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TRIBUTARIO

Diritto penale tributario ed evasione fiscale

  Tributario 
 mercoledì, 11 dicembre 2019

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Lorenzo Delli Priscoli, Consigliere della Corte di cassazione

 
 

Il bene giuridico tutelato dalle norme penali in materia tributaria è la potestà dello Stato e dell’Unione europea[1] alla puntuale ed effettiva percezione dei tributi[2].

Ampliando l’orizzonte delle finalità della norma, ben può dirsi che l’interesse perseguito con l’imposizione fiscale sia quello di garantire allo Stato i mezzi necessari per soddisfare una molteplicità di bisogni della collettività e per tener fede agli impegni internazionali: si pensi soltanto in campo nazionale al funzionamento di scuole, ospedali e al pagamento degli interessi sul debito pubblico e dei relativi interessi; e in campo internazionale a quanto l’Italia deve versare all’Unione europea, all’ONU e alla NATO e alle innumerevoli organizzazioni internazionali cui l’Italia aderisce e partecipa in maniera attiva, in conformità al disposto di cui all’ultima parte dell’art. 11 Cost.

Rispetto agli ordinari crediti pecuniari, quelli tributari hanno una disciplina di favore e conseguentemente una marcata connotazione di specialità in ragione dello stretto rapporto di derivazione dal precetto dell’art. 53, primo comma, Cost., secondo cui tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in proporzione alla loro capacità contributiva. Tali crediti vanno infatti ad alimentare la finanza pubblica perché sia assicurato il prescritto equilibrio di bilancio tra entrate e spese, elevato a vincolo costituzionale dalla legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale), che ha modificato l’art. 81 Cost.; la sostenibilità della finanza pubblica e la stabilità finanziaria costituiscono altresì vincoli europei a seguito del Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell’Unione economica e monetaria, fatto a Bruxelles il 2 marzo 2012[3].

Un corretto ed effettivo prelievo fiscale contribuisce anche in maniera determinante ad assicurare una situazione di concorrenza (valore che, secondo la Corte costituzionale, trova un sicuro riferimento nell’art. 41 Cost. complessivamente considerato[4]) sul mercato italiano ed europeo, che è l’obiettivo per il quale è nata l’allora Comunità Economica Europea, obiettivo che è tuttora fondamentale anche nell’attuale Unione Europea. Non può infatti dimenticarsi che l’Unione, quando era ancora semplicemente “Comunità economica europea” ha rivolto i suoi sforzi quasi esclusivamente nella direzione di una integrazione economica[5] e solo relativamente di recente si è acquisita una piena consapevolezza che una reale unione dell’Europa si può realizzare esclusivamente attraverso un’integrazione e una cooperazione in tutti i campi, ivi compresi i diritti fondamentali, anche proprio al fine di realizzare una più soddisfacente integrazione economica. Solo da pochi anni infatti è in fase di reale superamento la concezione iniziale dell’Unione europea, attenta solo ad una integrazione economica e a far valere il principio di libera circolazione delle persone, delle merci, dei sevizi e dei capitali[6]. Può dunque ben dirsi che il bene giuridico tutelato dalle entrate tributarie è anche la concorrenza, che trova un riferimento normativo in numerose articoli del Trattato sull’Unione europea e, come ricordato, nell’art. 41 Cost.

Ad ogni modo sarebbe quanto mai riduttivo restringere i valori tutelati dalle entrate tributari entro i peraltro non certo angusti confini dell’art. 53 Cost., dell’art. 81 Cost. e dell’art. 41 Cost., perché le entrate fiscali rappresentano quel quid che consente allo Stato – come già accennato, il soddisfacimento dei più elementari diritti fondamentali del singolo e della collettività: la salute mediante gli ospedali, l’istruzione mediante le scuole e le università, la tutela dell’ambiente mediante i pompieri, la protezione civile e tutti gli innumerevoli enti pubblici, territoriali e non, che di esso si occupano, la libertà di movimento mediante le strade, la pubblica sicurezza e l’ordine pubblico mediante la polizia e i carabinieri. In altre parole le entrate tributarie, garantendo il funzionamento di tutte le attività dello Stato, sono poste a protezione di tutti i diritti fondamentali e dunque non vi è norma costituzionale che, direttamente o indirettamente, non sia tutelata dalle sanzioni penali in materia tributaria; del resto ogni nuova legge che comporti nuovi oneri finanziari per lo Stato deve necessariamente avere la relativa copertura finanziaria.

     In effetti, senza risorse, tutti i diritti fondamentali che la Costituzione si impegna a garantire resterebbero lettera morta ma occorre altresì specificare che le norme penali tributarie non garantiscono soltanto l’an, quale che sia, delle entrate, ma anche che tali entrate siano le maggiori possibili nei limiti del rispetto della capacità contributiva di ciascun contribuente e delle scelte del Legislatore relative al quantum: perché è proprio dal quantum delle entrate tributarie che dipende l’ampiezza del dispiegarsi dei diritti fondamentali. In effetti tutti i diritti, compresi quelli fondamentali, sono soggetti a bilanciamento, non solo e non tanto per consentire la tutela di altri diritti altrettanto fondamentali ma anche e più spesso in ragione del quantum di risorse economiche disponibile per garantirle: si pensi ad esempio al denaro effettivamente utilizzato per garantire il funzionamento degli ospedali e quello – di entità nettamente superiore – che sarebbe invece necessario per consentirne un funzionamento ottimale. E in effetti il compito più ingrato, delicato e complesso della Corte costituzionale non è tanto di individuare sempre nuovi diritti fondamentali ma di bilanciarli tutti alla ricerca di un difficile e sempre delicato equilibrio in una situazione economica generale ormai stabilmente carente di risorse, nella dura consapevolezza che, purché ne sia salvaguardato il nucleo fondamentale - il nocciolo duro – anche i diritti fondamentali sono suscettibili di essere compressi e limitati.

    Si è detto che il credito tributario dello Stato nei confronti dei cittadini riveste un valore ben più pregnante rispetto alla tutela offerta al creditore privato: tale connotazione peculiare dei crediti tributari emerge in modo evidente sotto vari profili, quali − oltre in generale alla specialità del giudice che ha giurisdizione sulle controversie per il loro accertamento nel processo tributario −, tra gli altri, il sistema della riscossione fiscale che si discosta dal regime ordinario dell’espropriazione forzata regolata dal codice di rito proprio al fine di meglio assicurare l’adempimento delle obbligazioni tributarie. Come più volte affermato da questa Corte, «la disciplina speciale della riscossione coattiva delle imposte non pagate risponde all’esigenza della pronta realizzazione del credito fiscale a garanzia del regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato» (ex plurimis, sentenza n. 281 del 2011). Ove poi si tratti di tributi armonizzati secondo il diritto europeo, maggiore è l’esigenza di effettività del sistema di riscossione fiscale (sentenza n. 225 del 2014). Il corretto adempimento degli obblighi tributari è altresì presidiato da una garanzia reale di ampia portata − il privilegio generale sui mobili del debitore in favore dei crediti per tributi diretti dello Stato, per imposta sul valore aggiunto e per tributi degli enti locali (art. 2752 cod. civ.) − e da più specifiche tutele cautelari, quali l’ipoteca e il sequestro conservativo, previste a favore del fisco dall’art. 22 del d.lgs. n. 472 del 1997.

   Eppure anche il patrimonio privato gode di sanzioni penali molto incisive e severe, dirette a tutelare anche violazioni tutto sommato lievi della sfera giuridica patrimoniale altrui.

Inoltre, le operazioni negoziali che costituiscono atti dolosamente preordinati a pregiudicare la garanzia dell’adempimento delle obbligazioni tributarie hanno un rilievo finanche penale ex art. 11 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74.

Eppure anche il patrimonio privato gode di sanzioni penali molto incisive e severe, dirette a tutelare anche violazioni tutto sommato lievi della sfera giuridica patrimoniale altrui, secondo una antica tradizione del nostro ordinamento giuridico, perpetuata dal codice Rocco e arrivata fino ai nostri giorni, solo recentemente - e in maniera assai modesta - temperata dall’introduzione della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis c.p. per i fatti di lieve entità. In effetti, anche la giurisprudenza di legittimità degli ultimi anni, è particolarmente severa nel valutare i reati contro il patrimonio, anche se di lieve entità.

  Con particolare riferimento al più importante e frequente reato nell’ambito di questa tipologia, il furto, possiamo così individuare delle linee di tendenza dirette:

1)  a ridimensionare la necessità della sussistenza del dolo specifico del fine di profitto[7];

2)  a sminuire la rilevanza della restituzione della refurtiva e della brevità del tempo durante il quale il bene è stato sottratto alla sfera di controllo del proprietario[8];

3) a individuare con estrema riluttanza la circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 4 c.p. del modesto valore economico del bene, sia con riferimento all’oggettivo valore della cosa sottratta[9], sia con riferimento al danno effettivo per la vittima del furto[10], sia ancora con riferimento alla capacità del soggetto passivo di sopportare il danno economico derivante dal reato (non rileva, in altre parole, che il derubato sia “ricco”)[11].

Potrebbe replicarsi che il reato di furto e i reati che sanzionano il mancato versamento delle imposte non sono omogenei e quindi paragonabili in quanto mentre il primo riguarda la violazione di un diritto reale, dal momento che si sottrae un bene ad un soggetto che ne è già proprietario, i secondi punirebbero delle violazioni meno gravi, perché posti a protezioni di semplici diritti obbligatori, in quanto il Fisco non sarebbe ancora il proprietario del denaro evaso. In tal modo però si finirebbe per ammettere che tutti i contribuenti le cui imposte sono pagate all’origine (ad es. i lavoratori subordinati, i dipendenti pubblici) si troverebbero in una posizione deteriore rispetto al Fisco rispetto ad imprese e lavoratori autonomi il che imporrebbe, per riequilibrare le differenti situazioni e in applicazioni del principio costituzionale secondo cui occorre trattare in maniera adeguatamente diseguale situazioni diseguali – continuando in questo ragionamento per assurdo – di garantire a lavoratori subordinati e dipendenti pubblici una pressione fiscale inferiore, in tal modo ufficializzando e legittimando il concetto secondo cui pagare le imposte non sarebbe un dovere inderogabile del contribuente non sottoposto ad alcuna condizione ma una sorta di interesse legittimo del Fisco sottoposto ad un bilanciamento con le valutazioni discrezionali del contribuente dipendenti dalle esigenze personali di costui.

  Ad ogni modo, anche con riferimento ad un reato posta a tutela del patrimonio dei privati ancora più “omogeneo” rispetto ai reati di evasione fiscale, la severità del legislatore e della giurisprudenza di legittimità non cambia di molto: il riferimento è al reato di insolvenza fraudolenta, posto a protezione del diritto obbligatorio del creditore all’adempimento da parte del proprio debitore. Solo per fare degli esempi relativi a fattispecie affrontate di recente dalla Corte di Cassazione, infatti, integra il reato di insolvenza fraudolenta la condotta consistente nel ritirare il talloncino all’ingresso dell’autostrada e poi nel non pagare all’uscita[12], mentre costituisca addirittura il più grave reato di truffa la condotta dell’automobilista che, sempre in autostrada, utilizzi, al momento del pagamento del pedaggio, la corsia “Viacard”, pur senza disporre del “Telepass”[13].

  Questa severità nei confronti di condotte che mettono a repentaglio valori patrimoniali di piccola entità spicca ancora di più se solo la si mette a confronto con la giurisprudenza civile in tema di danni non patrimoniali di lieve entità, ove è addirittura negato al danneggiato l’accesso alla giurisdizione[14], mentre per controversie civili di valore irrisorio (in linea teorica anche per un centesimo di euro) è sempre consentito l’accesso fino in Cassazione (che spesso poi non significa assolutamente la fine della lite perché molto spesso la Cassazione cassa con rinvio di modo ché la controversia può durare potenzialmente all’infinito con gravissimi danni per il diritto della collettività ad una ragionevole durata non tanto di quel processo ma degli altri processi che dallo svolgimento di quel processo per un centesimo di euro saranno inevitabilmente rallentati.

     Una analoga severità non sembra tuttavia accompagnare le decisioni della Cassazione relative ai reati tributari: così, pur in presenza delle soglie di punibilità molto alte previste, la Cassazione ha ritenuto che la causa di non punibilità prevista dall'art. 131-bis cod. pen. è applicabile anche in relazione a reati per i quali è prevista una soglia di punibilità, che integra il livello minimo di disvalore penalmente rilevante, qualora il giudice accerti la minima offensività del fatto sulla base degli indicatori rappresentati dalle modalità della condotta, dall'esiguità del danno o del pericolo da essa derivante e dal grado di colpevolezza[15]. In un’altra ipotesi, in tema di reato di omesso versamento dell'IVA previsto dall'art. 10-ter del d.lgs. n. 74 del 2000, è stato deciso che per valutare il superamento della soglia di punibilità di euro 250.000,00 si deve tener conto esclusivamente dell'imposta evasa e non anche degli interessi dovuti per il versamento trimestrale[16].

     Tale atteggiamento appare tanto più sorprendente nell’attuale quadro costituzionale, e con un dei debiti pubblici più grandi del mondo e una delle evasioni fiscali dalle dimensioni più grandi del mondo, e con l’istituzione del reddito di cittadinanza che presuppone, perché non vi siano ingiustizie, che i redditi denunciati da chi lo chiede corrispondano ai redditi reali, ci si aspetterebbe una grande severità da parte della legislazione ordinaria nel fare di tutto per garantire le entrate tributarie.

  In realtà questa severità per molti aspetti esiste, perché le imposte sono molto alte e perché esistono molte presunzioni a favore del Fisco e vari sistemi volti ad agevolarne l’azione (dai controlli automatizzati, all’accertamento induttivo mediante il riferimento alle cialde di caffè utilizzate, inversioni dell’onere della prova a favore del Fisco, alle varie forme di redditometro, spesometro, studi di settore, tovagliometro e perfino incentivando e legittimando la “delazione”).

     In questo contesto stridono da un lato la mancanza di provvedimenti davvero stringenti per limitare o escludere l’uso del contante e dall’altro le elevate soglie di punibilità per i reati di evasione fiscale[17], specie considerando che gran parte dell’evasione in Italia è realizzata da molti piccoli evasori-contribuenti.

     In effetti, a questo disegno astratto della Costituzione volto ad assicurare un sicuro e continuo afflusso di denaro allo Stato e agli altri enti pubblici in modo da consentirne l’ordinato ed efficace svolgimento dei loro compiti di interesse pubblico al servizio della collettività si contrappongono: una giurisprudenza costituzionale imbarazzata quando deve pronunciarsi in tema di condoni fiscali e edilizi nonostante l’estrema severità e rigidità dell’Unione europea dimostrata con il caso Taricco[18]; una legislazione schizzofrenica e altalenante che attualmente prevede delle soglie molto più alte rispetto al passato perché possano essere sanzionate penalmente molte condotte di evasione fiscale; nessuna misura ancora realmente efficace per limitare l’uso del contante; un comportamento di molte pubbliche amministrazioni che certo non dà un buon esempio quanto alla puntualità nei pagamenti, specchio di un costume sociale egoista e individualista che sembra andare in direzione opposta rispetto al disegno costituzionale solidale e fondato sul lavoro costruito dai nostri Costituenti, perché invece di denunciare e disprezzare gli evasori spesso li tollera o li guarda con indifferenza se non addirittura con ammirazione e invidia, tanto che spesso il cliente che non possa portare in detrazione una fattura preferisce non averla anche senza avere una contropartita consistente in uno sconto perché preferisce “aiutare” l’imprenditore con cui ha un rapporto “di fiducia” rispetto che “dare soldi allo Stato”, visto come una entità nemica e distante.

  Sembra che queste stranezze e contraddizioni possano trovare una spiegazione in un’evidenza alla portata di tutti, ossia che molti italiani non pagano le imposte volentieri, per un’atavica assenza di senso dello Stato e perché le ritengono troppo alte specie se commisurate rispetto ai servizi che ricevono. In effetti sembra che in Italia tuttora persistano i variopinti rapporti personali tipici del Medioevo: mentre in Francia Inghilterra e Spagna nei secoli scorsi si creò una forte alleanza tra sovrano (che garantiva la sicurezza dei cittadini e favoriva i commerci) e borghesia (che pagava le tasse al sovrano), che pose le basi dello stato moderno, in Italia tutto questo non è successo, e fino ameno di secoli fa sono rimasti gli Stati regionali con i loro Signori, Regioni che sono spesso in guerra tra loro e potenti, così da impedire la formazione di un forte Stato centrale, ma non così potenti da resistere all’urto degli Stati stranieri.

     In questo contesto giuridico e socio-economico così sommariamente descritto si ritiene che occorrerebbe la forza politica per prendere misure probabilmente impopolari, consistenti da un lato non tanto nell’inasprimento delle sanzioni penali quanto nell’abbassamento delle soglie necessarie per la punibilità  (considerando che in Italia il grosso dell’evasione è per somme non altissime) e dall’altro nella limitazione dell’uso del contante, che tale piccola evasione favorisce notevolmente.

 


[1] Alcuni tributi come l’IVA infatti sono destinati a finanziare le spese dell’Unione europea.

[2] Corte cost. n. 233 del 2018; in maniera del tutto analoga si esprime Corte cost. n. 95 del 1019, che parla di “interesse dell’erario alla piena e rapida percezione dei tributi”.

[3] Corte cost. n. 90 del 2018.

[4] Cfr. ad esempio Corte cost. n. 206 del 2019.

[5] Cfr. ad esempio Corte di Giustizia CEE 5 febbraio 1963, C-26/62, secondo cui “lo scopo del Trattato CEE è quello di instaurare un mercato comune”. Il primo segno di una sensibilità su temi diversi da quelli economici si è avuta a partire dagli anni settanta: cfr. ad esempio Corte di giustizia, sentenza 8 aprile 1976, in causa C-43-75, secondo cui il principio di parità retributiva tra uomini e donne, incardinato nel Trattato di Roma fin dall’istituzione della Comunità economica europea come principio fondante del mercato comune nonché come uno degli «scopi sociali della Comunità, […] che […] non si limita all’unione economica»; non può non notarsi tuttavia che la stessa sentenza osserva che tale principio è funzionale alla tutela della concorrenza perché impedisce che l’impresa che assuma più donne si avvantaggi rispetto alle altre.

[6] Cfr., fra le tante, Corte di giustizia UE 8 aprile 2014, cause riunite C-293/12 e C-594/12, che ha dichiarato invalida la direttiva sulla conservazione dei dati personali, in quanto comporta “un’ingerenza di vasta portata e di particolare gravità nei diritti fondamentali al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati di carattere personale, non limitata allo stretto necessario”.

[7] In tema di furto, il fine di profitto che integra il dolo specifico del reato va interpretato in senso restrittivo, e cioè come finalità di ricavare dalla cosa sottratta un'utilità apprezzabile in termini economico-patrimoniali (sentenza n. 25821 del 05/04/2019 Cc., dep. 11/06/2019).

[8] In tema di furto, ai fini della configurabilità della circostanza attenuante del danno di particolare tenuità, l'entità del danno cagionato alla persona offesa deve essere verificata al momento della consumazione del reato costituendo la restituzione della refurtiva solo un "post factum" non valutabile a tale fine (fattispecie in cui il bene oggetto di furto era stato sottratto per breve tempo poiché recuperato, subito dopo la commissione del reato, dalle forze dell'ordine: sentenza n. 19728 del 11/04/2019 Ud., dep. 08/05/2019; sentenza n. 46588 del 29/11/2011 Ud., dep15/12/2011.

[9] Sentenza n. 6635 del 19/01/2017 Ud., dep. 13/02/2017 , con riferimento ad un furto di 82 euro; sentenza n. 46588 del 29/11/2011 Ud., dep15/12/2011, in cui tale attenuante non è stata riconosciuta per il furto di una bici usata.

[10] In caso di furto di un portafogli contenente bancomat e documenti di identità non è applicabile la circostanza attenuante del danno di speciale tenuità, in considerazione del valore non determinabile, o comunque di non speciale tenuità, del documento, che non si esaurisce nello stampato, nonché degli ulteriori effetti pregiudizievoli subiti dalla persona offesa, quali le pratiche relative alla duplicazione dei documenti sottratti (sentenza n. 16218 del 02/04/2019 Ud., dep. 15/04/2019). Non è configurabile l'attenuante del danno di speciale tenuità nell'ipotesi in cui il reato riguardi dei documenti, in quanto il valore del bene non va identificato in quello dello stampato, ma in quello non determinabile o comunque di non speciale tenuità del documento che lo stampato ha consentito di formare (con riferimento al furto di patente, v. Sez. 1, n. 8019 del 04/07/1985 ud. - dep. 12/09/1985, Rv. 170393 - 01). Va, inoltre, aggiunto che la concessione della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità, presuppone necessariamente che il pregiudizio cagionato sia lievissimo, ossia di valore economico pressoché irrilevante: ai fini dell'accertamento della tenuità del danno è, dunque, necessario considerare, oltre al valore in sé della cosa sottratta, anche il valore complessivo del pregiudizio arrecato con l'azione criminosa, valutando i danni ulteriori che la persona offesa abbia subìto in conseguenza della sottrazione della "res" (sentenza n. 16218 del 02/04/2019 Ud., dep. 15/04/2019).

[11] La concessione della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità, presuppone necessariamente che il pregiudizio cagionato sia lievissimo, ossia di valore economico pressoché irrisorio, avendo riguardo non solo al valore in sé della cosa sottratta, ma anche agli ulteriori effetti pregiudizievoli che la persona offesa abbia subìto in conseguenza della sottrazione della "res", senza che rilevi, invece, la capacità del soggetto passivo di sopportare il danno economico derivante dal reato (in applicazione del suddetto principio, la Cassazione ha ritenuto inammissibile il ricorso con il quale l'imputato invocava la configurabilità della predetta circostanza attenuante in una fattispecie di furto di merce del valore commerciale di 82 euro, sul presupposto che tale somma fosse irrilevante rispetto alla capacità economica del supermercato vittima del reato (sentenza n. 6635 del 19/01/2017 Ud., dep. 13/02/2017).

[12] Integra il reato di insolvenza fraudolenta la condotta di chi, al termine di un viaggio in autostrada, non provveda al pagamento del pedaggio, dichiarandosi impossibilitato ad adempiere, essendo sufficiente, quanto alla dissimulazione dello stato di insolvenza, anche il silenzio serbato al momento della ricezione del talloncino all'ingresso in autostrada (sentenza n. 11686 del 08/03/2016 Ud., dep. 21/03/2016 ); analogamente ai fini della configurabilità del reato di insolvenza può assumere rilievo anche il silenzio dell'agente, quale forma di dissimulazione del proprio stato di insolvenza, nel caso in cui tale condizione non sia stata manifestata all'altra parte contraente al momento della stipula del contratto (sentenza n. 8893 del 03/02/2017 Ud., dep. 23/02/2017).

[13] Integra il delitto di truffa e non quello di insolvenza fraudolenta, per la presenza di raggiri finalizzati ad evitare il pagamento del pedaggio, la condotta di chi transita con l'autoveicolo attraverso il varco autostradale riservato ai possessori di tessera Viacard pur essendo sprovvisto di detta tessera (ordinanza n. 33299 del 27/03/2018 Cc., dep. 18/07/2018).

[14] Cass. SU 25 febbraio 2016, n. 3727.

[15] Sentenza n. 58442 del 02/10/2018 Ud. dep. 28/12/2018 : in motivazione, la Corte ha precisato che, nel caso di reati tributari, l'applicazione della causa di non punibilità deve essere valutata non in rapporto all'intero ammontare dell'imposta evasa, ma con riferimento alla sola eccedenza dello stesso rispetto alla soglia di legge.

[16] Sentenza n. 46953 del 28/03/2018 Ud.  dep. 16/10/2018.

[17][17] Ad esempio, il reato di dichiarazione infedele (art. 4 d.lgs. n. 74 del 2000) si verifica al superamento congiunto di due soglie di punibilità: evasione d’imposta di € 150.000 per ogni singola imposta (IRES/IRPEF o IVA); elementi attivi sottratti all’imposizione (ricavi o costi) di almeno €. 3.000.000,00.

[18] Cfr. sentenza n. 17401 del 20/03/2018 Ud., dep18/04/2018 , secondo cui in materia di reati tributari, l'applicazione dei principi affermati dalla sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, Grande sezione, Taricco ed altri dell'8 settembre 2015, C-105/14 - in ordine all'obbligo di disapplicazione della disciplina della prescrizione prevista dagli artt. 160 e 161 cod. pen., se ritenuta idonea a pregiudicare gli obblighi imposti a tutela degli interessi finanziari dell'Unione europea - non si applicano ai fatti commessi prima della sua pronuncia.

 

 
 
 
 
 
 

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