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CIVILE

La tassazione del trust[1]

  Civile 
 venerdì, 2 giugno 2017

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Andrea Venegoni, Magistrato addetto all'Ufficio del Massimario e del Ruolo

 
 

 

1. Introduzione

Il trust è un istituto che ha certamente un utilizzo anche a livello familiare, per restare nell'ambito dell'argomento del gruppo di lavoro; è interessante analizzarne allora la tassazione poiché si tratta di questione che potrebbe rendere conveniente o meno l'utilizzo di tale strumento e condizionarne quindi la stessa esistenza nella pratica.

Il trust è uno strumento di segregazione patrimoniale di derivazione anglosassone fondato su un concetto di “proprietà relativa” o “dual ownership”, finalizzato al raggiungimento delle finalità che il settlor gli ha prescritto di realizzare.

E' stato introdotto nel nostro ordinamento a seguito della ratifica della Convenzione dell’Aja avvenuta con la legge n. 364 del 16 ottobre 1989, entrata in vigore il 1° gennaio 1992. E' un rapporto giuridico che sorge per effetto della stipula di un atto inter vivos o mortis causa, con cui un soggetto, cd. settlor, trasferisce ad un altro soggetto, cd. trustee, beni o diritti con l’obbligo di amministrarli nell’interesse del settlor o di altro soggetto, cd. beneficiary, oppure per il perseguimento di uno scopo determinato, sotto l’eventuale vigilanza di un terzo, cd. protector, secondo le regole dettate dal settlor nell’atto istitutivo di trust e dalla legge regolatrice dello stesso.

Lo stesso concetto è stato espresso dalla Corte di Cassazione in una recente sentenza (sez. V, n. 25480/2015) nel senso che il trust è “un'entità patrimoniale costituita da un insieme di rapporti giuridici istituiti da una persona, il disponente, in rapporto a beni posti sotto il controllo di un trustee nell'interesse di un beneficiario o per un fine determinato” (si noti che il grassetto, come tutti quelli inseriti nelle citazioni delle sentenze, sono di chi scrive ai fini di questo testo e non sono naturalmente originali delle sentenze) .

La pratica ha poi messo in luce una figura particolare di trust, su cui, per i motivi che vedremo, si incentra in realtà essenzialmente il nostro incontro e questa relazione: il trust autodichiarato. Con tale denominazione si intende, invece, quella tipologia di segregazione nella quale il settlor e il trustee coincidono nella stessa persona poiché il trust è istituito dallo stesso settlor che nomina se stesso quale trustee. La questione che si pone è, quindi, se in questo caso, la costituzione del trust determini un trasferimento o si concretizzi nella sola apposizione di un vincolo di destinazione su taluni beni del patrimonio del settlor, i quali, a causa della loro destinazione in trust, dovrebbero essere isolati rispetto al suo restante patrimonio.

L'esperienza evidenzia, comunque, una enorme flessibilità nella creazione dei trust, per cui, anche quando lo stesso si analizza ai fini fiscali, non si può mai prescindere dall'analisi della specifica tipologia che viene in rilievo nel caso di specie. E' difficile, quindi, parlare di “tassazione del trust” in generale, ma occorre sempre riferirsi poi alla specifica tipologia del caso concreto.

Inoltre, per analizzare la tassazione del trust occorre, ovviamente, distinguere a cosa si faccia riferimento.  Un tema, infatti, è stabilire se ed in capo a chi vadano tassati eventuali redditi che i beni in trust producano durante l'esistenza dello stesso, e al riguardo si verte sulla questione della tassazione diretta del trust.

Altro argomento è se e come vada tassato il trasferimento di beni che il trust produce, ed in particolare se all'atto della costituzione del trust o se all'atto del raggiungimento dello scopo, e, ulteriore questione, a quale imposta tale trasferimento sia soggetto.

 

2. Imposizione diretta

 

Ai fini fiscali delle imposte dirette si distinguono, in particolare:

trust trasparenti, nei quali i beneficiari sono individuati come titolari alla percezione dei redditi; in tal caso i redditi sono tassati per trasparenza direttamente in capo ai beneficiari

trust opachi, nei quali i beneficiari non sono individuati; in tal caso i redditi sono tassati in capo al trust.

La finanziaria 2007 ha introdotto nel nostro ordinamento tra i soggetti passivi IRES anche i trusts. In particolare, l’articolo 1, commi da 74 a 76 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007) ha introdotto per la prima volta nell’ordinamento tributario nazionale disposizioni in materia di trust. Nello specifico, il suddetto comma 74 dell’articolo 1, modificando l’articolo 73 del testo unico delle imposte sui redditi (dpR 22 dicembre 1986, n. 917), include i trust tra i soggetti passivi dell’imposta sul reddito delle società (IRES). In tal modo è stata riconosciuta al trust un’autonoma soggettività tributaria rilevante ai fini dell’imposta tipica delle società, degli enti commerciali e non commerciali.

L'art. 73 comma 1 lett. b) TUIR prevede infatti oggi come soggetti passivi dell'imposta “gli enti pubblici e privati diversi dalle societa', nonche' i trust, residenti nel territorio dello Stato, che hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attivita' commerciali”; la lett. c) contempla “gli enti pubblici e privati diversi dalle societa', i trust che non hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attivita' commerciale nonche' gli organismi di investimento collettivo del risparmio, residenti nel territorio dello Stato” e la lett. d) “le societa' e gli enti di ogni tipo, compresi i trust, con o senza personalita' giuridica, non residenti nel territorio dello Stato”.

L’introduzione operata, pur essendo solo un punto di partenza, rappresenta un riconoscimento formale dell’istituto in grado di esplicare effetti in ogni aspetto del nostro diritto tributario (dichiarazione, accertamento, riscossione) non solo in ambito TUIR.

Questo processo comporta che regola generale di tassazione è l’imponibilità in capo al trust salvo poi – al verificarsi di determinate circostanze – imputare e tassare in capo ai beneficiari (del reddito) quanto dal trustee è loro dovuto.

Ai sensi del comma 2 dell'art. 73 TUIR “nei casi in cui i beneficiari del trust siano individuati, i redditi conseguiti dal trust sono imputati in ogni caso ai beneficiari in proporzione alla quota di partecipazione individuata nell' atto di costituzione del trust o in altri documenti successivi ovvero, in mancanza, in parti uguali”.

I redditi imputati al beneficiario sono stati qualificati come redditi di capitale, con l’inserimento della lettera g-sexies) al comma 1 dell’articolo 44 del TUIR.

 

3. Ulteriori aspetti di tassazione del trust

Un momento rilevante ai fini della tassazione del trust è, però, prima ancora di quello della tassazione degli eventuali profitti ai fini delle imposte dirette, quello della tassazione  del trasferimento dei beni che esso comporta; viene in rilievo, in particolare, la questione se e quale tassazione possa realizzarsi già al momento della sua costituzione. In tema, l'art. 6 del decreto legge 3 ottobre 2006, n. 262 aveva previsto l’applicazione dell’imposta di registro sulla costituzione dei vincoli di destinazione sui beni e diritti, ma la legge di conversione 24 novembre 2006 n. 286, senza convertire la disposizione dell’art. 6 del decreto, ha invece assoggettato la costituzione dei vincoli di destinazione sui beni e diritti all’imposta sulle successioni e donazioni, posto che nel trust si ha un conferimento di beni dal settlor al trustee.

La giurisprudenza, anche della Cassazione, si è concentrata in questi anni più frequentemente su tale ultimo aspetto della tassazione: questo è avvenuto, in particolare, dopo la modifica apportata al decreto legge 262 del 2006 dalla legge di conversione sopra menzionata che ha reintrodotto l'imposta sulle successioni e donazioni; questo perchè l'art. 2, comma 47, della legge 24 novembre 2006, n. 286, ha reintrodotto l’imposta sulle successioni e donazioni su: i) i trasferimenti di beni e diritti per causa di morte; ii) i trasferimenti per donazione o a titolo gratuito; e iii) la costituzione di vincoli di destinazione.

In particolare, poi, negli anni più recenti la Corte si è occupata di una particolare tipologia di trust, alla quale si è fatto riferimento in precedenza: quella del trust autodichiarato, cioè quello dove le figure del settlor (disponente) e trustee (gestore) coincidono, con particolare riferimento proprio alla tassazione della costituzione dello stesso.

 

3.1. L'orientamento della Cassazione nel 2015

Nel 2015 la Suprema Corte di è occupata della disciplina introdotta dal suddetto art 2 comma 47 legge n. 262 del 2006 con alcune ordinanze, in particolare sez. VI, n. 3735, 3737, 3886, 5332 del 2015. Tali provvedimenti si riferiscono, quindi, a trust costituiti nel vigore della nuova normativa, oggetto del presente testo.

E' necessario premettere che ciascuna di queste riguardava fattispecie diverse tra loro:

l’ordinanza n. 3735/2015 considera il caso di un trust auto dichiarato, in funzione di garanzia, istituito per “rafforzare la generica garanzia patrimoniale già prestata, nella qualità di fideiussore, in favore di alcuni istituti bancari”. L’atto istitutivo prevedeva che, al raggiungimento dello scopo principale, il fondo sarebbe stato destinato al soddisfacimento dei bisogni della famiglia del disponente e, al termine del trust, l’eventuale residuo sarebbe stato attribuito al disponente, se in vita, oppure ai legittimi eredi.

Anche il trust esaminato nella ordinanza n. 3886/2015 era auto dichiarato, costituito da due coniugi in funzione dell’“applicazione di un regolamento equiparabile ad un fondo patrimoniale”; beneficiari erano indicati gli stessi disponenti, se in vita, altrimenti i figli in parti uguali.

L’ordinanza n. 3737/2015 riguarda, invece, una fattispecie di trust, costituito da una serie di enti, con provvista di denaro da parte di uno di questi, avente lo scopo di procedere alla manutenzione, alla riqualificazione ed allo sviluppo di un aeroporto. L’atto istitutivo prevedeva che, al termine del trust, eventuali beni residui sarebbero stati devoluti ad uno degli enti partecipanti oppure ad altro ente o società pubblica individuato dai disponenti. In tutti i casi, l’Agenzia delle Entrate aveva applicato l’imposta sulle successioni

Ai fini di questo incontro, concentreremo la nostra attenzione in particolare sull'ordinanza n. 3886, che riguarda un trust all'interno di una famiglia, e considera che la legge del 2006 avrebbe introdotto una nuova imposta sui vincoli di destinazione, che non presuppone trasferimento di beni, soggetta a imposta donazioni e successioni nell'aliquota massima dell'8%

Nella specie, un notaio aveva rogato un atto costitutivo di un trust, in cui comparivano come disponenti due coniugi, che indicavano se stessi altresì come beneficiari, se in vita, altrimenti i figli in parti uguali e, sul presupposto della mancanza di attualità di trasferimento di diritti al momento della costituzione del trust, aveva applicato in maniera fissa le imposte di registro, ipotecaria e catastale. L'Agenzia delle entrate aveva notificato al notaio, in quanto coobbligato, un avviso di liquidazione, col quale recuperava, per quanto d'interesse, le imposte ipotecaria e catastale in misura proporzionale nonché l'imposta sulle successioni e donazioni con l'aliquota dell'8%.
La Commissione tributaria provinciale accoglieva il ricorso proposto dal notaio e quella regionale respingeva l'appello dell'ufficio, considerando, per un verso, che il trust è atto neutro e, per altro verso, che i suoi beneficiari sono titolari di una posizione qualificabile come aspettativa giuridica.
L'Agenzia ricorreva dunque in cassazione lamentando la violazione e falsa applicazione del
D.L. n. 262 del 2006, art. 2, commi 47, 48 e 49, convertito dalla L. n. 286 del 2006, in combinazione con gli artt. 9 ed 11, della parte I della tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986.  L'Agenzia sosteneva che il trust in questione, realizzando una destinazione giuridicamente vincolante dei beni per la soddisfazione del fine ivi specificato, dovesse essere assoggettato all'imposta sulle successioni e donazioni con l'aliquota dell'8%, mentre le imposte ipotecaria e catastale andassero applicate in misura proporzionale, giacché la mancanza del requisito dell'onerosità non è sufficiente a ritenere l'atto privo di contenuto patrimoniale. 
La Corte di Cassazione afferma, in primo luogo, che il regolamento del caso di specie, benché sia denominato trust, non ne ha la fisionomia: ne manca, difatti, uno dei tratti tipologicamente caratteristici, ossia il trasferimento a terzi da parte del settlor dei beni costituiti in trust, al fine del conseguimento dell'effetto, con carattere reale, di destinazione del bene alla soddisfazione dell'interesse programmato. Si deve, infatti, ritenere che nella specie i coniugi disponenti fossero anche “trustees” oltre che eventuali beneficiari.
Afferma, infatti, la Corte che conferendo beni in trust, il disponente mira a modificare il risultato finale del negozio esterno di attribuzione patrimoniale, mediante l'obbligo assunto dal trustee d'imprimere a quanto trasferito la destinazione finale voluta.
Conformemente alla definizione di trust, allora (in base all'art. 2 della Convenzione dell'Aja del 1 luglio 1985, ratificata con 
L. 16 ottobre 1989, n. 364, secondo cui per trust "si intendono i rapporti 
giuridici istituiti... qualora dei beni siano posti sotto il controllo di un trustee nell'interesse del beneficiario"), la causa del relativo negozio sta nella conformazione funzionalmente orientata della proprietà. 
La Corte ricorda di avere in precedenza (Cass. 9 maggio 2014, n. 
10105) ritenuto che, in base all'art. 2 della Convenzione, lo scopo caratteristico del trust, identificato con quello di costituire una separazione patrimoniale in vista del soddisfacimento di un interesse del beneficiario o del perseguimento di un fine dato, è conseguito mediante la separazione dei beni dal restante patrimonio del disponente e la loro intestazione ad altro soggetto, parimenti in modo separato dal patrimonio di quest'ultimo. 
Presupposto coessenziale alla stessa natura dell'istituto è che il detto disponente perda la disponibilità di quanto abbia conferito in trust, al di là di determinati poteri che possano competergli in base alle norme costitutive. Tale condizione è ineludibile al punto che, ove risulti che la perdita del controllo dei beni da parte del disponente sia solo apparente, il trust è nullo (sham trust) e non produce l'effetto segregativo che gli è proprio" (Cass. pen., sez. 5^, 30 marzo 2011, n. 13276, Orsi; conforme, sez, 6^, 27 febbraio 2014, n. 21621, Soc. Fravesa). Difatti, l'art. 2, comma 2, lett. b), della Convenzione espressamente dispone che "i beni in trust sono intestati al trustee o ad un altro soggetto per conto del trustee"; e che il trust postuli l'alienazione dei beni del disponente emerge chiaramente dall'art. 2, comma 3, a norma del quale "il fatto che il disponente conservi alcuni diritti e facoltà o che il trustee abbia alcuni diritti in qualità di beneficiario non è necessariamente incompatibile con l'esistenza di un trust": il diritto convenzionale, dunque, ammette, in astratto, che possano residuare in capo al settlor "alcuni diritti e facoltà", postulando, in concreto, che il trustee o l'altro soggetto per conto di questo siano terzi rispetto al disponente.

Ritiene poi che dall'art 2 comma 47 della legge 286 del 2006 si deduca che l'imposta sulle successioni e donazioni è istituita anche direttamente, ed in sè, sulla costituzione dei vincoli, sancendo che l'imposta sulla costituzione di vincolo di destinazione è un'imposta nuova, accomunata solo per assonanza alla gratuità delle attribuzioni liberali, altrimenti gratuite e successorie; essa riceve disciplina mediante un rinvio, di natura recettizio - materiale, alle disposizioni del decreto legislativo 346/90 (in quanto compatibili: 
D.L. n. 262 del 2006, art. 2, comma 50, come convertito), ma conserva connotati peculiari e disomogenei rispetto a quelli dell'imposta classica sulle successioni e sulle donazioni. 
Nell'imposta in esame, afferma la Corte, a differenza che in quella tradizionale, il presupposto impositivo è correlato alla predisposizione del programma di funzionalizzazione del diritto al perseguimento degli obiettivi voluti; là dove l'oggetto consiste nel valore dell'utilità della quale il disponente, stabilendo che sia sottratta all'ordinario esercizio delle proprie facoltà proprietarie, finisce con l'impoverirsi. 
Se questa imposta abbisognasse del trasferimento e, quindi, dell'arricchimento, essa sarebbe del tutto superflua, risultando sufficiente quella classica sulle successioni e sulle donazioni, nelle quali il presupposto d'imposta è, giustappunto, il trasferimento, quantunque condizionato o a termine, dell'utilità economica ad un beneficiario: si prospetterebbe, in definitiva, l'interpretatio abrogans della disposizione in questione.   Ritiene anche che il legislatore, evocando soltanto l'effetto, ha inequivocabilmente attratto nell'area applicativa della norma tutti i regolamenti capaci di produrlo. 
Tra questi, annovera anche gli atti di destinazione contemplati dall'
art. 2645 ter c.c[2]., che, sebbene sia precipuamente volto a disciplinare la pubblicità dell'effetto destinatorio e gli effetti - specialmente di opponibilità ai terzi - da questa derivanti, finisce col delineare un atto con effetto tipico, reale, perché inerente alla qualità del bene che ne è oggetto, sia pure con contenuto atipico purché rispondente ad interessi meritevoli di tutela, assurgendo per questo verso a norma sulla fattispecie.
Ritiene, in conclusione, che questa sia la situazione che ricorre nella fattispecie in esame, in cui non si è prodotto effetto traslativo alcuno, ma in cui i disponenti, nel regolamentare i propri interessi con effetti assimilabili a quelli di un fondo patrimoniale, hanno impresso, come effetto immediato e diretto, vincoli temporanei al libero esercizio dei propri stessi diritti sui beni immobili in oggetto. L'effetto immediato e diretto della previsione del vincolo di destinazione si è prodotto nella sfera giuridica dei coniugi disponenti, che sono rimasti proprietari dei beni e che in virtù del vincolo su di essi impresso sono riusciti a conseguire gli effetti voluti.
Di qui, afferma la Corte, la ricorrenza, oltre che del presupposto impositivo, anche della qualità di soggetti passivi in capo ai coniugi (e del notaio quale coobbligato solidale) non soltanto dell'imposta sulle successioni e donazioni, ma anche ipotecaria e catastale, in misura proporzionale, come stabilito, rispettivamente, dall'art. 2, comma 2, e dal 
D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 347, art. 10.

In relazione all'aliquota applicabile, la Corte ritiene che la misura dell'8% prevista dal comma 49, lett. c), della medesima norma sia determinata dalla sua natura residuale, non rientrando la figura dei conferenti, che seguitano ad essere proprietari dei beni, in alcuna delle altre categorie previste dalla norma, che godono di aliquota inferiore.

Emerge dall'esame della fattispecie, quindi, che il trust in questione doveva trattarsi di un trust autodichiarato, in cui i coniugi non erano solo disponenti ed eventualmente beneficiari, ma anche gestori (trustees), e, tuttavia, la Corte non sembra riconoscere a questo istituto la natura del trust, atteso che non si verifica un trasferimento della proprietà dei beni in capo ad un soggetto diverso dal disponente.

Forse, quindi, a rigore, non si dovrebbe neppure affermare che nel provvedimento in questione la Corte ha ritenuto il relativo trust assoggettato alla misura proporzionale con aliquota massima delle imposte indirette rilevanti, poiché la stessa Corte ha chiarito che tale regolamento doveva considerarsi “trust” solo quanto alla denominazione formale, senza averne però le caratteristiche, essendo più assimilabile ad un fondo patrimoniale.

Il ragionamento della Corte sembra quindi incentrarsi, in questa ordinanza, su due elementi: a) il regolamento con cui il disponente destina alcuni beni del proprio patrimonio ad una determinata finalità nominando sé stesso gestore degli stessi al fine di consentire il raggiungimento dello scopo in favore del beneficiario non è, in realtà, un trust, perchè non realizza alcun autentico trasferimento della proprietà sui beni, ma una figura assimilabile ad istituti di segregazione di beni, quale il fondo patrimoniale; b) la legge 286 del 2006 ha introdotto una nuova ed autonoma imposta rispetto a quella di successione e donazione, e cioè l'imposta sui vincoli di indisponibilità, la quale prescinde dal trasferimento dei beni, per cui un atto come quello in questione è pienamente assoggettabile a tale nuova imposta in misura proporzionale.

Sulla validità di determinate modalità di trust autodichiarato, ed in particolare di quelle dove lo stesso è usato quale mero strumento elusivo, con interposizione meramente fittizia di un soggetto, cosicchè il controllo e la effettiva titolarità dei beni rimane, in realtà, sempre in capo al disponente, si è espressa la stessa Agenzia delle Entrate in alcune circolari[3]. Peraltro, non sembrano questi i motivi per cui la Cassazione nella suddetta ordinanza non ha riconosciuto all'istituto posto in essere nella specie la natura di trust; del resto, ritenere che il trust autodichiarato sia, in generale ed in assoluto, un mero strumento elusivo sarebbe andare oltre la natura stessa dell'istituto.

L'orientamento espresso dalla Corte in questa ordinanza, comunque, ha suscitato, come era naturale, molteplici commenti in dottrina, attesa l'innovatività di alcune conclusioni che esso manifesta e le conseguenze estremamente severe che ne sono derivate. Esso è stato confermato da alcune successive sentenze della Corte, quali sez. VI, n. 4482/2016.

Tuttavia, su un argomento così relativamente “nuovo” e complesso, era difficile immaginare che la parola della Cassazione del 2015 fosse quella definitiva in materia.

 

3.2. La sentenza n. 21614 del 2016

Così, in effetti, appena un anno dopo, nel 2016, la Corte è tornata sulla questione con una pronuncia di segno diverso: Cass., sez. V, n. 21614 del 2016 muta indirizzo e ritiene che il trust autodichiarato debba scontare l'imposta in misura fissa e non proporzionale

Nella specie, si trattava ancora di un trust autodichiarato in cui nei gradi di merito, era stata stabilita l'assoggettabilità ad imposta fissa. L'Ufficio ricorreva allora in cassazione e deduceva che con il già citato art. 2, comma 47 ss., d.l. 3 ottobre 2006 n. 262, convertito. con modificazioni, nella I. 24 novembre 2006 n. 286 era stata «reintrodotta nell'ordinamento giuridico l'imposta sulle successioni e donazioni estendendone l'ambito di applicazione alla costituzione di vincoli di destinazione», ai quali doveva ricondursi anche la costituzione del trust “autodichiarato” oggetto di controversia atteso che con lo stesso erano stati conferiti beni a titolo gratuito “al trustee da immettere in trust” con efficacia «segregante», così come in effetti previsto dall'art. 2, comma 47 ss., dl. n. 262 cit. che espressamente assoggettava all'imposta sulle successioni e donazioni ex d.lgs. 31 ottobre 1990 n. 346 gli atti di costituzione dei «vincoli di destinazione», con la conseguenza che la CTR avrebbe errato a ritenere che anche in considerazione del carattere «autodichiarato» del trust in questione gli immobili e le quote conferiti nello stesso non erano stati realmente trasferiti in quanto rimasti nella sostanza nella gestione del disponente trustee e con l'ulteriore errata illazione secondo cui le imposte ipotecaria e catastale avrebbero dovuto essere assolte in misura fissa e non proporzionale.

La Corte ritiene il motivo di ricorso infondato. Premette che quanto prospettato dall'Ufficio segue in buona sostanza il contenuto della circ. n. 48/E del 6 agosto 2007 - nonché quello della circ. n. 3/E del 22 gennaio 2008 - che nel loro «combinato disposto» sono nel senso di affermare che gli «effetti segreganti» del trust o meno danno luogo ad un trasferimento dei beni conferiti che deve assoggettarsi a tassazione secondo le regole di cui alla reintrodotta legge sulle successioni e donazioni ex d.lgs. 31 ottobre 1999 n. 346. E ciò, secondo l'Amministrazione, in ragione dell'art. 2, comma 47 ss., d.l. n. 262 cit. che prevede «l'istituzione» dell'imposta sulle successioni e sulle donazioni anche «sulla costituzione dei vincoli di destinazione» e nei quali si afferma debbono farsi pacificamente rientrare anche i trust «autodichiarati» o no. Tanto è vero che in assenza di conferimento di beni sono le stesse circolari n. 48/E e n. 3/E cit. a dire che il trust debba scontare soltanto l'imposta di registro in misura fissa atteso che in questo caso è mancante qualsiasi trasferimento di ricchezza, con la conseguenza che l'atto di costituzione del trust non accompagnato da alcun conferimento non andrebbe assoggettato all'imposta di successione e donazione proprio perché quest'ultima non è un'imposta d'atto e bensì un'imposta che tassa il trasferimento di ricchezza liberale. Analizza poi le posizioni assunte nel 2015 dalle numerose ordinanze, cui si è fatto sopra riferimento, in cui la Corte era giunta a diverse più radicali conclusioni - appunto disattendendo l'idea dell'Amministrazione appena veduta secondo cui in mancanza di conferimento di beni l'atto di costituzione di trust “autodichiarato” o meno non dovrebbe essere assoggettato all'imposta sulle successioni e donazioni ex d.lgs. n. 346 cit. per la ragione che in ipotesi nessuna ricchezza potrebbe dirsi trasferita - ritenendo invece che l'art. 2, comma 47 ss., d.l. n. 262 cit. abbia istituito un'autonoma generale imposta «sulla costituzione dei vincoli di indisponibilità» la cui disciplina sarebbe stata indicata per relationem nelle regole contenute nel d.lgs. n. 346 cit. «concernenti l'imposta sulle successioni e donazioni». Sarebbe, afferma la Corte nella sentenza 21614 interpretando le ordinanze del 2015, in thesi un tributo che perciò prescinderebbe dal trasferimento di ricchezza discendente dal conferimento di beni e che per tal motivo troverebbe il suo presupposto impositivo nella semplice costituzione di “vincoli di indisponibilità” incluso il trust.

Quindi la sentenza espone la propria considerazione sulla natura del trust autodichiarato nel senso che “come invero già evidenziato da questa Corte il tipo di trust «autodichiarato» pervenuto all'esame costituisce una forma di donazione indiretta, nel senso che per suo mezzo il disponente provvederà a beneficiare i suoi discendenti non direttamente e bensì a mezzo del trustee in esecuzione di un diverso programma negoziale (Cass. sez. trib. n. 25478/2015.). Ed invero la costituzione del trust - come è normale che avvenga per «i vincoli di destinazione» - produce soltanto efficacia «segregante» i beni eventualmente in esso conferiti e questo sia perché degli stessi il trustee non è proprietario bensì amministratore e sia perché i ridetti beni non possono che essere trasferiti ai beneficiari in esecuzione del programma negoziale stabilito per la donazione indiretta

L'appena veduta osservazione è fondamentale perché consente di comprendere l'inconsistenza della censura denunciata dall'Ufficio che - pur riconoscendo anche nelle sue circolari che quella applicabile al trust è l'imposta sulle donazioni e sulle successioni che ha come presupposto l'arricchimento patrimoniale a titolo di liberalità, tanto che la stessa non può applicarsi se il trust è stato costituito senza conferimento, scontando in questo caso soltanto l'imposta fissa di registro - sostiene l'erroneo convincimento che il conferimento di beni nel trust dia luogo a un reale trasferimento imponibile. Un reale trasferimento che è invece all'evidenza impossibile perché del tutto contrario al programma negoziale di donazione indiretta per cui è stato predisposto e che - come si ripete - prevede la temporanea preservazione del patrimonio a mezzo della sua «segregazione» fino al trasferimento vero e proprio a favore dei beneficiari. Per l'applicazione dell'imposta sulle successione e sulle donazioni manca quindi il presupposto impositivo della liberalità alla quale può dar luogo soltanto un reale arricchimento mediante un reale trasferimento di beni e diritti (art. 1 d.lgs. n. 346 cit.).

Dopo avere affermato, quindi, che nel trust autodichiarato non vi è trasferimento di beni, la sentenza, per individuare il regime di tassazione, compie la propria interpretazione delle norme rilevanti, anche in questo caso in raffronto a quanto affermato dalla stessa Corte nel 2015 come sopra riportato:

Nemmeno - come anticipato - può condividersi l'interpretazione letterale dell'art. 2, comma 47 ss., d.l. n. 262 cit. adottata dalle rammentate ordinanze di questa Corte sez. VI al cui avviso sarebbe stata istituita un'autonoma imposta «sulla costituzione dei vincoli di destinazione» disciplinata mercé il rinvio alle regole contenute nel d.lgs. n. 346 cit. e avente come presupposto la loro mera costituzione. In verità neanche il dato letterale autorizza una tale conclusione, giacché ex art. 12, comma 1, prel. «il significato proprio delle parole secondo la connessione di esse» è proprio invece nel diverso senso che l'unica imposta espressamente istituita è stata la reintrodotta imposta sulle successioni e sulle donazioni alla quale per ulteriore espressa disposizione debbono andare anche assoggettati i «vincoli di destinazione», con la scontata conseguenza che il presupposto dell'imposta rimane quello stabilito dall'art. 1 d.lgs. n. 346 cit. del reale trasferimento di beni o diritti e quindi del reale arricchimento dei beneficiari. Quella che in verità emerge chiara dall'art. 2, comma 47 ss., dl. n. 262 cit. è la preoccupazione - nei più esatti termini di cui all'art. 12, comma 1, prel. sarebbe «l'intenzione del legislatore» - di evitare che un'interpretazione restrittiva della istituita nuova legge sulle successioni e donazioni disciplinata mediante richiamo al già abrogato d.lgs. n. 346 cit. potesse dar luogo a nessuna imposizione anche in caso di reale trasferimento di beni e diritti ai beneficiari quando lo stesso fosse stato collocato all'interno di una fattispecie tutto sommato di «recente» introduzione come quella dei «vincoli di destinazione» e quindi per niente affatto presa in diretta considerazione dal ridetto “vecchio” d.lgs. n. 346 cit. Questa sembra essere l'interpretazione non solo logicamente più corretta, ma anche quella che appare essere l'unica costituzionalmente orientata. E ciò atteso che l'art. 53 Cost. non pare poter tollerare un'imposta, a meno che non sia un'imposta semplicemente d'atto come per l'essenziale è per es. quella di registro, senza relazione alcuna con un'idonea capacità contributiva.

Conclude, così, sancendo in maniera formale il seguente principio di diritto: «L'istituzione di un trust cosiddetto "autodichiarato", con conferimento di immobili e partecipazioni sociali, con durata predeterminata o fino alla morte del disponente-trustee, con beneficiari i discendenti di quest'ultimo, deve scontare l'imposta ipotecaria e quella catastale in misura fissa e non proporzionale, perché la fattispecie si inquadra in quella di una donazione indiretta cui è funzionale la "segregazione" quale effetto naturale del vincolo di destinazione, una "segregazione" da cui non deriva quindi alcun reale trasferimento di beni e arricchimento di persone, trasferimento e arricchimento che dovrà invece realizzarsi a favore dei beneficiari, i quali saranno perciò nel caso successivamente tenuti al pagamento dell'imposta in misura proporzionale».

In questa sentenza espressione di un diverso orientamento rispetto alle conclusioni della Corte nelle ordinanze del 2015, in realtà, vi è un punto in comune con queste ultime: in entrambi i casi, infatti, la cassazione ritiene che il trust autodichiarato non comporti un vero trasferimento dei diritti reali (di proprietà o altro) sui beni in capo al trustee.

Diversa è però la conclusione: nel 2015 la Corte affermava che, per questo motivo, tale tipo di regolamento non è un trust, ma è più assimilabile ad istituti di separazione patrimoniale quale il fondo patrimoniale. Tuttavia, sul presupposto che la nuova normativa non richieda come presupposto per la tassazione il trasferimento dei beni, ma solo la costituzione del vincolo di indisponibilità, riteneva - di conseguenza – che un tale regolamento fosse pienamente assoggettabile a tale “nuova” imposta in misura proporzionale.

Nel 2016 la Corte afferma, invece, prima di tutto, che il mancato trasferimento dei beni non fa venire meno la natura di trust al regolamento. Inoltre, posto che la normativa del  2006 non ha affatto creato una “nuova” imposta sui vincoli che prescinde dal trasferimento della proprietà sui beni - ma la stessa ha solamente reintrodotto l'imposta di successione e donazione, che presuppone tale trasferimento -, e posto che il trust autodichiarato non realizza il trasferimento di proprietà, essendo assimilabile ad una donazione indiretta, al momento della sua costituzione esso non può essere assoggettato alla imposta proporzionale sulle successioni e donazioni, mancandone i presupposti.

Sarà, a questo punto, interessante vedere gli ulteriori sviluppi di tali interpretazioni e quali saranno le prossime pronunce della Corte, inclusa, eventualmente, una possibile rimessione della questione alle Sezioni Unite.

 

 

4. Trust in favore di disabili di cui alla legge 112/2016 (Dopo di noi)

 

Una delle normative più specifiche sul trust è, poi, stata introdotta nel nostro ordinamento molto di recente. Si tratta, in realtà, di una normativa che non contiene alcuna definizione del trust, ma menziona l'istituto al fine di uno specifico trattamento fiscale, ed in particolare delle agevolazioni quando il trust è costituito in favore di determinate categorie di soggetti, coloro che  sono affetti da forme di disabilita' grave come definita dall'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104. E' la legge  22 giugno 2016, n. 112, nota nel linguaggio giornalistico ed atecnico con cui è stata presentata ai cittadini come “legge sul “dopo di noi”. Si tratta, indubbiamente, di strumento legislativo dalla finalità sociale importantissima. Esso, come detto, non contiene una definizione di trust né lo disciplina. Per conseguire il proprio obiettivo, che è quello di stabilire delle esenzioni fiscali, tuttavia contiene, nell'art. 6, alcune affermazioni che, dopo avere esaminato i suddetti provvedimenti della Cassazione, possono fornire una ulteriore chiave di lettura non solo degli stessi, ma anche, probabilmente di come, proprio alla luce del dibattito emergente da tale giurisprudenza, abbia voluto posizionarsi il legislatore rispetto all'istituto del trust, anche autodichiarato.

Nel comma 1 del suddetto art. 1 il legislatore sembra volere distinguere nettamente tra “trust”, “creazione di vincoli di destinazione di cui all'art. 2645-ter c.c.” e “fondi speciali”, salvo poi accomunarli in tutta la disciplina delle condizioni ai fini di ottenere le agevolazioni, probabilmente andando anche oltre la disciplina delle fattispecie perchè, per esempio, il comma 3 lett. c) fa riferimento, anche per l'istituto dell'art. 2645-ter c.c. alla necessità di individuare, nell'atto costitutivo, “gli obblighi del fiduciario con riguardo al progetto di vita e agli obiettivi di benessere che lo stesso deve promuovere in favore delle persone con disabilita' grave”, elemento che, onestamente, non sembra comparire nella formulazione della norma che ha introdotto tale figura nel nostro codice civile, dove si fa generico riferimento alla destinazione dei beni “ad interessi meritevoli di tutela”.

E' comunque, ai nostri fini, interessante notare che l'esenzione è stabilita in rapporto alla “imposta sulle successioni e donazioni prevista dall'articolo 2, commi da 47 a 49, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286, e successive modificazioni”, senza alcuna menzione della ravvisata imposta sui vincoli patrimoniali sopra menzionata. Se tale omissione sia il segno che il legislatore ha voluto chiarire che, in realtà, tale imposta – ravvisata dalla Cassazione nelle ordinanze del 2015 – non è stata creata come imposta autonoma, ma che la stessa fa parte della sola imposta re-istituita, cioè quella sulle donazioni e successioni, o meno, è materia per future analisi sul punto. Naturalmente tale dizione dovrebbe riferirsi a qualunque tipo di trust, e quindi anche a quelli autodichiarati, atteso che la norma non contiene alcuna distinzione al riguardo.

Altri interessanti spunti sono di recente emersi in materia di imposte dirette a proposito dei trust auto dichiarati secondo la legge 112/2016. Secondo quanto riportato anche in fonti di informazione aperte[4], l'Agenzia delle Entrate, nella risposta all’interpello 954-909-2016, la prima in assoluto riferita a un trust istituito in base all’articolo 6 della legge 112/2016 sul «Dopo di noi», ha affermato che il trust autodichiarato istituito dal genitore a favore del proprio figlio affetto da disabilità grave è fiscalmente operativo. Quindi la tassazione ai fini delle imposte dirette ricade sul trust e non sulle persone fisiche (disponente-beneficiario). Questo, in termini pratici, comporta un prelievo più leggero in virtù dell'assoggettamento all’Ires da parte del trust (27,5% e dal 1° gennaio 2017 al 24%) piuttosto che alla tassazione progressiva Irpef da parte della persona fisica.

 

 

 

 



[1] Scuola Superiore della Magistratura, Il giudice civile e il giudice tributario: l’analisi delle fattispecie comuni sotto le due diverse prospettive. La tassazione del trust, gruppo di lavoro 9 maggio 2017

[2]Non è questa la sede per una analisi della differenza tra il trust e la figura di cui all'art. 2645-ter c.c., introdotta nel nostro ordinamento nel 2006; sul punto si veda, tra gli altri, B. FRANCESCHINI, Atti di destinazione (art. 2645-ter c.c.) e trust

[3]Agenzia Entrate, circolari n. 43/E del 10 ottobre 2009 e n. 61/E del 27 dicembre 2010

[4]G. SEPIO, Trust al figlio disabile: prelievo ridotto, in Il Sole 24 Ore, 29 marzo 2017

 

 
 
 
 
 
 

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