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COMMENTO ALLE DISPOSIZIONI IN MATERIA DI GIUSTIZIA DELLA LEGGE 69/09:

 venerdì, 3 luglio 2009

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Miniriforma del processo civile ed altre norme in materia di giustizia

DEFINITIVAMENTE APPROVATO DAL SENATO DELLA REPUBBLICA IL 26 MAGGIO 2009

 
 

COMMENTO ALLE DISPOSIZIONI IN MATERIA DI GIUSTIZIA DEL DDL 1082-B DEFINITIVAMENTE APPROVATO DAL SENATO DELLA REPUBBLICA IL 26 MAGGIO 2009

 
 
GIUSTIZIA CIVILE
 
 
SEMPLIFICAZIONE ED UNIFICAZIONE DEI RITI
Gli artt. 53 e 54 prevedono:
- l’eliminazione del rito del lavoro per le controversie in materia di RCA, con salvezza delle cause pendenti, che peraltro proseguono col rito ordinario se iniziate in tale modo (art. 53)
- l’eliminazione del rito societario, con salvezza delle cause pendenti (art. 54 commi 5 e 6)
- la delega al Governo ad adottare entro ventiquattro mesi d.lgs. di semplificazione di tutti i riti, da ricondurre a due riti standard: quello tipo lavoro per tutte le cause ordinarie e quello sommario introdotto agli artt. 702 bis e ss. c.p.c. per i procedimenti semplificati (art. 54 commi e ss.)
 
UNITA’ DELLA GIURISDIZIONE
L’art. 59 stabilisce che il giudice che in materia civile, amministrativa, contabile, tributaria declini la propria giurisdizione deve indicare il giudice avente giurisdizione e se la causa si riassume davanti a questi restano fermi gli effetti sostanziali e processuali della domanda, con le preclusioni e decadenze già verificatesi. In ogni caso, le prove raccolte valgano quali argomenti di prova davanti al nuovo giudice. La novità è di rilievo, perché si afferma una translatio iudicii che significa sostanzialmente unità della giurisdizione e riconoscimento della parità tra le diverse giurisdizioni (questo è un importante argomento anche per la perequazione economica)
 
 
PROCEDURE STRAGIUDIZIALE DI CONCILIAZIONE E MEDIAZIONE
L’art. 60 prevede la delega al Governo ad adottare, entro sei mesi, D.Lgs. introducenti meccanismi di conciliazione e mediazione coi seguenti principi direttivi: - limitazione ai diritti disponibili senza precludere l’accesso alla giustizia; - professionalità, indipendenza ed imparzialità degli organismi di conciliazione e dei singoli conciliatori; - istituzione nei tribunali di organismi di conciliazione da parte dei consigli degli ordini degli avvocati e istituzione di altri organismi nell’ambito dei singoli ordini su specifiche materie; - tempo massimo di quattro mesi della procedura conciliativa; - verbale di conciliazione avente valore di titolo esecutivo; - agevolazioni fiscali; - mancato pagamento delle spese processuali alla parte che rifiuti la decisione conciliativa e poi ottenga una sentenza conforme.
 
 
INTERVENTI SPECIFICI SUL C.P.C. (artt. 45 – 52: in neretto le modifiche ritenute più rilevanti)
 
1. PROCEDIMENTO DI COGNIZIONE
Aumento della competenza per valore dei giudici di pace ad € 5000 e ad € 20000 per le controversie in materia di RCA e nuova competenza per materia per le cause relative agli interessi o accessori da ritardato pagamento di prestazioni previdenziali o assistenziali (nuovo art. 7)
Si tratta di un intervento importante perché una buona fette delle cause che gravano sui tribunali vanno ai GdP, con uno spostamento che da un lato attesta gli attuali “inesigibili” carichi di lavoro dei giudici togati e dà una speranza per una più rapida e professionale definizione delle cause ritenute più rilevanti, dall’altro impone un rafforzamento quantitativo dei GdP e consente forse una razionalizzazione complessiva del ruolo della magistratura onoraria realizzata attraverso l’attrazione dei GOT nel ruolo dei GdP (nonché, in un’ottica futura, con l’introduzione di una nuova figura di ausiliario onorario del giudice togato, nell’ambito della creazione di quell’ “ufficio del giudice” da tempo richiesto da Magistratura Indipendente e che potrebbe razionalizzare davvero l’organizzazione e la risposta giudiziaria)
 
Le pronunce sulla competenza devono avere la forma di ordinanza e non più di sentenza (artt. 38, 39, 40, 43 e 50). Questa è l’unica modifica in materia di competenza, priva di risvolti pratici perché resta il regolamento di competenza che rischia di rallentare i processi ed oggi, soprattutto dopo lo snellimento del modello di sentenza (vedi infra), la differenza tra ordinanza e sentenza è solo formale. Quindi, alla fine l’unico effetto è che le pronunce sulla competenza, che possono essere anche complicate, potrebbero non avere più rilievo statistico per i giudici.
 
Generale incremento delle pene e sanzioni pecuniarie per il teste renitente (art. 255 comma1), il custode inadempiente (art. 67 comma 1), la parte che faccia un’istanza di ricusazione inammissibile o infondata (art. 54 comma 3), la parte che non osservi un ordine di ispezione (art. 118 comma)
 
Previsione della procura informatica (art. 83) e, soprattutto, in una condivisibile ottica antiformalista, estensione della sanatoria ex art. 182 c.p.c. anche all’ipotesi della procura mancante o invalida
 
Importanti interventi in materia di regime delle spese: - condanna alle spese successive a carico della parte che non accetti una proposta transattiva conforme alla decisione finale (art. 91); - compensazione dichiarabile solo per “eccezionali e gravi ragioni esplicitamente indicate in motivazione” (art. 92); - possibilità per il giudice di aggiungere d’ufficio alle spese una somma equitativamente determinata, a prescindere dalla ipotesi di resp. proc. aggravata (art. 96 ult. comma). Si tratta di modifiche tutte volte a creare un deterrente a contenziosi defatigatori e temerari.
 
Consacrazione a livello normativo del principio giurisprudenziale della nullità delle “sentenze a sorpresa”, con affermazione dell’obbligo per il giudice di realizzare il contraddittorio su questioni di nullità da egli ritenute risolutive della controversia (art. 101)
 
Consacrazione a livello normativo dell’altro principio giurisprudenziale secondo cui la decisione si può fondare anche sulla “non contestazione specifica dei fatti” (art. 115). Ciò resta valido solo rispetto alla parte costituita che non contesti, e dunque si conferma il principio della irrilevanza ai fini probatori della contumacia
 
La notifica informatica (art. 137). Sono immaginabili i problemi applicativi ed interpretativi che si avranno sul punto.
 
La rimessione in termini per causa non imputabile diventa un istituto di ordine generale, che riguarda tutti i termini (art. 153 ult. comma) e non più solo le preclusioni istruttorie (l’art. 184 bis viene abrogato) o l’ipotesi di contumacia (art. 294).                            
 
La vocatio in ius deve contenere anche l’avvertimento delle preclusioni dell’art. 38 per l’eccezione di incompetenza (art. 163 n. 7). Sono prevedibili molte nullità per questa omissione.
 
Razionalizzazione e procedimentalizzazione della fase della CTU. Il giudice dovrà subito formulare i quesiti (art. 191; ma ciò già accade spesso nella pratica) e poi dovrà fissare un termine al CTU per trasmettere alle parti la relazione, un termine alle parti per formulare osservazioni e un termine al CTU, precedente all’udienza di rinvio, per depositare la relazione rispondendo anche ai rilievi delle parti (art. 195; si tratta della consacrazione normativa della prassi “virtuosa” usata in molti uffici giudiziari e da molti giudici e contenta anche nel “libro bianco” sul processo civile presentato nel 2005 dall’ANM.
 
La “testimonianza scritta”. Si prevede (art. 257 bis e 103 bis disp. att.) che, in caso di “accordo delle parti”, il giudice “possa” ammettere tale testimonianza scritta, indicando i capi e delegando la parte a trasmettere al teste tali capi. Il teste dovrà rispondere ai singoli capi o evidenziare i motivi per cui non risponde, ovvero specificare i motivi dell’eventuale astensione, dovrà poi firmare il documento con firma autenticata da segretario comunale o cancelliere e poi trasmetterlo in piego raccomandato o depositarlo in cancelleria.
Il riferimento all’ “accordo delle parti”, senza l’aggiunta “costituite”, sembra significare che in caso di contumacia di una delle parti l’istituto non possa essere utilizzato. Quindi, una gran fetta di contenzioso, quello in materia di RCA, ove quasi sempre il responsabile civile è contumace, dovrebbe essere estranea all’ambito di applicazione dell’istituto.
La novità normativa sicuramente dimostra l’attenzione del legislatore che in tal modo intende sgravare il lavoro d’udienza del giudice e così accelerare i tempi processuali, ma la modalità utilizzata a nostro avviso non è condivisibile, perché il teste risponde senza contraddittorio, nella sua abitazione, libero da pressioni e controlli.
Ed allora, due sono le possibilità, posto che in molte realtà e in molte controversie è spesso dubbio la genuinità dei testi: o si utilizza l’istituto a prescindere, deflazionando l’attività d’udienza e incrementando la fase decisoria ma accontentandosi di una giustizia solo formale spesso lontana dalla realtà; oppure non ci si fida dei testi e si azzera di fatto l’istituto non ammettendolo in partenza (il giudice “può”) oppure disponendo quasi sempre la riescussione diretta dei testi (ciò è sempre possibile).
Stando così le cose, forse sarebbe stata preferibile la strada della istituzionalizzazione della testimonianza “delegata”, ossia raccolta dalle parti contrapposte in contraddittorio tra loro, al di fuori dell’aula d’udienza ma nei rispettivi studi professionali o in luoghi predeterminati. E’ inutile nascondere che nella prassi, per cercare di gestire ruoli ed udienza impossibili, vi è questa delega agli avvocati che fanno le prove a qualche metro dal giudice, al quale è rimesso il controllo successivo e la ratifica della deposizione. Ebbene, forse sarebbe stato meglio formalizzare tale prassi e renderla da illegittima (ma anche “necessaria” e “virtuosa” solo) “virtuosa”.
Questa strada, peraltro, presuppone un “allontanamento” del giudice dalle prove che potrebbe essere ulteriormente attenuato con l’istituzione dell’ “ufficio del giudice” e la delega delle attività istruttorie ad “ausiliari” facenti parti di tale ufficio (sarebbe anche un modo per razionalizzare anche il ricorso ai GOT, che, in un’ottica di unificazione del ruolo della magistratura onoraria, potrebbero essere i magistrati onorari di primo livello, i più giovani, che dopo alcuni anni di svolgimento di tali funzioni ausiliarie potrebbero essere nominati Giudici di Pace).
Un ultimo cenno, infine, riguardo alle modalità di verbalizzazione della testimonianza. La forma cartacea, prevista anche dagli artt. 257 bis e 103 bis disp. att., potrebbe e dovrebbe lasciare il campo a strumenti più moderni ed agili, quali l’audio-video registrazione (usata efficacemente in Spagna). Già l’art. 422 prevede, per il rito del lavoro, il ricorso alla registrazione su nastro, ma non risulta che questo strumento abbia avuto rilevante applicazione nella prassi. Sarebbe opportuno che il legislatore rilanciasse con forza tali strumenti alternativi di documentazione della prova orale, in particolare l’audio-video registrazione (che, peraltro, nelle prove delegate raccolte nel contraddittorio delle parti - si tratta della prova delegata “auspicata” nel presente scritto - potrebbe costituire elemento di valutazione del contegno e dell’attendibilità del teste).                       
 
Il calendario del processo (art. 81 bis disp. att. c.p.c.). La novità, che riguarda solo il rito ordinario di cognizione (l’art. 81 bis è inserito tra le disposizioni di attuazione relative a tale rito), impone al giudice che provvede sulle richieste istruttorie di fissare “sentite le parti e tenuto conto della natura, dell'urgenza e della complessità della causa, …. il calendario del processo con l'indicazione delle udienze successive e degli incombenti che verranno espletati. I termini fissati nel calendario possono essere prorogati, anche d'ufficio, quando sussistono gravi motivi sopravvenuti. La proroga deve essere richiesta dalle parti prima della scadenza dei termini”. In linea teorica, la riforma è condivisibile perché è giusto che il giudice, valutate tutte le istanze istruttorie delle parti, indichi il percorso istruttorio della causa con le sue tappe, i suoi passaggi logico-temporali; ciò risponde ad un interesse di linearità, chiarezza e trasparenza utile per lo stesso giudice (e per il suo eventuale sostituto) e per le stesse parti. Ma, nella pratica, con ruoli anche di 2.000 cause, continui mutamenti e continue esigenze sopravvenute, pare davvero difficile ipotizzare un calendario preventivamente determinabile, soprattutto nei tempi, con udienze calendarizzate anche nell’arco di due o tre anni. Peraltro, l’articolo esclude che i termini fissati siano prorogabili dal giudice perché la richiesta deve partire dalle parti e la condizione è che sussistano “gravi motivi sopravvenuti”. Dunque, il giudice è vittima del suo calendario e la rigidità della previsione forse spingerà i giudici a rinvii più comodi proprio per evitare di rischiare ingolfamenti ancora più responsabilizzanti, ingestibili ed onerosi. Insomma, il “calendario del processo” fa parte di un mondo ideale che si scontrerà con la realtà degli uffici giudiziari italiani.     
 
I tempi per riassumere il processo interrotto oggetto di pronuncia di incompetenza, di rimessione al primo giudice, di rinvio al merito, di processo sospeso, interrotto, cancellato sono ridotti a tre mesi (artt. 50, 305, 307 commi 1 e 3, 353 comma, 392 comma 1). La giusta logica è la velocizzazione dei processi, ma la eccessiva durata degli stessi quasi mai dipende da questi eventi e tempi morti e, peraltro, il termine di tre mesi è forse troppo stretto ad esempio in caso di interruzione del processo per morte della parte e necessità di prosecuzione da parte di più eredi.
 
La sospensione volontaria del processo, ridotta a tre mesi, diventa più difficile perché occorrono “giustificati motivi” ed è consentita solo una volta. L’ottica, giusta, è sempre la stessa, ma forse si dimentica eccessivamente che il processo civile è un processo di parti
 
Finalmente si risolve un problema pratico spesso ricorrente, affermandosi che l’evento interruttivo riguardante un contumace può essere “documentato” dalla controparte (art. 300)
 
Così come finalmente si afferma che l’estinzione può essere dichiarata d’ufficio, sottraendo la pronuncia al regime dell’eccezione tempestiva di controparte (art. 307 comma 4). Si conferma tuttavia che la pronuncia di estinzione del giudice monocratico va fatta con ordinanza, non tenendo conto di quanto affermato dalla prevalente giurisprudenza, che ritiene che sul punto occorra la sentenza, perché altrimenti sarebbero precluse forme d’impugnazione. E poi non si vede la diversa forma prevista per le cause collegiali, nelle quali l’estinzione è pronunciata con sentenza
 
 
Si rinnova il modello della sentenza, che non deve più contenere lo svolgimento del processo (art. 132 comma 4) e deve poi avere una “succinta” motivazione, anche con “rinvio a precedenti conformi” (art. 118 disp. att.). Si prosegue nell’opera di deformalizzazione della sentenza iniziato con l’art. 281 sexies e il modello decisorio agile del rito societario, nella consapevolezza che il vero problema della giustizia civile, il “collo di bottiglia”, è dato dalla decisione della causa. E la consapevolezza è tale che una delle pochissime modifiche immediatamente applicabili anche ai giudizi in corso è proprio quella relativa al nuovo modello di sentenza (art. 58 comma 2 della legge).
La novità costituisce una sfida per i giudici, che devono tendere ad utilizzare modelli decisori via via più agili e snelli,  sempre però mantenendo la qualità del prodotto giudiziario, a tutela della stessa dignità e del prestigio della funzione.
 
Sono stabilite più efficaci forme di pubblicità della sentenza ai fini risarcitori-riparatori (art. 120)
 
Il termine lungo d’impugnazione della sentenza passa condivisibilmente da un anno a sei mesi (art. 327)
 
La sentenza va notificata al procuratore costituito ed è sufficiente la consegna di una sola copia dell’atto al procuratore costituito per più parti, cosa consentita dall’art. 170 comma 2, vista l’eliminazione del riferimenti ai “commi 1 e 3” dell’art. 170 (art. 285).
 
Così come è sufficiente la consegna di una sola copia dell’atto di impugnazione al procuratore costituito per più parti (il nuovo art. 330 comma 1 fa riferimento semplicemente alla notifica “ai sensi dell’art. 170”, senza indicazione dei commi 1 e 3).
      
Per l’appello l’unica modifica è quella dell’art. 345 comma 3, modificato prevedendo espressamente le preclusioni anche per i documenti, sulla falsariga di quanto già affermato dalle Sezioni Unite. La modifica è immediatamente applicabile ai giudizi in corso (art. 58 comma 2 della legge)
 
Importanti modifiche riguardano il giudizio di cassazione.
Con l’art. 360 bis si prevedono specifiche forme di inammissibilità del ricorso: quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e nel ricorso non sono offerti elementi per confermare o mutare l'orientamento della stessa; e quando è manifestamente infondata la censura relativa alla violazione dei princìpi regolatori del giusto processo.
Si abroga l’art. 366 bis e quindi si eliminano quei requisiti super-formali del ricorso di cassazione tanto contestati dall’avvocatura e che avevano creato una vera e propria “tagliola” per l’accesso alla giustizia di legittimità. L’iperformalismo non è mai un valore, ma al contempo va detto che la norma “tagliola” aveva consentito di aumentare la definizione dell’enorme - ed intollerabile - mole di contenzioso che ogni anno si abbatte sulla Cassazione.
Si crea una sezione “filtro” dei ricorsi, alla quale è affidato il compito di verificare in via preliminare se i ricorsi siano inammissibili ovvero possano essere decisi con la più snella procedura camerale. Il primo presidente deve inviare i ricorsi a questa sezione ai fini delle dovute valutazioni, fatte in prima battuta da un relatore con una relazione scritta e poi dal collegio.
E’ evidente la “centralità” ed “importanza” questa sezione, che filtra i ricorsi, decide quelli inammissibili e definibili in forma semplificata e diventa la vera custode della nomofilachia a fronte dell’art. 360 bis. In questa prospettiva, condivisibile è stato l’abbandono dell’originaria proposta di prevedere una composizione collegiale (a tre e non a cinque) e condivisibile è anche la scelta, sancita dall’art. 67 bis ord. giud., di prevedere la sua composizione con magistrati di tutte le sezioni della cassazione; stando così le cose, peraltro, non capisco perché non si affermi l’inderogabilità di tale ultimo principio, mentre invece l’art. 67 bis parla di composizione che “di regola” avviene coi magistrati di tutte le sezioni.
 
Per i cautelari l’unica modifica è quella dell’art. 669 octies c.p.c., ove si aggiunge un comma per sancire in via normativo il principio, già affermato della giurisprudenza, secondo i cui i provvedimenti ex art. 700 e in genere anticipatori, che non devono necessariamente proseguire col merito, devono contenere la statuizione sulle spese.
 
Gli art. 702 bis, ter e quater c.p.c. introducono, sulla falsariga di quanto già previsto per il rito societario, un “rito sommario di cognizione”, ammissibile solo nelle cause di competenza monocratica, che inizia con ricorso (contenente tutti i requisiti dell’art. 163 tranne chiaramente la vocatio in ius), prevede un termine minimo di comparizione di trenta giorni e di dieci giorni per la costituzione del convenuto e stabilisce che gli atti introduttivi devono contenere tutte le difese, eccezioni, domande e richieste istruttorie. Se le difese delle parti non consentono la trattazione semplificata, ovvero la causa il giudice concederà i termini ex art. 183 comma 6 c.p.c. e a quel punto il giudizio proseguirà nelle forme ordinarie, altrimenti ,“omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione rilevanti in relazione all'oggetto del provvedimento richiesto e provvede con ordinanza all'accoglimento o al rigetto delle domande. L'ordinanza è provvisoriamente esecutiva e costituisce titolo per l'iscrizione di ipoteca giudiziale e per la trascrizione”.
Come si vede, il rito segue quello del lavoro (nelle forme introduttive, nei termini di comparizione e di costituzione e nella concentrazione) e si conclude con un’ordinanza. Ora, poiché la previsione dell’art. 54 della legge in commento è che il rito del lavoro diventerà il modello tipo del rito ordinario e poiché la sentenza, per come modificata dalla medesima legge, diventa molto simile ad un’ordinanza, alla fine la differenza tra rito ordinario e rito sommario sarà data solo dalla concessione dei termini ex art. 183 comma 6 e dalla deformalizzazione dell’istruttoria. Ma i termini ex art. 183 comma 6 ritardano complessivamente di solo ottanta giorni la durata della causa e, al contempo, servono spesso a chiarire i fatti di causa e le difese delle parti, mentre la deformalizzazione dell’istruttoria non significa eliminazione del principio dell’onere della prova (anche in sede cautelare, la cui disciplina- art. 669 sexies - è stata perfettamente copiata dal legislatore, gli informatori sono indicati e portati dalle parti) ma solo attenuazione di tale principio in nome di più stringenti poteri istruttori officiosi del giudice, poteri che tuttavia vi sono anche nel rito del lavoro ai sensi dell’art. 421 c.p.c. Se poi si aggiunge che il problema non è tanto il rito ma il numero enorme delle controversie pendenti e sopravvenienti, è difficile ipotizzare che il ricorso al rito sommario porterà a rinvii più brevi e ad effettive accelerazioni nei tempi. Non solo, ma posto che la norma che impone la fissazione del calendario del processo (art. 81 bis disp. att. c.p.c.) riguarda solo il rito ordinario, i tempi di tale rito, in cui il giudice è obbligato a scandire in anticipo tutti i passaggi istruttori, diventano ancora più prevedibili e sicuri (il tutto al di là delle critiche di cui sopra alla norma sul “calendario del processo”).  
Alla fine, la nostra opinione traspare chiaramente. Nutriamo dubbi sull’effettiva utilità ed utilizzazione del rito sommario (per inciso, il rito sommario del societario non ha avuto certo un grande successo). Il rito ordinario, soprattutto se modellato sul processo del lavoro, è già sufficientemente concentrato, non si differenzia di tanto dal rito sommario e ha la norma fortemente responsabilizzante dell’art. 81 bis disp. att. c.p.c.
Comunque, a prescindere da questi rilievi, è indispensabile che l’ordinanza definitoria faccia statistica, perché altrimenti trovo davvero difficile pensare che un giudice, il quale ha a disposizione un rito ordinario concentrato e razionale, destinato a concludersi con un nuovo agile modello di sentenza, preferisca un procedimento sommario che di fatto non produce tanti risultati acceleratori e finisce con un provvedimento che non fa statistica.
                      
     
2. PROCEDIMENTO DI ESECUZIONE                                       
 
L’esecuzione forzata, profondamente riformata negli anni 2005 e 2006, secondo un modello in larga parte ispirato da precedenti esperienze maturate nella prassi di alcuni uffici giudiziari, subisce pochi e mirati interventi: per un verso, si prosegue nell’obiettivo di accelerare il procedimento e di renderlo più efficiente nei risultati, per altro verso si corregge il tiro rispetto a scelte frettolose o mal congegnate della precedente riforma.
 
Un passo ulteriore nella prima direzione è ravvisabile nella previsione dell’articolo 540 bis, che estende la disciplina dell’integrazione del pignoramento (già prevista nella fase iniziale dell’espropriazione mobiliare: art. 518) anche all’ipotesi che le cose pignorate restino invendute ovvero la somma assegnata sia insufficiente a soddisfare le ragioni dei creditori: l’integrazione consente in tal caso, sempre su richiesta di uno dei creditori, di provvedere direttamente alla vendita delle nuove cose, superando la fase iniziale del procedimento esecutivo.
 
Nella stessa ottica va letta la modifica dell’articolo 630, che da un lato generalizza la rilevabilità d’ufficio delle cause di estinzione del processo esecutivo (al pari di quanto stabilito per il processo di cognizione), e dall’altro introduce un opportuno limite temporale a tale rilievo ufficioso, nella prima udienza successiva al verificarsi della causa estintiva: soluzione, quest’ultima, che pone rimedio a inconvenienti emersi dopo l’introduzione del rilievo d’ufficio dell’estinzione dovuta alla violazione del termine (art. 567) per il deposito della cd. documentazione ipocatastale, in mancanza di chiare preclusioni in ordine all’esercizio del relativo potere (salve quelle desumibili dall’art. 487).
 
Carattere essenzialmente correttivo hanno, poi, gli interventi relativi alle cause di opposizione.
 
In primo luogo, dall’articolo 616 è stato espunto l’ultimo periodo che sancisce la non impugnabilità delle sentenze che decidono le cause di opposizioni all’esecuzione, rimediandosi a una scelta (riferibile alla legge 24 febbraio 2006 n° 52), che nell’intento di accelerare la definizione dei procedimenti che incidono sul corso del processo esecutivo, non aveva tenuto in debito conto l’oggetto delle cause in questione, che, specie in presenza di titoli esecutivi di formazione stragiudiziale, coincide sovente con quello di un qualsiasi giudizio di merito, in ordine all’esistenza di rapporti obbligatori, e che, pertanto, aveva dato luogo a critiche e a sospetti d’illegittimità costituzionale.
Le sentenze pronunciate sulle opposizioni all’esecuzione diventano, quindi, nuovamente appellabili, diversamente da quelle in tema di opposizione agli atti esecutivi, secondo una distinzione risalente al testo originario del codice, e giustificata dalla tendenziale riferibilità del giudizio sull’opposizione agli atti alla sola validità, regolarità o anche opportunità di singoli atti del processo esecutivo.
Si noti che la novità è una delle pochissime immediatamente applicabili ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della legge.
 
Altro intervento correttivo, rispetto al testo introdotto con una delle leggi di riforma degli anni 2005/2006, si rinviene nell’articolo 624, a proposito del discusso meccanismo di estinzione del processo esecutivo, conseguente alla sospensione dell’esecuzione e alla scelta dell’opponente di non iniziare il giudizio di merito (modellato sul regime delle ordinanze cautelari anticipatorie della decisione di merito). Oltre a depurarsi il testo da talune improprietà terminologiche (ad esempio, scompare il riferimento all’estinzione del pignoramento, parlandosi ora, più propriamente, di estinzione del processo), la modifica normativa dà risposta ai dubbi interpretativi insorti all’indomani della riforma entrata in vigore il 1° marzo 2006, riguardo alla compatibilità dell’effetto estintivo con l’ipotesi che il giudizio di merito sull’opposizione fosse promosso, anziché dall’opponente, da “ogni altro interessato”.
La riforma dovrebbe, inoltre, a una prima lettura, dare chiarezza in ordine alla sorte delle spese relative alla fase dell’opposizione che si svolge davanti al giudice dell’esecuzione.
 
Ancora in tema di opposizioni, questa volta agli atti esecutivi, di notevole importanza è l’introduzione dell’articolo 186 bis disp. att. c.p.c., che impone l’assegnazione delle cause proposte ai sensi dell’articolo 618 comma 2° c.p.c. ad un magistrato diverso da quello che abbia conosciuto (come giudice dell’esecuzione) degli atti avverso i quali è proposta opposizione. Viene, quindi, espressamente introdotto un regime di incompatibilità, che la dottrina aveva già prefigurato (e la giurisprudenza in numerosi casi recepito, con accorgimenti di natura tabellare ovvero mediante l’istituto dell’astensione), in relazione al principio della terzietà del giudice, per i casi in cui l’opposizione agli atti esecutivi sia proposta contro un provvedimento del giudice dell’esecuzione. La norma in commento sembra estendere, comunque, il regime dell’incompatibilità a tutte le opposizioni relative ad atti del processo esecutivo (di cui, peraltro, per esperienza giurisprudenziale, le più rilevanti numericamente sono appunto quelle rivolte contro atti del giudice). D’altro canto, essa chiarisce, ove ce ne fosse bisogno, che nessun generale criterio di incompatibilità del giudice dell’esecuzione (a decidere sulle opposizioni) poteva leggersi nei meccanismi di introduzione delle cause di opposizione previsti dagli articoli 616 e 618 (come modificati dalla legge n°52 del 2006).
 
Fin qui la riforma dell’esecuzione forzata si muove in senso correttivo o migliorativo rispetto al più radicale intervento attuato con le leggi del 2005 e 2006, con pochi e mirati aggiustamenti.
 
Carattere più decisamente innovativo assume, invece, l’articolo 614 bis, che introduce nel codice di rito uno strumento di coercizione degli obblighi di fare infungibile e di non fare, mediante l’attribuzione al giudice che pronuncia la condanna del potere di fissare, su richiesta di parte, una somma di denaro dovuta per ogni violazione o inosservanza successiva: viene dunque codificato l’istituto – di origine francese – dell’astreinte.
 
Infine, dalla riforma degli articoli 2668 bis e ter c.c. deriva una limitazione temporale dell’efficacia della trascrizione del pignoramento (oltre che delle domande giudiziali e dei sequestri conservativi), che, pertanto, come già l’iscrizione ipotecaria, resta ferma per la sola durata di vent’anni, salva rinnovazione.
La riforma introduce un onere ulteriore per i creditori interessati all’esecuzione forzata, per le ipotesi che, nel termine di vent’anni, non si sia ancora giunti alla vendita forzata (è ovvio, infatti, che, in caso contrario resta fermo l’effetto anticipatorio della trascrizione del pignoramento, riguardo all’opponibilità ai terzi del trasferimento immobiliare, attuato col decreto ex art. 586 c.p.c.): ipotesi configurabile soprattutto quando il processo esecutivo subisca arresti per la necessità di procedere alla divisione dei beni pignorati.
L’utilità della nuova norma consiste nel rimuovere un intralcio alla libera circolazione dei beni immobili, allorché il processo esecutivo non sia più pendente e, tuttavia, la trascrizione del pignoramento non sia stata mai cancellata: tiene conto, in particolare, della difficoltà, per gli interessati, di ricostituire il contraddittorio col creditore pignorante (ex art. 172 disp. att. c.p.c.), a distanza di anni o decenni, al fine di ottenere dal giudice dell’esecuzione il provvedimento di cancellazione. Peraltro, è un problema che riguarda soprattutto il passato (e, in particolare, i procedimenti esecutivi estinti ex art. 631 c.p.c.), dopo che, già con la legge n°302 del 1998, era stato previsto che l’ordinanza dichiarativa dell’estinzione dovesse sempre disporre la cancellazione della trascrizione del pignoramento (art. 632 comma 1 c.p.c.): non a caso, l’articolo 58 delle disposizioni transitorie fissa un termine di dodici mesi dall’entrata in vigore della legge per provvedere alla rinnovazione delle trascrizioni (di domande giudiziali, pignoramenti immobiliari e sequestri) eseguite fino a venti anni prima della data di entrata in vigore.
 
 
3. CONTROVERSIE PREVIDENZIALI
Al riguardo sono previste ridotte, ma non irrilevanti, novità.
Innanzitutto, si attribuisce ai GdP la competenza sulle cause relative agli interessi o accessori da ritardato pagamento di prestazioni previdenziali o assistenziali, eliminando per tali cause il rito del lavoro (artt. 7 e 442). Lo spostamento, in termini quantitativi, non sarà insensibile.
Si garantisce, poi, al ricorrente residente all’estero di adire il giudice del luogo di sua ultima residenza in Italia. E se si tratta di eredi essi possono adire il giudice del luogo di ultima residenza del defunto (art. 444 ult. comma).
Ed ancora, in un’evidente e giustifica ottica di evitare l’abuso del processo, si prevede che le spese di lite nei giudizi per prestazioni previdenziali non possono superare il valore della prestazione dedotta in giudizio (art. 152 disp. att.). Il principio, forse, poteva essere affermato in via generale per tutti i processi civili.
Nella stessa ottica, va letto l’art. 56 comma 2, che prevede l’applicabilità dell’art. 11 L. 222/84 anche “alle domande volte a ottenere il riconoscimento del diritto a pensioni, assegni e indennità comunque denominati spettanti agli invalidi civili nei procedimenti in materia di invalidità civile, cecità civile e sordomutismo”. Si estende quindi a tutte queste controversie il divieto, previsto dal citato art. 11 per le controversie in materia di invalidità pensionabile, di formulare nuove domande amministrative o giudiziarie aventi il medesimo oggetto sino a “quando non sia esaurito l'iter di quella in corso in sede amministrativa o, nel caso di ricorso in sede giudiziaria, fino a quando non sia intervenuta sentenza passata in giudicato”.
          
 
4. PROCEDIMENTO DI OPPOSIZIONE AD INGIUNZIONI AMMINISTRATIVE
L’art. 56 aggiunge un periodo al secondo comma dell'articolo 23 della L. 689/81, riguardante il procedimento in oggetto. stabilendo che, in tali controversie, “la prova scritta della conoscenza del ricorso e del decreto equivale alla notifica degli stessi”. Si tratta di un congruo intervento di semplificazione e deformalizzazione, relativo al rito più semplice e vicino ai cittadini (quello di opposizione alle contravvenzioni stradali).       
 
 
ENTRATA IN VIGORE DELLE NORME
Secondo l’art. 58, tutte le modiche al c.p.c. e alle disposizionidi attuazione sono applicabili ai giudizi di primo grado sorti dopo l’entrata in vigore della legge (comma 1), ad eccezione di quelle relative al nuovo modello di sentenza (artt. 132 c.p.c. e 118 disp. att.), all’estensione delle preclusioni in appello anche ai documenti (art. 345 c.p.c.) e alla reintroduzione dell’appellabilità delle sentenze in materia di opposizione all’esecuzione (art. 616), modifiche per le quali si prevede l’applicabilità anche ai giudizi in corso (comma 2). Inoltre, i commi 4 e 5 dell’art. 155 c.p.c., introdotti con la precedente mini-riforma, diventano applicabili a tutti i giudizi pendenti alla data dell’ 1 marzo 2006 (comma 3). Quanto alle modifiche al giudizio di cassazione, esse sono applicabili rispetto a tutti i provvedimenti impugnabili in cassazione pubblicati o depositati dopo l’entrata in vigore della legge (comma 5).
 
 
DISPOSIZIONI IN MATERIA DI CONCORDATO
L’art. 61 apporta modificazioni all'art. 125 comma 2 l.fall., in tema di più proposte di concordato, incrementando al riguardo i poteri del giudice delegato il quale, sollecitato dal curatore, può ordinare la comunicazione ai creditori di una o altre proposte ritenute convenienti, in aggiunta a quella scelta dal comitato dei creditori. E l'art. 128 l.fall., per armonizzare il tutto, stabilisce che, quando il giudice delegato dispone il voto su più proposte di concordato ai sensi dell'articolo 125 comma 2, si considera approvata quella tra esse che ha conseguito il maggior numero di consensi a norma dei commi precedenti e, in caso di parità, la proposta presentata per prima.
  
 
GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA
INOSSERVANZA DEL TERMINE DI CONCLUSIONE DEL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO E RISARCIMENTO DEL DANNO.
L’art. 7 comma 1 lett. b) prevede che non è necessaria la previa diffida per il ricorso contro il silenzio della P.A., da presentare entro 1 anno dalla scadenza del termine per provvedere (di norma 90 gg., salvo deroghe in casi specifici). Il G.A. può conoscere della fondatezza dell’istanza e, di conseguenza, ordinare all’amministrazione di emettere il provvedimento richiesto, salva la riproposizione dell’istanza di avvio del procedimento se ne ricorrono i presupposti.
L’art. 7 comma 1 lett. c) prevede un nuovo tipo di responsabilità civile della P.A. e dei funzionari amministrativi, che possono essere condannati al risarcimento del danno ingiusto cagionato dall’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento. La giurisdizione esclusiva in materia spetta al G.A. ed il relativo diritto si prescrive in 5 anni.
 
DELEGA PER LA RIFORMA DEL PROCESSO AMMINISTRATIVO
L’art. 44 delega il Governo ad approvare i decreti legislativi per riformare il processo amministrativo prevedendo: il processo telematico; la riduzione dei termini; l’introduzione del giudice istruttore; le sezioni stralcio; nuovi criteri di riparto tra le giurisdizioni; il riordino della giurisdizione di merito; nuovi termini di decadenza e prescrizione; l’emissione di sentenze dichiarative, costitutive e di condanna; il giudizio abbreviato in materia elettorale con competenza esclusiva del G.A.; termini più brevi per la riassunzione dopo la dichiarazione di difetto di giurisdizione o di incompetenza; il procedimento cautelare uniforme ante causam con introduzione contestuale e trattazione obbligatoria del giudizio di merito; l’inefficacia del provvedimento cautelare in assenza di giudizio di merito; l’applicazione delle norme sulle impugnazioni ordinarie all’appello davanti al consiglio di Stato. Nella stesura del testo il governo potrà avvalersi di magistrati amministrativi con incarico gratuito. L’art. 57, inserendo un inciso al comma 2 dell’art. 9 l. 205700, prevede l’obbligo del difensore di dichiarare al G.A., anche in udienza, di avere interesse alla decisione; in caso contrario il G.A. dichiara la perenzione del processo amministrativo.
 
ULTERIORE FINANZIAMENTO ALLA GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA
La quota del contributo unificato versata al consiglio di Stato potrà essere usata anche per incentivare progetti per lo smaltimento dell’arretrato e per il miglior funzionamento del processo amministrativo. La genericità della previsione non consente di escludere che le somme siano utilizzate per indennità nei confronti dei magistrati amministrativi che concorrano a questi imprecisati progetti. Anche in questo caso non c’è nessuna previsione per la giustizia ordinaria.
 
NUOVA DISCIPLINA DEL RICORSO STRAORDINARIO AL CAPO DELLO STATO
L’art. 69 prevede che il consiglio di Stato possa sollevare la questione di legittimità costituzionale di una legge anche quando emette il parere per la decisione del ricorso straordinario al capo dello Stato. Il governo, inoltre, non potrà più dissentire dal parere del consiglio di Stato che diventa obbligatorio e vincolante, dando una connotazione pienamente giurisdizionale al ricorso straordinario al capo dello Stato, per il quale era anche stata prevista la tutela cautelare. Probabilmente, quindi, dovrà essere rivista la giurisprudenza della cassazione e del consiglio di Stato che escludeva la possibilità del giudizio di ottemperanza in caso di mancata esecuzione del decreto del presidente della Repubblica che decideva il ricorso, poiché si riteneva che l’atto fosse amministrativo e non giurisdizionale.
 
 
 
PROCESSO PENSIONISTICO E CORTE DEI CONTI
L’art. 42 impone per ogni semestre la fissazione del calendario delle udienze per il giudice unico delle pensioni e attribuisce la competenza in materia cautelare pensionistica alla corte dei conti in composizione monocratica, con reclamo al collegio, che condanna alle spese in caso di rigetto. Viene anche stabilita l’assegnazione immediata ed automatica al momento della presentazione del ricorso ad uno dei giudici unici contabili della sezione regionale, uniformando la disciplina della corte dei conti a quella di fatto già vigente in materia di pensioni davanti al tribunale in funzione di giudice del lavoro. In caso di contrasto di giurisprudenza tra sezioni della corte, sia centrali che regionali, il processo è assegnato alle sezioni riunite. Viene anche stabilito, per le sezioni centrali o regionali che non condividano un principio di diritto già fissato dalle sezioni riunite, l’obbligo di rimettere nuovamente la questione alle sezioni riunite stesse, creando un principio analogo a quello già previsto in materia civile (ma non in materia penale) per le sezioni semplici della cassazione, che devono rimettere alle SS.UU. i ricorsi per i quali non intendano aderire al principio di diritto già fissato dalle SS.UU.
 
AVVOCATURA DELLO STATO
 
NUOVI INCENTIVI ECONOMICI PER GLI AVVOCATI DELO STATO
L’art. 43 aumenta dal 20 % al 30 % la percentuale degli onorari spettanti alle singole avvocature distrettuali e a quella generale per le cause trattate e liquidate ogni quadrimestre, mentre il rimanente 70 % (in passato 80 %) degli onorari viene diviso in misura uguale tra tutti gli avvocati e procuratori dello Stato. È importante rilevare che, se il giudice compensa le spese, l’amministrazione difesa dall’avvocatura paga comunque all’avvocatura il 50 % degli onorari previsti, con la conseguenza che la fonte principale di alimentazione del fondo sono gli onorari pagati dalle amministrazioni pubbliche, che versano automaticamente le somme, mentre contro i (pochi) privati eventualmente soccombenti è necessario provvedere ad un recupero incerto ed oneroso. Insomma, all’avvocatura “conviene” farsi compensare le spese in caso di vittoria, per avere la certezza di riscuotere gli onorari (almeno in misura del 50%). La modifica approvata incentiva le sedi distrettuali perché aumenta del 50 % (passando dal 20 % al 30 %) l’importo degli onorari a volte molto cospicui riscossi in ciascuna sede. Una maggiore quota degli onorari, perciò, resterà in loco. Viene anche realizzato un fondo perequativo degli onorari per arbitrati spettanti agli avvocati e procuratori dello Stato, sul modello di quanto già previsto per i magistrati amministrativi. Il fondo riceve e ripartisce una quota delle somme incassate dagli avvocati dello Stato che svolgano le funzioni di arbitro, dalle quali sono esclusi i magistrati ordinari. Senza costi aggiuntivi rispetto a quanto già previsto, le due modifiche porteranno una migliore distribuzione, e quindi notevoli incrementi, delle somme percepite dagli avvocati e procuratori dello Stato oltre allo stipendio. Il fondo perequativo viene realizzato perfino per il personale dell’avvocatura.
 
NOTIFICHE DA PARTE DEGLI AVVOCATI DELLO STATO
L’art. 55 prevede che anche gli avvocati dello Stato possano effettuare le notificazioni nel processo civile, amministrativo e tributario ai sensi della L. 53/94, ossia la notificazione tramite l’ufficio postale senza l’intermediazione dell’uff. giudiziario (art. 1 di detta legge), ovvero la notifica eseguita personalmente purché rivolta ad altro avvocato (art. 4 di detta legge).
 
 
 
SPESE PROCESSUALI PENALI
L’art. 67 prevede la possibilità di ordinare la pubblicazione della sentenza di condanna anche su siti internet ed estende la condanna alle spese processuali nei confronti dell’imputato a tutte le spese sostenute nel procedimento, anche se per taluni reati è stato assolto. Viene altresì soppresso il vincolo di solidarietà tra condannati per le spese processuali, delle quali ciascuno risponde pro quota nella misura fissata con apposito decreto (salvo le spese da recuperare in misura variabile, come le consulenze e le perizie). Viene prevista la possibilità per il giudice di aumentare fino al triplo gli importi delle spese fisse per la complessità delle indagini o degli atti. L’ufficio per la gestione della riscossione delle spese è quello presso il giudice dell’esecuzione. Viene prevista la possibilità di una quantificazione delle spese da recuperare anche da parte del concessionario per la riscossione, il che presenta evidenti aspetti di illegittimità costituzionale, sia perché la quantificazione è effettuata da un privato incaricato di pubblico servizio, sia perché il concessionario – finora – non ha dato buona prova di sé a causa della persistenza dell’elevatissimo insoluto.
 
                                                                    Aldo Morgigni ed Alessandro Pepe
 
 
 
 
 
 
 

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