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CIVILE

Le sezioni Unite ribadiscono che le norme di proroga dei termini sono di stretta interpretazione e insuscettibili di applicazione «allargata» a tributi diversi da quelli espressamente indicati (nota a S. U., sentenza n. 18574 del 22 settembre 2016, Rv. 641073).

  Civile 
 sabato, 17 dicembre 2016

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Luca Varrone, Magistrato addetto all’Ufficio del Ruolo e del Massimario della Corte di cassazione

 
 

 

Sommario: 1.- Premessa; 2.- Compravendita di immobili, IVA e agevolazioni “prima casa”; 3.- L’individuazione del termine di decadenza per l’amministrazione per effettuare le verifiche; 4.- La proroga biennale dei Termini ex art. 11, commi 1 e 1-bis, l. n. 289 del 2002; 5.- Il contrasto sull’applicabilità della proroga dei termini anche nell’ipotesi di agevolazione IVA sulla prima casa; 6.- Le sezioni unite affermano l’inapplicabilità della proroga del termine oltre i limiti fissati dal comma 1 dell’art. 11, l. n. 289 del 2002.

 

1.- Premessa

Di recente le Sezioni Unite hanno risolto il contrasto emerso all’interno della sezione tributaria della suprema corte circa l’applicabilità della proroga biennale del termine di accertamento prevista dalla combinazione dei commi 1 e l-bis dell'art. 11 della legge n. 289 del 2002 anche alle violazioni concernenti la fruizione dell'aliquota agevolata dell’IVA per l'acquisto della prima casa.

La sentenza è importante non tanto o non solo per la soluzione offerta, ma soprattutto, per l’affermazione in motivazione di principi generali che riguardano l’intero campo del diritto tributario.

Per comprendere esattamente la portata della sentenza è necessario ricostruire il quadro normativo di riferimento.

2.- Compravendita di immobili, IVA e agevolazioni “prima casa”.

Com’è noto il trasferimento di un immobile è soggetto a differenti imposte, che gravano sempre su chi lo acquista, ma che variano a seconda del soggetto venditore, dell’acquirente e del tipo di immobile.

Per quanto riguarda l’IVA, il d.l. 22 giugno 2012 n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134 (c.d. “decreto sviluppo”) ha introdotto rilevanti modifiche al precedente regime IVA applicabile alle cessioni e locazioni di immobili di cui all’art.10, comma 1, nn.8, 8-bis ed 8-ter, del d.P.R. n. 633 del 1972.

Il tentativo del legislatore è stato nel senso di una progressiva armonizzazione del regime IVA a quello dell’imposta di registro. L’attuale formulazione dell’art. 10, comma 1, n.8-bis[1], del d.P.R. n. 633 del 1972 (in vigore dal 26 giugno 2012) prevede un generale regime di esenzione da IVA, con l’applicazione dell’imposta proporzionale di Registro, ad eccezione di specifiche ipotesi, per le quali la cessione è assoggettata ad IVA in via obbligatoria, oppure su specifica opzione del cedente, da manifestare nell’atto di vendita. L’assoggettamento ad IVA in via obbligatoria ricorre nelle cessioni effettuate da imprese costruttrici, o da quelle che vi hanno effettuato interventi di recupero (restauro, risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia ed urbanistica), entro 5 anni dall’ultimazione dei lavori, mentre l’IVA su opzione (da manifestare direttamente nel rogito) ricorre nelle cessioni effettuate da imprese costruttrici, o da quelle che vi hanno effettuato interventi di recupero (restauro, risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia ed urbanistica), dopo 5 anni dall’ultimazione dei lavori di costruzione o ristrutturazione; cessioni di alloggi sociali, come individuati dal d.m. 22 aprile 2008, effettuate da qualsiasi impresa (anche non costruttrice o ristrutturatrice).

Non ci sono state modifiche, invece, alle aliquote dell’IVA che sono le seguenti:: - 4% nel caso di abitazioni non di lusso cedute ad acquirenti con i requisiti «prima casa» in base al n.21, Tab. A, Parte II, allegata al d.P.R. n. 633 del 1972 ed alla nota II-bis, all'art.1 della Tariffa, Parte I, allegata al d.P.R. n. 131 del 1986; - 10% nel caso di abitazioni non di lusso diverse dalla «prima casa»; - 20 % (poi divenuto 22%) nel caso di “abitazioni di lusso”.

Nelle ipotesi di imponibilità ad IVA, inoltre, le imposte di Registro, Ipotecarie e Catastali si applicano in misura fissa. Com’è noto, infatti, tra IVA e imposta di registro vige il principio dell’alternatività ex art. 40 d.P.R. n. 131 del 1986. Ovvero quando l’operazione è soggetta ad IVA l’imposta di registro si applica in misura fissa e non proporzionale[2].

Dunque anche nelle operazioni soggette ad Iva è possibile usufruire dei beneifici connessi alla «prima casa» qualora ricorrano i presupposti previsti dalla tabella A (numero 21), Parte II, allegata al d.P.R.n. 633 del 1972 e dalla nota II-bis, all'art.1 della Tariffa, Parte I, allegata al d.P.R. n. 131 del 1986. Tali presupposti devono sussistere tutte al momento dell’acquisto, e devono essere dichiarati al notaio, che li trascrive nell’atto di compravendita.

In particolare per poter beneficiare delle agevolazioni prima casa l’acquirente: 1) non deve possedere nello stesso Comune, altro immobile idoneo ad essere adibito ad abitazione, neppure in comunione con il coniuge; 2) non deve essere titolare di diritti di uso, usufrutto, abitazione su altro immobile nel medesimo Comune; 3) non deve essere titolare, interamente o per quote, di altro immobile su tutto il territorio nazionale, per il quale abbia già fruito delle agevolazioni; 4) l’immobile deve trovarsi nel Comune in cui l’acquirente ha stabilito o stabilirà la propria residenza entro 18 mesi dall’acquisto, o nel quale svolge la propria attività; 5) l’immobile acquistato non deve essere considerato “di lusso”.

Anche con riferimento a tale ultimo requisito si è proceduto ad una progressiva armonizzazione, in quanto prima la disciplina applicabile faceva riferimento al d.m. Lavori Pubblici 2 agosto 1969, mentre oggi fa riferimento alle categorie catastali, escludendo quelle di categoria catastale A1, A8 e A9[3].

Il godimento delle agevolazioni fiscali spetta, quindi, al contribuente in relazione alle dichiarazioni rese nell'atto di acquisto. Se, a seguito delle verifiche, l'amministrazione finanziaria accerta che le dichiarazioni rese al momento del rogito non sono veritiere, si verifica la decadenza dall'agevolazione goduta con conseguente obbligo di corrispondere le imposte in misura ordinaria e le sanzioni del 30% degli importi non corrisposti, nonché degli interessi moratori.

3.- L’individuazione del termine di decadenza per l’amministrazione per effettuare le verifiche

Il legislatore non ha indicato esplicitamente il termine ultimo entro il quale l’amministrazione finanziaria debba effettuare la verifica della sussistenza dei requisiti per usufruire dell’agevolazione. L'individuazione di tale termine è stata oggetto di un annoso dibattito dottrinario e giurisprudenziale che solo con l'intervento della Cassazione a sezioni unite ha trovato univoca soluzione[4].

La Suprema Corte ha chiarito che il termine di decadenza per l'accertamento da parte dell'amministrazione finanziaria per le agevolazioni prima casa è triennale, ai sensi dell' art. 76 del d.P.R. n. 131 del 1986 (e non decennale ex art. 78 del d.P.R. n. 131 del 1986). A questo proposito deve precisarsi che le sezioni unite hanno distinto l’ipotesi di mancanza originaria dei presupposti da quella sopravvenuta, affermando che, nel primo caso, il termine di tre anni decorre immediatamente, mentre, nella seconda ipotesi, decorre dal momento del verificarsi con certezza del venir meno di uno dei requisiti richiesti dal legislatore.

È, quindi, necessario distinguere la decorrenza del dies a quo a seconda che si tratti di mendacio originario per mancanza dei requisiti richiesti dalla legge (con conseguente dichiarazione falsa al momento della stipula) o sopravvenuta (es. dichiarazione di voler trasferire la residenza, condizione che non verrà rispettata nei successivi 18 mesi).

In dottrina e in giurisprudenza è mancato un dibattito di approfondimento sull’applicabilità del suddetto termine, che riguarda certamente le agevolazioni relative all’imposta di registro, anche alle operazioni soggette ad iva.

Infatti, come si è detto, il termine triennale è previsto dalla disciplina sull’imposta di registro ed, in particolare, dall’art. 76 del D.P.R. n. 131 del 1986. Ai fini IVA, invece, la norma di riferimento sarebbe da individuare nell'art. 57 del D.P.R. n. 633 del 1972, che prevede che l'esercizio dell'azione accertatrice debba avvenire entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della relativa dichiarazione.

Tale interpretazione sembrerebbe ulteriormente avvalorata dalla modifica intervenuta ad opera dell’art. 41-bis, comma 5, del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito dalla 1. 24 novembre 2003, n. 326 che ha ulteriormente differenziato le due azioni di recupero facendo riferimento nel caso dell’IVA non più al recupero a titolo di sanzione o penalità della differenza fra imposta calcolata in base all'aliquota applicabile in assenza agevolazioni e quella risultante dall'applicazione dell'aliquota agevolata, aumentata del 30%, ma al recupero della differenza tra l’imposta (IVA) applicabile senza le agevolazioni e quella risultante dall'applicazione dell'aliquota agevolata, oltre alla sanzione amministrativa, pari al 30 per cento della differenza medesima.

Nel senso opposto, è stato fatto notare che nel caso di acquisto di immobile soggetto ad IVA con agevolazione "prima casa", l'acquirente è un privato che non presenta alcuna dichiarazione IVA. Quindi l’art. 57 del D.P.R. n. 633 del 1972 risulta inapplicabile perché viene a mancare il riferimento all’anno entro il quale deve essere fatta la dichiarazione.

In ogni caso, le Sezioni Unite con la sentenza in commento hanno dato per pacifica l’applicabilità del termine triennale di cui all’art. 76 del D.P.R. n. 131 del 1986 anche alle operazioni soggette ad IVA.

 

4.- La proroga biennale dei Termini ex art. 11, commi 1 e 1-bis, l. n. 289 del 2002.

Alle difficoltà di armonizzare le diverse discipline dettate in materia di imposta di registro e di IVA, con riferimento al termine entro il quale deve procedersi all’accertamento, si aggiungono le difficoltà interpretative nate a seguito dell’approvazione del c.d. condono.

La legge 27 dicembre 2002, n. 289 (finanziaria 2003), reca tutta una serie di disposizioni finalizzate alla definizione agevolata delle pendenze e delle controversie tributarie. Con particolare riferimento alle imposte indirette, l’art. 11, comma 1, del citato provvedimento legislativo, attribuisce ai contribuenti la facoltà di integrare il valore dichiarato negli atti pubblici, scritture private autenticate o nelle denunce o dichiarazioni presentate entro un determinato lasso temporale. Il comma 1, dell'art. 11 della l. n. 289 del 2002 testualmente dispone che: «Ai fini delle imposte di registro, ipotecaria, catastale, sulle successioni e donazioni e sull'incremento di valore degli immobili, per gli atti pubblici formati, le scritture private autenticate e le scritture private registrate entro la data del 30 novembre 2002, nonché per le denunce e le dichiarazioni presentate entro la medesima data, i valori dichiarati per i beni ovvero gli incrementi di valore assoggettabili a procedimento di valutazione sono definiti, ad istanza dei contribuenti da presentare entro il 16 aprile 2003, con l'aumento del 25 per cento a condizione che non sia stato notificato avviso di rettifica e liquidazione della maggiore imposta alla data di entrata in vigore della presente legge. Per gli stessi tributi, qualora l’istanza non sia stata presentata, o ai sensi del comma 3 sia priva di effetti, in deroga all'articolo 3, comma 3, della legge 27 luglio 2000, n. 212, i termini per la rettifica e la liquidazione della maggiore imposta sono prorogati di due anni". I riferimenti temporali della suddetta disposizione sono stati successivamente oggetto di estensione ad opera della L. 24 dicembre 2003, n. 350 e del d.l. 24 dicembre 2003 n. 355, convertita dalla legge 27 febbraio 2004 n.47.

La norma risponde alle medesime finalità di incentivo alla definizione agevolata delle controversie tributarie e riprende il medesimo meccanismo adottato dall'art. 10 della medesima l. n. 289 del 2002 per le imposte sul reddito e per l'imposta sul valore aggiunto che dispone la proroga biennale dei termini di cui agli artt. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972, per i contribuenti che non si siano avvalsi delle disposizioni di cui agli artt. 7 ("Definizione automatica di redditi di impresa e di lavoro autonomo per gli anni pregressi mediante autoliquidazione"), 8 ("Integrazione degli imponibili per gli anni pregressi") e 9 ("Definizione automatica per gli anni pregressi", c.d. "condono tombale")[5].

L’art. 5-bis d.l. 24 dicembre 2002, n. 282, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione, ha aggiunto al citato art. 11, comma 1, il comma 1-bis secondo il quale «Le violazioni relative all'applicazione, con agevolazioni tributarie, delle imposte su atti, scritture, denunce e dichiarazioni di cui al comma 1, possono essere definite con il pagamento delle maggiori imposte a condizione che il contribuente provveda a presentare entro il 16 aprile 2003 (poi divenuto 16 aprile 2004) istanza con contestuale dichiarazione di non volere beneficiare dell'agevolazione precedentemente richiesta. La disposizione non si applica qualora, alla data di entrata in vigore della presente legge, sia stato notificato avviso di rettifica e liquidazione delle maggiori imposte».

Dal mancato espresso coordinamento tra i commi 1 e 1-bis sopra citati è nato un notevole contenzioso. Sin dal primo momento, l’amministrazione finanziaria ha ritenuto che la proroga dei termini espressamente prevista dal comma 1 dovesse ritenersi estesa anche alle ipotesi contemplate dal comma 1-bis[6].

La giurisprudenza si è divisa sull’interpretazione da dare al comma 1 bis. Molte commissioni tributarie provinciali e regionali hanno escluso l'applicabilità della proroga biennale, di cui all'art. 11, comma 1, l. n. 289 del 2002, al termine triennale (come individuato dalla sentenza delle sezioni unite sopra citata) di decadenza per l'avviso di liquidazione dell'imposta di registro relativo al recupero dell'imposta dovuta per mancanza dei requisiti richiesti per fruire delle agevolazioni di cui all'art. 1, della tariffa parte I), allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, sulla base di due argomentazioni: 1) la mancanza di un esplicito rinvio, dell'art. 11, comma 1-bis, alla disposizione di proroga; 2) la carenza di una esplicita deroga al termine ordinario. Secondo detto orientamento le fattispecie ricadenti nel comma 1-bis sarebbero diverse da quelle previste dal comma 1, risulterebbe, quindi, giustificato un differente trattamento per l'accertamento in relazione ai termini decadenziali nel caso in cui non sia stato effettuato il condono. Inoltre, il comma 1-bis, pur riferendosi alle imposte previste nel comma 1, non sarebbe ricollegabile alla proroga dei termini per la rettifica e la liquidazione della maggiore imposta, poiché è stato aggiunto successivamente all'emanazione della l. n. 289 del 2002.

La proroga, alla luce di detta interpretazione, riguarderebbe soltanto la rettifica e la liquidazione della maggiore imposta relativamente ai valori dichiarati per i beni o gli incrementi di valore assoggettabili a procedimento di valutazione e non anche il disconoscimento di un’agevolazione tributaria relativa ad un’imposta scaturente da un valore dichiarato e già determinato per il quale si richiede l'agevolazione stessa.

In altri termini la proroga dei termini non potrebbe trovare applicazione nel caso di mero disconoscimento dei benefici "prima casa", dal momento che l'atto impositivo viene emesso, non già per rettificare in aumento il valore dichiarato nell'atto, ma per disconoscere una agevolazione non spettante che comporta l'applicazione di una aliquota dell'imposta di registro ridotta e, per le imposte ipotecarie e catastali, l'imposta in misura fissa e non proporzionale.

Si è osservato, infatti, che il comma 1-bis dell'art. 11 regola una fattispecie differente rispetto a quella di cui al comma 1; il citato comma 1-bis prevede, con riferimento alle violazioni relative all'applicazione, con agevolazioni tributarie, delle imposte su atti, scritture, denunce e dichiarazioni di cui al comma 1, la possibilità di una loro definizione mediante la presentazione di un'apposita istanza con contestuale dichiarazione del contribuente di non voler beneficiare dell'agevolazione precedentemente richiesta. Dunque, le due disposizioni rispettivamente contemplate nel comma 1 e nel comma 1-bis dell'art. 11 non potrebbero essere accomunate a causa della differente forma di definizione dell'imposta, che per le agevolazioni prima casa esige la rinuncia alle stesse ed il pagamento della maggiore imposta dovuta, senza prevedere alcun atto di liquidazione.

Inoltre per le fattispecie di cui all'art. 11, comma 1-bis, della l. n. 289 del 2002, non è stata prevista dal legislatore alcuna proroga ai termini di decadenza per l’esercizio del potere di liquidazione e rettifica della maggiore imposta e, tantomeno, è stata prevista alcuna deroga espressa all’art. 3 dello Statuto del contribuente secondo cui «i termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti di imposta non possono essere prorogati». Ne consegue che il comma 1 dell' art. 11 della l. n. 289 del 2002, non può essere esteso anche alle agevolazioni prima casa, poiché trattandosi di una norma a carattere speciale, non può essere ammessa una sua interpretazione estensiva o analogica, e quindi, non è possibile estenderne gli effetti al di là dei casi ivi espressamente previsti. È necessario evidenziare, infatti, che in tema di decadenza e prescrizione dell'azione dell'amministrazione finanziaria la previsione del citato art. 3 dello Statuto del contribuente limita le eventuali deroghe poste dal legislatore attraverso una rigorosa interpretazione[7]. Infatti, secondo detto orientamento non sarebbe consentita l'interpretazione estensiva del comma 1-bis, in quanto l' art. 3 l. n. 212 del 2000, al comma 3, stabilisce che "i termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti di imposta non possono essere prorogati" ed "un'eventuale proroga di termini non ancora scaduti, in formale deroga alle disposizioni dello Statuto del contribuente, può avvenire esclusivamente in maniera espressa con una norma di pari rango, come avvenuto per il comma 1, e non per estensione interpretativa".

Presso la giurisprudenza di legittimità, invece, si è affermato l’orientamento l’opposto secondo cui la proroga dei termini è applicabile anche alle ipotesi di cui all’art. 11, comma 1-bis, della legge n. 289 del 2002, alla luce di un'interpretazione unitaria della disciplina del condono e della conseguente irragionevolezza sotto il profilo della disparità di trattamento di una diversa interpretazione. In particolare tale orientamento si basa sulla contestualizzazione del comma 1-bis nell'ambito dell'intero provvedimento di condono e sulla giurisprudenza della Corte costituzionale che ha chiarito che la proroga non ha finalità punitive nei confronti dei soggetti che non si avvalgono del condono, bensì quella di consentire agli uffici finanziari di non veder spirare infruttuosamente termini di decadenza e prescrizione a fronte del maggior aggravio di lavoro determinato dal condono[8].

Si è inoltre sostenuto che il comma 1-bis con la dizione "le violazioni relative alla applicazione, con agevolazioni tributarie, delle imposte su atti, scritture, denunce e dichiarazioni di cui al comma 1, possono essere definite.." esprime testualmente il concetto che le violazioni delle disposizioni agevolative sono del tutto assimilate alle violazioni relative alla enunciazione del valore degli immobili di cui al comma precedente. Da ciò si deduce che la proroga prevista nel comma 1 per le violazioni in esso contenute si applica anche a quelle di cui al comma 1-bis, senza necessità di un esplicito richiamo. D’altro canto, la previsione in entrambi i commi di un condono per le violazioni previste, impone tale conclusione, essendo del tutto incongruo che ipotesi assolutamente equivalenti abbiano trattamenti diversi. Conforta tale tesi la constatazione che la prima stesura dell’articolo in questione conteneva il solo comma 1, e, allorché fu aggiunto il comma 1-bis, unitamente alla previsione del condono (d.l. n. 282 del 2002, art. 5-bis) fu contestualmente modificata la rubrica del medesimo con la aggiunta della dizione "proroga dei termini", il che rende ben chiara la intenzione del legislatore di riferire la proroga anche alle ipotesi di nuova previsione. Sez. 5, Sentenza n. 24575/2010 (Rv. 614945).

Dunque la proroga dei termini, secondo detto orientamento, si riferisce unitariamente sia al comma 1, sia al comma 1-bis; detto comma contiene il generale rinvio alle imposte su atti, scritture, denunce e dichiarazioni di cui al precedente comma 1, che consente di correlare tutta la portata della norma del comma 1, al successivo comma 1-bis (compresa la proroga di due anni).

5.- Il contrasto sull’applicabilità della proroga dei termini anche nell’ipotesi di agevolazione IVA sulla prima casa.

Nel corso di un decennio si sono consolidati i due principi che si è tentato di ricostruire nei paragrafi precedenti : il primo ha riguardato l’individuazione del termine triennale ex art. 76, comma secondo, del d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 entro il quale l’amministrazione può procedere alla verifica della sussistenza delle condizioni per godere delle agevolazioni, (termine che in alcuni casi decorre dal venir meno della condizione come per il requisito della residenza dell’acquirente nei successivi 18 mesi) e il secondo circa l’applicabilità della proroga biennale degli accertamenti di cui al comma 1 dell’art.11 della legge n. 289 del 2002 anche alle ipotesi contemplate dal successivo comma 1-bis del medesimo articolo in materia di agevolazioni.

Rimane, dunque, un unico tassello ancora da fissare avente ad oggetto la possibilità per l’amministrazione di usufruire della proroga anche nel caso l’agevolazione per l’acquisto della prima casa avesse riguardato un’operazione soggetta ad IVA anziché ad imposta di registro.

Anche su questo punto la giurisprudenza si è divisa. Secondo un primo filone, infatti, anche con riferimento all’IVA agevolata al 4% in caso di acquisto della prima casa è possibile effettuare il medesimo procedimento interpretativo che ha portato ad includere nella proroga di cui al comma 1 dell’art. 11 della legge n. 289 del 2002 anche le ipotesi di cui al successivo comma 1 bis, ancorché non espressamente previste.

Ancora una volta si fa prevalere la necessità di un’interpretazione logico-sistematica delle disposizioni in materia tesa ad evidenziare la ratio comune, che renderebbe incongrua una differente disciplina, quanto alla possibilità di proroga dei termini per l'accertamento, tra diversi tipi di tributi.

Sostanzialmente una volta stabilito che la possibilità di usufruire del condono riguarda anche le ipotesi di violazione delle agevolazioni relative all’IVA per l’acquisto della prima casa allora, anche in tali casi, devono valere tutte le argomentazioni formulate dalla giurisprudenza per estendere la proroga di cui al comma 1 anche al comma 1-bis.

Nell'uno e nell'altro caso, l'Ufficio è chiamato a valutare l'efficacia dell'istanza di definizione, cosicché, trattandosi delle medesime imposte, sarebbe incongrua l'interpretazione che riconoscesse solo nella prima ipotesi la proroga dei termini per la rettifica e la liquidazione del dovuto. Né può ritenersi che tale interpretazione sia impedita dal disposto dell’art. 3 della l. n. 212 del 2000. Premesso, infatti, che le norme dello Statuto del contribuente non hanno un rango superiore alle norme ordinarie e non ne consentono la disapplicazione tout court, per il solo fatto del contrasto con le stesse[9], va rilevato che il disposto della l. n. 212 del 2000, art. 11, comma 1, contiene un'espressa deroga al divieto di proroga dei termini per gli accertamenti di imposta.

Queste argomentazioni, tuttavia, prestano il fianco ad una critica difficilmente superabile, in quanto il fondamento alla base della possibilità di estendere la proroga di cui all’art. 11, comma 1, anche alle ipotesi di cui al comma 1 bis, era proprio che i due commi si riferissero ai medesimi tributi, mentre l’IVA non è contemplata da nessuno dei due commi, e in particolar modo è totalmente assente ogni riferimento all’IVA nel primo comma che contiene un elenco dettagliato di tributi ai quali si riferisce.

 

6.- Le sezioni unite affermano l’inapplicabilità della proroga del termine oltre i limiti fissati dal comma 1 dell’art. 11, l. n. 289 del 2002.

Le sezioni unite con la decisione in esame hanno ritenuto condivisibile l’altro filone giurisprudenziale secondo cui l’applicabilità della proroga prevista nel comma 1, anche alle violazioni di cui al comma 1-bis, non consente di estendere ulteriormente la proroga dei termini per l'accertamento anche a tributi diversi da quelli espressamente indicati dalla norma, sia nella rubrica dell'articolo 11 che nel primo comma, primo periodo ovvero: «imposte di registro, ipotecaria, catastale, sulle successioni e donazioni e sull'incremento di valore degli immobili. Tale orientamento si fonda sul dato letterale, sulla natura eccezionale della proroga dei termini di decadenza, sul rilievo che la proroga dei termini presuppone l'astratta applicabilità della disciplina condonistica che è esclusa in materia di Iva.

Le Sezioni Unite evidenziano come i due diversi orientamenti sopra riportati siano paradigmatici della tensione che attraversa l'ermeneutica tributaria, divisa tra l'esigenza di rispetto del principio generale di stretta interpretazione delle norme lato sensu tributarie (quindi anche di quelle collegate o strumentali alle norme impositive in senso stretto) e l'esigenza di evitare una disparità di trattamento, in ipotesi ingiustificata, tra situazioni analoghe che solo una (supposta) mancanza di coordinamento tra disposizioni successive assoggetta a differente disciplina. La risoluzione di un tale conflitto spetta al legislatore (in positivo come in negativo) attraverso la precisa indicazione di oggetti e soggetti tassabili, con la conseguenza che in relazione alle norme impositive è pacificamente escluso che la tassazione possa investire oggetti o soggetti non espressamente emergenti dal dato normativo espresso, onde anche le norme agevolative, per esigenza speculare, non possono essere suscettibili di integrazione ermeneutica trascendente i confini semantici del suddetto dato normativo espresso. (Sez. U, Sentenza n. 11373 del 2015- Rv. 608612).

Inoltre la Suprema Corte ribadisce che la disciplina derogatoria in genere è da ritenersi di stretta interpretazione e, con particolare riferimento a possibili deroghe a termini di decadenza, che il terzo comma dell'art. 3 dello Statuto del contribuente (l. n. 212 del 2000) nel prevedere che "i termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti di imposta non possono essere prorogati", può essere derogato solo da una previsione di legge espressa (v. Sez. 5, Sentenza n. 1248 del 22/01/2014 - Rv. 629480).

Sulla base di tali premesse la Corte nega l’ammissibilità di un’operazione ermeneutica che, sia pure attraverso una interpretazione logico-sistematica, si spinga oltre la lettera della legge, nella specie ritenendo spettante all'Amministrazione un più ampio termine per l'accertamento in relazione ad un tributo (IVA) per il quale tale più ampio termine non è stato espressamente previsto, dovendo evidenziarsi che in relazione a norme eccezionali o comunque di "stretta interpretazione", anche l'esegesi logico-evolutiva, ed eventualmente quella costituzionalmente orientata, sono precluse se, operando non difformemente dalla interpretazione analogica, conducano ad una estensione della sfera di operatività della norma interpretata ad ipotesi non sussumibili nel relativo specifico significato testuale.

Infine nella sentenza si nega anche una possibile questione di legittimità costituzionale trattandosi di una diversa disciplina riservata a tributi differenti. Le eventuali dissimmetrie nella disciplina di tributi diversi non possono ritenersi irragionevoli o ingiustificate proprio in ragione della indubbia differenza tra i suddetti tributi.

In conclusione può dirsi, come anticipato in premessa, che la sentenza assume una particolare importanza, al di là della singola questione risolta, er i principi generali che afferma, soprattutto in relazione ai criteri interpretativi che devono guidare i giudici tributari nell’applicazione di norme che spesso si presentano, frammentarie, poco coordinate o addirittura in contraddizione tra loro.


[1]Numero inserito dall' art. 10, comma 4, lett. c), d.l. 20 giugno 1996, n. 323, sostituito dall' art. 35, comma 8, lett. a), d.l. 4 luglio 2006, n. 223 , convertito, con modificazioni, dalla l. 4 agosto 2006, n. 248 , modificato dall' art. 1, comma 330, lett. b), l. 27 dicembre 2006, n. 296 , a decorrere dal 1° gennaio 2007, modificato dall' art. 1, comma 86, l. 13 dicembre 2010, n. 220 , a decorrere dal 1° gennaio 2011 e successivamente sostituito dall' art. 57, comma 1, lett. b), d.l. 24 gennaio 2012, n. 1 , convertito, con modificazioni, dalla l. 24 marzo 2012, n. 27 . infine il presente numero è stato così sostituito dall' art. 9, comma 1, lettera a), d.l. 22 giugno 2012, n. 83 , convertito, con modificazioni, dalla l. 7 agosto 2012, n. 134

[2] Sez. 5, Sentenza n. 9403 del 20/04/2007 (Rv. 598199) In tema di imposta di registro, tanto nel vigore del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634 (art. 38), che del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (art. 40), alla luce del principio dell'alternatività con l'IVA, gli atti sottoposti, anche teoricamente, perché di fatto esentati, a questa imposta non debbono scontare quella proporzionale di registro. In particolare, poiché secondo gli artt. 5, secondo comma, del d.P.R. n. 131 del 1986, e 1, lettera b), dell'allegata Tariffa, parte seconda, sono sottoposte a registrazione in caso d'uso, e scontano l'imposta in misura fissa, le scritture private non autenticate contenenti disposizioni relative ad operazioni soggette all'imposta sul valore aggiunto, fra cui le "prestazioni di servizi", nelle quali la legge sull'IVA (art. 3, secondo comma, n. 3, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633) comprende i prestiti in denaro, questi, ancorché siano poi esentati dall'imposta stessa dal successivo art. 10, n. 1, quando possano considerarsi "operazioni di finanziamento", tuttavia, essendo in astratto soggetti all'IVA, non devono scontare l'imposta proporzionale di registro.

[3] Infatti il D.Lgs. 21/11/2014, n. 175 recante Semplificazione fiscale e dichiarazione dei redditi precompilata all’art. 33 (Allineamento definizione prima casa IVA – registro) in vigore dal 13 dicembre 2014 ha stabilito che «Al n. 21 della Tabella A, Parte II, allegata al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, le parole: «non di lusso secondo i criteri di cui al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 agosto 1969, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 218 del 27 agosto 1969» sono sostituite dalle seguenti: «ad eccezione di quelle di categoria catastale A1, A8 e A9».

[4]Sez. U, Sentenza n. 1196 del 21/11/2000 (Rv. 541924) L'avviso di liquidazione dell'imposta di registro con aliquota ordinaria e connessa soprattassa, a carico del compratore di un immobile abitativo che abbia indebitamente goduto, in sede di registrazione del contratto, del trattamento agevolato di cui all'art. 1 comma sesto della legge 22 aprile 1982, n. 168, è soggetto a termine triennale di decadenza, ai sensi e nel vigore dell'art. 74 comma secondo del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 634 (corrispondente all'art. 76 comma secondo del successivo d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131), a partire dalla data in cui l'avviso può essere emesso, e cioè dal giorno della registrazione, quando i benefici non spettino per la falsa dichiarazione, nel contratto, dell'indisponibilità di altro alloggio o della mancata fruizione in altra occasione dell'agevolazione, o per l'enunciazione, nel contratto stesso, di un proposito di utilizzare direttamente il bene a fini abitativi già smentito da circostanze in atto, oppure, quando detto enunciato proposito, inizialmente attuabile, sia successivamente rimasto ineseguito o ineseguibile, dal giorno nel quale si sia verificata quest'ultima situazione.

[5] La Corte Costituzionale ha affermato che la proroga dei termini risponde a finalità ed esigenze proprie dell’amministrazione che, in concomitanza con l’approvazione del condono si trova a dover compiere ulteriori e gravosi accertamenti. In particolare nella sentenza n. 356 del 2008 si è detto espressamente che «si deve rilevare che la proroga disposta dalla norma censurata (art. 10) ha la finalità non di “punire” chi abbia scelto di non avvalersi del condono, ma di ovviare al sensibile aggravio di lavoro e ai relativi rischi di disservizio e di mancato rispetto degli ordinari termini di prescrizione e di decadenza della pretesa fiscale, che prevedibilmente derivano agli uffici finanziari dalla necessità di eseguire le operazioni di verifica conseguenti alla presentazione delle richieste di condono dei contribuenti. Tale proroga è, dunque, diretta a tutelare il preminente interesse dell'amministrazione finanziaria al regolare accertamento e riscossione delle imposte nei confronti del contribuente che non si avvalga dell'agevolazione, indipendentemente dalla circostanza che quest'ultimo non si sia avvalso, per qualche ragione (giuridica o di fatto), dell'agevolazione medesima. In tal senso, si è già espressa questa Corte con la sentenza n. 375 del 2002, in riferimento ad una disposizione analoga a quella oggetto del presente giudizio».

 

[6] Secondo l'interpretazione fornita nella circ. n. 12/E del 21 febbraio 2003, punto 7.3, «La proroga, pur non essendo espressamente prevista al comma 1-bis, per interpretazione logico-sistematica e teleologica, si estende all'ipotesi dello stesso comma. Infatti, la norma stabilisce genericamente la proroga 'Per gli stessi tributi, qualora l'istanza non sia stata presentata o, ai sensi del comma 3 sia priva di effetti …'. Orbene, il comma 1-bis, rinviando alle previsioni del comma 1, permette di individuare con chiarezza i tributi interessati dalla definizione agevolata delle violazioni dei regimi di favore degli stessi. Inoltre, i criteri e le modalità per fruire del condono sono analoghi per la definizione dei valori e per le violazioni alle disposizioni agevolative. Tutto ciò comporta che la proroga dei termini opera per entrambe le fattispecie di condono».

[7] Si veda ad es. Sez. 5, Sentenza n. 7080 del 14/04/2004 (Rv. 572065) secondo cui: l'art. 3 dello Statuto dei diritti del contribuente è principio di carattere generale sull'interpretazione dell'efficacia temporale delle norme tributarie e funge da limite alla retroattività nel caso di dubbio ermeneutico tra fonti pari ordinate.

[8] In tal senso la quinta sezione si è espressa dapprima con ordinanza n. 4321/2009 (non massimata), e successivamente con ordinanza n. 12069/2010 (Rv. 613218) secondo cui «La proroga di due anni per la rettifica e la liquidazione della maggiore imposta di registro, ipotecaria, catastale, sulle successioni e donazioni e sull'INVIM, prevista dalla l. n. 289 del 2002, art. 11, comma 1, in caso di mancata presentazione o inefficacia dell'istanza di condono quanto ai valori dichiarati o agli incrementi di valore assoggettabili a procedimento di valutazione, è sicuramente applicabile anche all'ipotesi di cui al comma 1-bis, riguardante la definizione delle violazioni relative all'applicazione di agevolazioni tributarie sulle medesime imposte. Nell'uno e nell'altro caso, infatti, l'Ufficio è chiamato a valutare l'efficacia dell'istanza di definizione, cosicché, trattandosi delle medesime imposte, sarebbe incongrua l'interpretazione che riconoscesse solo nella prima ipotesi la proroga dei termini per la rettifica e la liquidazione del dovuto».

 

[9] Sez. 5, n. 8254/2009 (Rv. 607951), Sez. 5, n. 8145/2011 (Rv. 617695)

 

 

 
 
 
 
 
 

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