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ORDINAMENTO GIUDIZIARIO  

Commissione ministeriale per la riforma del CSM

  Giudiziario 
 sabato, 30 aprile 2016

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Edoardo Cilenti

consigliere presso la corte di appello di Napoli

 

 
 

correntismo o localismo: vince il compromesso

Nel settembre 2015 il ministro Orlando ha voluto istituire due commissioni di riforma: una per l’ordinamento giudiziario, l’altra con l’incarico di elaborare uno schema di riforma della disciplina legale in materia di costituzione e funzionamento del Csm, tenendo conto anche delle iniziative di autoriforma e delle proposte elaborate dallo stesso organo di autogoverno.
Nel mese di marzo 2016 le commissioni hanno depositato i rispettivi elaborati.
Sarà ora il governo, con una valutazione politica, a dover scegliere tra le opzioni in campo.
Tra queste spicca per rilievo la annunciata riforma del sistema elettorale per la nomina dei magistrati al Consiglio superiore. Il vigente meccanismo è fondato su un sistema maggioritario senza voto di lista e articolato su tre collegi unici nazionali a base uninominale, ed è stato introdotto nel 2002 con il dichiarato intento di contrastare le degenerazioni correntizie e di impedire indebite interferenze dei gruppi associativi. Questo scopo però non è stato raggiunto e anzi si è creato un effetto opposto, giacché i candidati sono pari ad un numero pressoché corrispondente a quello degli eleggibili, e ciò in virtù di accordi preventivi assunti all’interno dei gruppi associativi.
Sulle possibili alternative il dibattito in commissione è stato molto ampio e variegato, ma un dato su tutti va rimarcato: l’obiettivo di combattere il correntismo esige un cambio di mentalità generale che non può non coinvolgere l’intera categoria della magistratura. Il sistema elettorale non può, da solo, risolvere le rilevanti criticità che si sono manifestate e, personalmente, mi iscrivo tra coloro che esprimono dubbi rispetto alla effettiva idoneità di una nuova legge che possa contrastare ciò che solo i magistrati stessi possono eliminare. Per ogni sistema di voto è sempre possibile una torsione e il problema riguarda dunque il corpo elettorale. I fatti lo dimostrano. Le molteplici riforme elettorali che si sono succedute non hanno mai condotto ai risultati sperati. Già l’intervento legislativo del 2002 si inseriva in una lunga serie di precedenti interventi di più o meno vasta portata in questa materia, e sul Csm ormai da lunghi anni è in atto una intensa quanto improduttiva discussione. Cambiare la formula dunque non basta se non c’è la volontà, il vigore e la credibilità per smontare il sistema alla radice, ma questa è una questione decisamente assai più complicata da affrontare.
Ora il bivio che si pone sembra essere il seguente: correntismo o localismo.
Da un lato si è infatti convinti che per innovare realmente sia necessario superare il collegio unico nazionale, prevedendo per la elezione dei consiglieri collegi territoriali, sebbene non molto piccoli.
Si pensa che il collegio unico nazionale inevitabilmente richieda due elementi: una notorietà mediatica che non sempre giova al buon andamento della giurisdizione, oppure un sostegno determinante da parte di un apparato organizzato che solo le correnti possono offrire (e gestire).  Diversamente appare assolutamente irrealistica l’idea che il candidato possa essere conosciuto e apprezzato personalmente da tutti i suoi potenziali elettori.
Per altro verso i collegi territoriali presentano il rischio della prevalenza di logiche localistiche e fortemente individuali, sebbene rivelino l’indiscusso vantaggio di una diretta conoscenza dei candidati, così da offrire spazio a persone autorevoli che chiedono di essere votate principalmente per il loro curriculum professionale e per la stima di cui godono. Questa del resto è stata la ragione dell’abbandono del sistema per liste contrapposte. Se però l’elezione si “territorializza”, circoscrivendola entro il recinto di un limitato numero di distretti giudiziari, la persona eletta non sarebbe più rappresentativa dei magistrati italiani, ma soltanto di coloro che esercitano le funzioni in quei luoghi. L’articolo 104 della Costituzione sembrerebbe voler affermare un principio opposto, laddove al quarto comma recita che i componenti sono eletti “da tutti i magistrati ordinari”.
Sembra cioè che lo spirito della Costituzione sia quello di coinvolgere nell’elezione tutti i magistrati, indistintamente, e ciò ai fini del fondamentale valore della rappresentatività. Né si intravede qualche spunto che possa far propendere per un principio “federalistico” all’interno della categoria. Il ruolo della magistratura in altri termini è unico e unitario e sarebbe finanche pernicioso creare “rivalità” territoriali.
Dalla relazione introduttiva al ddl 2310 del luglio 2010 (a cui si è fatto riferimento nei lavori della commissione) si rileva ad esempio la tesi secondo cui l’esigenza della rappresentatività non sarebbe l'obiettivo cui deve uniformarsi il Csm. Se cosi fosse la rappresentatività la si eviterebbe allora solo con il sorteggio, opzione però preliminarmente esclusa già nella fase iniziale di studio.
La normativa più idonea è dunque fondata sul collegio unico nazionale, perché ogni componente del Consiglio è eletto da tutto il corpo elettorale e quindi si sente abilitato e competente a ingerirsi nella gestione di ogni distretto. Al contrario apparirebbe ancora più propenso alla lottizzazione un Csm di "notabili", ciascuno dei quali  esclusivamente interessato agli affari del proprio collegio.
La commissione si è allora concentrata su un sistema di compromesso, ovvero un sistema con una prima fase di tipo maggioritario per collegi territoriali e una seconda fase di tipo proporzionale per collegio nazionale con liste concorrenti. Alla prima fase possono liberamente partecipare magistrati che si candidino secondo la categoria di appartenenza e nel collegio ove esercitano l’attività giudiziaria, purché su presentazione di un certo numero di colleghi del medesimo collegio. Alla seconda fase è ammesso un numero di candidati sensibilmente più ampio rispetto ai seggi da assegnare e che abbiano ottenuto ovviamente il maggior numero di voti. L’idea è che alla seconda fase possano accedere otto colleghi per la legittimità, sedici per la requirente e quaranta per la giudicante. Questa fase si svolge con il voto di lista e si prevede la possibilità di una preferenza unica oppure duplice a favore di candidati della stessa lista o anche a favore di candidato di altra lista purché in entrambi i casi di genere diverso.
La maggioranza della commissione si è espressa favorevolmente all’adozione di un siffatto sistema elettorale per più motivi: forte innovazione rispetto ai sistemi previgenti, possibilità di candidature libere, recupero in seconda battuta attraverso la aggregazione in liste della condivisione di opzioni culturali. E' però sempre estremamente difficile prevedere le conseguenze di qualsivoglia riforma di un sistema elettorale. Gli effetti concreti nascono infatti da un macchinoso intreccio fra norma e realtà. E non è detto che non possano determinarsi ancora una volta conseguenze impreviste e imprevedibili. Vale la pena ricordare che il collegio unico nazionale, attualmente confermato, era stato introdotto dalla riforma del 1975 e che fu abbandonato dal legislatore del 1990 in favore di quattro collegi territoriali formati mediante sorteggio, proprio con lo scopo di attenuare l’influenza delle correnti. A proposito di sorteggio, questa opzione, come accennato, esce definitivamente perdente dal dibattito. Una prudente lettura dell’art. 104 suscita innegabili dubbi di costituzionalità e l’argomento testuale può essere superato solo con una revisione costituzionale.
L’associazione nazionale magistrati recentemente rinnovatasi dovrà ora fornire il suo contributo di conoscenza e di saggezza sulle riforme. Il rimprovero che si rivolge al sistema delle  correnti è di avere un minimo spento la tensione ideale del confronto culturale per appiattirsi sul bilancino della spartizione delle carriere.

E’ il momento invece di recuperare i migliori valori e di stringerci con assoluta unità di intenti intorno al nostro organo di autogoverno per rafforzarne il compito istituzionale di adempimento ai doveri di garanzia voluti dalla Costituzione.

                      Edoardo Cilenti
consigliere presso la corte di appello di Napoli
componente del CDC dell’Associazione Nazionale Magistrati

 
 
 
 
 
 

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