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PENALE

Il “Codice Rosso” per estirpare il virus della violenza di genere: un primo commento a meno di un anno dalla sua entrata in vigore

  Penale 
 mercoledì, 8 aprile 2020

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Bernadette Nicotra,  Giudice del Tribunale di Roma

 
 

 

1. Premessa.
Tra le misure restrittive adottate nel nostro Paese, per fermare il contagio da Coronavirus, c’è quella di restare a casa.
La quarantena ha fatto registrare un calo del numero di denunce per violenze e maltrattamenti, tuttavia, ciò non corrisponde ad una diminuzione dell’intensità e della frequenza del fenomeno. Infatti, in base ai dati raccolti dai centri anti-violenza e da altre fonti informali, è emerso che la violenza non è assolutamente diminuita ma, a causa delle restrizioni, vi è solo una maggiore difficoltà delle donne a denunciarla.
L’emergenza Coronavirus rischia di aggravare un problema strutturale della nostra società: la violenza di genere. Le misure restrittive, seppur necessarie, stanno avendo conseguenze negative in quegli ambiti familiari segnati dalla presenza di maltrattamenti e violenze, fenomeni che nel nostro Paese sono purtroppo diffusi e sommersi.
Se le  necessarie  misure di distanziamento sociale hanno costretto molte attività non essenziali a fermarsi, le azioni per contrastare la violenza di genere non possono essere bloccate. Infatti, nonostante, le misure eccezionali introdotte in tutti i Tribunali Italiani per contenere gli effetti della pandemia, l’impegno degli operatori della giustizia per contrastare in modo tempestivo ed efficace il fenomeno non si è arrestato.    
Oggi, le forze dell’ordine e la magistratura hanno a disposizione un ventaglio di norme  per  rendere più efficace il contrasto alla violenza di genere. Tra queste il 9 agosto 2019 è entrata in vigore la legge n. 69 del 2019 (c.d. “Codice Rosso”) recante «Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere».
Il provvedimento legislativo, come esplicitato nel suo titolo, nasce con l’obiettivo di apportare modifiche significative al sistema di repressione penale della violenza domestica e di genere al fine di far fronte al sempre più crescente stato emergenziale collegato alla commissione di questa categoria di reati.
Tale intervento normativo si sviluppa lungo due traiettorie: la prima sul versante processuale e la seconda in quello sostanziale.
Sul versante processuale, la riforma mira a tracciare una “corsia preferenziale” per quei reati c.d. spia in modo tale da assicurare l’immediata istaurazione del processo e ridurre, così, i tempi per l’adozione di eventuali provvedimenti protettivi. In particolare, si intende evitare una stasi nell’iscrizione della notizia di reato o nello svolgimento delle indagini tali da compromettere la tempestività degli interventi e così l’incolumità fisica e psichica delle vittime.
Sul versante sostanziale, invece, si assiste ad un inasprimento del trattamento sanzionatorio di alcuni delitti e all’introduzione di nuove forme di reato.
Più precisamente, il testo legislativo introduce quattro nuove fattispecie: il delitto di violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (art. 387 bis c.p.), il delitto di costrizione o induzione al matrimonio (art. 558 bis c.p.), il delitto di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti senza il consenso delle persone rappresentate, c.d. revenge porn (art. 612 ter c.p.) e, infine, il delitto di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso (art. 583-quinquies c.p.).

1.1. L’art. 612 ter c.p. - Il delitto di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti senza il consenso delle persone rappresentate, c.d. revenge porn
Il nuovo articolo 612 ter c.p. sanziona il delitto di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti prevedendo la pena della reclusione da 1 a 6 anni e la multa da 5.000 a 15.000 euro. Lo stesso trattamento sanzionatorio si applica a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video, li diffonda a sua volta al fine di recare nocumento agli interessati.
Il legislatore prevede anche alcune ipotesi aggravate della fattispecie: la pena, infatti, è aumentata se i fatti sono stati commessi dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se i fatti sono commessi mediante strumenti informatici o telematici; nel contempo, la pena è aumentata da un terzo alla metà se i fatti sono commessi in danno di persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza.
L’obiettivo di politica criminale che il legislatore ha voluto perseguire con l’introduzione di questa fattispecie appare evidente alla luce dei numerosi casi di cronaca giudiziaria.
Il reato in questione, infatti, ha fatto ingresso nel nostro sistema penale al precipuo scopo di fronteggiare la crescita esponenziale di una nuova fenomenologia delittuosa che, tramite la strumentalizzazione della rete Internet, divulga telematicamente foto, video o immagini relativi alla vita strettamente intima di una persona.
Dunque, attraverso l’introduzione dell’art. 612 ter c.p., si è colmato un effettivo vuoto di tutela.
Tradizionalmente, priva della vigenza del Codice Rosso, tali condotte criminose erano ricondotte entro lo spettro di operatività del reato di diffamazione a mezzo Internet (art. 595 co. 3 c.p.) o, al più, entro il delitto di illecito trattamento dei dati personali (art. 167 del D.lgs. n. 196 del 2003, il “Codice Privacy”).
La riconducibilità a tali fattispecie di reato risultava però incompatibile o, comunque, riduttiva rispetto al bene giuridico che si intendeva tutelare.
La divulgazione illecita di immagini o video sessualmente esplicite, infatti, travalica i confini dell’offesa all’altrui reputazione e incide direttamente sul diverso diritto alla libertà personale e sessuale se non, addirittura, sull’integrità psico-fisica della vittima, alla stregua di quanto avviene con il reato di atti persecutori.
Il reato di diffamazione, invece, si configura quale fattispecie posta a presidio della sola reputazione, da intendersi, alla luce della giurisprudenza di legittimità, come “onore in senso oggettivo ossia quale valutazione dei consociati rispetto alla personalità morale e sociale dell’individuo e stima di cui lo stesso gode nella collettività di appartenenza”.
Le stesse considerazioni valgono per il delitto di cui all’art. 167 del D.lgs. n. 196 del 2003 che, più che reprimere in maniera diretta eventuali violazioni dei diritti fondamentali della persona, si inserisce nel comparto normativo volto a garantire la corretta circolazione dei dati personali.
Per questi motivi il legislatore ha introdotto la nuova fattispecie nella Sezione III del Titolo XII del codice penale, dedicato alla regolamentazione dei delitti contro la libertà morale. 
Tornando all’analisi della fattispecie, essa è strutturata in due distinte ipotesi che prevedono il medesimo trattamento sanzionatorio e che si distinguono tra loro per le modalità con le quali l’agente è entrato in possesso delle immagini che successivamente decide di divulgare. Nel primo caso, il reo deve essersi procurato il suddetto materiale mediante la realizzazione diretta dello stesso oppure per averlo sottratto personalmente; nel secondo caso, invece, le immagini o i video devono essere stati ricevuti o, comunque, acquisiti.
Le condotte tipiche descritte dal legislatore sono essenzialmente cinque: invia, consegna, cede, pubblica o diffonde. L’impiego della preposizione disgiuntiva per separare le ultime due forme comportamentali (pubblica o diffonde) attesta che si tratta di condotte alternative equivalenti.
Inoltre, appare evidente come le condotte penalmente rilevanti siano rivolte sia a un pubblico potenzialmente vasto e indeterminato (pubblica o diffonde) sia a un pubblico più circoscritto.
Le condotte consistite nell’inviare, consegnare e cedere, infatti, presuppongono un rapporto di bilateralità o, al massimo, un rapporto plurilaterale con soggetti determinati.
Per quanto concerne la locuzione “sessualmente espliciti” si renderà necessaria la definizione interpretativa ad opera della giurisprudenza di legittimità. Pertanto, attualmente, si ritengono inclusi tutti i contenuti ritraenti rapporti sessuali o parti intime delle persone coinvolte.
Maggiori problematiche interpretative sono sorte in ragione dell’elemento soggettivo del reato.
In particolare, risulta difficile provare in giudizio i due elementi strutturali della fattispecie consistiti nel dissenso della vittima e nella consapevolezza del reo di operare senza il consenso della persona offesa.
Si tratta di una doppia indagine su un elemento costitutivo del reato in mancanza del quale non è possibile rinvenire alcuna responsabilità penale in capo all’imputato.
Alcuni autori, in tal senso, propendono per una soluzione estensiva degli approdi a cui è giunta la giurisprudenza di legittimità nei reati di violenza sessuale. Pertanto, anche nel caso del 612 ter c.p., si renderà necessaria la dimostrazione di indici chiari univoci e diretti del consenso della vittima, in presenza dei quali si dovrà presumere il dissenso del destinatario.
Ulteriori perplessità si rinvengono in merito alla richiesta del dolo specifico per l’ipotesi criminosa contemplata nel co. 2.
Infatti, da una parte non si comprende la scelta selettiva operata dal legislatore nel limitare il disvalore penale soltanto al caso in cui il reo abbia intenzionalmente voluto provocare una lesione alla persona offesa e non anche quando abbia agito disinteressandosi della portata lesiva della condotta. Dall’altra, si complica ulteriormente l’accertamento dell’elemento soggettivo del reato perché il giudice dovrà verificare non solo la consapevolezza della dimensione lesiva della condotta ma anche la specifica volontà di concretizzare tale offesa.
Da ultimo, rientrando nell’alveo dei delitti del Codice rCsso, all’art. 612 ter c.p. dovranno applicarsi le innovazioni processuali apportate dal legislatore con la presente riforma. Inoltre, stando a quanto statuito all’ultimo comma, il delitto è punito a querela della persona offesa nel termine di sei mesi. La remissione della querela può essere solo processuale, ferma restando la procedibilità d’ufficio per le ipotesi in cui opera l’aggravante speciale della particolare condizione di inferiorità fisica ecc. (co. 4 c.p.) e per i casi in cui il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio.

2. L’art. 558 bis c.p. - Il delitto di costrizione o induzione al matrimonio (art. 558 bis c.p.)
Il nuovo articolo 558 bis c.p., colmando un vuoto legislativo, introduce un’ulteriore fattispecie di reato.
Con l’introduzione di questa nuova disposizione, il legislatore punisce chiunque, con violenza o minaccia, costringe una persona a contrarre matrimonio o unione civile con la pena della reclusione da 1 a 5 anni. Alla stessa pena soggiace anche chi, mediante una serie di condotte abusive polarizzate sulla condizione di vulnerabilità, inferiorità psichica o di necessità della persona e sulle particolari relazioni intercorrenti con l’autore del reato, induce taluno a contrarre matrimonio o unione civile. Il legislatore, poi, prevede anche due ipotesi aggravate: quando i fatti sono commessi in danno di un minore di anni 18 o, ancora, nel caso in cui la vittima sia un infraquattordicenne.
Le fattispecie contemplate sono, pertanto, due e si pongono l’obiettivo di contrastare i c.d. matrimoni forzati.
Nel primo caso, si tratta di un’ipotesi speciale di violenza privata di cui all’art. 610 c.p. qualificata dalla natura del fatto imposto ossia il matrimonio o l’unione civile. Nel secondo caso, invece, viene punita l’induzione al matrimonio mediante abusi psicologici o tramite particolari modalità coercitive, meno dirette della costrizione ma ugualmente idonee a condizionare la libertà di decisione.
Il punto di contatto tra i due delitti, che giustifica il medesimo trattamento sanzionatorio, deve rinvenirsi nell’unicità dell’evento (matrimonio o unione civile) contratto in sostanziale difetto del consenso.
I profili problematici, immediatamente emersi, attengono alla conciliabilità di tale fattispecie penale con le rispettive disposizioni civilistiche in materia di matrimonio.
È stato messo in luce, in particolare, il difficile coordinamento tra l’art. 558 bis c.p. e il 122, co. 1 c.c.
La disposizione civilistica consente al coniuge a cui il consenso al matrimonio è stato estorto con violenza, di impugnare il matrimonio stesso. Tuttavia, l’azione non può essere proposta se vi è stata coabitazione per almeno un anno dopo la cessazione della violenza.
Pertanto, la sussistenza di entrambe le disposizioni potrebbe creare la strana situazione in cui, pur essendo civilmente efficace, il matrimonio forzato, perseguibile d’ufficio, costituirebbe sempre un reato.
La norma, infine, non dimentica un ulteriore fenomeno che negli ultimi anni ha assunto una dimensione ultranazionale. Si tratta dei casi in cui giovani donne straniere, residenti in Italia, sono costrette o indotte a stipulare matrimoni da celebrarsi all’estero e, comunque fuori dall’ordinamento italiano.
Per far fronte a questa emergenza, il legislatore ha esteso la summenzionata disciplina anche ai casi in cui il fatto è stato commesso all’estero da cittadino italiano o da straniero residente in Italia ovvero in danno di cittadino italiano o straniero residente in Italia.

3. L’art. 583 quinquies c.p. - Il delitto di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso
Il nuovo articolo 583 quinquies c.p. disciplina il delitto di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso abrogando la corrispondente ipotesi di lesioni personali gravissime (art. 583 co. 2 n. 4 c.p.).
L’obiettivo di politica criminale perseguito, in ragione dei recenti e gravi casi giudiziari, è quello di contrastare con maggiore efficacia le condotte di chi, mediante l’impiego di acidi o sostanze corrosive, compromette gravemente i lineamenti del volto della vittima apportando delle lesioni gravissime alla stessa.
Più precisamente, la norma sanziona con la pena della reclusione da 8 a 14 anni chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale dalla quale derivano la deformazione o lo sfregio permanente del viso.
Per deformazione del viso deve intendersi una grave alterazione, pressoché irreparabile, del volto  che determini nell’osservatore ripugnanza e ribrezzo, mentre, integra lo sfregio permanente “qualsiasi nocumento che, senza provocare la più grave conseguenza della deformazione, importi un turbamento irreversibile dell’armonia e dell’euritmia delle linee del viso, con effetto sgradevole o d’ilarità, anche se non di ripugnanza, secondo un osservatore comune, di gusto normale e di media sensibilità” (Cass. Pen., sez. V, 18 aprile 2016, n. 21394).
La valutazione della sussistenza della deformazione o dello sfregio deve, pertanto, avvenire attraverso un giudizio estetico fondato sul punto di vista di un osservatore comune, di gusto normale e di media sensibilità. Quindi, il giudice, nel compiere tale giudizio, non dovrà servirsi di alcuna indagine peritale e non dovrà essere in possesso di alcuna competenza di carattere tecnico.
Infine, l’elemento soggettivo richiesto ai fini dell’integrazione del reato è il dolo generale. Difatti, il reo deve aver agito con la consapevolezza e la volontà di porre in essere una condotta idonea a realizzare l’offesa descritta.
Prima dell’introduzione di questa fattispecie di reato, la medesima condotta veniva punita ai sensi dell’art. 583 co. 2 n. 4 c.p. Si trattava dell’omologa circostanza aggravante ad effetto speciale.
La scelta effettuata dal legislatore risulta, secondo parte della dottrina, troppo frettolosa.
Le lesioni personali gravissime, infatti, non derivano necessariamente da una condotta dolosa ma possono anche essere causate da comportamenti colposi, costituendo la corrispondente ipotesi di lesioni personali colpose (art. 590 co. 2 c.p.) tra le quali, ad oggi, non può più configurarsi l’ipotesi di deformazione o sfregio del viso.
Per questi motivi sarebbe stato più opportuno non abrogare espressamente il n. 4 dell’art. 583 co. 2 c.p. e lasciare che l’introduzione della nuova fattispecie di reato abrogasse tacitamente e parzialmente la circostanza aggravante ad effetto speciale soltanto nei casi di condotta dolosa.
Da ultimo, il provvedimento interviene anche sull’art. 576 c.p. prevendendo l’applicazione dell’ergastolo qualora il delitto di omicidio sia conseguente alla commissione del delitto di deformazione dell’aspetto mediante lesioni al viso.
La riforma apporta delle modifiche anche all’art. 585 c.p. nel prevedere che il delitto di nuova specie sia aggravato quando commesso con il concorso delle circostanze di cui all’art. 576 c.p. (pena aumentata da un terzo alla metà) e di quelle di cui all’art. 577 ossia quando commesso con armi o con sostanze corrosive o da persona travisata o da più persone riunite (pena aumentata fino a un terzo).
La norma, inoltre, predispone l’interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla tutela, alla curatela e all’amministrazione di sostegno, in caso di condanna ovvero sentenza di patteggiamento ex art. 444 c.p.p.

4. L’art. 387 bis c.p. - Il delitto di violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (art. 387 bis c.p.)

Il nuovo articolo 387 bis c.p. punisce la violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare o di divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa adottati, in via cautelare, dal giudice. Si tratta, infatti, delle misure cautelari previste ai sensi degli artt. 582 bis e 582 ter c.p.p. necessarie per prevenire la commissione di ulteriori reati e proteggere, pertanto, la vittima.
Tradizionalmente, l’inosservanza delle prescrizioni imposte, in assenza di una specifica fattispecie penale, trovava risposta sanzionatoria in termini endoprocessuali. In particolare, ai sensi dell’art. 299, co. 4 c.p.p., il giudice, valutato l’aggravamento delle esigenze cautelari, poteva sostituire o, eventualmente cumulare, la misura cautelare imposta con una più grave. Ad esempio, a seconda dell’entità della trasgressione, si poteva sostituire il divieto di avvicinamento con gli arresti domiciliari o, altresì, con la custodia cautelare in carcere.
Anche per questa modifica legislativa non sono mancate delle critiche.
Nello specifico, si dubita dell’utilità della norma che, in alcuni casi, risulta meno protettiva della risposta sanzionatoria endoprocessuale, determinando un sacrificio della vittima. Difatti, la violazione dei provvedimenti cautelari darebbe vita a ulteriori processi che soltanto alla loro conclusione irrogherebbero una sanzione penale a differenza della risposta endoprocessuale maggiormente tempestiva.

5. L’art. 572 c.p. - Modifiche in tema di maltrattamenti contro familiari e conviventi (art. 572 c.p.)
L’art. 9 co. 2 del Codice Rosso ha apportato significative modifiche in tema di maltrattamenti contro familiari e conviventi.
Questa disposizione prevede un notevole aumento del trattamento sanzionatorio: la cornice edittale da due a sei anni è sostituita con quella da tre a sette anni. Il minimo edittale, sebbene sia aumentato di un anno, non osta all’applicabilità della sospensione condizionale della pena in caso di rito abbreviato. L’intervento sul massimo edittale, invece, oltre ad allungare i termini di prescrizione e di fase, consente il fermo di indiziato di delitto qualora ne sussistano i presupposti.
Le modifiche al trattamento sanzionatorio non hanno riguardato invece le ipotesi aggravate dall’evento che rimangono, pertanto, immutate.
Il legislatore, al secondo comma, introduce un’ipotesi aggravata: la pena è aumentata fino alla metà se il fatto è stato commesso in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità ovvero se il fatto è commesso con armi. Si tratta di un’aggravante speciale ad effetto speciale avente natura oggettiva. Le condotte descritte dal legislatore sono alternative, ma è ben possibile che, nella fattispecie concreta, possono concorrere.
L’intento del legislatore è quello di assicurare una maggiore protezione ai minori che, nella maggior parte delle volte, assistono agli episodi di maltrattamenti (violenza assistita).
In particolare, ai fini della configurabilità dell’aggravante, sarà sufficiente che il minore percepisca il fatto maltrattante non essendo necessario che vi assista in prima persona.
In questo contesto si comprende l’ulteriore scelta legislativa di modificare l’art. 61 bis n. 11 quinquies c.p. nella parte in cui prevedeva l’aggravante dell’aver commesso il fatto in presenza o in danno di un minore di anni 18 anche per il reato di cui all’art. 572 c.p. 
Da ultimo, tra i soggetti destinatari delle misure di prevenzione personale, vi rientrano non solo gli indiziati del reato di stalking ma anche quelli del reato di maltrattamenti.

6. Le ulteriori modifiche del Codice Rosso
Passando in rassegna le ulteriori modifiche legislative introdotte dal Codice Rosso si registra, in funzione preventiva-repressiva, un innalzamento del regime sanzionatorio per il reato di atti persecutori (art. 612 bis c.p.) e per alcune configurazioni aggravate dei reati di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.), violenza sessuale (artt. 609 bis e 609 ter c.p.) e atti sessuali con minorenne (art. 609 quater c.p.).
L’art. 2 della l. n. 69 del 2019 ha previsto, poi, l’obbligo per il pubblico ministero di assumere informazioni dalla persona offesa e da chi ha presentato denuncia, querela o istanza, entro il termine ordinatorio di tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato. La norma prevede, però, delle eccezioni.
In primo luogo, la mancata assunzione delle informazioni è giustificata dalle esigenze di tutela dei minori di anni 18. Tale scelta trova la sua ratio nella particolare vulnerabilità della vittima e nelle particolari modalità di escussione (presenza di un esperto in psicologia o psichiatria infantile), molte volte incompatibili temporaneamente con il termine di tre giorni.
L’altra eccezione all’assunzione di informazioni è rappresentata dalla riservatezza delle indagini, anche nell’interesse della persona offesa (elemento aggiuntivo rispetto alla riservatezza). In questo caso, il p.m. può decidere di non escutere la vittima allorquando questa, in un primo momento, può assumere un atteggiamento poco collaborativo con le autorità in ragione della categoria dei reati per i quali si procede.
È opportuno precisare che l’esercizio del potere discrezionale del p.m. di non escutere la vittima entro tre giorni deve essere supportato da un esplicito e motivato provvedimento, in ragione dei principi fondamentali sui quali si basa il nostro ordinamento penale.
Infine, significative modifiche sono state apportate anche all’istituto della sospensione condizionale della pena. Nello specifico, la sua concessione è subordinata alla partecipazione a specifici percorsi di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati per i medesimi reati.

6. 1. Codice Rosso: luci ed ombre
Il Codice Rosso è sicuramente una novella legislativa che nel complesso, tra luci ed ombre, appare utile al fine di contrastare tutti quei reati di genere che si verificano sempre più spesso nel panorama sociale italiano.
    Ebbene, il legislatore del Codice Rosso ha in un certo senso cercato una risposta a questa maggiore sensibilità della società rispetto ai reati che nascono e si consumano tra le mura domestiche perlopiù in danno delle donne e dei minori.
La norma è ancora molto “giovane” ed è obiettivamente presto per fare un bilancio, perché solo la pratica attuazione ci consentirà di valutarne l’effettiva efficacia. Tuttavia  è  già  possibile  fare  alcune considerazioni.
Innanzitutto, non dimentichiamo che, i reati di cui si tratta sono effettivamente particolari perché si innestano molto spesso in una situazione di vicinanza fisica e psicologica protratta nel tempo tra autore e vittima. Tali condotte, si consumano per un lasso di tempo solitamente non istantaneo e trovano proprio nel legame tra reo e persona offesa (o ex legame) presupposto e ragione. Si tenga conto poi, che spesso sono coinvolti anche indirettamente minori,  che,  spesso  strumentalizzati  dagli adulti, soprattutto in quelle situazioni di violenza domestica caratterizzate da escalation  di  conflittualità,  subiscono in silenzio.
Vi sono degli aspetti del Codice Rosso sicuramente del tutto opportuni: la punizione del revenge porn, la sospensione condizionale della pena subordinata alla partecipazione ad un percorso psicologico, la maggiore speditezza e i ristretti lassi temporali imposti al PM ed alla Polizia Giudiziaria sia in funzione preventiva che repressiva. Inoltre il Codice Rosso riposiziona la persona offesa, la vittima cd. vulnerabile, al centro del processo,  riconoscendole più ampi diritti  e facoltà.    
Tuttavia, come tutte le norme che introducono accertamenti  “sommari” a carico di un soggetto, anche il Codice Rosso si può prestare ad utilizzi strumentali da parte delle asserite vittime alle quali, assai spesso, è sufficiente una mera denuncia per ottenere provvedimenti cautelari personali.
Le procedure più spedite sopra descritte implicano un aumento del lavoro per l’ufficio di procura e per la polizia giudiziaria. Sicché, in un contesto dove l’urgenza dei fenomeni rende effettivamente difficile per gli operatori della giustizia (polizia giudiziaria, pubblico ministero e giudice delle indagini preliminari) individuare e selezionare le situazioni effettivamente e concretamente urgenti, da quelle che necessitano di un vaglio investigativo o che possono rivelarsi addirittura infondate, il rischio di errori giudiziari è dietro l’angolo.
In conclusione, una considerazione che traggo da tanti anni di esperienza, prima, come sostituto procuratore, ora, come giudice delle indagini preliminari e che, per  questa tipologia reati, dall’accertamento complesso, dalle condotte non sempre decifrabili, se è vero che il più delle volte le sole dichiarazioni della persona offesa  sono  sufficienti al fine  di  adottare una misura precautelare  o  per pervenire ad un giudizio di colpevolezza, tuttavia, quanto più nutrito di riscontri è il materiale raccolto  quanto  più  elevata  sarà  la probabilità di dare  definitiva  tutela e giustizia alla vittima.

 
 
 
 
 
 

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