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Divieto di permanenza nelle funzioni direttive per direttivi non confermati

 mercoledì, 23 dicembre 2009

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Quesito in merito alla permanenza nelle funzioni.

Il Consiglio,
- vista la nota del 20.10.09 con la quale i consiglieri Luisa NAPOLITANO, Fabio ROIA, Roberto Maria CARRELLI PALOMBI, Mario FRESA, Cosimo Maria FERRI e Celestina TINELLI, con riferimento alla vicenda relativa al dott. Gaetano DRAGOTTO, hanno chiesto che: “ la Quinta Commissione intervenga per rimuovere l’anomalia di sistema della permanenza nelle funzioni di un dirigente ritenuto inadeguato al loro esercizio (con decisione non sospesa dal TAR) rispetto alla immediata cessazione dalle funzioni di un dirigente che le ha svolto per otto anni senza alcun rilievo negativo”;
- considerato che la Quinta Commissione, nella seduta del 5 novembre 2009, deliberava di chiedere un parere all’Ufficio Studi in merito al seguente quesito: “Se, alla luce della normativa primaria e secondaria allo stato vigente, i magistrati non confermati alla fine del primo quadriennio di esercizio delle funzioni direttive e semidirettive ai sensi degli artt. 45 e 46 D.Lgs. 5.4.2006, n. 160 possano svolgere le funzioni di supplenza ai sensi degli artt. 104, 108 e 109 del R.D. 30.1.1941, n. 12”.
- rilevato che l’Ufficio Studi e Documentazione si è espresso, al riguardo, come segue:
<< Premessa:
1.- Il quesito
La Quinta Commissione, nella seduta del 5 novembre 2009, deliberava di chiedere un parere all’Ufficio Studi in merito al seguente quesito: “Se, alla luce della normativa primaria e secondaria allo stato vigente, i magistrati non confermati alla fine del primo quadriennio di esercizio delle funzioni direttive e semidirettive ai sensi degli artt. 45 e 46 D.Lgs. 5.4.2006, n. 160 possano svolgere le funzioni di supplenza ai sensi degli artt. 104, 108 e 109 del R.D. 30.1.1941, n. 12”.
2.- Osservazioni:
2.1 Inquadramento normativo
Al fine di poter compiutamente individuare gli esatti termini della questione, occorre chiarire quali siano le norme di riferimento e, soprattutto, i fondamenti giuridici delle scelte ermeneutiche ed operative effettuate dal Consiglio superiore della magistratura al fine di dare tempestiva attuazione alla riforma dell’ordinamento giudiziario.
L’art. 45, primo comma, D.Lgs. 160/2006, nell’introdurre e disciplinare la temporaneità degli incarichi direttivi, dispone che le relative funzioni sono conferite per la durata di quattro anni, al termine dei quali il magistrato può essere confermato, “per un’ulteriore sola volta, per un eguale periodo a seguito di valutazione” dell’attività svolta da parte del Consiglio superiore della magistratura. È previsto, specificamente, che nel caso di valutazione negativa “il magistrato non può partecipare a concorsi per il conferimento di altri incarichi direttivi per cinque anni”. Il secondo ed il terzo comma della norma in commento disciplinano le conseguenze derivanti dal decorso del termine fissato dal primo comma, distinguendo due diverse ipotesi, sul significato e sulla portata delle quali il C.S.M. si è già espresso con delibera del 15 ottobre 2008, che si richiama nella presente sede. L’art. 46 D. Lgs. 160/2006 detta disposizioni analoghe – seppure non del tutto sovrapponibili - per gli incarichi semidirettivi, prevedendo, altresì, che in caso di valutazione negativa dopo il primo quadriennio “il magistrato non può partecipare a concorsi per il conferimento di altri incarichi semidirettivi e direttivi per cinque anni”.
Indicate le norme di riferimento, va ribadito, in linea con quanto da questo Ufficio Studi già più volte evidenziato in passato, che l’introduzione del principio di temporaneità degli incarichi direttivi e semidirettivi risponde all’esigenza - più volte evidenziata anche dal C.S.M. - di un ricambio nei ruoli in oggetto, accompagnato da una seria verifica sull’operato dei dirigenti, da operarsi necessariamente ed alla scadenza del termine quadriennale individuato dal legislatore.
La nuova disciplina è strumentale a contrastare il formarsi di centri di potere e, al contempo, a riaffermare congruamente la natura di “servizio” della funzione di direzione dell’ufficio giudiziario (o della singola sezione di esso), nella prospettiva sia di consentire l’avvicendamento non traumatico di dirigenti non rivelatisi pienamente all’altezza del compito sia di utilizzare sempre nuove energie.
La stabilità indefinita dell’incarico direttivo ovvero semidirettivo soffre degli inconvenienti più volte sottolineati dai vari progetti di riforma e consistenti, in definitiva, nella possibilità di creazione di centri di potere sempre più radicati e visibili sul territorio, con seri rischi per l’indipendenza interna dei magistrati e per l’immagine di imparzialità, che sempre deve assistere l’istituzione giudiziaria, oltre che nella difficoltà di rimozione dei dirigenti non dimostratisi idonei all’espletamento della funzione anche semidirettiva. Non può, infatti, ignorarsi che il prolungato esercizio di funzioni direttive ovvero semidirettive nel medesimo luogo può dar luogo a fenomeni di personalizzazioni dell’ufficio nonché a condizionamenti nell’esercizio dell’attività giudiziaria, non disgiunti da un affievolimento dell’impegno anche sul piano della formazione professionale.
L’importanza del principio consacrato negli artt. 45 e 46 D.Lgs. 160/2006, anche sotto il profilo culturale, è evidente, giacché sottolinea la configurazione costituzionale della magistratura quale ordine non strutturato gerarchicamente ed all’interno del quale i magistrati si distinguono soltanto per funzione1.
Con la temporaneità degli incarichi direttivi e semidirettivi si persegue la duplice finalità di responsabilizzare i magistrati investiti di compiti di direzione o di collaborazione direttiva, sottoponendoli ad una valutazione per accertare sulla base del servizio prestato e dei risultati conseguiti l’idoneità degli stessi a continuare a svolgere la relativa funzione, e al contempo di limitare la possibilità di svolgimento della relativa funzione nel medesimo ufficio, al fine di prevenire il formarsi di possibili incrostazioni. Si tratta, in sostanza, di coordinare i principi dell’indipendenza della magistratura e dell’indipendente esercizio delle funzioni giurisdizionali con l’esigenza di garantire, comunque, un valido controllo sull’equilibrio e sulla laboriosità dei singoli magistrati nonché di stimolare l’impegno in favore di un continuo aggiornamento e miglioramento della loro professionalità, nella piena consapevolezza che l’organizzazione del lavoro giudiziario deve ispirarsi all’esigenza (comune ad ogni ramo della pubblica amministrazione e discendente dai principi stabiliti dall’art. 97 Cost.) di garantire il buon funzionamento e l’imparzialità del servizio2. D’altra parte la nuova formulazione dell’art. 111 Cost., con la costituzionalizzazione del principio di efficienza, conferma la correttezza della previsione della temporaneità da configurare come fissazione di un termine di durata dell’incarico, alla scadenza del quale la conferma è condizionata dall’espletamento di una valutazione positiva, che rappresenta un forte incentivo per il dirigente in carica ad accrescere la propria professionalità specifica e la funzionalità dell’ufficio cui è preposto.
In altri termini l’ufficio direttivo, come pure quello semidirettivo, deve essere correttamente visto come “incarico” e non come posizione gerarchica stabilmente acquisita all’esito di un cursus honorum e resa potenzialmente immutabile dal riconoscimento al magistrato che è a capo di un ufficio della prerogativa dell’inamovibilità, posta a garanzia del magistrato che esercita attività giudiziaria3.
Individuata in tal modo la ragione giuridica del principio in esame, è evidente che la temporaneità dell’incarico, dell’ufficio o della sede, quando la durata è predeterminata, non confligge affatto con l’inamovibilità sancita a livello costituzionale ma, al contrario, è strumentale alla piena tutela dell’imparzialità e dell’indipendenza dell’ordine giudiziario, alla cui garanzia è preposto anche il principio sancito dall’art.107 Cost.
2.2 Esame del quesito
Ci si è soffermati sulla ratio legis degli artt. 45 e 46 D. Lgs. 160/2006 e dell’art. 5 L. 111/2007, giacché appare opportuno comprenderne a fondo il significato nonché la portata innovativa, al fine di poter compiutamente rispondere al quesito in esame.
L’art. 45 D.Lgs. 160/2006 esplicitamente dispone che il magistrato, in caso di valutazione negativa all’esito del primo quadriennio di svolgimento delle funzioni direttive, “non può partecipare a concorsi per il conferimento di altri incarichi direttivi per cinque anni”. Il legislatore ha così posto una sorta di presunzione iuris ed de iure in ordine alla inidoneità del dirigente valutato negativamente, al quale non è consentita neanche la mera partecipazione ai concorsi banditi dal C.S.M. per il conferimento di incarichi direttivi.
L’Organo di autogoverno, pertanto, una volta effettuate le proprie verifiche nell’ambito del procedimento dettato per la conferma ed espresso il giudizio di “non conferma” nei confronti del dirigente, non può compiere più alcuna valutazione comparativa che coinvolga quest’ultimo se non sia decorso il termine previsto dall’art. 45 D.Lgs. 160/2006.
La portata della previsione in commento induce, quindi, a ritenere che nel quinquennio in oggetto il magistrato non possa né presentare domande per il conferimento di incarichi direttivi né essere utilmente valutato in procedure concorsuali bandite in epoca anteriore all’adozione della decisione di non conferma ma non ancora conclusesi a tale data.
La risoluzione consiliare “in tema di conferma per i magistrati che svolgono funzioni direttive e semidirettive ai sensi degli artt. 45 e 46 D.Lgs. 160/2006”, adottata il 24 luglio 2008, disciplina gli effetti della delibera di non conferma, sancendo che il magistrato “risulta decaduto al momento della scadenza quadriennale” e che “la sua collocazione all’esito di tale giudizio è regolata dagli artt. 45 e 46 D.Lgs. 160/2006”. Pertanto, il dirigente non confermato resta, a norma del secondo comma dell’art. 45 D.Lgs. 160/2006, assegnato al medesimo ufficio, anche in soprannumero da riassorbirsi con la prima vacanza, senza funzioni direttive. L’inquadramento sistematico delle disposizioni in tema di conferma consente agevolmente di affermare che al dirigente non confermato non può applicarsi la previsione di cui al terzo comma dell’art. 45 D.Lgs. 160/2006.
Il C.S.M., nella già richiamata delibera del 15 ottobre 2008, ha compiutamente interpretato le due distinte fattispecie disciplinate dal secondo e dal terzo comma della norma in esame. In essa è, infatti, chiarito che la regola prevista nel secondo comma dell’art. 45 – in base alla quale il magistrato non confermato resta assegnato alle funzioni non direttive nel medesimo ufficio - attiene all’ipotesi in cui il magistrato che ha esercitato funzioni direttive, alla scadenza del termine di otto anni, non abbia presentato domanda per il conferimento di altra funzione ovvero nel caso di reiezione della stessa. Diversamente, ai sensi del terzo comma dell’art. 45, ove il magistrato in scadenza abbia fatto domanda per il conferimento di altra funzione ed il Consiglio superiore della magistratura non si sia ancora pronunciato, questi continuerà ad esercitare le funzioni direttive, quale reggente, fino alla presa di possesso da parte del nuovo titolare.
La conservazione delle funzioni direttive, nel ruolo di reggente, è riconosciuta possibile solo ai sensi del terzo comma e, dunque, in favore di quei dirigenti che hanno presentato domanda per il conferimento di altra funzione e sono ancora in attesa della decisione del Consiglio superiore della magistratura. Essa risulta, invece, esclusa per i magistrati che, alla scadenza del termine di legge, non hanno presentato domande per il conferimento di altre funzioni ovvero che le hanno già avute rigettate.
La lettura sistematica delle disposizioni sinteticamente illustrate consente di affermare che ai dirigenti non confermati non può applicarsi la previsione di cui al terzo comma dell’art. 45 D.Lgs. 160/2006.
Invero, essa presuppone che il dirigente abbia positivamente esercitato le funzioni direttive nell’ottennio ed abbia quindi superato la verifica quadriennale di idoneità alla prosecuzione dell’incarico. Diversamente opinando, si giungerebbe alla conclusione – illogica e contraddittoria – in base alla quale il magistrato non confermato non può concorrere per cinque anni al conferimento di incarichi direttivi ma può, di fatto, continuare ad esercitare le funzioni direttive proprio nell’ufficio presso il quale ha manifestato la sua inidoneità, per tutto il tempo che risulterà necessario alla nomina del nuovo dirigente.
Come sopra già evidenziato, il giudizio di non conferma ha una portata talmente significativa da impedire al magistrato di partecipare ai concorsi per il conferimento di altri incarichi direttivi per ben cinque anni. Di conseguenza, l’eventuale prosecuzione, seppure soltanto de facto, delle funzioni direttive nel medesimo ufficio porrebbe nel nulla la decisione stessa di non conferma e si tradurrebbe in un’elusione del divieto posto dal primo comma dell’art. 45 D.Lgs. 160/2006.
Le considerazioni svolte con riguardo all’inapplicabilità della previsione di cui all’art. 45, III comma, D.Lgs. 160/2006 mantengono piena validità anche con riferimento agli artt. 104, 108 e 109 R.D. 12/1941.
Le indicate norme dell’ordinamento giudiziario dettano le regole da seguirsi nel caso di mancanza o impedimento, rispettivamente, del Presidente del Tribunale, del Presidente della Corte d’Appello nonché del Procuratore Generale della Repubblica e del Procuratore della Repubblica. Le disposizioni in commento individuano il supplente, per l’ipotesi in cui manchi la designazione del vicario da parte del titolare dell’ufficio direttivo, facendo esclusivo riferimento al criterio dell’anzianità nel ruolo della magistratura e senza porre alcun tipo di deroga a tale previsione. In particolare, l’art. 104 O.G. prevede che il Presidente del Tribunale sia supplito dal più anziano di Presidenti di sezione o, in mancanza di essi, dal più anziano dei giudici; l’art. 108 O.G. dispone analogamente per il Presidente della Corte di Appello mentre l’art. 109 O.G. prescrive che il Procuratore Generale ed il Procuratore della Repubblica siano suppliti, rispettivamente, dall’Avvocato generale o dal sostituto anziano ovvero dal Procuratore aggiunto o dal sostituto anziano. È evidente che tali norme devono essere adeguatamente coordinate con la disciplina del tutto innovativa introdotta dall’art. 45 D.Lgs. 160/2006, giacché potrebbe verificarsi l’ipotesi che il dirigente non confermato sia anche il più anziano nel ruolo della magistratura all’interno dell’ufficio, presso il quale i posti semidirettivi potrebbero mancare in organico oppure essere vacanti.
In tal caso non risulta coerente con l’attuale sistema ordinamentale consentire al dirigente non confermato di continuare a svolgere le funzioni direttive, quale supplente di se stesso. Un’evenienza del genere sarebbe del tutto in contraddizione con il giudizio negativo che il C.S.M. ha espresso sull’idoneità del magistrato a dirigere proprio quell’ufficio e con il consequenziale divieto di partecipare per cinque anni ai concorsi per il conferimento di altri incarichi direttivi; si tradurrebbe, quindi, in una violazione delle norme disciplinanti il conferimento e lo svolgimento delle funzioni direttive.
Alla luce della ricostruzione sistematica operata, è possibile affermare che, in base al quadro di normazione primaria vigente, il magistrato, che ha riportato un giudizio di non conferma nell’incarico direttivo svolto, non può svolgere di fatto le funzioni direttive, per l’espletamento delle quali è già stato reputato dal C.S.M. inidoneo.
Tanto chiarito sul piano della normazione primaria, deve evidenziarsi l’opportunità di introdurre nella regolamentazione di produzione consiliare una previsione, che, coordinando l’art. 45 D.Lgs. 160/2006 con gli artt. 104, 108 e 109 O.G., precisi che i magistrati non confermati nell’incarico direttivo non possono svolgere le relative funzioni neanche in via di supplenza ovvero di reggenza.
Il ragionamento fino ad ora sviluppato con riguardo agli incarichi direttivi è pienamente valido anche con riferimento agli incarichi semidirettivi, per i quali è opportuno compiere ulteriori brevi considerazioni.
L’art. 46 D.Lgs. 160/2006, che disciplina la temporaneità delle funzioni semidirettive, prevede che alla scadenza dell’ottennio il magistrato “torna a svolgere le funzioni esercitate prima del conferimento delle funzioni semidirettive, anche in soprannumero, da riassorbire con la prima vacanza, nello stesso ufficio o, a domanda, in quello in cui prestava precedentemente servizio”. La norma, così disponendo, non opera quella distinzione propria dell’art. 45 D.Lgs. 160/2006, che differenzia le conseguenze derivanti dal decorso del termine di durata delle funzioni direttive in base all’eventuale pendenza di domande presentate dall’interessato al C.S.M. “per il conferimento di altra funzione”.
Pertanto, per gli incarichi semidirettivi il legislatore non ha configurato alcuna ipotesi di reggenza e le norme alle quali occorre aver riguardo per l’individuazione del supplente nell’ipotesi di mancata conferma del magistrato nelle relative funzioni sono esclusivamente quelle contenute nel R.D. 12/1941, vale a dire gli artt. 104, 108 e 109.
Tali disposizioni, come già si è visto, sono incentrate sul criterio dell’anzianità di ruolo, di talché, nel caso in cui non sia intervenuta apposita designazione ed il titolare dell’ufficio sia assente ovvero impedito, le funzioni di presidente di sezione – sia del Tribunale sia della Corte di Appello – sono svolte dal magistrato più anziano nel ruolo ivi in servizio.
In ragione dei criteri applicati per la nomina dei presidenti di sezione – quantomeno fino all’entrata in vigore del decreto legislativo n. 160 del 2006 - è verosimile che il magistrato non confermato nelle funzioni semidirettive sia proprio il più anziano in servizio presso la sezione. Pertanto, è necessario coordinare, sul piano ermeneutico, la disciplina del tutto innovativa introdotta dall’art. 46 D.Lgs. 160/2006 con quella prevista dagli artt. 104 e 108 O.G., per evitare che magistrati giudicati inidonei a dirigere la sezione continuino a svolgere di fatto proprio quelle attività per le quali sono stati valutati negativamente.
L’art. 109 O.G., in tema di uffici requirenti, non contiene alcuna previsione sovrapponibile a quella dettata dall’art. 104 O.G. ovvero dall’art. 108 O.G., giacché l’eventuale vacanza del posto di Procuratore Aggiunto non determina la necessità dell’immediata supplenza ex lege, essendo rimessa al Procuratore della Repubblica una diversa distribuzione delle deleghe.
Invero, proprio in ragione della diversità di funzione e di compiti, il legislatore non ha previsto una sostituzione automatica per l’ipotesi di assenza del Procuratore Aggiunto, di talché, per quel che rileva nella presente sede, la vacanza dell’incarico determinata dalla non conferma del titolare non comporta l’esercizio delle relative funzioni da parte del magistrato più anziano. Soluzioni diverse non si desumono dalla lettura del D.Lgs. 106/2006, che nulla prevede in tema di vacanza del posto di Procuratore Aggiunto.
Va precisato, in merito, che a norma dell’art. 1, comma 3, D.Lgs. 160/2006 il Procuratore della Repubblica può designare, tra i procuratori aggiunti, il suo vicario; tanto significa, come già sostenuto da questo Ufficio Studi4, che il vicario può essere nominato esclusivamente nelle procure ove sia presente (almeno) un Procuratore Aggiunto, non potendo la designazione ricadere su uno dei magistrati in servizio presso l’ufficio. Di conseguenza l’eventuale decadenza dall’incarico semidirettivo in oggetto (per effetto della non conferma disposta ex art. 46 D.Lgs. 160/2006) comporterà, automaticamente, la perdita anche della qualità di vicario, connessa ontologicamente alle funzioni di Procuratore Aggiunto, e l’assegnazione all’ufficio requirente di appartenenza senza alcuna distinzione rispetto agli altri magistrati in servizio presso il medesimo ufficio. Per evidenti ragioni di coerenza sistematica, dovrebbe altresì escludersi che il Procuratore della Repubblica possa, ai sensi dell’art. 1, comma 4, D.Lgs. 106/2006 delegare “la cura di specifici settori di affari” ad un magistrato non confermato nell’incarico di Procuratore Aggiunto, giacché l’eventuale esercizio in tal senso del potere di delega si porrebbe in evidente contrasto con la valutazione di inidoneità effettuata dall’Organo di autogoverno e con la previsione contenuta nell’art. 46 D.Lgs. 160/2006, a norma del quale seguito della non conferma il magistrato non può “partecipare a concorsi per il conferimento di altri incarichi semidirettivi e direttivi per cinque anni”.
Non sfugge che la delega del Procuratore della Repubblica potrebbe avere un ambito oggettivo ridotto rispetto al novero dei poteri e dei compiti riconosciuti al Procuratore Aggiunto in virtù dell’incarico semidirettivo svolto, tuttavia l’esercizio della delega comporterebbe in concreto lo svolgimento di quelle attività di direzione e di coordinamento proprie delle funzioni requirenti semidirettive. Pertanto, per le ragioni già sopra ampiamente indicate, non appare coerente con il quadro normativo vigente che un magistrato non confermato nell’incarico di Procuratore aggiunto possa continuare a svolgere sostanzialmente le medesime funzioni in virtù della delega del dirigente dell’ufficio, operata ai sensi dell’art. 1, comma 4, D.Lgs. 106/2006.
Alla luce della ricostruzione sistematica operata, è possibile affermare che, in base al quadro di normazione primaria vigente, il magistrato, che ha riportato un giudizio di non conferma nell’incarico semidirettivo svolto, non può svolgere di fatto le funzioni semidirettive, per l’espletamento delle quali è già stato reputato dal C.S.M. inidoneo. >>
- Condivise le argomentazioni suddette, è possibile affermare che, in base al quadro di normazione primaria vigente, il magistrato, che ha riportato un giudizio di non conferma nell’incarico direttivo ovvero semidirettivo svolto, non può svolgere di fatto le relative funzioni, per l’espletamento delle quali è già stato reputato dal C.S.M. inidoneo, neanche in via di reggenza, di supplenza ovvero per delega espressa del Procuratore della Repubblica
DELIBERA
di rispondere alla suddetta nota come in parte motiva e di trasmettere gli atti alla Settima Commissione per quanto di competenza.
 
 
NOTE
1 Nei termini riportati si esprime il Consiglio superiore della magistratura nella delibera adottata il 22 maggio 2003.
2 Secondo un’ormai consolidata giurisprudenza costituzionale, l’art. 97 Cost., nello stabilire che i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che sia assicurato il buon andamento dell’amministrazione, non ha inteso riferirsi ai soli organi della pubblica amministrazione in senso stretto ma anche agli organi dell’amministrazione della giustizia; in termini C. Cost. 18/1989 e 86/1982, secondo cui, tra l’altro, “sarebbe paradossale voler esentare l’organizzazione degli uffici giudiziari da ogni esigenza di buon andamento”.
3 In tali termini si esprime il Consiglio superiore della magistratura nella delibera adottata in data 12 giugno 2002.
4 Parere n. 314 del 19 luglio 2007.
 
 
 
 
 
 
 
 

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