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Covid-19 e interessi finanziari dell’Unione Europea: così lontani e così vicini

 sabato, 18 aprile 2020

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Andrea Venegoni, Magistrato addetto all’Ufficio del Massimario e del ruolo della Corte di cassazione

 
 

 

Sommario: 1. Introduzione – 1.1. Gli interessi finanziari dell’Unione – 2. Le prime risposte europee all’emergenza – 2.1. La Commissione Europea – 2.2. La BCE – 2.3. Altri interventi – 3. Natura degli interventi – 4. Rilevanza della natura degli interventi: le indagini penali.

 

 

 

1. Introduzione

Parlare di un argomento come gli interessi finanziari dell’Unione Europea in un periodo come questo può sembrare non solo del tutto slegato dalla realtà - non essendo di immediata percezione il collegamento con l’attuale epidemia in atto -, ma quasi irridente verso chi deve necessariamente occuparsi di ben altri temi, in un momento in cui altre appaiono le emergenze, ed altre sono le preoccupazioni ed i pensieri di tutti, anche degli studiosi di diritto.

Ad una simile conclusione, tuttavia, si può giungere solo se ricorrono due condizioni: a) che si sia fatta una lettura superficiale degli eventi in atto in tutte le loro implicazioni, anche economiche; b) che non si abbia familiarità con il concetto di “interessi finanziari dell’Unione”.

Diversamente, si percepirebbe, invece, come il tema degli interessi finanziari dell’Unione abbia una sua dignità nell'analisi dell’aspetto che, dopo quello sanitario, è uno dei più rilevanti, se non il più rilevante dell’attuale crisi, quello economico.

E’ infatti un dato ormai di comune conoscenza, emergente alla semplice lettura di un quotidiano, quello per cui l’Unione Europea è stata chiamata a dare una risposta chiara e forte ai danni economici che l’epidemia ha provocato nei singoli Stati Membri, tra cui il nostro.

Senza entrare qui in discussioni di carattere politico, per il carattere di questo testo - che intende solo fornire informazioni e porsi qualche domanda di carattere strettamente giuridico -, le risposte dell’Unione finora si sono articolate su vari livelli, che corrispondono anche ai poteri delle singole istituzioni dell’Unione.

Non è inutile, infatti, forse ricordare in questo momento che dietro alla generica espressione “Unione Europea” o più ancora “Europa” si presentano, in realtà, istituzioni ben diverse tra loro nella struttura e nei poteri.

Può essere interessante in questa breve analisi, allora, vedere se e in che modo le misure che l’Unione Europea intende adottare in questa fase incrocino gli interessi finanziari della stessa, e quale sia la rilevanza di tale circostanza.

 

1.1. Gli interessi finanziari dell’Unione

Esaminiamo, in primo luogo, cosa si intenda con questa espressione.

Per questo, oggi ci si può rifare ad una definizione normativa, contenuta in due strumenti legislativi.

Il primo è la direttiva per la tutela dei medesimi interessi attraverso il diritto penale, la c.d. “Direttiva PIF” del 2017[1].

L’art. 2 comma 1 della stessa afferma che

“per «interessi finanziari dell'Unione» si intendono tutte le entrate, le spese e i beni che sono coperti o acquisiti oppure dovuti in virtù: i) del bilancio dell'Unione; ii) dei bilanci di istituzioni, organi e organismi dell'Unione istituiti in virtù dei trattati o dei bilanci da questi direttamente o indirettamente gestiti e controllati”.

Il processo di recepimento della direttiva nel sistema interno è tuttora in corso.

La legge 4.10.2017, n. 117, in particolare all’art. 3, ha dettato le linee della delega al Governo per il recepimento di tale direttiva, ma la legge delega non aggiunge nulla a tale definizione.

Il Governo ha redatto il testo del decreto delegato, il quale si trova attualmente in Parlamento per i passaggi tecnici.

Ma una definizione di interessi finanziari dell’Unione si trova anche in un altro strumento normativo dell’Unione, un regolamento, e, in quanto tale, direttamente applicabile nel diritto interno.

Si tratta del regolamento n. 883/2013 che disciplina le indagini dell’Ufficio Europeo per la Lotta Antifrode (OLAF), l’organismo dell’Unione incaricato di condurre indagini amministrative sui fatti – essenzialmente irregolarità - lesivi del bilancio comunitario[2].

Secondo tale regolamento (art. 2) per “interessi finanziari dell’Unione” si intendono le “entrate, spese e beni coperti dal bilancio dell’Unione europea, nonché quelli coperti dai bilanci delle istituzioni, degli organi e degli organismi e i bilanci da essi gestiti e controllati”.

Le due norme, come si può vedere ad un semplice confronto letterale, sostanzialmente coincidono e la seconda, come detto, fa già parte del nostro sistema.

Da esse si ricava in primo luogo che gli interessi finanziari dell’Unione attengono alle entrate ed alle uscite del bilancio dell’Unione.

Come già ricordato in altre occasioni[3], nel corso degli anni successivi alla sua creazione, la allora Comunità Europea – oggi Unione - ha iniziato a disporre di un proprio bilancio per il perseguimento delle politiche ad essa proprie.

Questo bilancio non rappresenta una sorta di “consolidato” dei bilanci nazionali, ma è distinto da essi e di importo ben più modesto. Solo per dare un’idea, i bilanci degli ultimi anni coinvolgono importi che si aggirano sui 140-160 miliardi l’anno, una cifra quindi ben inferiore a quella del bilancio di uno Stato di medie o grandi dimensioni.

Il bilancio dell’Unione si compone di entrate ed uscite. In gran parte esso è comunque, ad oggi, dipendente dalle disponibilità degli Stati, perché la quota più rilevante delle entrate è rappresentato da un versamento che essi compiono in proporzione al PIL di ciascuno.

Tuttavia negli anni, a partire dagli anni ’70 del secolo scorso, si sono istituite delle entrate, cosiddette “proprie” dell’Unione, cioè importi che dalla fonte confluiscono direttamente nel bilancio comunitario (oggi unionale). Esse sono, ad oggi, rappresentate dai diritti doganali, riscossi in occasione delle operazioni di importazioni ed esportazioni di merci all’ingresso o uscita di merci dalla frontiera doganale dell’Unione, e dai prelievi agricoli.

Inoltre, è di competenza del bilancio dell’Unione anche una modesta quota dell’imposta sul valore aggiunto (iva) che gli Stati riscuotono sulle operazioni imponibili.

Le uscite del bilancio sono gli impegni finanziari dell’Unione per perseguire le proprie politiche.

Si tratta delle politiche comunitarie, facenti parte del Trattato istitutivo della Comunità Economica Europea del 1957, transitate poi nell’Unione, dopo il 1992, come componenti il c.d. “Primo pilastro”.

I fondi per la coesione, definiti anche strutturali, sono la principale tra esse, avendo negli ultimi anni superato, per importo, l’altra grande voce delle uscite del bilancio dell’Unione, che ha rappresentato per anni forse la principale politica dell’istituzione: le spese per l’agricoltura e lo sviluppo rurale.

Soprattutto dopo il grande allargamento dell’Unione con l’ingresso di tredici nuovi Stati, prevalentemente dell’Est Europa, avvenuto tra il 2004 ed il 2013, la spesa per la coesione è divenuta la più rilevante.

Come emerge, poi, dal testo letterale delle norme sopra riportate, il concetto di interessi finanziari dell’Unione non si limita, però, al solo bilancio dell’Unione.

All’interno di quest'ultima, e della sua complessa struttura finanziaria, non solo esiste, infatti, un bilancio generale comunitario, ma esistono bilanci di vari organi dell’Unione (si pensi, per esempio, alle c.d. “agenzie” della Commissione Europea) ed altri di origine non comunitaria sebbene gestiti prima dalle Comunità e oggi dall’Unione[4], così come esistono bilanci gestiti per conto della stessa[5].

 

2.Le prime risposte europee all’emergenza

È interessante ora passare in rassegna le risposte, o le principali risposte, che l’Unione ha inteso mettere in campo in questa fase, distinguendole a seconda dell’Istituzione coinvolta. Questo, anche per dare un’informazione oggettiva sull’argomento, indipendentemente da quello che si può pensare sull’efficacia di tali misure.

 

 

2.1. La Commissione Europea

La Commissione Europea è il c.d. “motore” dell’Unione; promuove l’interesse generale dell’UE attraverso il potere di iniziativa legislativa ed è anche definita la “custode” dei Trattati, nel senso che  assicura il rispetto del diritto UE e ne attua le politiche e il bilancio. Svolge una funzione che, per fare un paragone con la suddivisione dei poteri all’interno di uno Stato, potrebbe accostarsi a quella del potere esecutivo.

Come emerge dalla semplice lettura del suo sito, la Commissione propone nuove leggi, che devono poi essere discusse ed approvate dal Parlamento Europeo e dal Consiglio, gestisce le politiche dell’Unione ed assegna i finanziamenti, assicura il rispetto della legislazione dell’UE e rappresenta l’Unione sulla scena internazionale.

Senza volerne mitizzare l'azione, essa è una istituzione “europea” nel senso più autentico del termine, in quanto i suoi componenti - i Commissari (uno per Stato), ma anche tutto il personale che la compone, suddiviso nelle varie Direzioni Generali, Servizi ed Agenzie -, pur provenendo ovviamente dai vari Stati Membri, non operano quali rappresentanti o nell’interesse di questi ultimi, ma agiscono nell’esclusivo interesse dell’Unione. Si potrebbe quasi dire, ma, ripeto, senza voler dare l'impressione di vivere in un mondo ideale, che essi, in un certo senso, nello svolgimento della loro funzione, perdano la loro nazionalità per diventare funzionari pubblici europei.

Tra i vari compiti come custode dei trattati, secondo l’art. 126 TFUE la Commissione sorveglia l'evoluzione della situazione di bilancio e dell'entità del debito pubblico negli Stati membri, al fine di individuare errori rilevanti. In particolare, esamina la conformità alla disciplina di bilancio sulla base dei due criteri seguenti:

a) se il rapporto tra il disavanzo pubblico, previsto o effettivo, e il prodotto interno lordo superi un

valore di riferimento, a meno che:

— il rapporto non sia diminuito in modo sostanziale e continuo e abbia raggiunto un livello che

si avvicina al valore di riferimento,

— oppure, in alternativa, il superamento del valore di riferimento sia solo eccezionale e temporaneo

e il rapporto resti vicino al valore di riferimento;

b) se il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo superi un valore di riferimento, a

meno che detto rapporto non si stia riducendo in misura sufficiente e non si avvicini al valore di

riferimento con ritmo adeguato.

Secondo l’art. 1 del Protocollo 12 del Trattato, i valori di riferimento di cui al suddetto articolo 126, paragrafo 2, sono:

— il 3 % per il rapporto fra il disavanzo pubblico, previsto o effettivo, e il prodotto interno lordo ai

prezzi di mercato,

— il 60 % per il rapporto fra il debito pubblico e il prodotto interno lordo ai prezzi di mercato.

Se uno Stato Membro non rispetta tali parametri, la Commissione ha il potere di dare avvio ad una procedura, prevista nello stesso art 126, che, senza entrare qui troppo nel dettaglio, può portare a sanzioni.

L’aumento del debito pubblico, così come un’eccessiva diminuzione del PIL, porta al rischio di non rispettare di tali parametri, ed espone quindi lo Stato al rischio di procedura di infrazione.

Ma, soprattutto, il rispetto di tali parametri, certamente convenzionali e quindi non scolpiti nella pietra, ha una funzione che, anche a chi sia un profano di economia come lo scrivente, ma semplicemente lettore di articoli sul tema, appare non fine a se stesso, ma teso al mantenimento di una sostenibilità finanziaria di ogni Stato Membro, che si traduce in credibilità, necessaria a quest’ultimo per ottenere i finanziamenti necessari per la sua stessa esistenza, reperibili non in Europa, ma sui mercati internazionali.

In altri termini, poiché fino ad ora ogni Stato deve provvedere a se stesso, in mancanza di una politica comune in materia, l’Europa si limita a stabilire dei criteri il cui rispetto permette al singolo Paese di potersi presentare sui mercati internazionali con credenziali che gli permettano di finanziarsi.

L’Italia, in questo senso, avendo un forte debito pubblico, avendo quindi – per usare un linguaggio atecnico -  un elevato ammontare di debiti da restituire, avrebbe tutto l’interesse a mantenere tale credibilità sui mercati internazionali, poiché, come avviene nella vita anche tra persone fisiche, un soggetto fortemente indebitato potrebbe non godere di fiducia illimitata all'interno del mondo in cui vive, quando dovrà chiedere nuovamente denaro in prestito.

In occasione dell’emergenza Covid-19, allora, l’Italia, che, pur avendo un debito pubblico notevole, tuttavia rispetta il suddetto limite del 3%, ha prospettato la necessità di dovere affrontare una serie di spese necessarie per fronteggiare la situazione, che, se prese in considerazione, avrebbero modificato il rapporto con il PIL, che oltretutto, in questo periodo certamente non crescerà, ma anzi scenderà significativamente.

La Commissione Europea, in una lettera del 6 marzo 2020 al Governo Italiano, ha affermato che le spese “una tantum” sostenute per fare fronte alla diffusione dell’epidemia da Covid-19 non saranno computate ai fini della valutazione dei rapporti numerici di cui sopra.

Ha, quindi, permesso all’Italia di sostenere tali spese, anche laddove determinanti un incremento del debito pubblico, senza incorrere nel rischio di sanzioni.

Questo è stata una pima risposta, certamente favorevole al nostro Paese, giunta da una istituzione strutturalmente “europea” all’interno dell’Unione.

La Commissione, poi, ha intrapreso un’altra iniziativa, approvata dal Consiglio dell’Unione (cioè l’istituzione che rappresenta gli Stati membri) e dal Parlamento Europeo, consistente in un utilizzo diverso dal normale dei fondi strutturali dal bilancio dell’Unione.

I fondi strutturali sono, come ricordato in apertura trattando del bilancio dell’Unione, i fondi destinati ad investimenti per favorire lo sviluppo, all’interno dell’Unione, delle aree geografiche più svantaggiate. Essi, come detto, fanno parte del bilancio dell’Unione Europea[6].

 

La distribuzione di questi fondi ed il loro utilizzo avviene secondo uno schema generale, che prevede il trasferimento dei fondi dall’Unione agli Stati, e schemi particolari, che sono però gestiti direttamente dagli Stati, per individuare i beneficiari di singoli progetti, anche con il coinvolgimento, in alcuni casi, di articolazioni territoriali; nel caso dell’Italia, delle Regioni. Per questo, si parla di “spese indirette” dell’Unione, perché, a differenza di altre voci, questi fondi non sono distribuiti direttamente dall’Unione ai beneficiari, ma ciò avviene con l’intermediazione dei singoli Stati.

Ancora, la distribuzione ed utilizzo di tali fondi, che si articolano in vari strumenti, è determinata da vincoli piuttosto rigidi e dettagliati.

Orbene, in occasione dell’emergenza Covid-19, la Commissione ha presentato due proposte legislative per iniziative di investimento, che comportano modifiche ai regolamenti su tali fondi con l’introduzione di piena flessibilità nell’utilizzo di tali risorse[7]. Una di queste è già stata approvata dal Consiglio e dal Parlamento Europeo.

Così, tra l’altro, è prevista la possibilità di trasferimento tra i vari strumenti in cui si articola la politica di coesione, soprattutto, cioè, tra il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), il Fondo sociale europeo (FSE) ed il Fondo di coesione; è prevista anche la possibilità di trasferimenti tra le diverse categorie di regioni e flessibilità nella concentrazione tematica.

Al di là dei tecnicismi, queste, come altre misure di accompagnamento, permetteranno l’utilizzo in maniera utile di circa 37 miliardi di euro.

La Commissione ha, poi, proposto[8] un nuovo strumento europeo di sostegno temporaneo per attenuare i rischi di disoccupazione nell'emergenza, denominato SURE[9]. Esso è pensato per aiutare a proteggere i posti di lavoro e i lavoratori che risentono della pandemia da coronavirus. Fornirà assistenza finanziaria per un totale di 100 miliardi di euro sotto forma di prestiti, concessi dall'UE agli Stati membri a condizioni favorevoli. I prestiti aiuteranno gli Stati membri ad affrontare aumenti repentini della spesa pubblica per il mantenimento dell'occupazione: nello specifico, concorreranno a coprire i costi direttamente connessi all'istituzione o all'estensione di regimi nazionali di riduzione dell'orario lavorativo e di altre misure analoghe per i lavoratori autonomi introdotte in risposta all'attuale pandemia di coronavirus.

L'assistenza finanziaria nel quadro dello strumento SURE assumerà la forma di un prestito concesso dall'UE agli Stati membri che ne fanno domanda.

 

La Commissione contrarrà prestiti sui mercati finanziari per finanziare quelli agli Stati membri, che sarebbero poi concessi a condizioni favorevoli: gli Stati membri beneficerebbero quindi del buon rating di credito dell'UE e di bassi costi di finanziamento.

 

Questi prestiti saranno basati su un sistema di garanzie volontarie degli Stati membri nei confronti dell'UE. Lo strumento entrerà in funzione una volta che tutti gli Stati membri si saranno impegnati in relazione a tali garanzie.

 

 

2.2. La BCE

Un’altra risposta è giunta da un’altra istituzione dell’Unione, la Banca Centrale Europea.

Solo per fermarsi, anche in questo caso, alle informazioni generali, la BCE

•Fissa i tassi di interesse  ai quali concede prestiti alle banche commerciali dell'eurozona (nota anche come area dell'euro), controllando pertanto l'offerta di moneta e l'inflazione

•gestisce le riserve di valuta estera dell'eurozona e l'acquisto o la vendita di valute per mantenere in equilibrio i tassi di cambio

•si accerta che le istituzioni e i mercati finanziari siano adeguatamente controllati dalle autorità nazionali, e che i sistemi di pagamento funzionino correttamente

•garantisce la sicurezza e la solidità del sistema bancario europeo

•autorizza l'emissione di euro in banconote da parte dei paesi dell'eurozona

•monitora le tendenze dei prezzi e valuta i rischi che ne derivano per la stabilità dei prezzi.

Nell’ambito delle sue competenze di politica monetaria, la Banca, sempre nel marzo 2020, nel pieno dell’emergenza Covid-19, ha lanciato un programma che, semplificando, si può definire come di acquisto di attività, di assets, inclusi titoli di Stato nazionali.

Il programma si chiama “Programma di acquisto di emergenza pandemica” (PEPP) ed ha una dotazione complessiva di circa 750 miliardi di euro fino alla fine del 2020; tramite esso, che consiste, in linea generale, in una sorta di riproposizione del c.d. Quantitative Easing già operato dalla BCE a seguito della crisi finanziaria di una decina di anni fa, la Banca acquista titoli pubblici e privati per circa 80 miliardi al mese. In questo modo, la BCE si è impegnata a comprare nell’anno in corso circa 220 miliardi di titoli di Stato italiani. Questo intervento ha l’effetto non solo di immettere liquidità nel mercato, ma anche di calmierare i tassi di interesse che lo Stato italiano deve pagare quando prende a prestito denaro da altri investitori[10]. Infatti, dopo il solo annuncio di tale programma, il ben noto “spread”, cioè il differenziale di rendimento tra determinati titoli del debito pubblico italiano e quelli tedeschi, era subito sceso, con indubbio vantaggio per il nostro Paese.

 

2.3. Altri interventi (Eurogruppo, BEI, MES)

Ma l’azione dell’Unione non si è fermata qui.

Nel documento dell’Eurogruppo[11] del 9.4.2020[12], oltre ad alcune delle misure già sopra indicate, sono ricordate altre iniziative in corso, di cui anche l’Italia potrà beneficiare.

 

La Banca europea per gli investimenti (BEI) ha, per parte sua, intrapreso un’iniziativa.

La Banca è un’istituzione finanziaria proprietà comune dei paesi dell’UE[13].

I suoi obiettivi sono, tra gli altri:

•accrescere le potenzialità dell'Europa in termini di occupazione e crescita

•promuovere le politiche dell'UE al di fuori dei suoi confini.

La Banca assume prestiti sui mercati dei capitali e eroga prestiti a condizioni favorevoli per progetti che sostengono obiettivi dell’UE. Circa il 90% dei prestiti viene erogato all'interno dell'UE. Il denaro non proviene dal bilancio dell’UE.

La BEI fornisce soprattutto prestiti, che costituiscono circa il 90% dei suoi impegni finanziari complessivi. La banca presta a clienti di tutte le dimensioni per sostenere la crescita e l’occupazione, contribuendo spesso in tal modo ad attirare altri investitori

La BEI eroga i prestiti superiori ai 25 milioni di euro direttamente. Per prestiti più esigui apre linee di credito per istituti finanziari che a loro volta concedono fondi ai richiedenti

In questo contesto, la Banca ha proposto dunque ai suoi azionisti, che, come detto, sono gli Stati, un meccanismo per aumentare la sua capacità di intervento: un fondo di garanzia, al momento ipotizzato in 25 miliardi ma potenzialmente aumentabile.

 

Si è poi molto discusso, anche a livello giornalistico, sull’accesso, quale ulteriore risorsa, al Meccanismo Europeo di Stabilità (MES).

Il MES[14], che ha fatto seguito al suo predecessore Fondo europeo di stabilità finanziaria (FESF), istituito nel 2010, è un'organizzazione intergovernativa regolata dal diritto pubblico internazionale, con sede in Lussemburgo, inaugurato alla fine dell’anno 2012. I paesi della zona euro, infatti, hanno firmato il trattato intergovernativo che ha istituito il MES il 2 febbraio 2012. Lo stesso è stato ratificato dall'Italia con legge 23.7.2012, n. 116. I suoi azionisti sono, pertanto, i paesi della zona euro.

Il MES emette strumenti di debito per finanziare prestiti e altre forme di assistenza finanziaria nei paesi della zona euro.

Esso è autorizzato a concedere prestiti nell'ambito di un programma di aggiustamento macroeconomico;  acquistare titoli di debito sui mercati finanziari primari e secondari;  fornire assistenza finanziaria sotto forma di linee di credito; finanziare la ricapitalizzazione di istituzioni finanziarie tramite prestiti ai governi dei suoi Stati membri.

Si è discusso molto dell’accesso al MES per le condizioni alle quali uno Stato può accedere ai suoi prestiti. Peraltro, tralasciando la considerazione che l’Italia ha dichiarato – allo stato - di non voler accedere ad esso, il documento dell’Eurogruppo del 9.4.2020 ha chiarito che tali condizioni sarebbero rinegoziate qualora l’accesso ai fondi fosse finalizzato a sostenere spese nel campo della sanità per fronteggiare la crisi in atto.

Ancora, il documento dell’Eurogruppo menziona l’intenzione di proporre un nuovo fondo speciale, un Fondo che si potrebbe definire per la ripartenza o recupero (Recovery Fund). Tale fondo sarebbe temporaneo, finalizzato a fronteggiare l’attuale crisi attraverso strumenti finanziari innovativi.

Tuttavia questa appare, al momento, un’intenzione, ed i dettagli pratici dovranno essere discussi a livello politico, così come il rapporto tra tale fondo ed il rapporto con il bilancio dell’Unione.

Infine, non si tratta in questa sede della istituzione dei già citati Eurobond o Coronabond per una semplice ragione; questo articolo non è di economia, e che scrive non avrebbe neppure le competenze necessarie in materia, ma punta più modestamente a trattare un tema di carattere giuridico, seppure collegato a misure economiche; inoltre, tali strumenti al momento non sono in essere, e quindi avventurarsi in considerazioni su qualcosa di meramente ipotetico non appare necessario ai fini giuridici.

 

3. Natura degli interventi

Il passo successivo che va compiuto nella nostra analisi è, adesso, quello di capire se tutti gli interventi sopra descritti attengano al concetto di “interessi finanziari dell’Unione” secondo la definizione riportata in apertura.

Va subito detto che, mentre per alcuni interventi la risposta può essere semplice, per altri si tratta di avventurarsi in territori poco battuti dalla dottrina giuridica, e sui quali, almeno chi scrive, non ha certezze.

Certamente si può dire che attiene agli interessi finanziari dell’Unione l’utilizzo dei fondi strutturali di cui si è parlato nel paragrafo dedicato agli interventi della Commissione. Se uno Stato, ed in particolare l’Italia, per far fronte all’emergenza in atto, utilizza i fondi strutturali con la flessibilità concessa dalla Commissione in questa fase, certamente entra in contatto con gli interessi finanziari euro unitari o unionali, comunque li si voglia definire.

Merita, poi, approfondimento la natura degli altri interventi.

Quanto al fondo SURE, dovrebbe trattarsi, a quanto si comprende, di un fondo extra bilancio ordinario, e costituto, per di più, con una dotazione per ottenere la quale la Commissione farà ricorso ai mercati internazionali, elementi che potrebbero, a prima vista, farlo ritenere estraneo agli interessi finanziari dell’Unione. Tuttavia, l’ampia definizione normativa del concetto, che comprende anche i bilanci, diversi da quello generale, “gestiti” da istituzioni comunitarie, probabilmente induce a giungere alla conclusione opposta, perché l’elemento discretivo per stabilire se uno strumento finanziario attenga agli interessi dell’Unione non è quello della fonte della provvista, ma della sua gestione, e nel caso del fondo SURE, non sembra esservi dubbio che la gestione spetta alla Commissione Europea. Si tratta, ovviamente, di una riflessione a prima lettura della normativa relativa a tali strumenti, e come tale va presa.

Per i prestiti della Banca Europea degli Investimenti, si possono compiere le seguenti considerazioni: la BEI non è, in realtà, in senso tecnico quella che può definirsi una “istituzione” dell’Unione, perché tali sono solo quelle indicate nell’elenco specifico di cui all’art. 13 del Trattato sull’Unione Europea (TUE) come risultante dopo il Trattato di Lisbona.

Tuttavia, la definizione di “interessi finanziari” già ricordata fa anche riferimento ai bilanci “degli organi e degli organismi (dell'Unione) e i bilanci da essi gestiti e controllati”; la versione della direttiva PIF è ancora più esplicita nel riferirsi ad organi ed organismi “previsti dai Trattati dell’Unione”.

E la BEI, pur senza essere una “istituzione”, è un “organismo” previsto nei Trattati fin dal Trattato di Roma del 1957, costitutivo della Comunità Economica Europea, e menzionato tuttora negli art. 308 e 309 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione (TFUE), anch’esso nel contenuto successivo al Trattato di Lisbona.

Vi sono, quindi, rilevanti argomenti normativi per ritenere che i prestiti della BEI, anche quelli che potranno essere erogati in occasione dell’attuale emergenza, possano essere fatti rientrare nel concetto di interessi finanziari dell’Unione.

Più incerta la natura di altri interventi tra quelli indicati sopra.

L’accesso al MES, in particolare, sempre ammesso che esso avvenga.

Il MES, infatti, come già ricordato, nasce come organizzazione intergovernativa, e quindi composta dagli Stati Membri, sulla base di uno specifico trattato internazionale che non fa parte dei Trattati comunitari. Esso succede a due strumenti preesistenti istituiti nel 2010.

Tuttavia già nel 2011[15], nella fase di transizione tra gli strumenti preesistenti e l'istituzione del MES, gli Stati decisero di modificare l’art. 136 del TFUE, inserendovi il comma 3, secondo il quale

“Gli Stati membri la cui moneta è l’euro possono istituire un meccanismo di stabilità da attivare ove indispensabile per salvaguardare la stabilità della zona euro nel suo insieme.

La concessione di qualsiasi assistenza finanziaria necessaria nell’ambito del meccanismo sarà soggetta a una rigorosa condizionalità”.

A partire da allora, il progressivo ulteriore inserimento del MES nell’acquis dell’Unione è stato poi ulteriore oggetto di discussione che è tuttora in corso.

Peraltro, come si ricava dalla lettura del preambolo del Trattato istitutivo del MES, sembrerebbe potersi dire che la suddetta modifica dell'art. 136 TFUE abbia ulteriormente legittimato l'istituzione del Meccanismo; inoltre la Corte di Giustizia dell'Unione europea e' competente a conoscere di qualsiasi controversia tra le parti contraenti o tra queste e il MES in connessione con l'interpretazione e l'applicazione del trattato (considerando 16) e la sorveglianza post-programma sara' effettuata dalla Commissione europea e dal Consiglio dell'Unione europea nel quadro stabilito dagli articoli 121 e 136 del TFUE (considerando 17).

Questi elementi potrebbero indurre a farlo ritenere come un organismo dell'Unione.

Nell'art. 1 del Trattato istitutivo, però, il MES è dichiarato costituito dalle parti contraenti (cioè i singoli Stati) ed è definito come “istituzione finanziaria internazionale”.

Nel quadro attuale, quindi, il MES resta un organismo che è oggi menzionato nei Trattati, ma istituito sulla base di un accordo internazionale tra gli Stati al di fuori del quadro giuridico dell'Unione. Esso resta, al momento, gestito dagli Stati attraverso un organo di direzione specifico. E' molto dubbio, quindi, se possa definirsi un organismo o organo “dell’Unione”.

Il fatto che l’utilizzo (eventuale) delle sue linee di credito rientri nel concetto di “interessi finanziari dell’Unione” non è, quindi, così evidente.

Quanto agli interventi della BCE, non vi è alcun dubbio che la stessa sia oggi un’istituzione dell’Unione, prevista dai Trattati, sia perché oggi espressamente menzionata nell’elencazione delle “istituzioni” nel già menzionato art. 13 TUE, sia perché in tal senso si era espressa alcuni anni fa la stessa Corte di Giustizia nella decisione su una controversia con la Commissione Europea che riguardava la possibilità per l’Ufficio Europeo Antifrode (l'OLAF) di compiere indagini amministrative all’interno della Banca su condotte costituenti irregolarità ai danni degli interessi finanziari dell’Unione[16].

In tale sentenza la Corte di Giustizia ha affermato espressamente che:

“l'espressione «interessi finanziari della Comunità» che figura all'art. 280 CE (per inciso, la norma del Trattato anteriore alle modifiche apportate dal Trattato di Lisbona nel 2009) non si limita al solo bilancio della Comunità europea in senso stretto, ma riguarda altresì le risorse e le spese della BCE”; la Corte ricorda anche che la BCE, in quanto istituzione dell’Unione, contribuisce, con la sua azione, al perseguimento delle politiche dell’Unione, e non può quindi essere scissa da un obiettivo quale quello della tutela degli interessi finanziari di quest’ultima.

Tuttavia, va anche ricordato che questa causa aveva un oggetto molto specifico, attinente più al rapporto tra la BCE ed il controllo su di essa, o meglio sulle condotte del suo personale, all’interno dell’Unione, per prevenire frodi e corruzione interne, piuttosto che all’azione “esterna” della BCE per il perseguimento dei compiti che ad essa assegna il Trattato.

In questo senso, il fatto che, come istituzione dell’Unione, la BCE, anche la BCE, debba essere soggetta ad alcuni principi interni dell’Unione, quale il fatto che, per prevenire frodi e tutelare le finanze comunitarie, essa possa essere soggetta alle indagini dell’OLAF, non esclude la sua indipendenza nelle azioni che essa compie nell’adempimento dei compiti di politica monetaria che il Trattato le affida.

 

4. Rilevanza della natura degli interventi: le indagini penali

L’ultimo aspetto che questo scritto intende ancora affrontare è la ragione per la quale è rilevante stabilire se alcuno degli interventi sopra citati rientri o meno nel concetto di “interessi finanziari dell'Unione”.

Senza indugiare oltre, vale la pena scoprire subito le carte: la ragione consiste nell'individuazione dell'autorità competente a condurre indagini penali, qualora nella distribuzione ed utilizzo di alcuni di queste risorse vi fossero irregolarità o, a maggior ragione, reati.

Non va dimenticato, infatti, che tutti gli interventi sopra descritti permetteranno il riversarsi a favore del nostro Stato di ingenti quantità di denaro, tanto che questa situazione è già stata individuata come potenzialmente pericolosa per l'inserimento nei canali distributivi della criminalità organizzata[17].

Non si può escludere, infatti, nei meccanismi di distribuzione di alcuni degli aiuti sopra descritti, il rischio di frodi, di corruzione, sia nelle gare d'appalto che dovessero svolgersi per individuare i destinatari delle risorse, ma anche al di fuori di procedure di appalto.

Anche in materia di frodi iva si è segnalato il rischio che esse aumentino in questo periodo di crisi, e le aziende vi si ritrovino coinvolte[18].

Stabilire se tali eventuali reati siano in danno o meno degli interessi finanziari dell'Unione diventa oggi essenziale perchè, come già noto a molti, per le indagini su tali illeciti è stato istituito un apposito ufficio inquirente penale, ma di natura europea, la Procura Europea appunto (denominata anche EPPO, acronimo dell'espressione inglese European Public Prosecutor Office)[19].

Lo stesso, salvi ritardi dell'ultimo momento, dovrebbe essere operativo già il prossimo anno, ed avrà un impatto notevole sul sistema interno delle indagini penali.

Come afferma l'art. 4 del regolamento istitutivo

L’EPPO è competente per individuare, perseguire e portare in giudizio gli autori dei reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione previsti dalla direttiva (UE) 2017/1371 e stabiliti dal presente regolamento, e i loro complici. A tale proposito l’EPPO svolge indagini, esercita l’azione penale ed esplica le funzioni di pubblico ministero dinanzi agli organi giurisdizionali competenti degli Stati membri fino alla pronuncia del provvedimento definitivo.

 

Come si vede, in virtù di tale norma, che in quanto contenuta in un regolamento, è già parte del nostro sistema interno, l'EPPO sarà competente proprio a condurre indagini penali sui reati contro gli interessi finanziari dell'Unione. La disposizione non contiene una definizione di “interessi finanziari dell'Unione”, né individua le fattispecie di reato, ma compie un rinvio allo strumento già citato in apertura di questo articolo, la c.d. Direttiva PIF, che individua le fattispecie rilevanti (frode in appalti, frode al di fuori di gare d'appalto, frodi iva – con alcuni limiti quantitativi -, corruzione, riciclaggio, appropriazione indebita e peculato).

Il regolamento EPPO, in quanto tale, non ha bisogno di essere recepito nel sistema interno. Tuttavia, considerato il notevolissimo impatto dello stesso sotto più profili, non solo processual penalistici, ma anche ordinamentali, è necessario un intervento di adeguamento dei sistemi di ogni Stato alla nuova figura.

La legge 4 ottobre 2019, n. 117, già citata, si occupa anche di questo aspetto, ed ha dettato alcune linee di delega al Governo per l'adozione di decreti delegati, su cui il Ministero della Giustizia ha lavorato in questi mesi.

Non è questa la sede per un'analisi approfondita di questi problemi, ma ai fini di questo testo un concetto si vuole esplicitare: qualora si dovessero verificare delle condotte illecite di natura penale nella gestione dei fondi derivanti dagli strumenti sopra descritti, si porrà il problema dell'individuazione dell'autorità competente ad indagare, tra autorità giudiziaria nazionale (qualora non siano coinvolti gli interessi finanziari dell'Unione) ed EPPO (qualora, invece, tali interessi siano coinvolti).

Inoltre, un simile problema si potrebbe porre anche qualora vi fosse la certezza della lesione degli interessi dell'UE, poiché l'EPPO non avrà competenza esclusiva ad indagare tali reati, ma, a determinate condizioni, essi potranno restare di competenza dell'autorità giudiziaria nazionale.

Gli articoli da 22 a 28 del regolamento EPPO dettano i criteri per risolvere i problemi che potrebbero porsi in queste situazioni.

E', per contro, certo che se gli interessi della UE non vengono in rilievo, non vi sarà alcuna competenza dell'EPPO.

Tutto questo comporta nuove sfide per i pubblici ministeri, ma anche per i giudici, italiani.

La più evidente è l’essere pienamente informati sulla natura degli interventi posti in essere dall'Unione per sapere distinguere se essi coinvolgono gli interessi finanziari della stessa o meno, perché un domani – non più così lontano – i magistrati italiani potrebbero trovarsi in conflitto con l'EPPO, e, ovviamente, sarebbe necessario che, se l’autorità nazionale rivendicasse o negasse la propria competenza a trattare un’indagine, lo facesse a ragion veduta, conoscendo il quadro giuridico retrostante alla misura finanziaria nell’ambito della quale si è verificato l’asserito reato.

Non si tratta di diventare tutti economisti, come spero si sia compreso, ma semplicemente di essere al corrente di quanto avviene intorno a noi, magari anche al di fuori dei tradizionali confini del lavoro quotidiano e dello stesso nostro Paese, anche se si tratta di temi apparentemente assai distanti da quelli ricorrenti nell'attività giudiziaria. Oggi, infatti, come si è cercato di illustrare, essi possono diventare temi assai vicini ad un magistrato nazionale, più ancora di quanto lo sono stati fino ad oggi, anche per chi ha già avuto l’occasione di confrontarsi con procedimenti per reati attinenti agli interessi finanziari dell’Unione.

Gli sviluppi di questi ultimi mesi, con l’irrompere sulla scena di una grande quantità di misure finanziarie europee, unitamente all’introduzione dell’EPPO, costringono, quindi, in un certo senso i magistrati, anche italiani, ad entrare in una dimensione più ampia di quella abituale, e potrebbero rappresentare la motivazione per molti di loro per accostarsi ed approfondire la conoscenza di un mondo, quello delle istituzioni europee, spesso ancora troppo sconosciuto anche all’interno di categorie professionalmente qualificate, come la nostra.

Può essere un motivo di interesse, per chi lo saprà cogliere, in uno scenario drammatico.



[1]   DIRETTIVA (UE) 2017/1371 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 5 luglio 2017 relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell'Unione mediante il diritto penale 

 

[2] Regolamento (UE, EURATOM) n. 883/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’11 settembre 2013 relativo alle indagini svolte dall’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) e che abroga il regolamento (CE) n. 1073/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (Euratom) n. 1074/1999 del Consiglio

 

[3] Ci si permette, al riguardo, di rinviare, tra gli altri, a VENEGONI, La protezione degli interessi finanziari dell’Unione Europea, 2018

[4] Si pensi al Fondo Europeo di Sviluppo, per il sostegno ai Paesi di aree svantaggiate del mondo, costituito dagli Stati, ma gestito dall’Unione

[5] In genere, tutte le spese relative ai fondi strutturali e spese agricole (c.d. spese indirette) sono sostenute attraverso fondi quali il FESR Fondo Europeo di Sviluppo Regionale, il FSE Fondo Sociale Europeo, il Fondo di Orientamento e garanzia gia FEOGA, il Fondo per la Pesca, gestiti dagli Stati. Di recente, per sostenere il grande piano per la crescita lanciato dalla Commissione Europea con una dotazione di circa 300 miliardi di euro, è stato costituito il Fondo Europeo per gli Investimenti Strategici (FEIS). Esistono poi anche forme di gestione condivisa con organismi finanziari dell’Unione come la Banca Europea per gli Investimenti che partecipa, per esempio, anche al suddetto FEIS.

[6] I Fondi Europei Strutturali e per gli Investimenti (ESIF) finanziano migliaia di programmi e progetti in tutta Europa.. Il loro principale obiettivo e di migliorare la competitività e la crescita a livello locale, regionale e nazionale. Per l’attuale periodo di programmazione (2014 -2020), esistono cinque fondi strutturali e di investimento:

• Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (European Regional Development Fund) (ERDF)

• Fondo Sociale Europeo (European Social Fund) (ESF)

• Fondo di Coesione (Cohesion Fund) (CF)

• Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale (European Agricultural Fund for Rural Development) (EAFRD)

• Fondo Europeo per la Pesca ed il Mare (European Maritime and Fisheries Fund) (EMFF).

Questi fondi sono gestiti congiuntamente dalle autorità dell’UE e degli Stati Membri.

Per ulteriori informazioni si veda anche il sito dell’OLAF https://ec.europa.eu/anti-fraud/home_it

 

[7] Commissione Europea, proposta di regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio che modifica i regolamenti(UE) n. 1303/2013 e (UE) n. 1301/2013 per quanto riguarda misure specifiche atte ad offrire flessibilità eccezionale nell’impiego dei fondi strutturali di investimento europei in risposta alla pandemia di Covid-19 COM(2020)138 finale, del 2.4.2020

Commissione Europea, proposta di regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio che modifica i regolamenti(UE) n. 1303/2013 e (UE) n. 1301/2013 e (UE) n. 508/14 con riferimento a specifiche misure per investimenti nel settore sanitari degli Stati Membri e in altri settori delle loro economie in risposta all’emergenza da Covid-19 COM(2020)113 final, del 13.3.2020

[8] Commissione Europea, proposta di regolamento del Consiglio per l’istituzione di uno strumento europeo per il sostegno temporaneo per contrastare i rischi di disoccupazione nell’emergenza a seguito dell’epidemia da Covid-19 (SURE), 2.4.2020 COM(2020) 139 finale

[9] https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/QANDA_20_572

[10] COTTARELLI, Più deficit per gli Stati e prestiti alle imprese. L’Europa si muove, ma servono gli eurobond, in https://www.lastampa.it/topnews/primo-piano/2020/03/19/news/piu-deficit-per-gli-stati-e-prestiti-alle-imprese-l-europa-si-muove-ma-servono-gli-eurobond-1.38609332

[11]Il c.d. Eurogruppo è il gruppo informale dei ministri delle finanze degli Stati che adottano l'Euro, e, quindi, in sostanza, un organismo riconducile al Coniglio della UE, l'istituzione che rappresenta gli Stati

[12] Report on the comprehensive economic policy response to the COVID-19 pandemic, in https://www.consilium.europa.eu/en/press/press-releases/2020/04/09/report-on-the-comprehensive-economic-policy-response-to-the-covid-19-pandemic/

[13] https://europa.eu/european-union/about-eu/institutions-bodies/european-investment-bank_it

[14] https://eur-lex.europa.eu/summary/glossary/european_stability_mechanism.html?locale=it

[15] DECISIONE DEL CONSIGLIO EUROPEO del 25 marzo 2011 che modifica l’articolo 136 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea relativamente a un meccanismo di stabilità per gli Stati membri la cui moneta è l’euro

[16] CGUE, sentenza 10 luglio 2003 nella causa C-11/00, Commissione Europea c. BCE

[18] LATINI, L’emergenza Coronavirus aumenta il rischio di frodi IVA: come evitarle, in https://www.ipsoa.it/documents/fisco/iva/quotidiano/2020/04/16/

 

[19] Regolamento (UE) 2017/1939 del Consiglio, del 12 ottobre 2017, relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata sull’istituzione della Procura europea («EPPO»)

 

 
 
 
 
 
 

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