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CIVILE

I doveri “presi sul serio”

  Civile 
 venerdì, 22 maggio 2020

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Loredana Nazzicone, Consigliere della Corte di cassazione

 
 

 

Sommario: 1. Diritti e doveri fondamentali. – 2. All’origine dei doveri giuridici. – 3. Le dichiarazioni storiche dei diritti. – 4. La Costituzione italiana. – 5. Le Carte sovranazionali. – 6. Nuova attenzione della dottrina ai doveri. – 7. Il “diritto vivente”. – 8. Esempi eclatanti di interesse individualistico esasperato. – 9. Affinché non siamo passati invano.

 

1. Diritti e doveri fondamentali.

 

Da tempo si pone la questione della “sostenibilità” di un’estensione universale di qualsiasi tipo di diritto ed, in particolare, dei diritti sociali, sia quanto alla loro effettività, sia con riguardo all’abuso dei cd. beni comuni e dell’ambiente.

Su tali questioni, la correlazione di diritti e doveri può offrire, forse, un principio di soluzione.

Si sostiene come – a differenza dai diritti fondamentali, che avrebbero un’origine etica – i doveri siano una mera convenzione.

Gli studiosi di diritto costituzionale ci ricordano come il vincolo di cittadinanza non sia costruito tanto dai diritti, quanto dai doveri: se i primi sono essenziali perché negli ordinamenti democratici venga stipulato un patto fondativo della comunità politica, l’elemento individualistico, che fatalmente li caratterizza, può condurre alla dissoluzione del vincolo stesso[1].

Qui, si intende affermare il fondamento etico anche dei doveri fondamentali.

L’aggettivo “fondamentale” allude alla sua priorità per la vita della società: da un lato, perché il diritto attiene alla soddisfazione dei bisogni di base, dall’altro perché il dovere assicura l’esistenza stessa dell’organizzazione collettiva. Si tratta di diritti e doveri giuridici; inoltre, essi, pur essendone titolari individui o gruppi, e a differenza dei diritti e dei doveri soggettivi in senso stretto, non solo comportano benefici per il titolare del diritto, o doveri contrapposti a vantaggi  per il solo diretto interessato, ma implicano vantaggi ulteriori per la collettività nel suo insieme.

 

2. All’origine dei doveri giuridici.

 

I doveri, al pari di molti altri concetti, sorgono in ambito etico e religioso (Mosè, si ricorda, diede i dieci comandamenti, non una tavola di diritti).

A Roma, i concetti morali vennero gradualmente traslati in ambito giuridico; là, il trattato De Officiis di Cicerone fu centrale per la ricezione del concetto di dovere nel diritto moderno.

La grande lezione della concezione romana della cittadinanza fu quella di identificare l’autentica sostanza del vincolo sociale (oltre che nella comunanza di interessi materiali e di regole giuridiche) proprio nei doveri[2].

Molti secoli dopo, fu la Riforma protestante ad introdurre «una morale rigorosa, dove i precetti della legge ebraica, riferentisi all’agire sociale, si tramutano in norme»[3]: quali l’etica e la dignità del lavoro, il rispetto dei patti, il dovere di preservare la proprietà.

Alla radice dei doveri fondamentali si rinviene la giustificazione contrattualistica classica. Per Hobbes, il primo dovere di ogni suddito è obbedire al diritto positivo; mentre fu Kant a sviluppare un’etica dei doveri ed a discernere il dovere giuridico: gli obblighi derivanti dalla norma giuridica possono solo essere eteronomi, quelli derivanti dalla norma etica provengono da azioni interne[4].

L’idea del “contratto sociale” è variamente ripresa, da quel momento sino ad oggi, dalla filosofia politica. Il potere e lo Stato vengono accettati per la salvaguardia e sviluppo della comunità e la protezione dei diritti della persona; si giustifica in tal modo il dovere di obbedienza, perché, altrimenti, sarebbe impossibile raggiungere lo scopo minimo di sopravvivenza collettiva, e si determina, così, la stessa possibilità di funzionamento di una società politica.

Quindi, i doveri hanno un’indiscutibile dimensione razionale.

 

3. Le dichiarazioni storiche dei diritti.

 

È noto che le prime dichiarazioni dei diritti –  Dichiarazione di diritti del Buon Popolo della Virginia del 1776,  Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti del 1776 e Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 – ignoravano i doveri, perché nacquero in contrapposizione alle monarchie assolute, con la necessità di opporsi alle disuguaglianze estreme che esse permettevano  e di limitare i poteri statuali a garanzia dell’individuo borghese.

In particolare, nella Rivoluzione francese le dichiarazioni dei diritti del 1789 e del 1793 – quest’ultima, per l’influenza giacobina e di Robespierre – non alludono ai doveri. Tuttavia, la costituzione dell’anno III del 1795, assai più influenzata da Montesquieu, e rifuggendo dall’influenza di Rousseau, contiene una dichiarazione di doveri in nove articoli, il primo dei quali afferma che «la dichiarazione dei diritti racchiude gli obblighi del legislatore: il sostegno della società esige che coloro che la compongono conoscano e compiano parimenti i loro doveri».

I doveri fondamentali compaiono anche in testi costituzionali più progressisti. Il preambolo della Costituzione francese del 1848, sebbene privo di carattere normativo, contempla i doveri reciproci dei cittadini e della Repubblica: tra i primi, l’amore alla Patria, il servizio e la difesa della Repubblica, la partecipazione ai pubblici incarichi in base alla ricchezza, il dovere del lavoro e l’ubbidienza alle norme morali e giuridiche; tra i secondi, la tutela della persona, della famiglia, della religione, della proprietà e del lavoro; e la Repubblica offre l’educazione  indispensabile[5].

 

4. La Costituzione italiana.

 

La Costituzione della Repubblica italiana contiene una previsione importante al riguardo: l’art. 2 riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, nel contempo chiedendo «l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica economica e sociale».

È vero che solo i diritti sono “riconosciuti”, in quanto preesistenti: ma l’enfasi posta su di essi non impedisce di sottolineare l’importanza dei doveri e della reciproca, stretta interdipendenza.

L’art. 2 Cost. è  decisivo, in quanto:

a) pone una correlazione immediata tra i concetti: i diritti inviolabili e i doveri inderogabili sono visti in rapporto di bilanciamento; e, sebbene l’Assemblea costituente attribuisse alla disposizione un significato prevalentemente filosofico e moralistico, rimane una clausola generale di libertà e doverosità in cima all’ordinamento[6];

b) qualifica i doveri come inderogabili: il soggetto deve adempierli, né lo Stato medesimo potrebbe rinunciare all’adempimento;

c) contempla entrambi nell’ambito della comunità, richiamando il dovere primario della solidarietà: diritti e doveri si pongono in capo agli individui; viene superato il tradizionale rapporto libertà-autorità, perché i doveri pertengono agli stessi componenti della collettività, i quali sono anche i titolari dei diritti.

Nel particolare, la Costituzione contiene numerose disposizioni, le quali  impongono doveri al privato, o a chi sia investito di pubbliche funzioni, e che richiedono in ogni modo l’eventuale sacrificio di interessi individuali: si vedano gli artt. 2, 3, 4, 23, 30, 32, 34, 416, commi 2 e 3, 42, comma 2, 44, 48 comma 2, 52, 53, 54 Cost.[7].

Ma, ancor più, l’art. 2 Cost. apre, come è palese, a tutti quei diritti inviolabili e doveri inderogabili che, man mano, possano emergere nello sviluppo storico, e che siano altrettanto inviolabili ed inderogabili.

 

5. Le Carte sovranazionali.

 

Ma quale trattamento ricevono i doveri dell’uomo nelle Carte sovranazionali?

La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, approvata dall’Assemblea dell’O.N.U., non trascura il tema dei doveri.

L’art. 29 afferma che «ogni individuo ha dei doveri verso la comunità, nella quale soltanto è possibile il libero e pieno sviluppo della sua personalità»; e, al comma 2, prevede la possibilità che, con legge, si pongano all’individuo limiti all’esercizio dei diritti, finalizzati al riconoscimento e al rispetto dei diritti e delle libertà degli altri e alla soddisfazione delle giuste esigenze della morale, dell’ordine pubblico e del benessere generale in una società democratica.

Gli artt. 17 e 53 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (Cedu), firmata a Roma il 4 novembre 1950, stabiliscono, sia pure in maniera implicita, il dovere dell’individuo di esercitare i propri diritti e le proprie libertà in modo da non ledere o limitare gli altrui diritti o libertà, senza che mai si possa giustificare questa lesione o limitazione per via dell’interpretazione della Convenzione stessa.

Il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, siglato a New York il 16 dicembre 1966, pur rivolto a rendere effettivo l’esercizio dei diritti civili, politici, economici, sociali e culturali, nel Preambolo considera che l’individuo «ha dei doveri verso gli altri e verso la collettività alla quale appartiene» ed «è tenuto a sforzarsi di promuovere e rispettare i diritti riconosciuti nel presente Patto».

Infine, ha un grande significato di civiltà la solenne proclamazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (cd. Carta di Nizza) del 2000, frutto della dichiarata volontà dei «popoli d’Europa» che, consapevoli del proprio «patrimonio spirituale e morale», intendono condividere «un futuro di pace fondato su valori comuni»: sono i «valori indivisibili e universali della dignità umana, della libertà, dell’uguaglianza e della solidarietà», in quanto l’Unione «si basa sul principio della democrazia e sul principio dello stato di diritto. Pone la persona al centro della sua azione … creando uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia».

Ma con l’acquisito presupposto che i cittadini siano sul serio tali: assolvendo, anzitutto, ai loro doveri contributivi e, più in generale, di rispetto delle regole.

Tanto è vero che l’art. 54 (come l’art. 17 della Cedu) sancisce, in modo altrettanto solenne, il divieto di abuso di diritto.

E, già nel Preambolo della Carta, al penultimo capoverso leggiamo: «Il godimento di questi diritti fa sorgere responsabilità e doveri nei confronti degli altri come pure della comunità umana e delle generazioni future».

  Questo le parole fondanti: “responsabilità e doveri”.

 

6. La nuova attenzione della dottrina ai doveri.

 

Se, nelle prime proclamazioni dei diritti, l’enfasi è stata comprensibilmente posta sui medesimi e lo stesso concetto di  “fondamentale” si è sviluppato intorno al novero dei diritti, meno si giustificherebbe oggi il permanere di un eccesso di enfasi solo su questi: pur dopo che le più importanti fonti positive hanno considerato l’importanza dei doveri e molti studiosi hanno chiarito in modo definitivo come, senza un indispensabile nucleo di doveri, una comunità non si ponga nemmeno.

Peraltro, da qualche anno, diverse voci hanno mutato la prospettiva, alla riscoperta del paradigma dei “doveri dell’uomo”[8].

Si spiegano, così, i titoli di molti scritti: che, procedendo all’analisi della teoria dei diritti[9], criticano i diritti “insaziabili”[10], il “lato oscuro”[11] di essi, la “tirannia” dei diritti fondamentali[12] e l’“età delle pretese”[13], stigmatizzando la “retorica” dei diritti[14], mostrando gli eccessi del “monoteismo del sé”[15], nonché il “costo dei diritti”[16] ed indicando, quindi, la strada per riconoscere i “diritti condizionati”[17] e l’“età dei doveri”[18]: donde i proclami “prima il dovere”[19] e il “dovere di avere doveri”[20], assecondando “l’etica del dovere e il diritto delle responsabilità”[21].

 

7. Il “diritto vivente”.

 

Il giudice civile è il giudice dei diritti, onde la prospettiva cui egli spontaneamente aderisce è quella del costante ampliamento della categoria.

Ciò nonostante, nelle banche-dati giuridiche il principio di “autoresponsabilità” inizia a comparire più volte, in settori disparati: a delimitare il diritto soggettivo secondo ragionevolezza, alla stregua delle clausole generali della diligenza e della buona fede.

Se ne riportano alcuni esempi, nel campo dei rapporti personali come patrimoniali, nonché nel processo civile.

 

a) Rapporti personali.

Quanto ai rapporti personali, il diritto all’assegno di divorzio è attribuito con riguardo alla non autosufficienza alle proprie esigenze, secondo però il principio della “autoresponsabilità economica”[22]; del pari per l’assegno di mantenimento del separato con una nuova convivenza, dove il fondamento della cessazione dell’obbligo di contribuzione viene individuato «nel principio di autoresponsabilità, ossia nel compimento di una scelta consapevole e chiara, orgogliosamente manifestata con il compimento di fatti inequivoci, per aver dato luogo ad una unione personale stabile e continuativa, che si è sovrapposta con effetti di ordine diverso, al matrimonio, sciolto o meno che sia»[23].

 

b) Rapporti patrimoniali.

Quanto ai rapporti patrimoniali, nel contratto d’investimento finanziario si richiama l’autoresponsabilità dell’operatore qualificato, allorché sottoscriva la relativa dichiarazione[24]; nella compravendita, l’esclusione della garanzia nel caso di facile riconoscibilità dei vizi della cosa venduta, ai sensi dell’art. 1491 c.c., è ricondotta al medesimo principio, collegato ad un onere di diligenza della parte[25]; mentre anche gli effetti della trascrizione vengono agganciati all’autoresponsabilità del trascrivente, con riguardo all’inesatta indicazione, nella nota, delle generalità della persona contro cui si intenda trascrivere[26].

Il concetto compare ampiamente nelle argomentazioni svolte – per la regola generale ex art. 1227 c.c., base positiva del principio in discorso – sui danni da utilizzo del cellulare[27], da fumo attivo[28], al lavoratore per l’omissione di cautele doverose[29], al turista[30] ed all’utente nel trasporto ferroviario[31].

Nell’ambito della responsabilità da fatto illecito ex art. 2043, la nozione è, in particolare, richiamata per il concorso del danneggiato pur minorenne: perché, «quanto più le conseguenze della condotta altrui sono suscettibili di essere previste e superate attraverso l’adozione, da parte dello stesso danneggiato, delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze del caso concreto, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del suo comportamento imprudente nella produzione del danno»[32].

Tutta la giurisprudenza sui danni cagionati dai cd. grandi minori, ai sensi dell’art. 2048 c.c., osserva che «la complessiva evoluzione sociale è coerente ormai con il riconoscere nelle persone di età prossima ai diciotto anni una maturazione psicofisica ormai completa, e quindi idonea a giustificare una loro autoresponsabilità come responsabilità diretta ed esclusiva. I cd. grandi minori costituiscono oramai, in effetti, una fascia di passaggio tra l’età adolescenziale in senso stretto e la maggiore età, assimilandosi, peraltro, più a quest’ultima che a un periodo di necessità di sostegno altrui e di incapacità di comprendere direttamente gli effetti delle proprie azioni od omissioni»: con conseguenze sul contenuto della prova liberatoria a carico dell’insegnante, in quanto una simile età deve ritenersi ordinariamente sufficiente ad integrare il caso fortuito[33]. 

Del pari, per la responsabilità da cose in custodia ex art. 2051 c.c. si richiede, da parte del danneggiato, l’adozione delle cautele normalmente attese[34].

 

c) Processo civile.

Ancor più cruciale è il criterio della autoresponsabilità processuale: perché resti «ferma l’idea di fondo di un processo non “quasi immortale” (per dirla con Andrioli), ma razionalmente cadenzato e dominato da principi di lealtà e autoresponsabilità»[35], che qui si declina piuttosto nella categoria dell’onere.

Il principio viene ampiamente applicato, comparendo anzitutto nell’interpretazione dell’art. 37 c.p.c., la cui portata è stata ridimensionata dal diritto vivente escludendo le ipotesi in cui la questione è preclusa per essersi formato il giudicato implicito sulla giurisdizione: in quanto «diversamente argomentando ci si porrebbe in contrasto col canone fondamentale della buona fede oggettiva, nonché del principio di autoresponsabilità di cui al brocardo venire contra factum proprium»[36].

Esso viene richiamato dai giudici, altresì, fra l’altro: in tema di scelta del foro competente[37]; per il luogo dove siano eseguibili le notificazioni presso di sé[38]; in ordine alla mancata integrazione del contraddittorio, quando la presenza di litisconsorti era già nota e per la mera scelta processuale di trascurare la questione nei due gradi di merito, salvo sollevarla dopo la sentenza di secondo grado secundum eventum litis[39]; in tema di appello incidentale ex art. 346 c.p.c., nel quale la parte deve «nel rispetto dell’autoresponsabilità e dell’affidamento processuale» riproporre le domande e le eccezioni non accolte in primo grado, in quanto rimaste assorbite[40]; nella lettura dell’art. 547 c.p.c. sulla dichiarazione di terzo, la quale non è in qualunque momento revocabile ad nutum[41]; per l’irripetibilità delle spese eccessive o superflue, di cui all’art. 92, comma 1, c.p.c.[42]; con riguardo all’onere dell’esecutato di attivarsi per prendere visione dell’intero provvedimento del giudice dell’esecuzione, al fine di  proporre del giudizio di opposizione agli atti esecutivi[43]; ancora, sulla notifica nel domicilio eletto dell’invito al pagamento del contributo unificato, la stessa Corte costituzionale ha fatto ricorso al principio de quo[44].

 

8. Esempi eclatanti di interesse individualistico esasperato.

 

Vale la pena di ricordare alcune vicende della recente storia giuridica, fondate sull’oblio dei doveri; se alcune di queste condotte di inciviltà sembrano secondarie rispetto alle grandi sfide dell’umanità, occorre sin d’ora convenire che almeno alcune di esse si pongono come questioni di fondo di una società coesa e specchio del senso di legalità e di comunità.

 

a) L’evasione fiscale.

L’esperienza italiana conosce un diffuso fenomeno di evasione fiscale: la sottovalutazione dell’elemento di doverosità insito, in campo economico, nell’art. 53 Cost. ha fatto dimenticare che il concorso alle pubbliche spese non è che un aspetto dell’appartenenza ad una società; ed è stato dimostrato che l’evasione rende più gravi i problemi che il nostro Paese incontra nell’affrontare la crisi finanziaria e nel costruire adeguati strumenti di risposta[45].

Al riguardo, si potrebbero ricollegare da vicino diritti e doveri, nel senso che la contribuzione alle pubbliche finanze sia la base del godimento di una serie di servizi, che lo Stato costituzionale di diritto è tenuto a garantire.

 

b) Antivax.

Nel corso degli anni, il movimento di opposizione agli obblighi vaccinali è andato crescendo anche in Italia, provocando – stando a quanto indicato dal Ministero della salute – un progressivo e preoccupante calo della copertura, che nel 2014 è scesa per tutte le vaccinazioni obbligatorie al di sotto del 95%, soglia necessaria al mantenimento dell’immunità di comunità, o community immunity, e da allora rimasta pressoché uguale.

Sulla questione si è pronunciata la Corte costituzionale con la sentenza n. 5 del 2018, che ha dichiarato infondate le questioni di legittimità di una serie di disposizioni del d.l. n. 73 del 2017, come convertito dalla l. n. 119 del 2017, nella parte in cui introducono un ampio novero di vaccinazioni obbligatorie, in riferimento agli art. 2, 3 e 32 Cost., ed attribuiscono alla legislazione statale la potestà di dettare una disciplina uniforme in materia di politiche vaccinali e di profilassi internazionale, in riferimento all’art. 117 Cost.[46].

La Corte ha dovuto decidere circa l’opportunità di comprimere «quella autodeterminazione dell’uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale» al fine di «preservare lo stato di salute degli altri»: in nome di un vincolo di solidarietà, che non può non dirsi reciproco.

Si è scritto, nel commento sul Foro: «un luogo comune dice che gli italiani non vaccinano i figli per la stessa ragione per la quale non pagano le tasse: contano sul fatto che lo facciano gli altri. Il legislatore si è comportato come se fosse davvero così»[47].

Ebbene: ci sembra che “il legislatore” avesse, nei fatti, ragione.

 

c) La PMA diritto assoluto.

Nella logica “ogni desiderio un diritto”, anche quello di avere un figlio ad ogni costo si è guadagnato un posto d’onore nella categoria del “mito dell’io”.

Si parta da un interrogativo di fondo: se sia configurabile un “diritto alla genitorialità”, nel senso che «il desiderio di avere un figlio tramite l’uso delle tecnologie meriti di essere soddisfatto sempre e comunque sia, o se sia invece giustificabile la previsione di specifiche condizioni di accesso alle pratiche considerate: e ciò particolarmente in una prospettiva di salvaguardia dei diritti del concepito e del futuro nato».

Se ne è occupato il giudice delle leggi[48], fissando alcuni principî.

Da un lato, la Costituzione non pone una nozione di famiglia inscindibilmente correlata alla presenza di figli; dall’altro, la libertà di procreare non implica che possa esplicarsi senza limiti, dovendosi bilanciare con altri interessi costituzionalmente protetti, ed il divieto di accesso alla PMA, stabilito nei confronti delle coppie omosessuali, non eccede il margine di discrezionalità del legislatore.

La Corte ha rimarcato anche la differenza essenziale tra l’adozione dei minori e la PMA: la prima presuppone l’esistenza in vita dell’adottando e non serve per dare un figlio ad una coppia, ma una famiglia al minore che ne è privo; la PMA, di contro, serve a dare un figlio non ancora venuto ad esistenza ad una coppia o a un singolo: che antepongano il proprio desiderio alla reale tutela di chi ancora non è al mondo.

L’equivoco sta nel richiamo apodittico al “superiore interesse del minore”: chiave che apre tutte le porte, grimaldello che impone la genitorialità ad ogni costo, mole che schiaccia la dignità umana, quando autorizza il commercio della gestazione contro un prezzo e la messa al mondo di persone cui viene – per sempre – negato il diritto alle proprie origini[49].

Una cosa è assicurare soluzioni pratiche a tutela di chi sia stato ormai messo al mondo, un’altra accettare ex ante la logica del “fatto compiuto e prepotente”[50].

 

d) Il pasto a scuola.

Alcuni genitori intentarono una causa contro il comune ed il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, per sentire accertare «il diritto di scegliere per i propri figli tra la refezione scolastica e il pasto domestico (portato da casa o confezionato autonomamente) e, in particolare, di consumarlo all’interno dei locali destinati alla mensa e nell’orario della refezione». Qui non era in discussione il principio costituzionale di gratuità dell’istruzione inferiore, di cui all’art. 34, comma 2, Cost., essendo previste tariffe ridotte ed anche l’esonero dal pagamento del servizio mensa per le fasce reddituali più svantaggiate; quello che si pretendeva era proprio di usufruire, anziché del servizio mensa, del pasto domestico come «espressione di una incomprimibile volontà individuale o di un diritto incondizionato dell’alunno» che opti per il tempo pieno.

Le Sezioni unite hanno svelato l’equivoco: non si tratta di un diritto di libertà, «quasi ad evocare la nozione ottocentesca di libertà negativa», ma del diritto sociale all’istruzione, dunque condizionato dalle scelte organizzative rimesse alle singole istituzioni scolastiche, su cui i beneficiari del servizio pubblico possono influire solo nell’ambito del procedimento amministrativo ex art. 97 Cost. Pertanto, gli alunni non vantano un diritto soggettivo perfetto e incondizionato all’autorefezione individuale: l’istituzione scolastica non è un luogo dove si esercitano liberamente i diritti individuali degli alunni, ma il luogo dello sviluppo della personalità, in cui «la valorizzazione delle diversità individuali … devono realizzarsi nei limiti di compatibilità con gli interessi degli altri alunni e della comunità», proprio «tenendo conto dell’adempimento dei doveri cui gli alunni sono tenuti, di reciproco rispetto, di condivisione e tolleranza»[51].

 

e) Le nostre città.

A differenza che per l’obbligo tributario, che è necessariamente proporzionale, altri obblighi apparentemente minori, e però essenziali per la civile convivenza – il rispetto per la pulizia delle città e per l’ambiente, l’adeguato smaltimento dei rifiuti (ed ancor prima, per i produttori, la riduzione di confezioni ed imballaggi pletorici), l’osservanza delle regole del codice della strada – possono essere adempiuti da chiunque in pari modo.

Purché si comprenda che sono doveri fondamentali: cives sumus.

 

9. Affinché non siamo passati invano.

 

È superfluo rimarcare il ruolo dei diritti fondamentali, la cui affermazione, peraltro, non è ancora pienamente raggiunta. Tuttavia, è un dato di fatto che l’attenzione sia stata troppo a lungo interamente dedicata alla ricerca di diritti sempre nuovi, sino al sentimento di un incontenibile individualismo ed al “diritto ad ogni immaginabile diritto”.

A fronte di ogni diritto nuovo, si arricchisce il patrimonio giuridico di alcuni soggetti, ma, nel contempo, si riduce lo spazio di libertà di chi deve rispettarli e degli  interessi in conflitto. E gli stessi diritti preesistenti trovano nel diritto “nuovo” un competitore[52].

La ricerca di altri diritti apre le porte ad istanze non sempre ragionevoli e disponibili al bilanciamento: con riflessi sulla giurisdizione, allorché ogni desiderio diventi motivo di adire il giudice per affermarne la dignità di diritto soggettivo; mentre la rilettura giurisprudenziale delle Carte, pur funzione ineliminabile del magistrato, a volte sconfina nella “interpretazione creativa” del diritto[53]: che spesso abbaglia, ma non illumina. La civiltà dei diritti discende, all’opposto, dall’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà: l’individuo uti socius, non solo uti singulus.

L’etica della cura evoca null’altro che la responsabilità, che ci appartiene, per istinto naturale, nelle relazioni più vicine: ma che occorre trasli dal privato al sociale e diventi una pratica morale.

Perché non possa dirsi che siamo passati invano.



[1] M. LUCIANI, Costituzione, bilancio, diritti e doveri dei cittadini, in Dalla crisi economica al pareggio di bilancio. Prospettive, percorsi e responsabilità, LVIII Convegno di studi di scienza dell’amministrazione tenutosi a Varenna, 20-22 settembre 2012, Milano, 2013, 685, p. 696, e in Riv. Corte conti, 2012, fasc. 5, 500 e 2013, fasc. 1, 418.


[2] Lo rammenta M. LUCIANI, op. cit., 696.


[3] G. PECES-BARBA MARTINEZ, Diritti e doveri fondamentali, in Digesto pubbl., Torino, 1990, vol. V, 139, a p. 152.


[4] PECES-BARBA, op. loc. cit.


[5] PECES-BARBA, op. cit., 153.


[6] G. BARONE, Diritti, doveri, solidarietà, con uno sguardo all’Europa, in Riv. it. dir. pubbl. comunitario, 2004, 1243; G.M. LOMBARDI, Contributo allo studio dei doveri costituzionali, Milano, 1967.


[7] In generale, cfr. A. CERRI, Doveri pubblici, in Encicl. giur. Treccani, Roma, 1989, vol. XII, ove la notazione che il principio di legalità per le posizioni sfavorevoli al singolo non vale per quei doveri inderogabili, il cui contenuto consiste nel necessario rispetto di altrui diritti costituzionali.


[8] Dal titolo del pamphlet di G. MAZZINI, Doveri dell’uomo, Firenze, 1860, dove, a p. 15, con estrema attualità, scrive: «Colla teoria dei diritti possiamo insorgere e rovesciare gli ostacoli; ma non fondare forte e durevole l’armonia di tutti gli elementi che compongono la Nazione. Colla teoria della felicità, del benessere dato per oggetto primo alla vita, noi formeremo uomini egoisti, adoratori della materia, che porteranno le vecchie passioni nell’ordine nuovo e lo corromperanno pochi mesi dopo. Si tratta dunque di trovare un principio educatore superiore a siffatta teoria che guidi gli uomini al meglio, che insegni loro la costanza nel sacrificio, che li vincoli ai loro fratelli senza farli dipendenti dall’idea d’un solo o dalla forza di tutti. E questo principio è il Dovere».


[9] R. BIN, Critica della teoria dei diritti, Milano, 2018.


[10] A. PINTORE, Diritti insaziabili, in L. FERRAJOLI, Diritti fondamentali, 1998, 179.


[11] A. SAJO (a cura di), Abuse. The Dark Side of Fundamental Rights, Utrecht, 2006.


[12] A. SPADARO, Dall’«indisponibilità» (tirannia) alla «ragionevolezza» (bilanciamento) dei diritti fondamentali - Lo sbocco obbligato: l’individuazione di «doveri» altrettanto fondamentali, in Pol. dir., 2006, 167.


[13] V. POSSENTI, Diritti umani. L’età delle pretese, Soveria Manelli, 2017, 95.


[14] F. RIMOLI, Retorica dei diritti e retorica dei doveri: qualche considerazione «scomoda», in Lo Stato, 2017, fasc. 9, 71.


[15] P. SEQUERI, La cruna dell’ego. Uscire dal monoteismo del sé, Milano, 2017; F. DE SMET, Lost Ego. La tragédie du “Je suis”, Paris, 2017. Molti e ricchi riferimenti si trovano in A.P. BUFFO, Il dovere come katéchon nell’età dei diritti. Forza che frena e potenza pacificatrice, in Riv. internaz. fil. dir., n. 1/2018.


[16] S. HOLMES, C.R. SUNSTEIN, The Cost of Rights. Why Liberty Depends on Taxes, New York-London, W.W. Norton, 1999, trad. it. Il costo dei diritti. Perché la libertà dipende dalle tasse, Bologna, il Mulino, 2000. Non si tratta, peraltro, solo dei diritti legati al welfare (in relazione ai quali la constatazione è del tutto intuitiva), ma di ogni altro, perché tutti i diritti, per essere effettivi, impongono la creazione ed il mantenimento di apparati di tutela, che possono essere adeguatamente gestiti solo dai pubblici poteri, con conseguenti spese: F. RIMOLI, Retorica dei diritti, cit.


[17] Locuzione che la Corte costituzionale ha iniziato a usare con la sentenza del 16 ottobre 1990, n. 455, in Rass. avv. Stato, 1990, I, 418. Cfr., in tema, S. BARBARESCHI, Tecniche argomentative della corte e tutela dei diritti sociali condizionati, in federalismi.it; I. CIOLLI, I diritti sociali «condizionati» di fronte alla corte costituzionale, in Riv. giur. lav., 2017, II, 353; G. CUMIN, La tutela dei diritti finanziariamente condizionati in materia di rapporti d’impiego alle dipendenze della pubblica amministrazione, in Giurisdiz. amm., 2012, IV, 157.


[18] N. BOBBIO, Autobiografia, a cura di A. Papuzzi, Roma-Bari, 1997, 261. Espressione tanto più significativa, posto che lo stesso A. aveva prima discorso di un’“età dei diritti”: N. BOBBIO, L’età dei diritti, Torino, 1990. Nel libro N. BOBBIO, M. VIROLI, Dialogo intorno alla Repubblica, Roma-Bari, 2001, p. 40, si afferma: «se avessi ancora qualche anno di vita… sarei tentato di scrivere “L’età dei doveri”».


[19] T. GRECO, Prima il dovere. Una critica della filosofia dei diritti, in S. MATTARELLI (a cura di), Il senso della Repubblica. Doveri, Milano, 2007.


[20] L. VIOLANTE, Il dovere di avere doveri, Torino, 2014.


[21] Cfr. il convegno di studi Dall’etica del dovere al diritto delle responsabilità, Università degli Studi di Salerno, 12 luglio 2012.


[22] Cass. 9 agosto 2019, n. 21228, non mass.; Cass. 29 agosto 2017, n. 20525, in Famiglia e dir., 2018, 573, n. GIORGIANNI; Cass. 30 agosto 2019, n. 21926, in Corr. giur., 2019, 1174.


[23] Così Cass. 19 dicembre 2018, n. 32871, in Foro it., 2019, I, 465; e già Cass. 27 giugno 2018, n. 16982, id., 2018, I, 2672.


[24] Cass. 24 aprile 2018, n. 10115, non mass.;  Cass. 20 marzo 2018, n. 6962, non mass.; in dottrina, M. SESTA M., La dichiarazione di operatore qualificato ex art. 31 reg. Consob n. 11522/1998 tra obblighi dell’intermediario finanziario ed autoresponsabilità del dichiarante, in Corr. giur., 2008, 1751.


[25] Cass. 6 febbraio 2020, n. 2756, ined.


[26] Cass. 19 marzo 2019, n. 7680, ined.


[27] Trib. Ivrea 21 aprile 2017 e Trib. Firenze 24 giugno 2017, in Corr. giur., 2017, 1082, con nota di E. AL MUREDEN, I danni da utilizzo del cellulare tra conformità del prodotto agli standard legislativi, principio di precauzione e autoresponsabilità dell’utilizzatore.


[28] Cfr. Cass. 10 maggio 2018, n. 11272, in Danno e resp., 2018, 589, n. TOPI, secondo cui, atteso che la dannosità del fumo costituisce da lunghissimo tempo dato di comune esperienza, è esclusa la responsabilità risarcitoria, ai sensi degli art. 2043 o 2050 c.c., del produttore di sigarette, in applicazione del principio della causa prossima di rilievo, costituita dalla scelta di fumare nonostante la notoria nocività del fumo, quale atto di volizione libero, consapevole ed autonomo di un soggetto dotato di capacita di agire; Cass. 30 luglio 2013, n. 18267, ined., sul danno biologico subito dal lavoratore nello svolgimento delle proprie mansioni, qualora si tratti di soggetto aduso  al fumo di sigarette; Cass. 4 luglio 2007, n. 15131, in Resp. civ. e prev., 2008, 602, n. R. BIANCHI, Danno da pubblicità ingannevole e consumatori: in cassazione un’apertura condizionata, in cui il fumatore lamentava il danno esistenziale o da stress, causato dall’errata convinzione di ridurre il rischio di lesioni da fumo cui l’attore, già fumatore, era stato indotto dalla dicitura lights, passando alle sigarette più leggere.

Nella giurisprudenza penale, v. Cass. pen. 21 giugno 2013, n. 37762, in Foro it., 2014, II, 13, n. GUARINIELLO, sul reato di omicidio colposo in danno di lavoratori fumatori, esposti a cromo esavalente; Cass. pen. 27 gennaio 2012, n. 9479, in Resp. civ. e prev., 2013, 472, n. MANCA, su soggetto per anni dedito al fumo; Cass. pen. 21 dicembre 2011, n. 11197, in Giust. pen., 2012, II, 449, in Cass. pen., 2013, 163, su situazione analoga.

Fra i giudici di merito, Trib. Milano 12 maggio 2017, in Riv. it. med. legale, 2017, 1586, sull’esposizione a polvere d’amianto e mancata prova di un’eziologia diversa dal prolungato ed intenso fumo di sigarette; Trib. Milano 11 luglio 2014, in Corr. giur., 2014, 1357, n. PONZANELLI e Resp. civ. e prev., 2015, 579, n. MONTINARO, sul rilievo, ai sensi dell’art. 1227 c.c., della condotta del fumatore che abbia comunque continuato a fumare dopo il 1991, quando è divenuto obbligatorio apporre sui pacchetti di sigarette le avvertenze sulla nocività del fumo; App. Roma 21 gennaio 2014, ibidem, 586, sul soggetto perseverante nel fumo, nonostante la consapevolezza dei rischi; Trib. Catanzaro 8 febbraio 2011, in Danno e resp., 2012, 86, n. TASSONE, che ha ritenuto assorbente il concorso di colpa del fumatore che abbia consumato sigarette in modo smodato, essendo noti fin dagli anni Trenta i rischi legati al fumo; Trib. Roma 12 aprile 2010,  ibidem, 84, menzionando il concorso di colpa del fumatore che abbia consumato sigarette in modo smodato, nonostante gli avvertimenti apposti sui pacchetti; Trib. Roma 28 gennaio 2009, in Foro it., 2009, I, 1234; Trib. Roma 4 aprile 2008, in Dir. e giur., 2008, 367, n. RUGGERI, che richiama l’ordinaria diligenza dovuta dal fumatore, sufficiente ad evitare l’esito conseguito, in base al principio di autoresponsabilità di cui all’art. 1227, comma 2, c.c.; Trib. Roma 5 dicembre 2007, in Foro it., 2008, I, 985, sulla consapevolezza della potenzialità dannosa e della dipendenza da fumo (anche in Giust. civ., 2008, I, 1789, n. R. CARLEO, Danno da fumo attivo e autoresponsabilità).


[29] Cass. pen., sez. IV, 28 novembre 2018, n. 5007, ined.; Cass. pen., sez. IV, 10 febbraio 2016, n. 8883 e Cass. pen., sez. IV, 14 gennaio 2016, n. 3616, in Dir. pen. e proc., 2016, 1341, con nota di G. MARRA, Doveri datoriali di cautela, autoresponsabilità del lavoratore e personalità della responsabilità penale.


[30] App. Cagliari-Sassari, 22 novembre 2013, in Riv. dir. navigaz., 2014, 963, con nota di M. M. COMENALE PINTO, Spunti in tema di responsabilità dei vettori e delle imprese turistiche e c.d. «autoresponsabilità» del turista, e in Dir. trasporti, 2015, 891, con nota di A. DELLA ROSA, Buona fede e diligenza nell’esecuzione del contratto di viaggio organizzato.


[31] Nella specie, il passeggero aveva riportato danni alla persona scendendo da un treno in movimento: Cass. 27 aprile 2011, n. 9409, in Foro it., 2011, I, 3366, Giust. civ., 2011, I, 2601, con nota di G. ADILARDI, Diligenza qualificata del gestore del trasporto ferroviario e principio di autoresponsabilità dell’utente e in Dir. trasporti, 2013, 888, con nota di S. SESTA, Obblighi del passeggero e responsabilità del vettore ferroviario.


[32] Cass. 1° febbraio 2018, n. 248, inedita.


[33] Cass. 31 gennaio 2018, n. 2334, in Foro it., 2018, I, 1259, n. DI ROSA.


[34] Fra le tante, Cass. 1° febbraio 2018, n. 2480, in Foro it., 2018, I, 1254.


[35] Così un passaggio della Risoluzione C.S.M., Misure per l’accelerazione dei tempi della giustizia civile, approvata dal Consiglio il 18 maggio 1988, in Foro it., 1988, V,  249, alla nota 18.   


[36] Cass., sez. un., 20 aprile 2018, n. 9912, inedita; Cass., sez. un. 20 ottobre 2016, n. 21260, in Foro it., 2017, I, 966, n. POLI, TRAVI, AULETTA; Cass., sez. un., 29 marzo 2011, n. 7097, in Riv. dir. proc., 2012, 1105, n. GIORDANO; Cass., sez. un., 28 gennaio 2011 n. 2067, in Foro it., 2011, I, 1387, n. COSTANTINO; Cass., sez. un., 9 ottobre 2008, n. 24883, id., 2009, I, 806, n. POLI.


[37] Cass. 24 luglio 2017, n. 18264, in Riv. dir. proc., 2018, 1373, n. GUARNIERI.


[38] Cass. 16 luglio 2019, n. 19048, ined., ed altre, dove si richiama, a proposito della notificazione presso la casa comunale, ai sensi dell’art. 15, comma 3,1. fall., il principio di auto responsabilità, che onera l’interessato di munirsi di un valido e operante indirizzo PEC.


[39] Cass. 26 settembre 2019, n. 24071, ined.


[40] Cass., sez. un., 21 marzo 2019, n. 7940, in Giur. it., 2019, 2648;  Cass. 31 luglio 2019, n. 20726, ined.


[41] Cass. 26 febbraio 2019, n. 5489, in Corr. giur., 2019, 951, n. TOTA.


[42] Cass. 5 ottobre 2018, n. 24571, ibidem, 253, n. BOCCAGNA.              


[43] Cass. 12 giugno 2018, n. 15193, ined.


[44] Corte cost. 29 marzo 2019, n. 67, in Foro it., 2019, I, 1847, che ha reputato infondate le questioni di legittimità dell’art. 248, comma 2, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, perché non si realizza un vulnus del principio secondo cui al contribuente deve essere garantita un’adeguata conoscibilità dell’instaurando procedimento di riscossione, trovando la norma «la sua ratio nel contemperamento non implausibile tra esigenze di garanzia del destinatario, principio di autoresponsabilità e onere di diligenza, da un canto, e di efficienza e buon andamento dell’amministrazione finanziaria, in quanto esonerata da approfondite ricerche anagrafiche, dall’altro».


[45] M. LUCIANI, Costituzione, bilancio, diritti e doveri dei cittadini, cit.,  nota 40 e testo corrispondente.


[46] Corte cost. 18 gennaio 2018, n. 5, fra l’altro in Foro it., 2018, I, 710, n. G. PASCUZZI, Vaccini: quale strategia?; in Nuova giur. civ., 2018, 881, n. M. TOMASI, Politiche vaccinali, decretazione d’urgenza e rapporti fra stato e regioni; e in Giur. costit., 2018, 38, n. C. PINELLI, Gli obblighi di vaccinazione fra pretese violazioni di competenze regionali e processi di formazione dell’opinione pubblica. V. pure M. TOMASI, Vaccini e salute pubblica: percorsi di comparazione in equilibrio fra diritti individuali e doveri di solidarietà, in Dir. pubbl. comparato ed europeo, 2017, 455.


[47] G. PASCUZZI, op. loc. cit.


[48] Corte cost. 23 ottobre 2019, n. 221, in Corr. giur., 2019, 1460, da cui è tratto il virgolettato nel testo.


[49] Il diritto a conoscere i propri genitori è richiamato anche dal parere 10.4.2019 della Grande Cambre Cedu, nel quale si evidenziano comunque i gravi rischi di abusi della pratica della cd. maternità surrogata e si richiede comunque che il procedimento estero sia legittimo.


[50] Non si può ora approfondire oltre la delicata questione. Si rimanda, in generale, a Cass., sez. un., 8 maggio 2019, n. 12193, in Fam. e dir., 2019, 653, e Cass., ord. interl. 29 aprile 2020, n. 2325, la quale ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 6, l. 19 febbraio 2004, n. 40, invece che provvedere ad una nuova rimessione alle Sezioni unite, contro il disposto dell’art. 374 c.p.c., e senza che ivi il richiamo al precedente di Corte cost. n. 5 del 2015 (in materia di ammissibilità del referendum) superi il rilievo.


[51] Cass., sez. un., 30 luglio 2019, n. 20504, non edita.


[52] Così M. LUCIANI, Interpretazione conforme a costituzione, in Encicl. dir.-Annali, Milano, 2016, vol. IX, 391, a p. 458.


[53] Corte cost. 23 ottobre 2019, n. 221, cit.: «il compito di ponderare gli interessi in gioco e di trovare un punto di equilibrio fra le diverse istanze – tenendo conto degli orientamenti maggiormente diffusi nel tessuto sociale, nel singolo momento storico – deve ritenersi affidato in via primaria al legislatore, quale interprete della collettività nazionale»: salvo sempre il compito di indicare l’interpretazione più corretta ad opera dei giudici (in primis della Corte di cassazione ex art. 65 ord. giud.) e il sindacato del giudice delle leggi, onde verificare che queste non decampino dall’alveo della ragionevolezza. In tema di cd. interpretazione creativa del diritto e della giurisprudenza come fonte, si veda il fondamentale lavoro di M. Luciani, citato alla nota che precede; e sia permesso il rinvio a L’etica del giudice e la certezza del diritto. De secreto conflictu curarum mearum, in giustizia civile.com, 12.1.2018.

 
 
 
 
 
 

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