazione, chiamata a pronunciarsi sui riflessi processuali derivanti da una modifica normativa sostanziale, che irrigidiva il trattamento sanzionatorio del delitto di cui all’art. 644 c.p., spostando con un meccanismo a catena la competenza per materia, ha concluso nel senso della valorizzazione della natura sostanziale della norma, giungendo per tale via ad escludere l’applicabilità del principio del tempus regit actum rispetto ai meri riflessi processuali di quella che è e resta una norma sostanziale, con il corollario di ritenere, per i fatti precedenti alla data di entrata in vigore della novella, la  perpetuatio competentiae.
Per chiarezza espositiva, si riportano, di seguito, i principi giuristrudenziali cui si è fatto riferimento:
“Qualora la modificazione di regole di competenza derivi, quale effetto diretto e immediato, da norma che disponga in tal senso, va applicato - sempre che non sia diversamente disposto da eventuali norme transitorie - il principio "tempus regit actum", con criterio di immediatezza, e perciò indipendentemente dal "tempus commissi delicti"; quando invece la norma sopravvenuta disponga diverso o più grave trattamento sanzionatorio, trattandosi perciò di norma sostanziale priva di efficacia retroattiva, ed ancorché ne consegua, sempre in difetto di norme transitorie, una modificazione della competenza per materia quale effetto indiretto e secondario, quest'effetto potrà prodursi soltanto nei riguardi di reati soggetti all'aumento di pena e che siano, perciò, consumati posteriormente all'entrata in vigore della norma modificatrice, mentre fra quelli verificatisi anteriormente resta ovviamente applicabile la precedente sanzione, che coinvolge la regola di competenza all'epoca vigente, dunque sottratta al richiamato principio "tempus regit actum", di tipica natura processuale, e perciò non invocabile in tali casi. (Fattispecie in tema di usura, entrata, a seguito dell'inasprimento sanzionatorio introdotto dal D.L. n. 306 del 1992, nell'ambito della competenza per materia del tribunale)” (Cass. Sez. I, 06.06.1994 n. 2712).
“L'art. 11 quinquies, primo comma, della legge 7 agosto 1992 n. 356 il quale ha novellato il testo dell'art. 644 cod. pen. con l'introduzione di pene più elevate per il delitto di usura, ha natura di norma sostanziale pur se a questa consegna l'effetto processuale riflesso della modifica della competenza a conoscere del reato a seguito di un più elevato limite edittale della pena detentiva, in misura superiore a quello fissato in anni quattro, per la competenza pretorile, dal n. 1 dell'art. 7 cod. proc. pen.. Ne conseguono, per i reati commessi in data anteriore alla vigenza della novella, l'estraneità del principio "tempus regit actum", di immediata applicazione delle norme processuali che direttamente incidono sulla competenza, nonché del suo temperamento rinvenuto nella "perpetuatio competentiae", e l'applicabilità del principio di operatività della legge più favorevole nell'ipotesi di successione nel tempo di leggi penali, che non consente la retroattività di norme sostanziali meno favorevoli per il reo di quanto lo fossero le precedenti.”. (Cass. Sez. I, 10.10.1994 n. 4419).

Non v’è chi non veda che,  in considerazione del carattere generale i principi affermati nelle pronunce testè richiamate, dovrà concludersi per la permanenza della competenza per materia del Tribunale in composizione monocratica rispetto agli omicidi stradali avvenuti in epoca antecedente all’entrata in vigore della L. n. 41/16.

Quanto, invece, al nuovo reato di lesioni stradali gravi e gravissime, ferma restando la natura sostanziale della nuova norma,  che esclude la sussumibilità  nel nuovo art. 590 bis c.p. dei fatti avvenuti in data antecedente alla novella, preme evidenziare che lo spostamento della competenza ratione materiae (dal Giudice di Pace al Tribunale Monocratico),  è in tal caso previsto da una  norma processuale “ad hoc”, la nuova lett. e) bis  introdotta nel corpus   dell’art. 550 comma 2 c.p.p.
Ne consegue che, di fronte ad una nuova norma processuale, anche alla luce dei principi giurisprudenziali sopra richiamati,  appare pacifica l’applicabilità del principio tempus regit actum, per i fatti verificatisi in precedenza, pur se sussunti nel quadro edittale previgente perché più favorevole, al momento in cui dovrà farsi applicazione della norma processuale sulla competenza, quindi sostanzialmente al momento dell’esercizio dell’azione penale,  dovrà essere affermata la competenza del Tribunale in composizione  monocratica.
Le medesime conclusioni dovranno ritenersi valide anche per ciò che concerne  le ulteriori nuove norme processuali introdotte dalla L. n. 41/16, sia in tema di omicidio stradale che in tema di lesioni stradali gravi o gravissime,  ed  in particolare per l’art. 406 comma 2 ter c.p.p., (proroga per non più di una sola volta) l’art. 416 comma 2 bis c.p.p. e l’art. 552 comma 1 bis c.p.p. (esercizio dell’azione penale entro 30 gg. dalla chiusura delle indagini), che troveranno immediata applicazione, anche per i fatti avvenuti in data antecedente al 25.03.2016.




 

[1]              Le modifiche introduttive di fattispecie incriminatrici vengono associate a modifiche di ordine processuale ed ordinamentale, nonché a norme afferenti più strettamente al campo del diritto amministrativo.
[2]              Tale norma fu introdotta dalla legge n. 85/2009, che, colmando la lacuna creata dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 238/1996, finalmente introduceva la possibilità di prelievi biologici coattivi sulla persona dell’indagato o di terzi, a fini di prova, attraverso la previsione dei casi e dei modi, nei quali era possibili adottare provvedimenti limitativi della libertà personale, in ossequio ai principi di cui all’art. 13 Cost. I casi sono circoscritti ai delitti non colposi, consumati o tentati, per i quali la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a tre anni, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge.
[3]           In relazione al percorso giurisprudenziale (Corte Cost. sent. n. 238 del 1996) e normativo ( L. n. 85 del 2009) che ha portato all’introduzione, nel corpus del c.p.p., dell’art. 224 bis c.p.p. cfr. P. Tonini, Manuale di procedura penale, Giuffrè editore, 2013, pagg. 354 e ss.
[4]           Si tratta della legge 30 giugno 2009, n. 85, recante “Adesione della Repubblica italiana al Trattato concluso il 27 maggio 2005 tra il Regno del Belgio, la Repubblica Federale di Germania, il Regno di Spagna, la Repubblica francese, il Granducato di Lussemburgo, il Regno dei Paesi Bassi e la Repubblica d’Austria, relativo all’approfondimento della cooperazione transfrontaliera, in particolare allo scopo di contrastare il terrorismo, la criminalità transfrontaliera e la migrazione illegale (Trattato di Prum). Istituzione della banca-dati nazionale del DNA e del laboratorio centrale per la banca-dati nazionale del DNA. Delega al Governo per la istituzione dei ruoli tecnici del corpo di polizia penitenziaria. Modifiche al codice di procedura penale in materia di accertamenti tecnici idonei ad incidere sulla libertà personale”.


[5] Tale impostazione invero appare più logica e razionale, non solo alla luce di un’interpretazione sistematica della nuova disposizione, che è collocata all’interno dell’istituto del 359-bis cpp, ma anche perché, in questo modo, il provvedimento del PM è ancorato ad un maggiore onere motivazionale ed è  sanzionabile con la nullità in caso di difformità dal suo modello legale.
[6]              Cfr. sul tema, il  commento all’ art. 224 bis c.p.p. par. IV-V in Conso- Illuminati, commentario breve al codice di procedura penale, seconda edizione, Cedam, 2015, pag. 884.
[7]           Cfr. Corte Cost. Sent. n. 238/1996: “È costituzionalmente illegittimo, per violazione dell'art. 13, secondo comma, Cost., l'art. 224, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui consente che il giudice, nell'ambito delle operazioni peritali, disponga misure che comunque incidano sulla libertà personale dell'indagato o dell'imputato o di terzi, al di fuori di quelle specificamente previste nei <<casi>> e nei <<modi>> dalla legge (nella specie, esecuzione di prelievo ematico coattivo), in quanto - posto che il parametro evocato assoggetta ogni restrizione della libertà personale, tra cui espressamente la detenzione, l'ispezione e la perquisizione personale, alla duplice garanzia della riserva di legge (essendo tali misure coercitive possibili <<nei soli casi e modi previsti dalla legge>>) e della riserva di giurisdizione (richiedendosi l'<<atto motivato dell'autorità giudiziaria>>), approntando così una tutela della libertà personale che è centrale nel disegno costituzionale - la disposizione censurata presenta assoluta genericità di formulazione e totale carenza di ogni specificazione dei casi e dei modi in presenza dei quali soltanto può ritenersi che sia legittimo procedere alla esecuzione coattiva di accertamenti peritali mediante l'adozione, a discrezione del giudice, di misure restrittive della libertà personale. Invero, con riferimento alla medesima norma, le ragioni relative alla giustizia penale, consistenti nell'esigenza di acquisizione della prova del reato, pur costituendo un valore primario sul quale si fonda ogni ordinamento ispirato al principio di legalità, rappresentano in realtà solo la finalità della misura restrittiva e non anche l'indicazione dei <<casi>> voluta dalla garanzia costituzionale”.

[8]           Si veda Cass. Sez. U, n. 5396 del 29/01/2015 - dep. 05/02/2015, P.G. in proc. Bianchi, Rv. 263023): 1) La parte su cui grava l'onere di eccepire, ex art. 182 comma secondo cod. proc. pen., la nullità di un atto al quale assiste è solo il difensore - ovvero il pubblico ministero -, in nessun caso l'indagato o l'imputato né altra parte privata, in quanto l'ordinamento processuale privilegia la difesa tecnica rispetto all'autodifesa, che non è mai consentita in via esclusiva, ma solo in forme che si affiancano all'imprescindibile apporto di un esperto di diritto abilitato alla professione legale.  2) In tema di disciplina della circolazione stradale, la polizia giudiziaria non ha l'obbligo di dare avviso della facoltà di nominare un difensore di fiducia alla persona sottoposta agli accertamenti qualitativi non invasivi e alle prove previsti dall'art. 186, comma terzo, cod. strada, in quanto gli stessi hanno funzione meramente preliminare rispetto a quelli eseguiti mediante etilometro e, come tali, restano estranei alla categoria degli accertamenti di cui all'art. 354 cod. proc. pen.  3) Nel caso in cui la nullità dell'atto derivi da un mancato avviso di una garanzia difensiva, alla cui conoscenza l'avviso stesso è preordinato, la sua deducibilità, da parte dell'indagato o dell'imputato che vi abbia assistito, non è soggetta ai limiti previsti dall'art. 182 comma secondo, cod. proc. pen.  4) La nullità conseguente al mancato avvertimento al conducente di un veicolo, da sottoporre all'esame alcoolimetrico, della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia, in violazione dell'art. 114 disp. att. cod. proc. pen., può essere tempestivamente dedotta, a norma del combinato disposto degli artt. 180 e 182, comma secondo, secondo periodo, cod. proc. pen., fino al momento della deliberazione della sentenza di primo grado.

[9] Cfr. Procura della Repubblica di Trento,  la nuova disciplina dell’omicidio e delle lesioni stradali [ legge 23 marzo 2016 n.41] linee guida e indicazioni operative, pag. 16.
[10]             Per un approccio critico alla formulazione legislativa nella parte relativa gli interventi sui minori si veda GABRIELLI, Interventi sui minori senza modalità specifiche, Guida al Diritto, 25 luglio 2009,  pagg. 74 e ss.
[11]             Qualche perplessità vi è sulla disposizione in commento,  atteso che il conducente, consapevole o anche solo incerto, sul proprio stato psico fisico alterato da alcool o da droghe, viene posto così di fronte alla scelta tra il rischiare l’arresto, fermandosi, o l’aggravante, fuggendo. Con la differenza che il primo resta certo, mentre la seconda – la fuga – potrà consentirgli, per ragioni fisiologiche, anche in caso di successiva individuazione, di vedersi riconosciuta  la derubricazione del reato dall’ipotesi aggravata di cui al comma 2 a quella di cui al comma 1 o 5 del 589 bis cp.
[12] Tale principio trova chiara invero  enunciazione nelle pronunce giurisprudenziali che hanno affrontato i riflessi applicativi delle vicenda successoria che ha investito la materia dei reati sessuali in seguito alla novella di cui alla Legge 15 febbraio 1996, n.66; ci si riferisce, in particolare,  a Cass., Pen n. 2733/1997 secondo cui : “Il regime di procedibilità d'ufficio per i reati di violenza sessuale previsto dall'art. 609 "septies" cod. pen., introdotto dalla Legge 15 febbraio 1996, n.66, non può produrre effetti sui fatti commessi prima della sua entrata in vigore. Il problema dell'applicabilità dell'art.2 cod. pen., in caso di mutamento nel tempo del regime della procedibilità a querela, va positivamente risolto alla luce della natura mista, sostanziale e processuale, di tale istituto, che costituisce nel contempo condizione di procedibilità e di punibilità. Infatti, il principio dell'applicazione della norma più favorevole al reo opera non soltanto al fine di individuare la norma di diritto sostanziale applicabile al caso concreto, ma anche in ordine al regime della procedibilità che inerisce alla fattispecie dato che è inscindibilmente legata al fatto come qualificato dal diritto, specie quando il legislatore in una determinata materia modifichi profondamente fattispecie, pene, denominazione dei delitti, come è avvenuto in quella dei reati di violenza sessuale, sottratti all'area della moralità pubblica e concepiti come reati contro la persona. ( Nella specie, relativa a rigetto di ricorso del P.M. avverso rigetto di appello contro diniego di applicazione di custodia cautelare in carcere, la S.C. ha osservato altresì che la rilevante portata dell'intervento innovativo e la mancanza di norme transitorie, certamente non dovuta a disattenzione, denotano inequivocabilmente che si è voluto dare alla normativa, che ha introdotto un regime di maggiore afflittività per chi commette abusi sessuali, operatività con esclusivo riferimento a condotte poste in essere dopo la sua entrata in vigore, sicché il peggioramento del regime di procedibilità per talune ipotesi di reato non può produrre effetti su preesistenti situazioni la cui perseguibilità e punibilità erano rimesse alla volontà della persona offesa dal reato).
[13] In ordine alla vicenda successoria concernente il reato di usura cfr. R. Garofoli, Manuale di diritto penale, nel diritto, ed. 2012 pagg. 229.230

 
 
 
 
 
 

© 2009 - 2024 Associazione Magistratura Indipendente
C.F.: 97076130588
Via Milazzo, 22 - CAP 00165 - Roma, Italia
segreteria@magistraturaindipendente.it

 
 

Magistratura Indipendente utilizza cookies tecnici e di profilazione. Alcuni cookies essenziali potrebbero già essere attivi. Leggi come poter gestire i ns. cookies: Privacy Policy.
Clicca il pulsante per accettare i ns. cookies. Continuando la navigazione del sito, acconsenti all'utilizzo dei cookies essenziali.