ultimo aggiornamento
mercoledì, 2 ottobre 2024 14:49

Intervista al segretario nazionale di Mi Claudio Galoppi

 lunedì, 30 settembre 2024

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Galoppi (Mi): «L’Ia è una risorsa, ma il lavoro del giudice va preservato»

Sul sorteggio dei consiglieri togati, su cui è orientato il governo: «L’autorevolezza del governo autonomo della magistratura deve essere salvaguardata non attraverso riforme qualunquiste e populiste, ma al contrario battendosi per il merito e la qualità»

Anche la magistratura ha cominciato a parlare di intelligenza artificiale: «La rivoluzione culturale del millennio», viene definita nel titolo del convegno nazionale promossa da Magistratura Indipendente e dedicato al tema.

«Dobbiamo lavorare per rafforzare ciò che continuerà a differenziare l’uomo dalle macchine e cioè lo sviluppo di un pensiero critico», spiega il segretario nazionale di Mi, Claudio Galoppi.

Anche la magistratura ha iniziato a parlare di intelligenza artificiale: pericolo o risorsa?

La magistratura ha il dovere di occuparsi della rivoluzione culturale del millennio che interroga tutti i cittadini ed in particolare coloro che svolgono professioni intellettuali perché, più di altri, dovranno confrontarsi con le nuove ed inedite abilità delle macchine.

Anche per le professioni giuridiche l’intelligenza artificiale comincia a manifestarsi come un fattore decisivo di cambiamento: certamente una risorsa, laddove potrà servire a rendere più agevole, più rapido e più accessibile il servizio giustizia, ma anche e soprattutto un grave pericolo se non si porranno regole chiare e precise sui limiti di utilizzo dell’intelligenza artificiale in questo settore. Dobbiamo lavorare per rafforzare ciò che continuerà a differenziare l’uomo dalle macchine e cioè lo sviluppo di un pensiero critico che non accetti passivamente ciò che viene prodotto dalle macchine e la centralità delle relazioni umane e professionali, perché il valore di quello che si crea assieme sarà sempre infinitamente superiore al prodotto dei robot.

E’ immaginabile, in ottica di efficienza, che l’intelligenza artificiale sia di ausilio al giudice? C’è il timore che lo sostituisca?

L’attività del giudicare deve essere preservata nella sua unicità e originalità, caratterizzata come è dalla centralità dell’uomo che deve rimanere insostituibile nel processo decisionale. Per questo l’applicazione dell’intelligenza artificiale al lavoro del magistrato dovrà procedere da un principio fondamentale per cui è il robot che coopera con l’uomo e non l’uomo che assiste la macchina. In altri termini la decisione non potrà mai essere demandata all’algoritmo e ai suoi automatismi.

 

Intanto, la giustizia italiana è ancora alle prese con l’informatizzazione. Il Pnrr è stato investito anche per questo, ma i risultati sembrano ancora scarsi in particolare sul processo penale telematico.

Effettivamente l’applicazione al settore penale del processo telematico presenta molte criticità. Occorre però evidenziare che il Ministero ha preso atto delle indicazioni e dei correttivi suggeriti da chi opera direttamente negli uffici giudiziari e sta provvedendo in tal senso. E’ chiaro però che nessuna innovazione tecnologica potrà essere efficace se non supportata da investimenti strutturali, che consentano soprattutto formazione degli operatori, flessibilità di soluzioni e assistenza continua. E su questo occorre lavorare di più.

Venendo alla fase di riforme, quella più significativa per la magistratura è la separazione delle carriere. Al vostro convegno ci sarà anche il ministro Carlo Nordio, c’è ascolto su questo fronte?

Come ho già avuto occasione di ricordare il nostro atteggiamento, pur caratterizzato da un giudizio complessivamente negativo, è di apertura ad un dialogo serio e costruttivo. Nella chiarezza però della convinzione, maturata sul campo, che la separazione delle carriere non porterà nessun vantaggio all’efficienza della giustizia, alla sua rapidità, alla sua qualità, ma soprattutto non aumenterà affatto le garanzie dei cittadini.

Nella riforma costituzionale si prevede anche il sorteggio dei togati del Csm e, a giustificazione, si porta la deriva correntista emersa col caso Palamara. Cosa obietta?

Rispondo che il rimedio è peggiore del male. Sono convinto che l’autorevolezza del governo autonomo della magistratura debba essere salvaguardata non attraverso riforme qualunquiste e populiste, ma al contrario battendosi per il merito e la qualità anche nella selezione dei rappresentanti istituzionali oltre che, naturalmente, mediante la definizione di regole certe per l’esercizio dei poteri discrezionali del CSM. In questa direzione peraltro vanno proprio i decreti attuativi della riforma Cartabia.

Il Csm sta vivendo un momento difficile a causa del caso della laica Rosanna Natoli, ora sospesa. Sarebbero auspicabili le sue dimissioni?

Si tratta di una vicenda complessa e delicata sulla quale, non avendo alcuna conoscenza, non posso esprimere valutazioni e sulla quale peraltro il CSM si è già pronunciato.

Si apre, alla luce di questo caso, una questione anche sul profilo dei componenti laici del consiglio?

Si tratta di una responsabilità del Parlamento chiamato ad effettuare una designazione di personalità autorevoli e competenti. Premiando il merito si avrà la garanzia di realizzare quella osmosi virtuosa tra giurisdizione, avvocatura e accademia, saggiamente prefigurata dalla nostra Costituzione.

Il processo di Palermo a Matteo Salvini ha riportato nelle cronache lo scontro tra politica e giustizia. Un magistrato sente, nel lavoro di tutti i giorni, la pressione mediatica o politica?

Il magistrato deve svolgere il suo lavoro quotidiano senza preoccuparsi dei risvolti mediatici, a volte inevitabili, della sua attività e delle sue decisioni. L’importante è il rigore professionale, l’assoluto rispetto delle regole, dei diritti e delle prerogative delle parti. E naturalmente l’assenza di ogni pregiudizio.

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