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TRIBUTARIO

La giustizia tributaria: questa sconosciuta

  Tributario 
 sabato, 30 settembre 2017

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Carlo Maria Grillo, Presidente Commissione Tributaria Provinciale di Roma. Vice presidente Unione Giudici Tributari

 
 


 

Della giustizia civile soprattutto, ma anche di quella penale o amministrativa, ormai il cittadino medio sa molto, e spesso anche per cognizione diretta. Della giustizia tributaria i più ignorano pure l'esistenza. In effetti è figlia di un dio minore, non avendo copertura costituzionale (come invece quelle ordinaria, amministrativa e contabile) ed essendo amministrata attualmente da circa 3.500 giudici part-time, provenienti da varie categorie professionali, pagati 'a cottimo'. E male. Tuttavia la giurisdizione tributaria esplica una duplice funzione di primaria importanza nello Stato di diritto: da una parte, il controllo sul corretto esercizio (e quindi sulla legittimità) della pretesa fiscale nei confronti dei cittadini; dall'altra, la tutela dei loro diritti fondamentali e la prestazione dei servizi essenziali, attività entrambe molto costose e quindi notevolmente rilevanti per il bilancio nazionale, soprattutto in periodi di difficoltà economica come questi. Si ricorda in proposito che, nello scorso anno, la giustizia tributaria nel suo complesso (cioè nei tre gradi di giudizio previsti) è stata investita di controversie riguardanti pretesi crediti erariali per circa 40 miliardi di euro.
E' giustificata quindi l'attenzione dedicata negli ultimi tempi a questa giustizia 'cenerentola' - come è stata provocatoriamente definita in un convegno svoltosi lo scorso anno a Firenze - che tuttavia è fondamentale per le casse dello Stato. In un Paese di 'furbi', dove impera l'elusione se non l'evasione fiscale, sicuramente essenziali sono gli accertamenti degli enti impositori e della Guardia di Finanza per limitarla, ma altrettanto decisiva è la funzione del giudice tributario, sia quale garante del corretto esercizio del potere impositivo dello Stato, sia quale tutore delle legittime pretese erariali, che non possono restare paralizzate da strumentali e dilatorie opposizioni del contribuente. Secondo i dati dell'Agenzia delle Entrate, quasi un 10% degli accertamenti (che sfiorano complessivamente i 700.000 annui) viene contestato dagli interessati, anche se molti di essi si concludono in fase pre-contenziosa con la 'mediazione'.
Più agile e spedita di quella ordinaria, almeno nelle due fasi di merito, la giustizia tributaria è certamente retta da regole processuali meno sofisticate e garantiste, ma forse proprio per questo meno ostruzionistiche e in concreto più efficaci. La peculiarità più saliente della giurisdizione tributaria di merito (secondo me, il valore aggiunto) è la composizione "mista" degli organi giudicanti, affiancandosi, ad un presidente di formazione giuridica generalista, professionalità diverse e più specificamente competenti nelle materie da esaminare. Ogni anno pervengono a questa giurisdizione oltre 250.000 ricorsi, mentre quelli definiti si avvicinano ai 300.000 (con un 40% circa di vittorie del contribuente), facendo registrare quindi una continua erosione della pendenza globale, che si aggira mediamente intorno alle 500.000 cause. Nonostante il volume degli affari trattati e il valore spesso molto rilevante di essi, nonostante che anche il giudice tributario debba essere - come prescrive l'art. 111 della Costituzione - terzo e imparziale, gli organi giudicanti di merito anacronisticamente continuano a denominarsi 'Commissioni Tributarie' (provinciali e regionali), quasi fossero delle propaggini del Ministero delle Finanze, benché siano invece a tutti gli effetti dei veri e propri Tribunali o Corti (di I e II grado) competenti su tale materia specialistica, tanto che le loro sentenze sono ricorribili in Cassazione. Anche sotto il profilo dimensionale molto poco differenzia questi organi giurisdizionali speciali da quelli ordinari. La Commissione Tributaria Provinciale di Roma, ad esempio, conta 54 sezioni, oltre 300 magistrati e un centinaio di funzionari amministrativi; in concreto poco meno del Tribunale di Roma quanto a magistrati, ma con un maggior numero di sezioni.  E ha definito nel 2015 all'incirca ben 30.000 controversie, e di poco inferiori sono quelle decise nel 2016.
Perché allora sarebbe una giustizia deminuta? Soprattutto e innanzitutto per la dipendenza sia burocratico amministrativa che finanziaria dal Ministero delle Finanze (MEF) che - com'è noto - rappresenta la controparte del contribuente nella maggioranza dei processi tributari. Infatti dal MEF dipende direttamente il personale non giudicante delle Commissioni Tributarie (che costituisce le "segreterie" ed è in grado di condizionare in concreto lo svolgimento delle udienze), con un proprio autonomo dirigente all'interno di esse non gerarchicamente subordinato al presidente della Commissione, ed è il MEF che fornisce i mezzi strumentali per il funzionamento degli uffici e che determina e corrisponde i compensi ai giudici tributari. E' sempre per conto del MEF (e dietro sue precise direttive) che è stato ideato e programmato il processo tributario telematico, ora finalmente in vigore, così come solo il MEF dispone del sistema per il monitoraggio e il controllo statistico dell'attività dei giudici tributari e del funzionamento, in generale e in particolare, della Giustizia tributaria. Si consideri che anche la mediazione, recentemente introdotta (nel 2011) con l'art. 17 bis d. l.vo n. 546/1992, deve essere proposta all'organo impositore e da questi in definitiva decisa. Praticamente è una delle parti processuali a finanziare, controllare e in sostanza gestire il sistema, cosa inammissibile in uno Stato di diritto che garantisce costituzionalmente la parità delle parti (citato art. 111, comma 2, Cost.). Un giudice tanto legato all'amministrazione di cui deve valutare i provvedimenti, anche se integerrimo, certamente non ispira fiducia al contribuente. E' vero che esiste un organo di autogoverno anche dei giudici tributari (Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria) - che, quantunque sprovvisto di copertura costituzionale, cerca sempre più di ripercorrere il cammino del CSM - ma lo stesso purtroppo continua a dipendere strettamente, sotto il profilo finanziario e organizzativo, dal MEF con ovvie ripercussioni (e non solo di immagine) sulla sua effettiva autonomia.
Deve poi aggiungersi l'assoluta inadeguatezza del sistema di retribuzione dei magistrati tributari, molto al di sotto anche di tutti gli altri giudici onorari, se rapportato al valore delle cause trattate, in contrasto con le pronunzie della Corte costituzionale e delle Corti comunitarie, secondo cui il giudice deve beneficiare di una remunerazione e di una copertura previdenziale adeguati e garantiti dalla legge, che lo mettano al riparo da ogni indebita influenza. Invece i giudici tributari, considerati i miseri compensi di cui "godono", possono permettersi di esercitare le proprie rilevanti funzioni istituzionali soltanto come secondo lavoro, da svolgere nel tempo libero.
Questi e tanti altri i problemi da affrontare per conferire dignità ad una importante e indispensabile funzione giurisdizionale, tanto che negli ultimi tempi il legislatore, col malcelato intento di elevarne la professionalità e l'affidabilità, ha cercato di irrobustire la presenza c.d. "togata" all'interno della Giustizia tributaria, riservando la nomina a giudice tributario ad un migliaio di giudici provenienti dalle altre magistrature (ordinaria, amministrativa, contabile), a scapito evidentemente della componente "laica", prima assolutamente preminente. Non credo che questa sia la strada giusta, piuttosto che quella di una migliore selezione anche dell'altra componente, ma purtroppo i segnali sono nella direzione di una professionalizzazione sempre crescente del giudice tributario. E infatti poco tempo fa è stata presentata una proposta di legge di iniziativa parlamentare (Ermini ed altri) finalizzata alla soppressione tout court delle Commissioni Tributarie e all'attribuzione al giudice ordinario della relativa materia di competenza. La proposta, approdata alla Commissione Giustizia in sede referente, è stata oggetto di unanimi critiche e dissensi da parte del mondo accademico, del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria, dell'Associazione Nazionale Magistrati e delle due associazioni di categoria dei giudici tributari (A.M.T. e U.G.T.). In sintesi, invece di risolvere i problemi della giustizia tributaria, che con tutti i limiti indicati è comunque - lo si ripete - la giurisdizione che ad oggi funziona meglio, è stato evidenziato come la riforma finirebbe di affossare la giustizia ordinaria, in crisi sempre più profonda, trascinando inoltre nel baratro anche quella tributaria. Per circostanze da considerare favorevoli in quest'ottica, tra cui forse pure gli esiti infausti dell'ultimo referendum, la proposta di legge sembra ora definitivamente accantonata.
Attualmente bollono in pentola, però, molti altri progetti normativi sui quali non è questa la sede per soffermarsi, che - passando attraverso la modifica del processo tributario (ed anche qui a mio avviso bisognerebbe essere cauti, in quanto è quello che per ora funziona meglio) - si propongono di cambiare radicalmente il sistema della Giustizia tributaria vigente, sulla decisa spinta del Presidente della Corte di Cassazione (discorso inaugurale dell' Anno giudiziario 2017) come unico rimedio per fronteggiare la valanga dei ricorsi in materia fiscale che ormai sommergono la Suprema Corte (il 47% del totale), nonché su espliciti inviti e richiami della Ragioneria Generale dello Stato e della stessa Corte Costituzionale (nell'ottobre 2016). Speriamo, e questo è l'auspicio dei giudici tributari, che si approdi finalmente a una riforma della Giustizia tributaria seria, meditata, cauta e approfondita; non che risponda soltanto a esigenze di cambiamento (o peggio di ... rottamazione). 
E per finire un consiglio, che rivolgo prevalentemente ai magistrati ordinari, amministrativi e contabili, dopo 43 anni di giudice tributario. Se ne avete la possibilità, non snobbate la Giustizia tributaria, non evitate questa ulteriore esperienza giurisdizionale, che vi aprirà davvero nuovi orizzonti conoscitivi nel campo del diritto, anche se ovviamente comporta dei sacrifici di studio e applicazione, praticamente senza riscontri economici. Approfondendo la materia, di certo non facile e oscura ai più, avrete lo strumento per capire come funziona (o non funziona) il sistema fiscale italiano, come si muovono gli Enti impositori e accertatori, non sempre in maniera irreprensibile, come ci si può legittimamente difendere da un Fisco ingordo, ma anche quante magagne e artifici giuridici inventano taluni contribuenti per non essere tali e quanti finti poveri e finti ricchi ci circondano. E riuscirete anche a controllare il vostro commercialista senza ricorrere al dogma della fede. Un mondo variegato, insomma, che vale la pena conoscere da un punto di vista privilegiato.

 
 
 
 
 
 

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