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La riforma “ Orlando” : le modifiche al codice penale

  Penale 
 martedì, 20 giugno 2017

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Valentina Sellaroli, sostituto procuratore della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino

 
 

 

 

SOMMARIO: 1- Introduzione 2-   Condotte riparatorie e estinzione del reato. 3-… segue: la previsione dell’offerta reale e la valutazione del danno. 4-La disciplina transitoria. 5-           Gli interventi sul trattamento sanzionatorio. 6- La delega per le riforme al codice penale

 

1-      Introduzione

 

Dopo lunghe discussioni, è stato approvato il 14/06/2017 l’articolo unico del progetto di legge, già approvato in un testo unificato dal Senato, rubricato “Modifiche al codice penale, di procedura penale e all’ordinamento giudiziario”.

La legge si presenta come un momento di peculiare “sviluppo” di un progetto di riforma di amplissima portata, che interviene tra provvedimenti già approvati e altri ancora in divenire.  E’ sufficiente, nel primo caso, al riguardo ricordare i provvedimenti che hanno introdotto istituti quali la messa alla prova o la particolare tenuità del fatto e - in materia sostanziale- le nuove disposizioni in tema di reati in materia di pubblica amministrazione, di autoriciclaggio e di falso in bilancio.  Nel secondo caso, l’attenzione è “concentrata” sulla riforma di istituti centrali nel sistema, come le misure cautelari, senza dimenticare i temi che proprio in forza del decreto in oggetto devono essere sviluppati in forza della delega al Governo: l’ordinamento penitenziario- e soprattutto- le intercettazioni.

Nondimeno, un  ruolo di rilevo nell’impianto generale della riforma riguarda gli interventi, immediati e prospettici, sul codice penale.

In questo senso l’art. 1 della legge, dal comma 1 al comma 20, contiene le modifiche specificamente apportate al codice penale; non si tratta soltanto delle previsioni cui al capo I del precedente progetto  (già rubricato “Estinzione del reato per condotte riparatorie e modifiche ai limiti di pena per i delitti di scambio elettorale politico-mafioso, furto e rapina”) quanto delle nuove disposizioni in tema di prescrizione, originariamente contenute in un autonomo progetto, DDL S1844, poi confluito nel DDL 2067 nell’aprile del 2016. 

Il complesso di modifiche al codice penale prosegue nel perseguire gli obiettivi che parrebbero aver permeato tutte le riforme legislative più recenti.

Da un lato, infatti, sono incrementate le garanzie difensive sotto il profilo della quantità e della potenzialità degli strumenti a disposizione dell'imputato per incidere sul corso del procedimento, favorendo nettamente interventi ed esiti che tuttavia non confliggono - e anzi contribuiscono a perseguire - la durata ragionevole del procedimento, bilanciando il più possibile i vari interessi in gioco. Su altro piano, nella prospettiva di  rafforzare l'efficacia rieducativa della pena e di deflazionare, per quanto ritenuto opportuno e ragionevole, il carico delle fasi finali del procedimento penale, sono previsti strumenti atti a favorire la fuoriuscita dal circuito penale degli imputati per i reati ritenuti meno gravi, attraverso attività riparatorie.

Vengono così ancora una volta mutuati principi o istituti dal processo minorile,  come era già  successo con l'introduzione della messa alla prova prevista nella l. n. 67/2014 e si conferma la netta preferenza del legislatore per una differenziazione tra reati gravi - puniti necessariamente con la reclusione e meritevoli di tutte le fasi e di tutti i gradi di giudizio, in un quadro sempre più arricchito da garanzie difensive tese all'accertamento della verità processuale senza sconti o superficialità - e reati di minore gravità, per i quali è auspicabile una rapida conclusione dell'iter processuale.

Ciò sia per non gravare sui costi della giustizia – i cui sforzi possono così concentrarsi sui reati più gravi - sia per non pregiudicare, oltre il ragionevole e il giusto, quella categoria di imputati che avrebbero tutto l'interesse a uscire dal circuito penale senza conseguenze durature, corrispettivamente fornendo una adeguata riparazione alla persona offesa.

E’ stato, al riguardo, inasprito il trattamento sanzionatorio per alcune ipotesi delittuose ritenute tali da suscitare allarme sociale per la loro gravità oggettiva o per la loro sempre maggiore diffusione e incidenza su ampi strati della cittadinanza, di solito i più indifesi, prevedendosi un aumento della pena edittale ovvero modifiche alla tecnica di bilanciamento di alcune circostanze aggravanti.

 

2-      Condotte riparatorie e estinzione del reato

 

Di grande momento risultano le disposizioni recanti modifiche al codice penale riguarda, anzitutto, la previsione dell’estinzione del reato tramite condotte riparatorie: il comma 1 dell’art. 1 introduce nel codice penale l'art. 162 ter intitolato “Estinzione del reato per condotte riparatorie”.

Il testo della disposizione, come risultante dalle modifiche introdotte dalla commissione sul testo originario del disegno di legge, limita la possibilità di fruire di questa modalità di estinzione del reato  ai reati procedibili a querela di parte, nelle sole ipotesi in cui questa sia rimettibile.

Lo spirito alla base di questo primo blocco di modifiche introdotte dalla commissione sembra chiaro: confermare il favor del legislatore per lo strumento deflattivo e per la composizione di conflitti con profili prevalentemente privati, favorendo da un lato la rapida fuoriuscita dell’imputato dal procedimento penale, dall’altro la soddisfazione delle pretese risarcitorie della vittima, senza tuttavia sminuire la gravità delle conseguenze di quelle condotte che continuano a destare grave allarme sociale, o per la frequenza con cui sono poste in essere, o per la qualità delle vittime solitamente attinte.

Il nuovo art. 162 ter c.p. pare rispondere in parte allo scopo di deflazionare il carico processuale (nelle sue fasi finali) di uffici giudiziari già evidentemente allo stremo sotto il profilo delle risorse umane e finanziarie, a fronte di condotte la cui potenzialità lesiva non è qualificabile come nulla, minima o irrilevante, e connotate da altre caratteristiche specifiche in relazione alla finalità evidentemente preminente dell’istituto: la soddisfazione della pretesa risarcitoria della persona offesa. Resta dunque preclusa la possibilità di applicare a tali ipotesi l'istituto della declaratoria di non punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131 bis c.p. recentemente introdotto dal d.lgs. 28/2015.

Ferma restando dunque l’antigiuridicità, la rilevanza penale e la potenzialità offensiva delle condotte in oggetto, il nuovo istituto dell’estinzione del reato per condotte riparatorie prevede un esito processuale massimamente favorevole per l'imputato: in cambio dell’intera riparazione del danno cagionato dal reato, mediante restituzioni o risarcimento, nonché dell’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, il giudice dichiara estinto il reato. 

Comprensibilmente, è previsto un termine ultimo entro cui poter accedere a questo beneficio: la dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado. Quanto invece al termine iniziale, dal riferimento esplicito alla figura dell’imputato, parrebbe ragionevole che a questo istituto sia plausibile ricorrere sin dall’esercizio dell’azione penale. Tale previsione mira verosimilmente a bilanciare gli effetti premiali dell'istituto con un effettivo risparmio in termini processuali e al tempo stesso a non disincentivare eccessivamente l'accesso a questa soluzione, prevedendo un termine troppo anticipato, tale da lasciare ancora troppe incertezze sul possibile esito del processo. 

Invero, sarebbe irrealistico ritenere che l’imputato possa determinarsi a optare per questa strada, sia pure a fronte dell’indubbio beneficio della possibile estinzione del reato, in una fase in cui ancora il contesto probatorio può essere non chiaro o contraddittorio e a fronte di una reale possibilità che il procedimento sia definito  con una pronuncia di proscioglimento nel merito, oppure laddove possa ancora sperare di godere di altre soluzioni, evidentemente favorevoli e meno “dispendiose”.

Il secondo comma del novello 162 ter c.p. sembra rispondere allo scopo di incentivare il ricorso all'istituto, introducendo una sorta di meccanismo di “recupero” del termine nel caso in cui l’imputato dimostri di non aver potuto riparare integralmente il danno entro il termine di cui al primo comma, per fatto a lui non addebitabile.

In tal caso, il giudice può, su sua richiesta, fissare un termine non superiore a sei mesi perché provveda. Vista la funzione di questa parte della norma- identificabile nel  recupero della fruibilità dell’istituto in un momento successivo a quello individuato come ultimativo dalla disposizione precedente - risponde alla necessità di evitare condotte dilatorie inaccettabili la previsione per cui il processo e il corso della prescrizione sono sospesi.

Restano salve le disposizioni in tema di confisca di cui all'art. 240 c.p. perché, comprensibilmente, l’approccio premiale dell’estinzione del reato, a fronte di una condotta qualificata comunque come penalmente rilevante e come offensiva del bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice, non può travolgere le conseguenze negative che devono permanere nei confronti dei beni oggetto di reato, la cui detenzione è vietata dalla legge o che siano stati strumenti utilizzati per la commissione dello stesso.

 

3-      … segue: la previsione dell’offerta reale e la valutazione del danno

 

La finalità prevalente dell'istituto è, comunque, quella di fornire risposta e ristoro alle persone offese in un sistema processuale nel quale la scansione e lo sviluppo della procedura continua a oltrepassare di gran lunga l’arco temporale nel quale per le vittime di reati è legittimo attendersi una ragionevole riparazione. 

Nota peculiare è che per la prima volta nel sistema penale sembra essere stato introdotto il meccanismo dell'offerta reale, come limite invalicabile oltre il quale non è ipotizzabile la concessione della misura premiale cosi introdotta e, al tempo stesso, quale monito formale alle parti, nel caso in cui sia realistico giungere a una concilia

zione. Viene, cioè, richiesto e garantito un passo concreto e di fatto irrevocabile da parte dell'imputato: le restituzioni o il risarcimento del danno e in più l'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato.

La formulazione della proposizione non sembra lasciare spazio a un’opposizione formale della persona offesa in merito alla congruità dell'offerta di risarcimento e alla conseguenza che, pare, dovutamente il giudice ne dovrà trarre: l'estinzione del reato. Di certo, però, l'accettazione o il rifiuto da parte della vittima del reato, dell'offerta, concreta e adeguata, dell'imputato saranno elementi degni di considerazione da parte del giudice nel valutarne la congruità.

Elemento, questo, certamente critico a fronte dell’eterogeneità dei reati che verranno a essere ricompresi nell'ambito di operatività dell'istituto e quindi dell’estrema variabilità dei danni e dei risarcimenti, sia per natura sia per entità, che dovranno essere oggetto di valutazione da parte dei giudici. Sembra quasi inevitabile prendere in considerazione la possibilità per il giudice di conferire un incarico peritale almeno in alcune circostanze in merito all'entità dei danni da risarcire e alla congruità del detto risarcimento.

Un aspetto problematico della riforma deve essere individuato nell’impossibilità di sovrapporre integralmente il danno in senso penalmente rilevante e il danno risarcibile secondo le categorie civilistiche. Occorre chiedersi, ad esempio, che cosa accada alle pretese risarcitorie civilistiche dipendenti da un fatto reato nel caso in cui il giudice abbia dichiarato l'estinzione del reato in seguito alla ritenuta congruità del risarcimento offerto in sede penale: vi sarà ancora margine per una separata azione civile? E in tal caso, non potrebbe aprirsi la strada a un possibile contrasto di giudicato nel caso in cui la quantificazione del danno risarcibile e del risarcimento congruo siano differenti in sede civile e in sede penale? O non sarebbe più ragionevole in termini di coerenza ed economia procedimentale, ripensare seriamente alle competenze del giudice penale che, cosi spesso e non solo più in materie specialistiche e determinate, dovrà farsi anche giudice civile? E che ruolo potranno e dovranno avere le parti in questo processo di valutazione della congruità del risarcimento?

Infine, occorre chiedersi anche se l'offerta di risarcimento da parte dell’imputato debba avere i caratteri dell'offerta reale ai sensi dell'art. 1208 c.c. – e sul punto la risposta dovrebbe essere positiva, non potendosi altrimenti dedurre la concretezza delle intenzioni riparatorie del reo - e se, in caso di mancato ricevimento del risarcimento da parte della persona offesa, potranno rendersi applicabili tout court i criteri pacificamente richiesti per la mora del creditore.

Considerata la non obbligatorietà del risarcimento "spontaneo" da parte dell’autore del fatto, prima di una condanna di alcun genere, sembra doversi ritenere che, per conseguire gli effetti positivi dell'istituto in oggetto, primo fra tutti l'estinzione del reato,   non dovrebbero essere sufficienti le condotte in teoria idonee a evitare la mora del debitore (e dunque una semplice offerta reale) dovendosi ritenere altresì necessarie anche quelle condotte atte a conseguire l'effetto della liberazione dall'obbligazione, quindi l'offerta reale più il deposito ai sensi degli articoli 1208 e ss. c.c. compresi tutti gli adempimenti di cui agli artt. 1212 c.c. e seguenti (Cass. Civ., Sez. II, n. 25775,  15.11.2013, CED 628360).

Alla luce della natura fondamentalmente dolosa dei reati potenzialmente contemplati dall’art. 162 ter c.p., non paiono trasponibili al caso di specie le considerazioni sull’applicabilità dell'attenuante dell'integrale risarcimento del danno di cui all'art. 62 n. 6 c.p. nei casi di soggetti per i quali terzi, in forza di obblighi contrattuali, o per altre ragioni, intervengano a provvedere alle varie forme di risarcimento o di ripristino. Una circostanza assai frequente nella pratica, in tutti quei casi in cui le imprese stipulano forme di assicurazione dirette a garantire il ristoro di danni arrecati a terzi in occasione delle attività svolte, che sarebbe tuttavia compatibile solo a fronte di reato puniti a titolo di colpa, non potendosi certamente ipotizzare forme assicurative a fronte di fatti dolosi. Potrà essere, al contrario, valutata, la fattispecie dell'estinzione del reato per integrale risarcimento del danno anche per fatti dolosi in caso di risarcimento operato da un privato e non a fronte di un obbligo contrattuale di natura assicurativa, purché la riparazione sia riferibile all’imputato nel senso che questi ne abbia coscienza e mostri la volontà di fare proprio il risarcimento del danno.

 

4-      La disciplina transitoria

 

E’ stata prevista, nella versione definitiva della legge, anche per la disciplina transitoria, la possibilità per il giudice, nei casi sopra elencati, in caso di accoglimento della richiesta, di ordinare la sospensione del processo, fissando la successiva udienza alla scadenza di un termine non superiore a giorni sessanta.

La disciplina transitoria dettata dal comma 2 della legge prevede in effetti l'applicabilità dell'istituto descritto al punto precedente anche ai processi in corso al momento dell'entrata in vigore della nuova normativa, con la possibilità di compiere le condotte riparatorie anche oltre il termine della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado. Anche in tal caso il termine che può essere fissato su richiesta dell'imputato, da presentare alla prima udienza, non potrà essere superiore ai sessanta giorni.

Resta escluso, in ogni caso, il giudizio di legittimità. Scelta questa non obbligata, in considerazione del fatto che ben si sarebbe potuto prevedere che la S.C., in caso di sussistenza dei presupposti ipotetici per l’accesso all’istituto (e di richiesta dell’imputato, forse) disponesse il rinvio al merito per la verifica della congruità del risarcimento e della riparazione e l’applicazione dell’esito premiale. Escludendo questa eventualità, si è forse dato peso preminente alla considerazione che nel tempo intercorso tra il fatto e il giudizio di Cassazione, molte variabili possono essere intervenute e l’interesse della persona offesa al risarcimento e alla riparazione può essere valutato, in proporzione rispetto o al perseguimento degli altri obiettivi general e special preventivi della possibile applicazione della pena ovvero all’interesse dell’imputato a vedere accertata la propria innocenza.

Ciò posto, allo scopo invece di ampliare al massimo l’accesso all’istituto, si prevede che in qualunque momento antecedente all’entrata in vigore della legge di riforma siano intervenuti il risarcimento o le riparazioni, anche oltre la dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il giudice, valutata la congruità, possa dichiarare l’estinzione del reato. Al contempo, l’imputato può chiedere di esservi ammesso alla prima udienza successiva alla data di entrata in vigore della legge in oggetto, ottenendo la fissazione di un termine non superiore a sessanta giorni per provvedere alle restituzioni, al pagamento di quanto dovuto a titolo di risarcimento e all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato.

Nella stessa udienza l'imputato, qualora dimostri di non poter adempiere, per fatto a lui non addebitabile, nel termine di sessanta giorni, può chiedere al giudice la fissazione di un ulteriore termine, non superiore a sei mesi, per provvedere al pagamento, anche in forma rateale, di quanto dovuto a titolo di risarcimento.

La disciplina al riguardo è completata dalla previsione della sospensione del corso della prescrizione durante la sospensione del processo nonché dall’espresso richiamo alla disposizione dell’art.  240, 2° co., c.p., in tema di confisca obbligatoria.

 

5-      Gli interventi sul trattamento sanzionatorio

 

 

Il secondo blocco di disposizioni recanti modifiche al codice penale introduce aumenti di pena per reati ritenuti, per motivazioni diverse, di grave allarme sociale, contemplate dai commi da 5 a 9

Il comma 5 dell’art. 1 introduce modifiche all'art. 416 ter c.p. in materia di scambio elettorale politico mafioso, aumentando la pena attualmente prevista (da quattro a dieci anni di reclusione) e fissandola in pena compresa da sei a dodici anni.

Evidenti le ragioni alla base di questa parte della riforma: la sempre maggiore commistione tra affari, politica e criminalità organizzata, l'esplodere su larga scala della criminalità economica e il suo intreccio con le scelte politiche sia a livello delle amministrazioni locali, sia a livello politico nazionale, rende quasi d'obbligo il segnale che un inasprimento delle pene vuol dare in merito a una condotta non solo dannosa e riprovevole, ma massimamente ripugnante anche perché alla base dei fenomeni di corruzione, sfruttamento delle risorse del territorio e tradimento della fiducia politica dei cittadini. Certamente, l'inasprimento delle pene, al di là delle conseguenze pratiche sui singoli casi, è più che altro un segnale che potrebbe essere raccolto in un particolare contesto politico e sociale.

L'altro ambito di reati per i quali il legislatore della recente novella ha ritenuto necessario intervenire inasprendo le pene è di alcuni principali reati contro il patrimonio: furto, rapina ed estorsione.

Le conseguenze per questi reati sono inasprite anzitutto con un aumento netto delle pene edittali previste. In tema di furto in abitazione e furto con strappo- di cui all’art 624 bis c.p., al primo comma, il minimo passa da uno a tre anni (fermo restando il massimo di anni sei), mentre la multa passa per il minimo da Euro 309 a Euro 927 e il massimo da Euro 1.032 a Euro 1500.

Nel caso di ipotesi aggravate da una delle circostanze previste nel primo comma dell'art. 625 c.p. o da una delle circostanze aggravanti comuni di cui all'art. 61 c.p. il minimo passa da tre a quattro anni (fermo restando il massimo di anni dieci), mentre la multa passa per il minimo da Euro 309 a Euro 927 e il massimo da Euro 1549 a Euro 2000.

Altra disposizione mirante ad aggravare il trattamento sanzionatorio di queste fattispecie attiene alla valutazione delle circostanze attenuanti eventualmente ricorrenti nel caso di specie. E’ stato in effetti previsto che le circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 625 bis, concorrenti con una o più delle circostanze aggravanti di cui all'art. 625, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità della stessa risultante dall'aumento conseguente alle predette circostanze aggravanti. E’ cosi richiamato il meccanismo introdotto già dalla l. n.  94/2009 per quanto riguarda il delitto di rapina. *

Questa disposizione va correlata con quella che aumenta le pene per le fattispecie di furto aggravato previste dall'art. 625 c.p. comma primo, in relazione al limite minimo delle pene edittali portandole da uno a due anni di reclusione e da euro 103 a euro 927 multa. Fermo restando il massimo di anni sei, per la pene pecuniaria si passa da Euro 1.032 a Euro 1.500. 

Un reato che, per gravità edittale e per ricorrenza di commissione, non poteva mancare in questo disegno di riforma legislativa, è quello di rapina. Nella percezione comune così come nelle statistiche giudiziarie quotidiane, i reati cosiddetti predatori sono in gran numero costituiti da impossessamenti commessi con l'uso di violenza o minaccia alla persona. Anche il comma 8, che modifica l'art. 628 c.p., opera su due piani: aumento "netto" delle pene edittali sia per l'ipotesi semplice ( per la quale è prevista attualmente la reclusione da quattro a dieci anni e la multa da Euro 927 a Euro 2.500) sia per l'ipotesi aggravata di cui al terzo comma (elevata con la pena da cinque a venti anni di reclusione e da Euro 1290 a Euro 3098 di multa) e previsione di un diverso meccanismo di operatività in caso di concorso di più di una delle circostanze aggravanti previste dal  terzo comma dell'art. 628 c.p. In questo caso, infatti, come nel caso in cui una delle  circostanze aggravanti di cui al terzo comma dell'art. 628 c.p. concorra con una delle circostanze aggravanti comuni di cui all'art. 61 c.p., la pena per la rapina aggravata è aumentata ulteriormente, arrivando anziché da quattro anni e sei mesi a venti anni, da sei a venti anni, con multa da Euro 1538 a Euro 3098.

Nell’ultima versione del DDL - poi approvata – è stato infine previsto, al comma 9, un aumento della pena massimo della reclusione anche per un altro delitto per il quale vi è  una forte percezione di disvalore, sul piano sociale come nei riflessi mediatici: l’estorsione. Per tale delitto, nell’ipotesi aggravata, la pena già prevista da sei a venti anni deve essere è ora da sette a venti anni.

Doverosa appare una riflessione sulle modalità della riforma apportata dal legislatore sui limiti edittali di pena: nessuna modifica sul massimo previsto, e dunque nessun effetto collaterale in termini di prescrizione o di termini, finali o anche solo di fase, delle misure cautelari. E’ stato aumentato, invece, il minimo edittale, così comprimendo di fatto la discrezionalità del giudicante nella concreta scelta del quantum di pena da applicare. Le ragioni di questa scelta legislativa sembrano da ravvisarsi nell'esigenza di segnare un minimo di afflittività in fattispecie delittuose che, per loro natura e per la casistica ricorrente, possono essere molto variamente circostanziate e, dunque, ricevere trattamenti sanzionatori assai diversi da caso a caso.

La necessità cui il legislatore sembra aver dato cittadinanza appare quella di fissare un minimo che non sia troppo divergente dal massimo sia per rinforzare la tutela di quegli interessi colpiti dalle fattispecie in oggetto, sia per garantire maggior uniformità di pene irrogate per diverse declinazioni della medesima fattispecie penale.

 

6-      La delega per le riforme al codice penale

 

Infine, occorre ricordare che il capo terzo della legge di riforma prevede una delega al Governo destinati alla riforma riforma del regime di procedibilità per taluni reati, alla revisione delle misure di sicurezza e al riordino di alcuni settori del codice penale.

Sotto il primo profilo, il Governo è delegato ad adottare entro il termine di un anno dalla data di entrata in vigore della legge delega, decreti legislativi per la modifica della disciplina del regime di procedibilità per taluni reati, in particolare prevedendo la procedibilità a querela per i reati contro la persona e contro il patrimonio.

Rispetto all’originario impianto della riforma, il testo approvato esprime una logica significativamente differente.  Il principio di fondo è chiaro: quello stesso spirito deflattivo del processo penale, nei casi in cui l'offesa all'interesse protetto dalla fattispecie criminosa, di per sé non gravissimo, sia ritenuto non meritevole di un procedimento penale se non su impulso di parte.

Nel progetto originario, il punto cruciale era identificabile nella definizione di "offesa di modesta entità" al bene protetto, che era ipotizzata quale presupposto per la procedibilità a querela di fattispecie criminose pacificamente ritenute di maggior allarme sociale, se non di maggiore gravità in assoluto quanto a limiti edittali di pena, in quanto recanti offesa alla persona.

Il testo approvato – al comma 16- non contempla più un richiamo all’offesa di modesta entità, in quanto la previsione di procedibilità a querela alla quale dovrà essere data attuazione con la delega ha a oggetto:

-          i reati contro la persona puniti con la sola pena edittale pecuniaria

-          i reati contro la persona puniti con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, fatta eccezione per il delitto di violenza privata di cui all’art. 610 c.p.

-          i reati contro il patrimonio

Sembra chiara la ratio della norma, nell’esigenza di deflazionare e decongestionare il sistema processuale dai fatti che possono costituire prevalentemente "offesa a privati", lasciando appunto ai privati la facoltà di rendere procedibile l'azione penale. La scelta operato con la versione finale del testo di raccordare il contenuto della delega a parametri oggettivi correlati alla pena piuttosto che al richiamo all’entità dell’offesa pare oltremodo opportuno, quantomeno sul piano della chiarezza (oltre che della potenziale estensione) della previsione generale.

Nell’originaria versione del testo il regime della procedibilità a querela trovava un limite di carattere generale in relazione all’esclusione per i reati in danno dei soggetti incapaci per età o per infermità.

Un’esclusione che è stata mantenuta nella delega attuale, che tuttavia prevede, per il mantenimento della procedibilità di ufficio, altre due ipotesi:

-          il fatto, nei reati contro il patrimonio, che il danno arrecato alla persona offesa sia di rilevante gravità. 

-          il fatto che ricorrano circostanze aggravanti a effetto speciale ovvero le circostanze indicate nell’art. 339 c.p.

L’art. 339 c.p., prevede le circostanze aggravanti in relazione ai delitti-  tra l’altro- di violenza, minaccio o resistenza a pubblico ufficiale, con previsione di aumenti di pena ove risulti che la violenza o la minaccia sia “commessa con armi , o da persona travisata, o da più persone riunite, o con scritto anonimo, o in modo simbolico, o valendosi della forza intimidatrice derivante da segrete associazioni, esistenti o supposte”.  Con la riforma , di fatto, la sfera di offensività “qualificata” nei confronti del pubblico ufficiale è così estesa ai privati.

In relazione ai soggetti incapaci per età o infermità, la evidente priorità del legislatore, è quella di evidenziare il maggior grado di offensività  pubblica delle fattispecie nel caso in cui le condotte siano poste non essere a danno di soggetti deboli, essenzialmente sotto il profilo dell’inferiorità e dell’autonomia  psichica. L'esclusione dalle categorie di persone offese per cui il reato resta procedibile d'ufficio, di soggetti solo fisicamente "inferiori", sembra suggerire che insieme a una maggior gravità oggettiva del reato, il legislatore abbia inteso minimizzare il rischio di possibili condizionamenti e pressioni dei soggetti ritenuti deboli in un contesto di condotte di prevaricazione e intimidazione squisitamente psicologica.

Se evidente è lo scopo generale alla base di questa esclusione- considerando la sempre maggior gravità delle offese recate alle persone "deboli" per qualche motivo-  qualche perplessità rimane in merito all’esclusione netta e generale per categorie cosi ampie e al momento in parte indeterminate, della maggiore flessibilità che la procedibilità a querela offre al sistema di torti e rivendicazioni, sebbene penalmente rilevanti, tra privati. Basti pensare che, se nulla fosse specificato in merito, questa clausola di esclusione lascerebbe fuori dalla procedibilità a querela, tutti i reati contro la persona commessi da minorenni nei confronti di minorenni.

Del tutto logiche e condivisibili risultano poi le due ulteriori esclusioni dall’ambito della delega; problematico sarebbe stato conciliare la valutazione negativa generale e astratta di particolare gravità connaturata alle aggravanti a effetto speciale (o alle stesse aggravanti di cui all’art. 339 c.p.) con la procedibilità a querela. 

Qualche dubbio potrebbe porsi in relazione alla previsione della procedibilità di ufficio per il danno patrimoniale di rilevante gravità- trattandosi di valutazione che, in effetti, avrebbe potuto essere lasciata alla persona offesa; in sintonia con la previsione, già contemplata dal sistema, dell’art. 61 n.6 c.p., il legislatore ha evidentemente ritenuto prevalente, rispetto a una “ remissione” della scelta al privato- l’interesse pubblico alla repressione di condotte finalizzata a ottenere profitti illeciti significativi.

Come già ricordato, la versione approvata del DDL non ha modificato il regime del delitto di violenza privata ex art. 610 c.p., che resta così procedibile di ufficio anche nell’ipotesi di cui al comma primo.

Il comma 16, alla lettera b) fornisce infine indicazioni di diritto transitorio. La delega dovrà così prevedere che:

-          per i reati commessi prima dell’entrata in vigore delle disposizioni che saranno emanate in attuazione della stessa, il termine per la presentazione della querela decorrerà dal giorno dell’entrata in vigore, laddove la persona offesa abbia avuto in precedenza notizia del fatto costituente reato

-           ove il procedimento sia pendente, il P.M. o il giudice dovranno informare la persona offesa della facoltà di esercitare il diritto di querela, con decorrenza del termine, pertanto, dal giorno di tale informativa.  

 

 

 
 
 
 
 
 

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