Cari Colleghi,
Desidero subito premettere che la mia candidatura non vuole guardare a ciò che
è stato, ma esclusivamente al futuro e vuole partire da un punto fermo e, cioè,
che chi ha lavorato fino ad oggi, ha lavorato bene e nell’interesse del gruppo,
anche a costo di sacrifici personali.
E i risultati, infatti, si sono visti:
in questi ultimi anni MI è cresciuta molto, nonostante gli innumerevoli
ostacoli e si è sempre distinta per le doti di compostezza, sobrietà,
laboriosità e coerenza dimostrate dai suoi dirigenti e dai suoi iscritti.
Oggi però siamo di fronte a nuove sfide: è indiscutibile che la magistratura
sia cambiata.
Non possiamo ignorare le profonde trasformazioni culturali e
sociali intervenute, nonché l’avvento di un vero e proprio cambio
generazionale, determinato dall’ingresso di giovani colleghi, impegnati e
motivati, ma lontani da quella concezione fortemente ideologica della funzione
giudiziaria degli anni ’70.
Al suo progressivo superamento si accompagna,
pertanto, una crescente attenzione – specie nei nuovi magistrati – per gli
aspetti pragmatici relativi alle condizioni di lavoro, non disgiunta, tuttavia,
da un rinnovato orgoglio per lo svolgimento della funzione giudiziaria.
Si rende, quindi, necessario un cambiamento, da realizzare tramite nuove
iscrizioni a MI, nuova linfa e, soprattutto, nuovo entusiasmo.
MI non può e non deve perdere terreno rispetto alla fase di rinnovamento ,che
sta interessando, in particolare, le nuove leve della magistratura, e deve
anticipare le altre correnti in questo desiderio di innovazione che proviene
dalla base dei magistrati.
L’obiettivo deve essere, quindi, di coniugare gli ideali di MI, a cui siamo
legati, con una nuova idea di associazionismo.
È necessario prendere atto che nuove questioni sono al centro del dibattito
interno alla magistratura: una crescente (e giustificata) insofferenza verso le
correnti, sempre più viste come strumenti per la gestione di potere clientelare
e non già quali luoghi di proposta, confronto ed elaborazione culturale; la
diffusa consapevolezza dell’importanza che riveste l’indipendenza, non del solo
ordine giudiziario nel suo complesso, ma anche del singolo magistrato, nonché
la sua autonomia, da rivendicare anche nell’organizzazione del lavoro.
Riflessioni, queste, che finiscono col coinvolgere lo stesso ruolo del CSM,
anch’esso percepito come espressione di quel medesimo clientelismo correntizio
che, nello svilire la professionalità di tanti colleghi, privi di una precisa
appartenenza associativa, tende a comprimere la loro autonomia,
Sentimenti, questi, ai quali si unisce una crescente frustrazione per la
posizione sempre più marginale rivestita dalla magistratura ordinaria, specie
se posta a confronto con il protagonismo delle magistrature amministrative e
contabili e addirittura delle stesse autorità amministrative c.d.
indipendenti.
È necessario, quindi, fornire una risposta a queste preoccupazioni,
adoperandosi perché il Parlamento – pur nel doveroso rispetto che va
riconosciuto alla sua autonomia decisionale – realizzi serie ed incisive
innovazioni normative destinate a restituire efficienza al sistema giustizia e,
di riflesso, prestigio ai suoi rappresentanti.
Ancora più efficace deve poi essere il nostro contributo all’attività
consiliare, nonché la nostra azione all’interno dell’ANM, del cui operato deve
essere denunciata, in modo chiaro e netto, tutta l’ambiguità.
Dobbiamo superare uno schema precostituito che ci vorrebbe sempre ai margini e
giocare per vincere, ma per farlo dobbiamo investire su noi stessi e
confrontarci con gli altri, con moderazione e capacità di dialogo.
Per fare questo dobbiamo recuperare un po’ di orgoglio di appartenenza, un po’
di convinzione nelle nostre forze, che può fondarsi anzitutto sull’ottimo
risultato che abbiamo conseguito al Cdc e al Csm, segni inequivocabili che alle
elezioni dell’autunno prossimo Magistratura indipendente può imprimere una
svolta decisiva all’associazione magistrati.
È questa la scommessa che dobbiamo proporre ai colleghi.
Cresciuti nel consenso a scapito delle altre correnti,
confortati dal tempo che – galantuomo – ha riconosciuto quanto giuste e fondate
fossero le nostre critiche, possiamo puntare oggi a rappresentare in modo più
adeguato una categoria che, a dispetto di una certa malevola immagine proposta
dai media, si distingue per la sua laboriosità.
A noi non interessano le luci della ribalta, a noi non interessa scendere
costantemente in sterili polemiche con le istituzioni politiche.
Noi vogliamo cambiare il sistema partendo “dal basso”: MI, oltre che un luogo
di libero confronto di idee, è innanzitutto un’associazione sindacale e, come
tale, la sua prima preoccupazione è la tutela del lavoro dei magistrati. Di
tutti i magistrati! Anche di coloro che non fanno parte di nessuna corrente,
anche di coloro che fanno parte delle altre correnti. Ebbene, noi non
chiuderemo la porta in faccia a nessuno, perché penso che ognuno di noi possa
apportare un piccolo ma significativo contributo a questo nuovo, grande
progetto a cui oggi daremo vita.
La giustizia nel suo complesso ha bisogno di urgenti riforme da portare a
compimento.
La difficile situazione, di cui si parla ormai da decenni senza offrire reali
risposte, ha determinato una generale disaffezione dei cittadini ed anche un
senso di frustrazione tra noi operatori della giustizia. MI vuole mettersi a
capo di un processo che porti ad un effettivo miglioramento dell’efficienza del
sistema, perché riformare la giustizia è interesse dei cittadini, non solo dei
magistrati.
Condicio sine qua non di qualsiasi riforma è, tuttavia, lottare per preservare
la nostra indipendenza e la nostra autonomia di giudizio da qualsiasi
interferenza interna ed esterna.
Di qui, pertanto, la necessità di avanzare concrete proposte che
salvaguardino, in questo difficile momento storico, una retribuzione che sia
adeguata alle nostre funzioni e che non mortifichi la nostra dignità
professionale.
Mi affronterà la questione economica con lo studio approfondito
dell’ultima manovra, al fine di verificarne la legittimità costituzionale e di
predisporre eventuali strumenti di tutela, ma, anche, con la ricerca di nuovi
percorsi, che possono consistere, ad esempio, nella previsione di deduzioni e
detrazioni fiscali per chi, come noi, non riceve adeguati strumenti e, spesso,
investe nel proprio lavoro, acquistando, a proprie spese, libri, computer o
altro.
E’ indispensabile, inoltre, recuperare condizioni di lavoro decorose, che ci
consentano di lavorare con efficienza e funzionalità, al fine non solo di
riacquistare la dovuta legittimazione di fronte all’opinione pubblica, ma di
restare, in ogni momento, sereni ed in grado di offrire una prestazione
professionalmente adeguata.
Perciò, MI chiederà con insistenza la riorganizzazione della geografia giudiziaria
con conseguente re-distribuzione del lavoro e degli organici
in relazione alle effettive esigenze, così come cercherà
di promuovere tutti quegli interventi dell’Autogoverno che possano
potenziare l’efficienza degli uffici giudiziari -mi riferisco alla
utilizzazione dei g.o.t., che, nel rispetto dei limiti costituzionali e
legislativi, potrebbero diventare, con una disciplina secondaria meno rigida e
più illuminata, un maggiore ausilio ed anticipare l’agognata creazione dell’
ufficio del giudice; alla individuazione di misure idonee a far fronte alla
particolare emergenza dei vuoti di organico nelle procure, attraverso forme,
realmente appetibili di incentivo, non solo economico, ma anche di progressione
in carriera per i magistrati che accettino trasferimenti in luoghi lontani dai
propri affetti familiari.
Così come è necessario, al fine di tutelare il singolo magistrato, chiunque
egli sia, anche se privo di appartenenza, avanzare concrete proposte che
riducano l’influenza delle correnti all’interno del CSM e dei consigli
giudiziari, che siano improntate ai seguenti principi:
- individuazione di carichi di lavoro esigibili, che tengano conto
della disomogeneità e
- onerosità dei carichi di lavoro, in molti uffici giudiziari ai
limiti della sostenibilità, ma che siano predeterminati e conosciuti dai
magistrati, sì da evitare arbitri da parte del Consiglio superiore;
- valorizzazione dell’autorganizzazione del magistrato, il cui operato
è divenuto oggetto di una disciplina all’apparenza tanto minuziosa, quanto in
realtà imperscrutabile nei suoi criteri ispiratori, e conseguente creazione di
sistema di controllo – qualitativo e quantitativo – dei risultati, così come
previsto per i rami più avanzati della pubblica amministrazione, che superi l’
arcaico e burocratico sistema dei pareri;
- tipizzazione rigorosa degli illeciti disciplinari e limitazione
degli stessi a quelle condotte che si traducano in violazioni dell’
imparzialità, dell’indipendenza, della diligenza, dell’impegno, della
laboriosità;
- attuazione delle libertà costituzionali e in primo luogo di quella
prevista dall’art. 33 Cost., che consente, peraltro, un continuo e costante
aggiornamento, accrescendo la nostra professionalità (è abnorme che il CSM
dubiti della utilità dell’attività di insegnamento e che sottoponga quest’
ultima a farraginose procedure autorizzatorie, che – oltre a prevedere un
“monte ore” non compatibile con il carattere libero che all’insegnamento è
conferito dal dettato costituzionale – operano un’incongrua distinzione tra
enti conferenti privati e pubblici, secondo una bipartizione oramai vetusta e
basta sul discutibile principio per cui l’incarico conferito dalla struttura
pubblica è da ritenere più rassicurante di quello conferito dall’ente privato:
è evidente che la pervicacia del CSM nel non rinunciare a tale controllo sull’
attività di insegnamento è solo un modo per esaltare il potere delle
correnti);
- recupero di un’effettiva gestione della carriera improntata a
logiche non di appartenenza ma di esclusiva professionalità (il sistema vigente
appare, ad un tempo, poco funzionale e largamente arbitrario, come confermano
gli innumerevoli annullamenti di atti consiliari disposti del giudice
amministrativo, ed onera, per giunta, il magistrato di produrre una voluminosa
ed articolata documentazione, che diventa solo un dispendio di energie e tempo,
che inevitabilmente incide sulla produttività dell’ufficio nel suo
complesso).
- creazione di un testo unico delle circolari consiliari, la cui
redazione dovrebbe essere assicurata in forma più chiara, mediante l’
utilizzazione di articoli separati e brevi.
In quest’ottica dobbiamo mantenere una linea ferma nei confronti del CSM: non
possiamo più accettare il sistema ”due pesi e due misure” troppo spesso
applicato.
Per spezzare questa logica, dobbiamo proporre una revisione del sistema
elettorale del Consiglio: una legge elettorale che possa dare la concreta
possibilità ad ogni magistrato, anche se estraneo a compagini associative
organizzate, di approdare all’organo di autogoverno. Per raggiungere questo
risultato basterebbe un aumento del numero dei componenti accompagnato, ad un
tempo, sia dall’eliminazione delle categorie in cui sono suddivisi i singoli
candidati (giudicanti, requirenti, Cassazione), sia dalla conservazione della
preferenza unica. In questo modo il quoziente elettorale si abbasserebbe
sensibilmente e un magistrato che ottenesse 150-200 preferenze avrebbe ottime
possibilità di essere eletto. Inoltre, si renderebbe molto complessa la
gestione delle candidature da parte dei gruppi, favorendo invece le aspirazioni
individuali. A tal proposito è opportuno rivedere anche il sistema elettorale
dell’ANM, In vista dell’ormai prossimo rinnovo del Comitato Direttivo Centrale.
M.I. deve formalizzare una richiesta di un sistema nuovo garantisca l’effettiva
volontà della base e che sia svincolato da logiche dirigistiche e di
appartenenza. Dobbiamo favorire l’avvicinamento dei giovani, oggi restii – se
non addirittura disillusi circa l’esistenza di effettivi spazi per il loro
operato – ad assumere ruoli ed incarichi all’interno del nostro gruppo e dall’
Associazione nazionale magistrati in genere.
Dobbiamo valorizzare i tanti contributi positivi e stimolanti, evitando che
troppi colleghi restino isolati e che la loro voce sia, fatalmente, relegata
fuori dal coro.
In che modo?
Rendendo capillare la presenza di M.I. sul territorio:
dobbiamo farci conoscere, far circolare le nostre idee, con
incontri nei distretti e organizzando convegni, con la diffusione e il
potenziamento del nostro giornale affinché esso fornisca un’informazione
costante del nostro operato, ma allo stesso tempo divenga un forum di idee e
proposte.
Ci dobbiamo proporre per quello che siamo: Magistratura Indipendente, un’
associazione indipendente da pregiudizi e preconcetti, dedita solo a preservare
e tutelare la dignità tanto della nostra funzione, quanto delle condizioni
lavorative, purtroppo sempre più precarie e disagiate, che contraddistinguono
il suo esercizio.
Permettetemi, tuttavia, un’ultima considerazione prima di concludere.
Credo che M.I. debba anche promuovere nell’ordine giudiziario una rinnovata
consapevolezza dei limiti del proprio operato, ribadendo con forza l’idea che
la rappresentanza del popolo italiano – che ad esso compete per dettato
costituzionale – ha natura esclusivamente tecnica, non politica.
Badate bene, nel dire ciò, ovvero nel rammentare la nostra comune soggezione
“soltanto alla legge”, non intendo certo unirmi al coro di quanti lamentano –
il più delle volte con evidente strumentalità – una pretesa esorbitanza della
magistratura dal ruolo che la Costituzione le assegna.
Sono, infatti, pienamente consapevole – ce lo ha insegnato la Corte
Costituzionale, ormai venticinque anni fa – che gli ordinamenti degli Stati
democratici contemporanei «non hanno mai attuato in modo letterale e meccanico
il principio illuministico della divisione dei poteri», di talché «ciascuno dei
poteri non esercita in modo esclusivo e rigoroso l'attività da cui prende il
nome, ma partecipa - in via eccezionale - a qualche manifestazione delle
funzioni degli altri: il che, del resto, corrisponde anche a quel principio di
equilibrio e di reciproco controllo fra i poteri che contraddistingue la nostra
Costituzione» (C. cost. sentenza n. 283 del 1986).
Nondimeno, vedo con preoccupazione affiorare – più ancora, forse, che su temi
di rilievo politico, su quelli cosidetti “eticamente sensibili” – la tendenza
di certi settori della magistratura a sentirsi investiti di una funzione che
trascende l’interpretazione ed applicazione delle norme di legge, per
abbandonarsi, spesso sulla base di forzate letture del testo costituzionale o
del diritto sovranazionale, ad una funzione “creativa”, questa sì non in linea
con il dettato costituzionale.
Sono profondamente convinto che la magistratura debba rifuggire da questa
tentazione, e con essa da quella – sempre affiorante – di farsi interprete di
una (presunta) parte più “evoluta”, “culturalmente avanzata” o persino
semplicemente “moralmente più degna”, della società .
In un sistema democratico – è il lascito prezioso di uno dei grandi
costituzionalisti del 900, Edoardo Ruffini, in quel piccolo gioiello che è Il
principio maggioritario – è sempre e solo il principio della “màior pars”, e
non della “sànior pars”, ciò su cui si fonda la legittimità di quell’atto
espressione di volontà generale che è la legge.
Cosimo Ferri