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Antonio D'Amato - CSM, plenum del 23.9.2020

 venerdì, 25 settembre 2020

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In ricordo di Antonino Saetta e Cesare Terranova

Volevo impegnare l’attenzione del Plenum per pochi minuti per ricordare due figure di magistrati per i quali di qui a qualche giorno, in particolare il 25 settembre, ricorrerà l’anniversario dell’ennesimo tributo di sangue pagato dai magistrati italiani, in particolare da quelli palermitani.
Il ricordo innanzitutto è quello di Antonino Saetta primo magistrato del settore giudicante ucciso dalla mafia insieme ad uno dei suoi tre figli il 25 settembre 1988, mentre da Canicattì, suo paese natio, faceva ritorno a Palermo. Vorrei ricordare alcune parole che sono di grande attualità per affrontare le difficoltà del magistrato, soprattutto del magistrato che si occupa in questi territori di processi di mafia:
“La nostra dignità ci impone, alle volte, di affrontare con coraggio situazioni difficili. E ci dà anche tutto il coraggio di cui in quei casi abbiamo bisogno.”

Antonino Saetta era un magistrato che della dignità e del coraggio della dignità aveva fatto la sua ragione di vita. Come dimostrato in sede processuale, Antonino Saetta aveva respinto al mittente le richieste provenienti appunto dalla mafia, da Cosa Nostra, di aggiustare un processo in Corte d’Assise d’Appello, quello relativo all’omicidio del capitano Emanuele Basile, un processo che aveva visto coinvolti come imputati esponenti apicali della mafia dell’epoca, come Riina e Madonia, le cui pene furono aumentate rispetto alla condanna di primo grado.
Ecco, Antonino Saetta aveva portato il coraggio della dignità all’estremo dono di se stesso.

Ma qualche anno prima, 9 anni prima, proprio il 25 settembre del 1979, un altro magistrato palermitano, con una grande esperienza all’ufficio istruzioni di Palermo, Cesare Terranova, veniva ucciso a pochi passi dalla sua abitazione in un agguato in cui trovava la morte anche il suo storico collaboratore addetto alla sicurezza il maresciallo Lenin Mancuso. Come giudice istruttore a Palermo, anche Terranova aveva condotto svariate inchieste su Cosa Nostra, dimostrando di aver ben compreso l’intreccio di interessi anche politici finalizzati alla speculazione sulle aree fabbricabili di Palermo e senza mai allontanarsi dalle risultanze processuali, osservava, all’epoca, Terranova che “non c’è dubbio che il mafioso è portato ad appoggiarsi al politico, anzi una delle forze del mafioso consiste proprio in questo appoggiarsi al potere costituito”, come le indagini successive di magistrati audaci e coraggiosi e spesso lasciati soli hanno poi dimostrato.

Occorre tenere vivo il ricordo di questi tributi di sangue pagati dalla nostra magistratura e questa è l’occasione oggi per raccogliere il messaggio che proviene da questi sacrifici e nello stesso tempo manifestare vicinanza non soltanto ai familiari delle vittime ma anche a tutti i magistrati che giorno dopo giorno tra immense difficoltà, pericoli e incomprensioni, assolvono al loro compito di amministratori di giustizia con fermezza, coraggio e dignità.

 
 
 
 
 
 

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