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CIVILE

L’ASCOLTO DEL MINORE NELLE CONTROVERSIE CIVILI CHE LO RIGUARDANO: EVOLUZIONE NORMATIVA E GIURISPRUDENZIALE, SOLUZIONI APPLICATIVE

  Civile 
 lunedì, 16 novembre 2015

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Dott.ssa Caterina MANGANO
Presidente Sezione del Tribunale di Messina

 
 

-1- § FONTI SOVRANAZIONALI E PRINCIPI CODICISTICI

Il tema dell’ascolto del minore è disciplinato da una pluralità di fonti normative, che non possono essere trascurate ai fini di una compiuta disamina atteso che,  a prescindere dall’applicabilità diretta di alcune tra dette norme, esse rappresentano un significativo strumento interpretativo della normativa nazionale nei casi in cui si presenti lacunosa o di non agevole lettura.
Si tratta di un sistema di normazione connotato da una “particolare attenzione ai diritti delle persone”, in cui il diritto viene indirizzato verso “soluzioni miti, comprensive di tutte le ragioni che possono rivendicare buoni principi a loro favore” (1) .
Come è stato efficacemente sintetizzato, si tratta di un “diritto mite” (2)  cioè di un diritto che pensa che “le persone sostenute da adeguati richiami etici possano rendersi protagoniste attive di una visione antropologica positiva della società civile”.
Rileva, in primo luogo, l’art. 12 della Convenzione ONU  sui diritti del fanciullo di New Jork del 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge del 27 maggio 1991 n. 176 secondo cui “Gli Stati Parti garantiscono al fanciullo capace di discernimento il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa, le opinioni del fanciullo essendo debitamente prese in considerazione tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità. A tal fine, si darà, in particolare, al fanciullo la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente, sia tramite un rappresentante o un organo appropriato, in maniera compatibile con le regole di procedura della legislazione nazionale” .
La valenza meramente programmatica attribuita originariamente a detta previsione sovranazionale è stata superata quando la necessità dell’ascolto è diventata diritto vivente a seguito del pronunciamento contenuto in Corte Costituzionale 16 gennaio 2002 n. 1 (3).
La Convenzione dell’Aja del 29 maggio 1993, in materia di adozione internazionale, ratificata in Italia  con legge del 31 dicembre 1998 n. 476, prevede all’art. 4, che le adozioni previste dalla Convenzione possano avere luogo soltanto se le autorità competenti dello Stato d’origine abbiano acquisito assicurazione del fatto che il minore, tenuto conto della sua età e della sua maturità, sia stato informato sulle conseguenze dell’adozione e del suo consenso all’adozione, se richiesto, siano stati presi in considerazione i suoi desideri e le sue opinioni e che il suo consenso sia stato prestato liberamente (4).
L’ art. 3 della Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996, ratificata in Italia con legge del 20 marzo 2003 n. 77, ha previsto il “Diritto del fanciullo di essere informato e di esprimere la propria opinione nelle procedure” (5).
La Convenzione dei diritti del fanciullo, stipulata a New York il 6 settembre 2000, ratificata in Italia con legge n. 46/2002, richiamata nella Carta di Noto ha previsto l’adozione di procedure che tengano conto dei particolari bisogni dei bambini, in particolare quando assunti nelle vesti di testimoni nell’ambito del processo penale, disponendo che gli Stati parti adottino le misure necessarie per proteggere i diritti e gli interessi dei bambini vittime di pratiche di vendita, prostituzione e pornografia (6).
Secondo l’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (c.d. Carta di Nizza) del 18 dicembre 2000, pubblicata nella G.U.C.E 2000/C 364/01: “I bambini hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere. Essi possono esprimere liberamente la propria opinione; questa viene presa in considerazione sulle questioni che li riguardano in funzione della loro età e della loro maturità”. La carta, nel codificare il diritto del fanciullo  di esprimere liberamente la propria opinione,  riafferma  solennemente anche il principio della obbligatorietà dell’ascolto del minore (7).
Il Trattato UE (nella versione consolidata dopo l’approvazione del Trattato di Lisbona del 7 dicembre 2007, pubbl. in G.U.U.E 09.05.2009 C 115),  dopo avere affermato tra gli scopi dell’Unione la tutela dei diritti del minore, all’art. 3 riconosce, facendo propri, i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea attribuendo ad essa  lo stesso valore giuridico dei trattati (8).
Il Reg. CEE n. 2201/2003, indica l’ascolto del minore come condizione per il riconoscimento, in ambito sovranazionale, di un provvedimento giudiziario che lo riguardi nell’ambito del procedimenti inerenti la responsabilità genitoriale, con l’eccezione rappresentata dalla impossibilità di procedere all’ascolto a motivo dell’urgenza della decisione o della inopportunità dell’audizione in ragione dell’età e del grado di maturità del minore stesso.
Il Comitato ONU sui diritti dell’infanzia, nel Commento generale n. 12, Il Diritto del Bambino e dell’adolescente di essere ascoltato, ha chiarito che l’ascolto costituisce un diritto e non un obbligo della persona minore di età e che è obbligo dello Stato far rispettare tale diritto, consentendo al minore di esprimere le sue opinioni, libere da pressioni e consapevolmente formate per avere ricevuto tutte le informazioni necessarie in ogni questioni che comunque riguardi la sua sfera di diritti e in cui la sua prospettiva possa migliorare la qualità delle soluzioni. Nelle conclusioni, il Comitato ONU precisa altresì che l’impegno per la realizzazione del diritto all’ascolto delle persone minori di età è un chiaro ed immediato obbligo legale  previsto dalla Convenzione per gli Stati parti.
Le Linee Guida sulla Giustizia Minorile del Consiglio d’Europa del 17 novembre 2010 (9), confermano il principio di necessità dell’ascolto della persona minore, di attribuzione alle sue opinioni della giusta rilevanza, di assicurazione al minore della necessaria libertà di espressione che presuppone la sua piena informazione.
Nonostante il valore programmatico di tale documento, la Commissione Europea ha previsto tra gli obiettivi della sua azione proprio la promozione ed il recepimento delle anzidette linee guida nelle legislazioni degli Stati Europei.
Le sollecitazioni provenienti dalla fonti sopranazionali hanno conseguito ampio riscontro nella legislazione interna.
Invero, diverse previsioni inerenti singole fattispecie civilistiche, preesistenti all’introduzione dell’istituto dell’ascolto della persona minore di età nell’ambito di procedimenti in materia di famiglia (avutasi, come sopra ricordato, ad opera dell’art. 12 della legge 176/1991 di ratifica  della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo del 1989)  fanno riferimento a vario titolo all’ascolto del minore, senza introdurre una disciplina completa ed omogenea dell’atto processuale in parola (10).
Se gli artt. 4 comma 8 e 6 comma 9 della legge sul divorzio, nel testo risultante dalla riforma del 1987, prevedevano che il Presidente del Tribunale provvedesse all’audizione dei figli minori solo qualora fosse “strettamente necessario anche in considerazione della loro età”, la legge del 28 marzo 2001 n. 149, di riforma dell’adozione, ha disposto che, nelle procedure di affidamento familiare, di adottabilità e di adozione, il bambino di età superiore a dodici anni o anche di età inferiore se capace di sufficiente discernimento, debba essere ascoltato per esprimere il proprio orientamento in relazione alle decisioni che riguardano il suo affidamento ed il suo futuro.
La normativa da ultimo menzionata ha innovato profondamente la legge  sull’adozione n. 184/1983, prevedendo che il minore venga sempre sentito (11).  Infatti, la norma previgente prevedeva che fosse sentito il minore dodicenne o anche di età inferiore “se opportuno” solo nella fase iniziale di avvio dell’affido consensuale mentre la legge n. 149/2001 prevede che il minore che abbia compiuto gli anni 14, anche nel corso della procedura, non possa essere adottato “se non presta personalmente il proprio consenso”. Inoltre se l’adottando ha compiuto gli anni 12 “deve esser personalmente sentito”; se ha un’età inferiore deve essere sentito in considerazione della sua capacità di discernimento.
Le nuove previsioni operano nei procedimenti in cui il Tribunale confermi, modifichi o revochi i provvedimenti urgenti assunti ai sensi del IV comma  dell’art. 10, nell’ambito dell’affidamento preadottivo (in relazione al quale è previsto la manifestazione di un consenso espresso da parte del quattordicenne) (art.22), nell’ambito del procedimento inerente la revoca dell’affidamento preadottivo (art. 23) e con riferimento alla dichiarazione di adozione (art. 25) anche ove trattasi di adozioni speciali (art. 44).
La legge dell’8 febbraio 2006 n. 54, di seguito, conferiva piena attuazione alle indicazioni delle convenzioni internazionali laddove prevedeva la necessità dell’ascolto del minore: veniva infatti inserito nel codice civile l’ormai abrogato art. 155 sexies che, dopo avere previsto la possibilità per il giudice di assumere, anche d’ufficio mezzi di prova,  prescriveva di disporre l’audizione del minore che avesse compiuto i dodici anni  e anche di età inferiore ove capace di discernimento anche nelle procedure di separazione coniugale, di divorzio e di affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio.
La  formulazione della norma, letta alla luce dei principi normativi sopranazionali intanto affermatisi, conduceva già la dottrina ad affermare l’obbligatorietà dell’ascolto del minore quale attività che non costituisce un mezzo di prova (12).
l diritto del minore all’ascolto era qualificato come “fondamentale ed eventuale”, ritenendosi che il giudice dovesse procedervi quando rilevasse nei genitori una conflittualità tale da doversi presumere che essa inficiasse la capacità di rappresentare in modo corretto la posizione dei figli.
L’iniziativa normativa che ha finalmente condotto alla codificazione del “diritto all’ascolto” del figlio minore è rappresentata dalle “Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali” contenute nella legge 1 gennaio 2012 n. 219:  introducendo l’art. 315 bis c.c. (Diritti e doveri del figlio), è stato previsto che “il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano”.
La norma sancisce un vero e proprio diritto del minore ad essere ascoltato, che – come osservato da attenta dottrina- rappresenta una situazione giuridica soggettiva che travalica il piano del mero interesse semplice e che non si confonde con l’interesse pubblico alla tutela della relazioni familiari.
Andando oltre la funzione propria di equiparare completamente i figli nati nel matrimonio a quelli nati fuori dal matrimonio, ridisegna l’audizione del minore, modificando anche la terminologia inerente l’incombente processuale in parola: non più “audizione”, quasi si trattasse di un dichiarante riconducibile alla figura del testimone o dell’informatore, ma “ascolto”, proprio a significare che il bambino non è chiamato per verificare la veridicità di un fatto che è in contestazione ma ascoltato per consentire al giudice di comprendere i suoi reali interessi o il suo disagio.
Si tratta di una disposizione  che, recependo  i principi fissati dalla normativa internazionale,  impone l’obbligatorietà dell’ascolto, senza eccezioni di sorta, una volta riscontrata la capacità di discernimento del minore.
Che l’intenzione del legislatore sia stata quella, attraverso il mutamento di terminologia, di evidenziare l’effettiva ratio del coinvolgimento del minore nei processi che lo riguardano è confermato dall’analogo riferimento terminologico adoperato dal  d.lgs lgt. del 7 febbraio 2014 n. 154, che, introducendo l’art. 336 bis c.c.,  contempla una disciplina unitaria anche se non esaustiva dell’ascolto del minore in tutte le procedure idonee ad incidere i suoi interessi, prevedendo che “Il minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento, è ascoltato dal Presidente del Tribunale o dal giudice delegato nell'ambito dei procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che lo riguardano. Se l'ascolto è in contrasto con l'interesse del minore, o manifestamente superfluo, il giudice non procede all'adempimento, dandone atto con provvedimento motivato. L'ascolto è condotto dal giudice, anche avvalendosi di esperti o di altri ausiliari. I genitori, anche quando parti processuali del procedimento, i difensori delle parti, il curatore speciale del minore, se già nominato, ed il Pubblico ministero sono ammessi a partecipare all'ascolto se autorizzati dal giudice, al quale possono proporre argomenti e temi di approfondimento prima dell'inizio dell'adempimento. Prima di procedere all'ascolto, il giudice informa il minore della natura del procedimento e degli effetti dell'ascolto. Dell'adempimento è redatto processo verbale nel quale è descritto il contegno del minore, ovvero è effettuata registrazione audio video”  .
Quanto ai procedimenti di separazione personale dei coniugi, divorzio, cessazione degli effetti civili, annullamento e nullità del matrimonio ed a quelli relativi ai figli nati fuori dal matrimonio, l’art. 337 octies, comma 1 c.c.(nel cui più ampio testo è confluito il contenuto dell’abrogato art. 155 sexies c.p.c.), stabilisce che “Prima dell'emanazione, anche in via provvisoria, dei provvedimenti di cui all'articolo 337-ter, il giudice può assumere, ad istanza di parte o d'ufficio, mezzi di prova. Il giudice dispone, inoltre, l'ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento. Nei procedimenti in cui si omologa o si prende atto di un accordo dei genitori, relativo alle condizioni di affidamento dei figli, il giudice non procede all'ascolto se in contrasto con l'interesse del minore o manifestamente superfluo.
Le due disposizioni codicistiche da ultimo menzionate, mentre generalizzano la centralità dell’ascolto del  minore nei procedimenti che lo riguardano -sancendo in maniera inequivoca l’importanza di tale atto processuale per comprendere il ruolo che il minore assume  nel suo contesto di vita, riconoscendogli l’opportunità di fare ascoltare i suoi bisogni e le sue aspirazioni e di dare spazio alle sue esigenze e emozioni-  sembrano affievolire quella obbligatorietà dell’ascolto del minore che la legge n, 219 del 2012 aveva imposto,  lasciando ampia discrezionalità al magistrato di disporre o meno l’ascolto ovvero di mettere o meno in esecuzione il diritto all’ascolto: è infatti prevista la non procedibilità all’ascolto se in contrasto con l’interesse del minore o se ritenuto superfluo.

-§-2 I CONTRIBUTI GIURISPRUDENZIALI DI  LEGITTIMITA’ E DI MERITO.

Nonostante il recepimento delle convenzioni di New York e di Strasburgo, rimaneva diffusa una certa resistenza da parte dei Tribunali nel coinvolgimento dei minori nell’ambito delle procedure che li riguardano.
Detta diffidenza veniva contrastata dalla pronuncia interpretativa di rigetto della Corte Costituzionale del 30 gennaio 2002: nell’ambito dei procedimenti ablativi o modificativi della potestà genitoriale, con riferimento al tema dell’audizione del solo genitore contro cui è richiesto il provvedimento e non anche dell’altro genitore, è stata dichiarata infondata la questione di costituzionalità “in quanto muove da un presupposto interpretativo erroneo”, posto che il sistema normativo prevede già che nei procedimenti in esame debbano essere sentiti entrambi i genitori, come si desume dall’art. 9 c.II della Convenzione di New York del 20 novembre 1989 che integra sul punto il disposto dell’art. 336 II c. c.c.
Secondo la Corte, la mancata convocazione dell’altro genitore costituirebbe una violazione di legge relativa ad una fondamentale regola di rispetto del contraddittorio, cui dovrebbe fare seguito la nullità del provvedimento emesso all’esito del procedimento. La stessa soluzione deve valere per la questione dell’omessa previsione, a pena di nullità, dell’audizione del minore, ultradodicenne o di età inferiore se opportuno in quanto la prescrizione contenuta nell’art. 12 della Convenzione citata, ormai entrata nell’ordinamento, è idonea ad integrare la disciplina dell’art. 336 II comma ove necessario, nel senso di attribuire al minore la qualità di “parte” del procedimento con la necessità del contraddittorio nei suoi confronti, se del caso previa nomina di un curatore speciale.
Se  l’audizione del minore costituisce un diritto che non deve essere disatteso se non in presenza di indizi gravi, è altrettanto importante- per la Corte- attribuire una adeguata valutazione alla volontà del dichiarante.
Di contro, le sentenze n. 19544/2003, n.15145/2003 e n. 8481/2007 della Corte di Cassazione, emesse con riferimento al procedimento previsto dalla legge n. 64 del 1994 di ratifica ed esecuzione della Convenzione dell’Aja in tema di illecita sottrazione di minori, sancivano il principio della “mera opportunità” dell’ascolto del minore che andava disposto solo “se possibile”,  secondo il prudente apprezzamento del giudice, avuto riguardo al carattere urgente e meramente ripristinatorio della situazione quo ante proprio del procedimento nell’ambito del quale il predetto atto processuale avrebbe dovuto essere inserito (13)
via ricognizione dei precedenti orientamenti, di seguito,  il Supremo Collegio  a Sezioni Unite,  con la sentenza del 21 ottobre 2009 n. 22238, aveva affermato il valore fondamentale del principio dell'ascolto del minore, quale sancito nelle Convenzioni di New York del 1989 sui diritti del fanciullo, art. 12, riferito ad "ogni procedura giudiziaria o amministrativa" in quella di Strasburgo del 1996, art. 6, nell'art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, e recepito, quindi, nell'art. 155 sexies c.c., introdotto con la L. 8 febbraio 2006, n. 54 (14).
L'omessa audizione del minore in quanto “parte sostanziale” e portatore di interessi contrapposti ai genitori, costituisce violazione dei principi regolatori del giusto processo e dà luogo a nullità, salvo i casi in cui risulti contraria al superiore interesse del minore o difetti il requisito del discernimento, elementi che in ogni caso devono essere valutati con obbligo di relativa motivazione.
A seguito dell’intervento delle Sezioni Unite,  la sentenza n. 17201 dell’11 agosto 2011, modificando l’orientamento precedente, ha affermato non più solo l’opportunità, ma la necessità dell’audizione del minore anche nei procedimenti in materia di sottrazione internazionale: secondo la Suprema Corte, proprio nel procedimento per il mancato illecito rientro nella propria residenza abituale, come espressamente previsto dall’art. 11 comma 2 del Reg. CE 2201/2003, l’audizione del minore è divenuta adempimento necessario, per cui deve essere espletato, salvo che possa arrecare danno al minore. Per il Giudice di Legittimità, pur non essendo l’opinione del minore vincolante ai fini della decisione, costituisce elemento di rilevanza cognitiva, che consente al giudice di acquisire significativi elementi di conoscenza.
Il principio da ultimo enunciato era già stato espresso, peraltro,  con la sentenza n. 7282 del 2010, secondo cui l’audizione del minore non è un atto istruttorio ma riflette una nuova considerazione del minore portatore di bisogni e di interessi che, se consapevolmente espressi, pur non vincolando il giudice, non possono essere da lui ignorati e che lo obbligano ad ascoltarlo nella misura consentita dalla sua capacità di autodeterminarsi.
Secondo Cass. n. 13241 del 2011, tale prioritario rilievo non determina l'obbligo del giudice di conformarsi alle indicazioni del minore in ordine al modo di condurre la propria esistenza, potendo la valutazione complessiva del suo superiore interesse indurre il giudicante a discostarsi da esse. E' tuttavia, ineludibile una puntuale giustificazione della decisione assunta in contrasto con le dichiarazioni del minore sia sotto il profilo della capacità effettiva di discernimento anche in correlazione con l'intensità del conflitto genitoriale e la sua influenza o condizionamento della volontà espressa nell'audizione, sia sotto il profilo del richiamato preminente interesse.
Per Cass. 10 giugno 2011 n. 12739, l’ascolto del minore non rappresenta una testimonianza o un altro atto istruttorio bensì un momento formale del procedimento deputato a raccogliere le opinioni ed i bisogni rappresentati dal minore, sicchè deve svolgersi in modo tale da garantire l’esercizio effettivo del diritto del minore di esprimere liberamente la propria opinione e questo anche ascoltandolo da solo e vietando l’interlocuzione con i genitori e i loro difensori.
Sulla stessa linea, Cass. 26 gennaio 2011 n. 1838 afferma che non costituisce violazione del contraddittorio il mancato avviso dell’udienza fissata per l’ascolto del minore, considerato che la scelta del giudice di sentire il bambino senza la presenza dei difensori della altre parti è del tutto discrezionale.
Circa le conseguenze dell’omesso, ingiustificato, ascolto del minore ultradodicenne e anche del minore di età inferiore se capace di discernimento,  Cass. 27 gennaio 2012 n. 1251 ha chiarito che si determina una nullità, deducibile con l’appello.
Di seguito, Cass. 19202 del 2014 ha precisato che l'audizione è "una caratteristica strutturale del procedimento, diretta ad accertare le circostanze rilevanti al fine di determinare quale sia l'interesse del minore ed a raccoglierne opinioni e bisogni in merito alla vicenda in cui è coinvolto".
L'iniziale qualificazione giuridica dell'ascolto come un elemento necessario dell'istruzione probatoria nei procedimenti riguardanti i minori è stata ritenuta del tutto riduttiva al fine di comprendere la natura e la funzione dell'adempimento. L'ascolto costituisce- secondo i giudici di legittimità-  una modalità, tra le più rilevanti, di riconoscimento del diritto fondamentale del minore ad essere informato ed esprimere la propria opinione e le proprie opzioni nei procedimenti che lo riguardano, rappresentando tale peculiare forma di partecipazione del minore alle decisioni che lo investono uno degli strumenti di maggiore incisività al fine del conseguimento dell'interesse del medesimo.
Da ultimo, a seguito delle anzidette riforme codicistiche, è costante l’insegnamento di cui è espressione Cassazione 9 giugno 2015 n. 11890, adottata in tema di dichiarazione dello stato di adottabilità,   secondo cui “l'audizione dei minori, già prevista nell'art. 12 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20.11.1989, è divenuta un adempimento necessario nelle procedure giudiziarie che li riguardino, ai sensi dell'art. 6 della Convenzione di Strasburgo del 25.1.1996, ratificata con la L. n. 77 del 2003, nonchè degli artt. 315 bis (introdotto dalla L. n. 219 del 2012), 336 bis e 337 octies c.c., (inseriti dal D.Lgs. n. 154 del 2013, che ha altresì abrogato l'art. 155 sexies c.c.). Ne consegue che - anche in tema di dichiarazione dello stato di adottabilità - l'ascolto del minore di almeno dodici anni, e anche di età minore ove capace di discernimento, costituisce una modalità, tra le più rilevanti, di riconoscimento del suo diritto fondamentale ad essere informato e ad esprimere le proprie opinioni nei procedimenti che lo riguardano, nonchè elemento di primaria importanza nella valutazione del suo interesse (cfr. ex plurimis, Cass. 11687/2013; 19202/2014; 6129/2015). Con la conseguenza che, una volta disposta tale audizione anche in grado di appello, il giudice del gravame non può prescindere dal tenere conto delle relative risultanze (Cass. 19202/2014).
Anche per Cassazione 26 marzo 2015 n. 6129, il principio deve essere affermato con riferimento al procedimento in tema di affidamento ai genitori.
In tema di sottrazione internazionale di minore previsto dalla legge 15 gennaio 1994, n. 64 (di ratifica della Convenzione dell'Aja del 25 ottobre 1980), la sentenza del 31 marzo 2014 n. 7479, ha affermato che …. l'ascolto del minore costituisce adempimento necessario ai sensi dell'art. 315 bis cod. civ., introdotto dalla legge 10 dicembre 2012, n. 219, senza che osti, in senso contrario, la mancata previsione normativa dell'obbligatorietà desumibile dall'art. 7, comma 3, della menzionata legge, potendo essere espletato secondo le modalità stabilite dal giudice, anche da soggetti diversi da esso, in quanto finalizzato, ex art. 13, comma 2, della citata convenzione, anche alla valutazione della eventuale opposizione del minore al ritorno, salva solo la preventiva valutazione dell'esistenza di ragioni di eventuale dannosità e contrarietà all'interesse del minore (da indicarsi esplicitamente) che ne sconsiglino il ricorso, anche in considerazione del carattere urgente del procedimento. Ne consegue che l'omesso adempimento o l'omessa motivazione sulla sua assenza costituiscono lesione del diritto al contraddittorio, da far valere in sede d'impugnazione nei limiti e secondo le regole fissate dall'art. 161 cod. proc. Civ” (15).
Ancora, nell’ambito di una controversia relativa al regime di affidamento e di visita del minore, la Corte di Cassazione, con sentenza del 31 marzo 2014 n. 7478, ha affermato che… l’'art. 336, ultimo comma, cod. civ., che prevede la nomina di un difensore del minore, si applica soltanto ai provvedimenti limitativi ed eliminativi della potestà genitoriale ove vi sia un concreto profilo di conflitto di interessi tra genitori e minore, e non anche alle controversie relative al regime di affidamento e di visita del minore, figlio di una coppia che ha deciso di cessare la propria comunione di vita, nelle quali la partecipazione del minore si esprime, ove ne ricorrano le condizioni di legge e nel perseguimento del suo superiore interesse, mediante l' ascolto dello stesso, che integra un adempimento già previsto dall'art. 155 sexies cod. civ., divenuto necessario ai sensi dell'art. 315 bis cod. civ., introdotto dalla legge 10 dicembre 2012, n. 219, in tutte le questioni e procedure che lo riguardano, in attuazione dell'art. 12 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo.
Con la sentenza n. 5097 del 5 marzo 2014, pronunciando nell’ambito di un procedimento finalizzato all’accertamento del diritto del minore di mantenere rapporti significativi con gli ascendenti ed i parenti del genitore scomparso, il Supremo Collegio ha avuto modo di affermare che  …. In tale procedimento il minore assume la qualità di parte e, in quanto tale, come affermato anche dall'art. 315 bis cod. civ., introdotto dalla legge 10 dicembre 2012, n. 219, ha diritto di essere ascoltato, purché abbia compiuto gli anni dodici, ovvero, sebbene di età inferiore, sia comunque capace di discernimento, cosicché la sua audizione non può - anche nel caso in cui il giudice disponga, secondo il suo prudente apprezzamento, che l'audizione avvenga a mezzo di consulenza tecnica - in alcun modo rappresentare una restrizione della sua libertà personale ma costituisce, al contrario, un'espansione del diritto alla partecipazione nel procedimento che lo riguarda, quale momento formale deputato a raccogliere le sue opinioni ed i suoi effettivi bisogni.
In tema di revisione delle condizioni di separazione, Cassazione del 15 maggio 2013 n. 11687, ha precisato che …l'audizione dei minori, già prevista nell'art. 12 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, è divenuta un adempimento necessario nelle procedure giudiziarie che li riguardino ed, in particolare, in quelle relative al loro affidamento ai genitori, ai sensi dell'art. 6 della Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996, ratificata con la legge n. 77 del 2003, e dell'art. 155-sexies cod. civ., introdotto dalla legge n. 54 del 2006. Ne consegue che tale adempimento è necessario anche nei procedimenti di revisione delle condizioni di separazione dei coniugi, senza che possa ritenersi sufficiente, a tale scopo, che  minore sia stato interpellato o esaminato da soggetti (nella specie, assistenti sociali) le cui relazioni siano state successivamente acquisite al fascicolo processuale, dovendo il giudice, ove non ritenga di procedere all'audizione diretta, avvalersi di esperti investiti da specifica delega.
Fermi i rilevanti principi da ultimo indicati con fermezza dal Giudice di Legittimità con riguardo alla centralità dell’ascolto nelle procedure riguardanti i minori ed alla ratio di tale atto processuale, anche la giurisprudenza di merito, ordinaria e minorile, ha avuto un ruolo di fondamentale importanza nel delineare i caratteri dell’istituto, con particolare riferimento ai casi di superfluità dell’audizione o di contrarietà al superiore interesse del minore.
Il Tribunale per i Minorenni di  Milano, con provvedimento reso in data  9 dicembre 2010 (16), premesso che , di regola, i minori infradodicenni non hanno adeguata, proficua apacità di discernimento e non possono fornire un valido, attendibile contributo per la soluzione dei problemi che li riguardano in seno ai giudizi sui loro rapporti con i genitori e con i soggetti che li hanno in cura, ha affermato che i giudici possono, con adeguata, esauriente motivazione necessaria, escludere dall'ascolto i minori anche di età superiore, qualora la partecipazione di essi al procedimento possa arrecare loro un danno non irrilevante, ovvero qualora essi non vogliano essere ascoltati, ovvero, ancora, qualora sia dubbio, comunque, il vantaggio che, in termini di elementi conoscitivi e di percezione del loro coinvolgimento nel procedimento, possa derivare dal loro ascolto, tanto più quando il procedimento ha da essere, nel loro interesse, celere; al riguardo, vanno tenute presenti le necessità di crescita che i minori dimostrino e la tempistica dell'età evolutiva.
Il Tribunale per i  Minorenni di  Triste con provvedimento reso in data 14 dicembre 2011 (17) ha affermato a chiare lettere che l’ascolto del minore inerisce ad un preciso diritto di cui i genitori non possono disporre, trattandosi di un diritto del terzo: solo il minore, supportato da un curatore speciale, può rinunciare a tale diritto.
Il medesimo Ufficio, ha tuttavia di seguito chiarito che il predetto principio può esser derogato ove, per via dell’accordo dei genitori che non si ponga in contrasto con principi di diritto inderogabili, l’ascolto del minore possa condurre ad un turbamento della serenità del minore, sicchè l’audizione si pone in contrasto con il loro superiore interesse (18).
Il Tribunale di Modena, con provvedimento del 25 marzo 2015 (19), in tema di modifica delle condizioni di separazione, ha affermato la manifesta superfluità dell’ascolto della prole minorenne ai sensi dell’art. 336 bis c.c. in una fattispecie in cui la domanda di ampliamento del diritto di visita paterno era compatibile con il contenuto dei patti per separazione e non era stato contestata dalla madre (20).
Nell’ambito di una controversia concernente la regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra due coniugi, la Corte d’Appello di Catania, con sentenza del 17 aprile 2015 (21), ha spiegato le ragioni del rigetto dell’istanza di audizione delle figlie proposta nel corso del processo, ragionando sul potenziale pregiudizio per il minore rappresentato da un eventuale ascolto finalizzato alla acquisizione di elementi volti a dirimere gli aspetti economici della controversia  pendente tra i genitori (22).
La Corte d’Appello di Milano, con sentenza del 21 febbraio 2011, ha disposto che in caso di controversia sulle modalità di affidamento di un figlio infradodicenne, il giudice adito per l’adozione dei provvedimenti opportuni non è tenuto a procedere all’audizione del minore stesso anche quando questa venga richiesta da uno dei genitori le volte in cui risulti, indipendentemente dall’accertamento della capacità di discernimento del figlio stesso, che questi aveva chiaramente manifestato la propria volontà di non essere coinvolto nella vicenda che lo riguarda, atteso che un tale atto istruttorio rischia di essere inutile ai fini della decisione ed in contrasto con l’interesse del minore.

-§-3 SOLUZIONI APPLICATIVE CONDIVISE RELATIVE ALL’ASCOLTO DEL MINORE NEI PROCEDIMENTI CIVILI CONCERNENTI LA CRISI DELLA FAMIGLIA E  LA RESPONSABILITA’ GENITORIALE.

-3.1 – L’ascolto nel codice civile.


L’enucleazione di soluzioni applicative che siano apprezzabili da tutti gli operatori del diritto nell’ambito della delicata materia in esame non può prescindere da una preliminare disamina della ratio sottesa alle disposizioni codicistiche che vengono in rilievo.
Mette conto osservare, in primo luogo,  che l’art. 315 bis 3° comma c.c. introdotto dalla legge n. 219/2012, nel riferirsi al diritto del minore di essere ascoltato, individua l’ambito dell’ascolto “in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano”: tali riferimenti rendono palese la circostanza che l’ascolto del minore si espleti non solo nell’ambito della tutela giurisdizionale ma, ancor prima, nell’ambito delle relazioni familiari e nei procedimenti amministrativi che riguardano la vita del minore.
Le “questioni” che possono prospettarsi possono essere quelle concernenti la scelta della scuola, delle frequentazioni, delle attività extrascolastiche di interesse del ragazzo.
Quanto alle “procedure” , la dottrina ha affermato trattarsi del coinvolgimento del minore nelle scelte concernenti l’opportunità dell’avvio di un procedimento amministrativo o giudiziario che lo possa riguardare.
La disamina delle varie norme dell’ordinamento che contemplano l’ascolto conduce al convincimento secondo cui esso abbia acquisto la portata di un istituto di carattere generale che possa essere disposto anche nei procedimenti in cui non è espressamente previsto benchè riconducibili all’ambito della “giustizia minorile” ovvero quelle controversie o procedimenti che ineriscono alla sfera affettiva del bambino, comportano l’assunzione di determinazioni in ordine a scelte personali ed esistenziali, non anche quando si tratti di definire gli aspetti economici pur inerenti al rapporto di filiazione.
All’ascolto, come detto, non si procede quando esso è in contrasto con l’interesse del minore o manifestamente superfluo. In tale ipotesi il giudice dà atto delle motivazioni che hanno indotto a non effettuare l’adempimento con provvedimento motivato (art. 336 bis comma 1 c.c.).
Detta espressione, di portata certamente più ampia rispetto alle formulazioni contenute nella normativa internazionale, ha ingenerato dubbi circa la possibile violazione dei principi fissati dal diritto sovranazionale nonché circa un eccesso di delega, essendosi  ritenuto che l’art. 2 comma 1, lett. I della legge n. 219 del 2012 avesse conferito al Governo solo il potere di disciplinare le modalità di esercizio dell’ascolto e non anche il potere di prevedere delle ipotesi in cui esso possa essere escluso discrezionalmente.
Giova evidenziare che l’ascolto del minore è espressamente previsto dagli artt. 316 e 336 c.c. nei procedimenti rivolti a risolvere un contrasto tra genitori su questioni di particolare  importanza o finalizzati ad assumere iniziative ablative, limitative e reintegrative della responsabilità genitoriale, secondo la regola risalente correlata all’età ed alla capacità di discernimento ( ovvero quando abbia compiuto dodici anni o, se di età inferiore, sia capace di discernimento).
Invece, l’art. 336 bis c.c. delinea una disciplina analitica delle modalità di ascolto, alla stregua di una disposizione di portata generale, applicabile, ove compatibile anche ai procedimenti regolati, in punto di audizione del minore, da specifiche disposizioni.
L’art. 337 octies c.c., disciplina l’ascolto del minore nei procedimenti che traggono fondamento nella crisi genitoriale, facendo riferimento- del pari- ai parametri dell’età e della capacità di discernimento.
L’espressione adoperata dal legislatore codicistico (il minore è ascoltato…..il giudice procede all’ascolto….), conferma il disposto dell’ abrogato art. 155 sexies c.c. secondo cui il giudice non ha mera facoltà di disporre l’ascolto ma deve necessariamente procedervi salvo casi eccezionali accompagnati da specifica motivazione (23).
L’ascolto, inoltre, riguarda anche la fase istruttoria del procedimento e non solo quella destinata ad esitare nell’adozione del provvedimenti provvisori, come è reso palese della espressione  “anche in via provvisoria”.
L’art. 336 bis c.c. , come detto applicabile, per la sua portata generale, anche ai procedimenti sulla crisi genitoriale esclude l’ascolto ove questo sia in contrasto con l’interesse del minore o sia palesemente superfluo e l’espressione è ripresa dall’art. 337 octies c.c. che detta un’apposita regolamentazione con riferimento ai procedimenti in cui non si registra un conflitto, come le separazioni consensuali e i divorzi congiunti.
La pregnanza di tali disposizioni consiste nell’avere reso palese il principio della inammissibilità di un determinato atto o di un adempimento processuale quando esso sia lesivo del superiore interesse del minore, valore- quest’ultimo- che anima qualsivoglia determinazione che attenga tanto agli aspetti processuali quanto agli aspetti sostanziali delle controversie concernenti i minori.
Appare condivisibile l’opinione di chi ha osservato che la norma da ultimo menzionata sembra prospettare la necessità dell’ascolto in un contesto processuale in cui non risulta ragionevole ammettere l’incombente, pur sempre coinvolgente sotto il profilo emotivo: ciò in quanto, in ipotesi di accordi tra i genitori che prevedano l’affido condiviso e che regolamentino gli aspetti economici in maniera coerente con l’interesse del minore, l’audizione diventerebbe un adempimento addirittura in contrasto con tale interesse in quanto il ragazzino sarebbe coinvolto in un “processo senza processo”. In tale ottica, pertanto, deve ritenersi che l’audizione sia in generale manifestamente superflua  (24).
In definitiva, in accordo con la più avveduta dottrina e con la giurisprudenza espressasi sul punto, il giudice potrà esimersi di regola dall’ascolto del minore solo nei procedimenti relativi a figli che esitino in un accordo tra i genitori mentre nell’ambito di una procedura contenziosa, dovrà sempre procedersi all’ascolto del minore, a meno che lo stesso risulti privo di discernimento a cagione dell’età ovvero ricorrano circostanze particolari che rendano inopportuno l’incombente, da esplicitare in un provvedimento motivato.
Il previgente artt. 155 sexies c.c., nel disciplinare l’ascolto del minore, rimandava ai provvedimenti indicati dall’art. 155 c.c. che concernevano tanto l’affidamento quanto il mantenimento dei figli mentre l’attuale art. 337 octies c.c., secondo cui si può procedere all’ascolto del minore solo in funzione dell’adozione dei provvedimenti concernenti l’affidamento, si pone in linea con un’interpretazione già diffusa nella giurisprudenza formatasi nella vigenza della precedente normativa, volta ad intendere restrittivamente il riferimento dell’art. 155 sexies all’art. 155 c.c.,  in guisa da impedire che l’ascolto del minore potesse essere esperito nell’ambito di controversie di contenuto economico.

-3.2- Valenza processuale dell’ascolto.


Merita di essere senz’altro  condiviso l’orientamento giurisprudenziale secondo cui l’audizione del minore non rappresenta una testimonianza o un altro atto istruttorio rivolto ad acquisire una risultanza favorevole all’una o all’altra posizione difensiva ma un momento formale del procedimento deputato a raccogliere le opinioni ed i bisogni rappresentati dal minore in merito alla vicenda in cui è coinvolto.
Esso deve infatti svolgersi in modo da garantire l’effettivo esercizio del diritto del minore di esprimere liberamente la propria opinione e quindi nel rispetto delle cautele e di modalità atte ad evitare interferenze, turbamenti o condizionamenti, ivi compresa la facoltà di vietare l’interlocuzione con i genitori e/o i difensori, nonché di sentire il minore da solo o, ancora, quello di delegare l’audizione ad un organo più appropriato e professionalmente attrezzato.
Il diritto di difesa delle parti dovrà espletarsi, in tali casi, attraverso suggerimenti o atti di diversa natura mentre l’acquisizione al processo delle dichiarazioni del minore consente alle parti, in posizione paritaria, di contestare pertinenza ed attendibilità delle dichiarazioni anche attraverso la formulazione di richieste istruttorie e persino in relazione ad eventuali interferenze in danno del dichiarante perpetrate durante l’esame (25).
Non ci troviamo di fronte ad un mezzo istruttorio in quanto trattasi di incombente che, con ogni evidenza,  non è funzionale all’accertamento di un fatto che una delle parti abbia posto a base della propria domanda: deve in primo luogo escludersi qualsiasi analogia tra l’istituto in esame  e la testimonianza, atteso che esso non è volto a consentire l’acquisizione al processo di fatti dei quali si possa riferire, essendo il minore chiamato a manifestare opinioni e considerazioni non veicolabili al processo attraverso il predetto tipico mezzo di prova.
Del pari, deve rilevarsi l’estraneità dell’ascolto rispetto all’interrogatorio formale, chiaro essendo che esso non sia funzionale alla acquisizione di una confessione del dichiarante su circostanze a sé sfavorevoli.
La qualità di parte in senso sostanziale del minore, sancita dalle ricordate pronunce della Corte Costituzionale e della Cassazione, ha fatto propendere una parte della dottrina  (26) per l’accostamento dell’ascolto all’interrogatorio libero, che si ritiene volto a consentire all’interessato di spiegare al giudice le proprie ragioni.
Si ritiene, tuttavia, preferibile l’opinione secondo cui l’audizione del minore sia del tutto estranea all’istituto della prova e sia da ricondursi alla categoria degli atti processuali connotati da una funzione specifica: quella di acquisire al processo l’opinione del soggetto vulnerabile il cui prevalente interesse determina l’adozione del provvedimento.
Discendono da tale convincimento rilevanti conseguenze in ordine alla forma che debba assumere nel processo un simile atto.
Se è vero che esso non è vincolato alle forme tipiche proprie degli atti istruttori, trattandosi pur sempre di un atto del processo con il cui concorso si attua la tutela giurisdizionale, esso è soggetto al principio della libertà di forma, secondo cui ove non siano richieste forme determinate, gli atti devono assumere quella più idonea al raggiungimento dello scopo loro proprio ovvero più idonea alla realizzazione della funzione assegnata loro dall’ordinamento.
Posto che funzione dell’ascolto del minore è quella di assicurare  al giudice l’acquisizione della relativa opinione in ordine al tema che assume centralità ai fini della decisione, è certo che nell’espletamento della corrispondente attività dovrà aversi riguardo ai principi generali in tema di giurisdizione, quali quello del contraddittorio, del diritto di difesa e della terzietà del giudice,  che devono essere armonizzati con il principio fondamentale del superiore interesse del minore, quale criterio preminente di giudizio.
In applicazione di tali principi, ad esempio, il giudice deve ritenersi legittimato a non ammettere il consulente di parte a partecipare all’ascolto delegato ad un c.t.u. nell’ambito di un riscontro psicodiagnostico, valutando che tale presenza potrebbe compromettere la spontaneità del minore (27).
Si osserva condivisibilmente in giurisprudenza che la decisione del giudice e – in particolare- le valutazioni inerenti il miglior collocamento del figlio presso l’uno o l’altro genitore,  potrebbero non coincidere con le opinioni e le indicazioni offerte dal minore, sebbene in simili ipotesi il giudice abbia un onere di motivazione direttamente proporzionale  al grado di discernimento del minore quale diretta conseguenza dell’imprescindibilità dell’ascolto del medesimo (28).

- 3.3- Le modalità dell’ascolto.


Spetta al giudice il compito di eseguire l’audizione in modo che sia protetta da interferenze, turbamenti o condizionamenti, adottando le cautele e le modalità specifiche di espletamento dell’atto processuale che meglio si attaglino alle circostanze concrete.
L’audizione del minore dovrà essere volta al fine che la Suprema Corte ha efficacemente definito quale quello di “superare la straordinaria asimmetria che si frappone tra la posizione del fanciullo (e il suo stato emotivo) ed il contesto relazionale ed ambientale in cui viene ascoltato”.
Ne consegue che il diritto di difesa, come si è sopra chiarito,  potrebbe non estrinsecarsi nel momento dell’ascolto o in quello immediatamente precedente , ben potendo il giudice vietare che il minore si relazioni temporaneamente, in previsione dell’audizione, ai genitori e/o ai difensori e ben potendo decidere di sentire il minore anche da solo, quando reputi che la presenza dei genitori e dei relativi difensori possa essere fonte di turbamento o condizionamento ovvero rimettere ad esperti l’ascolto, al ricorrere di circostanze specifiche che consiglino la presenza di particolari competenze scientifiche in capo al soggetto processuale chiamato ad interloquire con il minore.
In tali ipotesi, il diritto di difesa verrà esercitato attraverso la formulazione di istanze o suggerimenti da proporre prima dell’audizione, nonché, una volta acquisite al processo le dichiarazioni del minore, attraverso la facoltà di contestare la pertinenza o l’attendibilità delle dichiarazioni medesime anche mediante la formulazione di richieste istruttorie.
L’esclusione della difesa non dovrà essere generalizzata ma imposta dalle circostanze particolari e puntualmente motivata: in tali ipotesi il processo verbale dell’audizione dovrà essere del tutto dettagliato ed aderente al contenuto delle dichiarazioni del minore in misura crescente al ridursi della capacità di discernimento palesata,  in modo da consentire alla difesa di cogliere a pieno il significato delle indicazioni e delle opinioni espresse dal dichiarante e di predisporre le necessarie osservazioni ed  i  mezzi di gravame che reputi opportuni. Anche il resoconto del “non verbale” (le espressioni del viso, lo sguardo, i gesti, il tono della voce) dovrà essere colto con attenzione e adeguatamente rappresentato.
Conseguenza necessaria di tale convincimento è che le modalità dell’ascolto del minore dovranno essere adattate di volta in volta alla specifica vicenda processuale ed alle peculiarità della persona  che dovrà essere ascoltata, pur dovendo condividersi le indicazioni che avveduti studiosi della materia  (29) hanno individuato quali adempimenti indispensabili per un corretto approccio al minore, prima ancora che gli artt. 336 bis e 38 bis disp. att. c.c. codificassero le modalità dell’ascolto.
Tra questi,  basti considerare la necessità che il minore venga informato dai genitori o dal curatore/tutore in precedenza dell’incontro con il giudice e delle condizioni in cui verrà svolto; la necessità che il minore, quando convocato, non subisca lunghe attese; la necessità che vengano all’uopo esclusi luoghi spersonalizzati o non adatti; la necessità che il minore sia messo a proprio agio dal giudice che dovrà accoglierlo adeguatamente, informandolo sulle motivazioni dell’incontro; l’opportunità che il minore si relazioni ad un unico interlocutore che possa essere identificato chiaramente e rimanga nel tempo il suo referente; la necessità che il minore non venga ingannato in relazione alla possibilità che quanto da lui detto possa rimanere segreto, in quanto parte integrante del giudizio; la necessità che il giudice mantenga una posizione di “ascolto attivo” tale da accordare al minore spazio/tempo per potere raccontare, formulando le domande solo dopo che si è instaurato un rapporto fiduciario; la necessità che venga adoperato un linguaggio semplice, adeguato all’età del minore, con esclusione di termini giuridici e/o psicologici che possano fare apparire “distante” l’interlocutore; la necessità di evitare il tentativo di fare confermare al minore fatti, eventi, circostanze che l’ascoltatore già conosce o ritiene esistenti; la necessità che, al termine dell’incontro, venga spiegato al minore il significato della sua audizione per chi la ha recepita e che, per quanto possibile, le decisioni che lo riguarderanno terranno conto di quanto da lui detto ma potranno anche divergere.
I contributi degli psicologi avvisano dell’importanza che il minore abbia chiaro l’interesse che gli operatori di giustizia provano per lui e che non sia trascurato il fatto che le sue affermazioni e le risposte alle domande che gli vengono rivolte sono condizionate fortemente dal clima emotivo che si riesce a creare anche in un contesto di costrizione quale quello giudiziario.
Per tali motivi è evidente  l’importanza di un’adeguata accoglienza del minore, sotto il profilo logistico ma anche della ricerca di un’empatia nella relazione immediata con il giudice e/o con l’ausiliario.
Degno di nota è il suggerimento che il provvedimento adottato, specie quando non corrispondente alle aspettative del minore, gli venga adeguatamente comunicato e spiegato, delegando all’uopo soggetto, preferibilmente coincidente con il rappresentante legale. In talune ipotesi, soprattutto con riferimento ai provvedimenti che hanno una maggiore rilevanza nel vissuto del minore, è  apparso opportuno che sia lo stesso giudice, tramite una ulteriore convocazione, a comunicare direttamente il contenuto e il significato della decisione.

-3.4 - Valutazioni ed adempimenti specifici richiesti al giudice.


Procedendo per ordine, mette conto osservare che, per procedere all’ascolto non sia necessaria una formale istanza di parte, in quanto trattasi di atto processuale a mezzo del quale viene tutelato il superiore interesse del minore sicchè il giudice ben potrà provvedervi d’ufficio.
Prima dell’ascolto,  è utile che il giudice acquisisca elementi di conoscenza sul minore che possono essere necessari per vagliarne la capacità di discernimento, la conformità al suo interesse dell’incombente, l’opportunità di un ascolto diretto o indiretto.
Sempre nell’ambito del vaglio preliminare, occorre soffermarsi sulla capacità di discernimento del minore, che suppone una valutazione fatta caso per caso.
Il concetto di “discernimento”  è correlato, infatti, al grado di maturazione cognitiva ed affettiva raggiunta dal minore, alle esperienze inerenti la vita sociale e di relazione e vi rientrano tanto la capacità di comprendere ciò che è utile per lui sia la capacità di operare scelte autonome senza subire l’influenza di altri soggetti .
La letteratura psicologica informa del fatto che il bambino possiede competenze emotivo- relazionali fin dalla nascita destinate ad evolversi ed affinarsi grazie alle stimolazioni del contesto familiare e sociale in cui vive.
In genere, può affermarsi che sotto i sei anni non possa parlarsi di capacità di discernimento e quindi di ascolto in senso tecnico ma è possibile un’audizione diretta del giudice con finalità volte prevalentemente alla conoscenza e alla stima delle condizioni di vita e dei bisogni del minore. Dopo i dodici anni non dovrebbe invece dubitarsi della facoltà di discernimento. Nell’età fra i sei e i dodici anni, è necessario evitare di confondere la sussistenza della facoltà di discernimento con le difficoltà che attengono alla comunicazione con minori di quella giovanissima età . Se il minore ha meno di 6-7 anni (età prescolare) non si può parlare di ascolto in senso tecnico e non vi è capacità di esprimere una vera e propria opinione, per cui l’attenzione ai bisogni del bambino potrà attuarsi tramite una consulenza tecnica d’ufficio .
La capacità di discernimento riferita al caso concreto potrà costituire oggetto di valutazione, nei  minori compresi tra i 7 e 12 anni, anche grazie alle allegazioni e alla documentazione che  potranno essere prodotte dalle parti nell’ambito dei rispettivi atti processuali .
Superato il vaglio relativo alla capacità di discernimento occorrerà interrogarsi sula sussistenza di un interesse del minore all’ascolto.
Segnatamente, dovrà essere attentamente valutato se vi sia un interesse superiore del figlio minore a non essere esposto al danno presumibile correlato al coinvolgimento emotivo nella controversia che opponga i genitori.
La contrarietà agli interessi del minore attiene alla valutazione della opportunità di procedere all’ascolto considerando la delicatezza della materia e la giovane età del protagonista rispetto alle vicende a cui si riferisce il giudizio mentre la manifesta superfluità dell’ascolto è ravvisabile quando l’incombente non possa apportare alcuna utilità o soluzione alle questioni dibattute, inducendo così ad evitare l’ingresso forzoso del minore nel mondo degli adulti in conflitto  .
Quanto alle ipotesi di contrarietà all’interesse del minore e di superfluità dell’ascolto, si rileva che  diverse sono le ipotesi che potrebbero rientrare in questo ambito.
Così, ad esempio, dal punto di vista della contrarietà con l'interesse del minore, la stessa è da ravvisarsi tutte le volte in cui sia rilevabile un possibile pregiudizio, come allorquando il minore abbia dato prova e comportamento di rifiutare motivatamente l'ascolto, ovvero quando lo stesso versi in una situazione di particolare fragilità emotiva, desumibile dagli atti o dalle indicazioni delle parti.
In relazione, invece, alla superfluità, la stessa può ricorrere quando il minore sia già stato ascoltato nel processo o in altro vertente su analoghe questioni; quando le circostanze sulle quali il minore dovrebbe essere sentito siano pacifiche o, comunque, già dimostrate in causa aliunde; quando l'oggetto del giudizio non coinvolga direttamente il minore, come avviene quando sugli aspetti che lo riguardano sia stato reperito un accordo e le domande ancora sub iudice riguardino esclusivamente l'addebito della separazione o l'assegno per il coniuge o per i figli stessi  .
Sul punto è stato efficacemente osservato dal  Tribunale di Messina,  prima delle più recenti riforme,  che l’ascolto del minore non serva a raccogliere esternazioni anche estemporanee di volontà, né ad indirizzare il provvedimento secondo il momento, ma ad assumere elementi di valutazione nel contesto di tutti gli atti di causa, dei reali bisogni del minore e dei suoi interessi .
Come si è già osservato,  ove vi sia piena concordia di vedute tra le parti e l'intesa esplicitata al Tribunale risulti prima facie rispettosa dei principi e delle direttive di legge sulla responsabilità genitoriale, lo strumento in esame finisce per costituire un incombente non soltanto di scarso rilievo, ma, altresì, intrinsecamente dannoso, e possa, quindi, essere di regola considerato  come « manifestamente superfluo ».
Del pari, l’audizione viene ritenuta non necessaria per le questioni che attengono alla cura patrimonii, a differenza di quanto avviene per quelle che attengono alla cura personae  , con la conseguenza che ove i coniugi abbiano raggiunto un accordo sulle reciproche modalità di esercizio della responsabilità genitoriale ed il giudizio debba continuare sulle questioni inerenti la misura dell’assegno, l’audizione del minore non dovrà essere disposta.
Prima dell’ascolto il minore deve ricevere alcune importanti informazioni  (riguardanti la natura del procedimento e gli effetti dell’ascolto): si ritiene che la forma scritta non sia un mezzo idoneo essendo preferibile che l’informazione sia resa in maniera diretta e personale in guisa da essere adeguata all’età ed alle caratteristiche del minore. Deve condividersi l’idea secondo cui le informazioni debbano precedere di un periodo congruo l’ascolto. Di seguito, le informazioni saranno semplicemente ribadite dal giudice che procede il quale darà atto a verbale delle modalità e dei tempi con cui il minore è stato informato.
Una volta ammesso l’ascolto, ad esso può procedersi secondo modalità dirette o indirette. Nel primo caso,  il giudice consegue una percezione immediata delle esigenze del fanciullo, anche con l’assistenza di un ausiliario esperto,  e la preferenza per tale soluzione è stata accentuata dalla più recente riforma che ha elevato l’ascolto diretto a regola generale.
L’art. 336 bis c.c. dispone che all’ascolto provvede il Presidente del Tribunale o un giudice da questi delegato. Deve ritenersi che l’adempimento riguardi il presidente nella fase processuale in cui deve essere tentata la conciliazione tra i coniugi e che deve esitare nell’adozione dei provvedimenti provvisori. Riguardi invece il giudice istruttore nella successiva fase di merito, quando il minore non sia stato sentito nella fase presidenziale o se ne ravvisino comunque i ripetuti presupposti.
Deve tuttavia tenersi conto del fatto che, nel caso di contrasto tra genitori, via sia la concreta possibilità che alcune risposte fornite dal bambino possano riflettere non tanto le sue effettive opinioni o i suoi desideri quanto quelle di uno o di entrambi i genitori. Detto condizionamento può –peraltro-assumere carattere non intenzionale ed, in alcuni casi, potrebbe risultare assai difficile, senza il supporto di un ausiliario esperto,  comprendere se ne risulti inficiata l’autenticità del racconto offerto al minore o se  i suoi convincimenti siano condizionati dall’acredine esistente tra i genitori o ancora se le convinzioni siano frutto di fantasia.
Potrebbero, specie in tali ipotesi,  essere prescelte diverse modalità di ascolto ovvero quello indiretto, attuato tramite il curatore o il tutore speciale ovvero ancora tramite gli operatori del servizio sociale o nell’ambito di una consulenza tecnica d’ufficio.
E’ prevalente il convincimento secondo  cui l’ascolto indiretto non costituisca formalmente un atto processuale delegato e che il vero e proprio atto processuale sia rappresentato da quello con cui il soggetto che ha ascoltato il minore ne riferisce al giudice.
In tal caso, l’ascolto del minore sarà inserito in un processo di valutazione più ampio e complesso volto a considerare anche la capacità genitoriale attraverso colloqui individuali o congiunti con entrambi i genitori nonché l’ambiente domestico, scolastico e relazionale in cui il minore vive: potrà essere considerata anche la possibilità di acquisire informazioni dagli insegnanti per comprendere come il minore si relazioni, durante la crisi della famiglia, in quel contesto  e se vi sia un’incidenza dei dolorosi eventi sul suo rendimento scolastico.
Di certo, non potrà essere considerato sufficiente, ai fini del corretto esperimento dell’ascolto, che il minore sia stato in precedenza sentito da altri soggetti in assenza di una apposita e circostanziata delega da parte del giudice.
La soluzione dell’accertamento tecnico si rivelerà opportuna quando dal racconto del minore emergano aspetti di sofferenza o di criticità che impongano un colloquio realizzato attraverso la mediazione di un professionista capace, per la sua formazione, di andare più a fondo nella comprensione delle istanze del dichiarante.
Le modalità concrete dell’ascolto sono oggi disciplinate dall’art. 336 bis c.c., secondo cui il minore deve essere debitamente informato in via preliminare dal giudice del significato della sua audizione, tenuto conto, come è ovvio, della sua età e del suo grado di maturità, in modo da acquisire una puntuale consapevolezza in ordine alle ragioni del suo incontro con il giudice.
All’ascolto, previa autorizzazione del giudice, sono ammessi a partecipare i genitori, anche quando sono parti del procedimento, i loro difensori, il curatore speciale ed il pubblico ministero. Il legislatore non ha indicato i criteri che devono sovrintendere al rilascio della autorizzazione in questione, con la conseguenza che essa è rimessa alla sensibilità del giudice procedente, fondata soprattutto sulla percezione che egli abbia avuto, nelle precedenti fasi processuali, del rischio di una possibile  interferenza- anche involontaria- sulla serenità del minore da parte dei predetti partecipanti.
Il dialogo con il giudice avverrà secondo modalità idonee a salvaguardare il minore e l’eventuale autorizzazione a partecipare all’ascolto conferita ai genitori o ai difensori non può legittimare un’interferenza nell’ascolto, né la formulazione di suggerimenti al giudice o di domande al minore.
Per cui, ove possibile, verranno utilizzati “idonei mezzi tecnici”: tra questi si segnala la possibilità di utilizzare apposite sale  munite di un vetro specchio che consentirebbe ai difensori delle parti ed al Pubblico Ministero di seguire l’incontro, come previsto dall’art. 38 bis disp. att c.c.,  senza richiedere apposita autorizzazione al giudice.
Ne risulta confermato da tali previsioni che ben può il difensore assistere all’ascolto del minore senza rivestire un ruolo attivo nel corso dell’incombente, mentre rimane escluso che i genitori possano parteciparvi allo scopo di evitare condizionamenti sul figlio.
Nei casi in cui venga ravvisato una potenziale situazione di conflitto di interesse tra il minore ed un genitore, ben può farsi luogo alla nomina di un curatore speciale  che rappresenti il minore. Tale nomina può procedere anche d’ufficio ai sensi dell’art. 78 c.p.c. , considerato   istituto che è espressione di un principio generale, destinato ad operare tutte le volte in cui sia necessario nominare un rappresentante ad un incapace.
Come detto, funzione dell’ascolto è quella di raccogliere le opinioni e i bisogni del minore, orientando il giudice nelle scelte processuali.
E’ certo che il giudice non possa ignorare la volontà del minore quale è emersa durante l’ascolto né privare di rilievo il contenuto degli spunti offerti dal dichiarante , considerata la natura delle situazioni soggettive che vengono in rilievo: egli deve farsi interprete scrupoloso dei bisogni espressi dal minore e, nel caso in cui nutrisse dubbi in ordine alla autenticità di quanto dichiarato per via di un eventuale condizionamento subito dal dichiarante, potrebbe orientarsi nel senso dell’espletamento di un approfondimento peritale.
Come chiarito dal giudice di legittimità , il magistrato procedente  deve tenere conto, nell’adozione delle determinazioni successive, dell’esito dell’ascolto e quindi della volontà espressa dal minore potendosene discostare solo a tutela dell’interesse di quest’ultimo, essendo onerato al riguardo di una motivazione molto più stringente quanto più il minore anche in ragione dell’età, abbia mostrato capacità di discernimento.
Le valutazioni del giudice, in quanto doverosamente orientate a realizzare l’interesse del minore, che può non coincidere con le opinioni dallo stesso manifestate, potranno in tal caso essere difformi: si impone, tuttavia, un onere di motivazione la cui entità deve ritenersi direttamente proporzionale al grado di discernimento attribuito al dichiarante.

-3.5- L’omissione dell’ascolto


Nei casi in cui venga omesso l’ascolto del minore, tale scelta –come si è detto- deve essere giustificata da una motivazione esposta per iscritto in un atto processuale o in un provvedimento. Ne consegue che ove il provvedimento sia carente delle motivazioni per le quali non si procede all’ascolto, esso divenga impugnabile ad opera di chi aveva manifestato interesse all’audizione.
Deve evidenziarsi che il legislatore non ha previsto le conseguenze processuali del mancato, ingiustificato,  ascolto del minore.
La Suprema Corte ha avuto modo di osservare che poichè l’audizione dei figli minori costituisce un adempimento necessario nelle procedure relative al loro affidamento nel primo grado di giudizio, il mancato ascolto si traduce in una violazione del contraddittorio e del giusto processo e determina la nullità della sentenza per la violazione dell’obbligo di audizione, che  può essere fatta valere nei limiti e secondo le regole fissate dall’art. 161 c.p.c. e dunque è deducibile con l’appello .
Se la questione non sia stata sollevata nel giudizio di appello, tuttavia, essa  non potrà essere prospettata per la prima volta in sede di legittimità, trovando applicazione le regole relative alla formazione del giudicato.
Invero, sebbene parte della giurisprudenza abbia fatto riferimento all’omesso ascolto come ipotesi di violazione del diritto di difesa, deve concordarsi con l’opinione di attenta studiosa della materia secondo cui, dovendo escludersi che la norma sull’ascolto renda il minore una parte in senso tecnico del procedimento, sia difficile individuare in concreto nella omissione dell’adempimento in esame quella lesione del diritto di difesa che normalmente, quale conseguenza diretta ed immediata della violazione del principio del contraddittorio, determina la nullità assoluta del procedimento .
Il minore, infatti, è parte sostanziale del procedimento, la parte vulnerabile dagli esiti dello stesso quali dibattuti tra i genitori, colui che è chiamato ad introdurre nel processo le proprie istanze affettive ed a rappresentare le esigenze correlate alla crisi della sua famiglia o delle sue relazioni personali più intime: egli pertanto è latore di un interesse non riconducibile al disposto di cui all’art. 100 c.p.c.
Mette conto, infine, avere riguardo al fatto che, nei procedimenti in cui venga in rilievo la tutela dell’interesse di persone minori di età, l’obiettivo di non incorrere in nullità processuali costituisce un imperativo: esse, infatti, determinerebbero un allungamento inutile dei tempi di definizione del procedimento si per sé apertamente confliggente con l’interesse del minore ad una risposta giudiziaria chiara e celere.

-§-4- Conclusioni


La straordinaria valenza culturale espressa dalla Convenzione di New York sopra indicata e dalle successive fonti sovranazionali e nazionali che, per gradi, hanno condotto alla codificazione del diritto all’ascolto, consiste nell’avere promosso un  nuovo approccio del sistema giudiziario ai procedimenti che riguardano il minore: esso è volto al contemperamento delle posizioni processuali di diritto soggettivo con la tutela di interessi, ragioni, diritti spettanti ad un soggetto vulnerabile e diverso dai contendenti ed in cui le ragioni di questi assumono una valenza sovraordinata rispetto a quella degli adulti che sono parti in causa.
Per altro verso, la codificazione del diritto all’ascolto è coerente con la necessità di assicurare al bambino uno dei più significativi bisogni di cui è portatore, quello –cioè- di essere tenuto in considerazione dagli adulti,  di riceverne attenzione e cura, di ascoltarli e di essere da loro sentito, insomma di introdursi in una “relazione” con il mondo degli adulti che è deputato a proteggerlo ed a farsi carico delle sue istanze dentro e fuori rispetto al processo,  nella prospettiva di un armonioso sviluppo della sua personalità.

                                               Dott.ssa Caterina Mangano

                                     Presidente Sezione del Tribunale di Messina

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1) Convenzione ONU sui diritti del fanciullo di New York 1989; 

2) Zagrebelsky 1992

3) a tenore del quale ….”L'articolo 12 della Convenzione sui diritti del fanciullo - resa esecutiva nell'ordinamento italiano per effetto della legge n. 176 del 1991 - è idoneo ad integrare la disciplina dell'art. 336, secondo comma, del codice civile, nel senso di configurare il minore capace di discernimento come "parte" del procedimento che lo concerne, con la necessità del contraddittorio nei suoi confronti, se del caso previa nomina di un curatore speciale. Pertanto non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 336, secondo comma, del codice civile sollevata, in riferimento agli articoli 2, 31, secondo comma, 3, primo e secondo comma, 111, primo e secondo comma, 24, secondo comma, 30, primo comma, della Costituzione, sull'erronea premessa interpretativa che nei procedimenti camerali concernenti la potestà dei genitori, non sia prevista l'audizione del minore ultradodicenne e, se opportuno, anche quello di età inferiore, o altrimenti i suoi genitori o il tutore”.

4) Le adozioni possono avere luogo se le Autorità nazionali competenti si sono assicurate, tenuto conto dell’età e della maturità del minore:“che questi sia stato assistito mediante una consulenza e che sia stato debitamente informato sulle conseguenze dell’adozione e del suo consenso all’adozione qualora tale consenso sia richiesto;
che i desideri e le opinioni del minore all’adozione siano stati presi in considerazione;
che il consenso del minore all’adozione quando è richiesto, sia stato prestato liberamente, nelle forme legalmente stabilite, e sia stato espresso o constatato per iscritto;
che il consenso non sia stato ottenuto mediante pagamneto o contropartita di alcun genere.”

5) La convenzione ha sancito, all’art. 3 che “ Ad un fanciullo che è considerato dal diritto interno come avente un discernimento sufficiente, sono conferiti nelle procedure dinnanzi ad un’autorità giudiziaria che lo concernono i seguenti diritti, di cui egli stesso può chiedere di beneficiare: a - ricevere ogni informazione pertinente; b - essere consultato ed esprimere la sua opinione; c - essere informato delle eventuali conseguenze dell’attuazione della sua opinione e delle eventuali conseguenze di ogni decisione” nonché , all’art. 6 che “Nelle procedure che interessano un fanciullo, l’autorità giudiziaria, prima di adottare qualsiasi decisione deve: a - esaminare se dispone di informazioni sufficienti in vista di prendere una decisione nell’interesse superiore del fanciullo e se del caso, ottenere informazioni supplementari in particolare da parte di coloro che hanno responsabilità di genitore; b - quando un fanciullo è considerato dal diritto interno come avente un discernimento sufficiente, l’autorità giudiziaria: - si accerta che il fanciullo abbia ricevuto ogni informazione pertinente; - consulta personalmente il fanciullo, se del caso, e se necessario in privato, direttamente o attraverso altre persone o organi, nella forma che riterrà più appropriata tenendo conto del discernimento del fanciullo, a meno che ciò non sia manifestamente in contrasto con gli interessi superiori dello stesso; - consente al fanciullo di esprimere la sua opinione; c - tenere debitamente conto dell’opinione espressa da quest’ultimo”.
sancendo all’art. 3 che “ Ad un fanciullo che è considerato dal diritto interno come avente un discernimento sufficiente, sono conferiti nelle procedure dinnanzi ad un’autorità giudiziaria che lo concernono i seguenti diritti, di cui egli stesso può chiedere di beneficiare: a - ricevere ogni informazione pertinente; b - essere consultato ed esprimere la sua opinione; c - essere informato delle eventuali conseguenze dell’attuazione della sua opinione e delle eventuali conseguenze di ogni decisione” nonché , all’art. 6 che “Nelle procedure che interessano un fanciullo, l’autorità giudiziaria, prima di adottare qualsiasi decisione deve: a - esaminare se dispone di informazioni sufficienti in vista di prendere una decisione nell’interesse superiore del fanciullo e se del caso, ottenere informazioni supplementari in particolare da parte di coloro che hanno responsabilità di genitore; b - quando un fanciullo è considerato dal diritto interno come avente un discernimento sufficiente, l’autorità giudiziaria: - si accerta che il fanciullo abbia ricevuto ogni informazione pertinente; - consulta personalmente il fanciullo, se del caso, e se necessario in privato, direttamente o attraverso altre persone o organi, nella forma che riterrà più appropriata tenendo conto del discernimento del fanciullo, a meno che ciò non sia manifestamente in contrasto con gli interessi superiori dello stesso; - consente al fanciullo di esprimere la sua opinione; c - tenere debitamente conto dell’opinione espressa da quest’ultimo”.I

6) In particolare: a)riconoscendo la vulnerabilità delle vittime ed adattando le procedure in modo da tenere debitamente conto dei loro particolari bisogni, in particolare in quanto testimoni; b) Informando le vittime riguardo ai loro diritti, al loro ruolo e alla portata della procedura, nonché alla programmazione e e allo svolgimento della stessa e circa la decisione pronunciata per il loro caso;c) permettendo che, quando gli interessi personali delle vittime sono stati coinvolti, le loro opinioni, i loro bisogni o le loro preoccupazioni siano presentate ed esaminate durante la procedura in modo conforme alle regole di procedura del diritto interno.

7) Art. 24: I bambini hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere. Essi possono esprimere liberamente la propria opinione; questa viene presa in considerazione sulle questioni che li riguardano in funzione della loro età e della loro maturità. In tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente. Ogni bambino ha diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo quando ciò sia contrario al suo interesse.

8) Tra l’altro, il Regolamento stabilisce  la esecutività automatica delle decisioni emesse dal Giudice dello Stato di residenza abituale del minore nello Stato in cui il minore si trova o per essere stato egli illegittimamente sottratto o perché non è stato riportato presso il primo Stato. A proposito del rilascio della certificazione da parte dello stato di origine che consente  l’esecutività in altro stato membro  della decisione concernente il diritto di visita  emessa da altra autorità statale, è previsto che essa è adottata in alcuni casi tra cui “se il minore ha avuto la possibilità di essere ascoltato, salvo che l’audizione sia stata ritenuta inopportuna in ragione della sua età o del suo grado di maturità”.

9) “Linee guida per una giustizia a misura di minore”.

10) Senza alcuna pretesa di esaustività, si pensi all’art. 250, comma 4, c.c., per il riconoscimento del figlio; l'art. 252, comma 5, c.c., per l'affidamento del figlio nato fuori dal matrimonio e il suo inserimento nella famiglia del genitore; l'art. 262, comma 3, c.c. per l'attribuzione del cognome del figlio nato fuori dal matrimonio; l'art. 317-bis c.c. per la regolamentazione dei rapporti degli ascendenti con il minore; gli artt. 348 e 371 c.c., che delineano l'ascolto del minore nei procedimenti tutelari nonché quelle previste dalla legge n. 184/1983, in tema di affidamento etero familiare, adottabilità ed adozione dei minori agli artt. 4,7,15,22,23,25,35,45,51,52 anche prima della riforma della legge n. 19/2001che ha precisato che l’audizione del minore infradodicenne deve avvenire in considerazione della di lui capacità di discernimento.

11) L’art. 4 prevede che, terminato il periodo di affido consensuale, il giudice tutelare debba sentire il minore che abbia compiuto gli anni 12 e anche di età inferiore in considerazione della sua capacità di discernimento, qualora ritenga di dovere chiedere al tribunale per i minorenni l’adozione di ulteriori provvedimenti nell’interesse del minore.

12) Martinelli- Mazza Galanti;

13) Si legge, in particolare nella pronuncia da ultimo menzionata che, nel procedimento, di volontaria giurisdizione, previsto dalla legge 15 gennaio 1994, n. 64, inquadrabile nello schema generale dei procedimenti speciali in materia di famiglia e di stato delle persone, e quindi soggetto, per quanto in essa non previsto, alle disposizioni comuni ai procedimenti in camera di consiglio, e nel contempo caratterizzato dall'estrema urgenza di provvedere nell'interesse del minore, rientra nell'esercizio di poteri discrezionali del giudice, non sindacabile in sede di legittimità, la valutazione dell'opportunità di procedere all'audizione dei minori e delle relative modalità, non risultando prescritto che possa procedersi all'audizione dei minori solo previa convocazione formale degli stessi (nella specie, il tribunale per i minorenni aveva proceduto all'audizione dei minori presentati direttamente in udienza dal genitore convenuto).

14) In particolare, venne rilevato che "l'audizione dei minori nelle procedure giudiziarie che li riguardano e in ordine al loro affidamento ai genitori è divenuta comunque obbligatoria con l'art. 6 della Convenzione di Strasburgo sull'esercizio dei diritti del fanciullo del 1996, ratificata con la L. n. 77 del 2003 (Cass. 16 aprile 2007 n. 9094 e 18 marzo 2006 n. 6081), per cui ad essa deve procedersi, salvo che possa arrecare danno al minore stesso, come risulta dal testo della norma sovranazionale e dalla giurisprudenza di questa Corte (la citata Cass. n. 16753 del 2007 )”.

15) Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito con la quale, nonostante il carattere urgente del procedimento, si era delegato l' ascolto del  minore agli assistenti sociali, senza che il giudice vi provvedesse direttamente in ragione dell'elevato conflitto esistente tra i genitori.

16) Dir. Famiglia 2011, 816.

17) Corriere merito, 2012, 657.

18) Trib. Min. Trieste 28 marzo 2012, Corriere merito 2012.

19) In Dejure 2015

20)  ….quando gli accordi omologati di separazione prevedono un regime di frequentazione ampio e di facile attuazione pratica, in modo che l'eventuale ampliamento del tempo da trascorrere col padre, di cui la prole esprima desiderio, è interamente compreso nelle facoltà già consentite ai genitori dall'accordo omologato e pienamente compatibile con il disposto attualmente vigente, attesa anche la non opposizione della madre.

21) Dejure 2015.

22) Il giudice d’appello ha argomentato nel senso che… l'ascolto del minore è infatti un momento di esercizio del diritto del fanciullo ad esprimere le proprie opinioni ed esigenze, liberamente e senza condizionamenti, e qualora venga strumentalmente chiesto al fine di dirimere la controversia economica tra i genitori non solo si snatura, deviando dalle finalità sue proprie, ma diviene anche fonte di pregiudizio per il minore stesso, specie quando, essendo in piena età di discernimento, può maturare la consapevolezza di essere stato strumentalizzato senza avere però, al tempo stesso, data la sua condizione di minore età ed in ragione del legame con i genitori, la capacità di opporsi a detta strumentalizzazione.

23) La giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di chiarire che l’audizione del minore è un “adempimento necessario” nel corso del primo grado di giudizio delle procedure concernenti il suo affidamento, come si desume anche dall’art. 336 bis comma i c.c. che prevede che il minore debba essere ascoltato “dal Presidente del Tribunale o dal Giudice delegato” coerentemente con l’art. 2 comma I lett. I della legge n. 219/2012 (Cass. del 22 luglio 2014 n. 16658).

24) G. Buffone

25) Cass. n. 7282/2010.

26) Satta Punzi

27) Cass. 20 agosto 2014 n. 18060

28) Cass. 22 luglio 2014 n. 16658

29) Pazè- “I provvedimenti giurisdizionali per il minore nella crisi della famiglia e nella crisi del rapporto genitori-prole- 2003 )

30) Peruzzini- “L’ascolto del minore” in La “famiglia dopo le riforme” 2015.

 

 

 

 

 
 
 
 
 
 

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