L’ANM PER UNA GIUSTIZIA
NELL’INTERESSE DEI CITTADINI
Conferenza stampa
Roma, 27 gennaio 2011
L’ANM PER UNA GIUSTIZIA NELL’INTERESSE DEI CITTADINI
L’inaugurazione dell’anno giudiziario è, per tradizione, l’occasione per fare il bilancio dello stato della giustizia nel paese.
Oggi - lo sappiamo - questo bilancio è severamente negativo, per l’enorme numero dei processi pendenti e per la lentezza, dannosa e intollerabile, dei giudizi civili e penali.
I magistrati sentono tutto il peso di questa situazione e da anni sono impegnati nella ricerca e nell’attuazione di metodi di lavoro e di prassi che servano ad accelerare lo svolgimento dei processi e a ridurre i disagi degli utenti del servizio giustizia, in un contesto di gravi difficoltà e di carichi di lavoro di enormi dimensioni complessive.
E, infatti, la produttività dei giudici italiani è grandemente cresciuta in termini assoluti e si attesta su livelli altissimi nella comparazione con i loro colleghi europei, mentre una costante attenzione viene dedicata, negli uffici giudiziari, al migliore impiego delle risorse umane e materiali, via via sempre più ridotte, di cui dispone la giurisdizione.
Questi sforzi rischiano, però, di essere vanificati dalla pervicace volontà di tenere in vita tribunali costosi, inefficienti e inutili (perché di dimensioni ridotte e con carichi di lavoro incomparabili con quelli delle sedi più grandi), dall’assenza di investimenti produttivi nell’informatizzazione degli uffici, dalla mancata riqualificazione del personale amministrativo, ormai in via di esaurimento dal momento che da oltre un decennio non vengono rimpiazzati coloro che vanno in pensione per raggiunti limiti di età.
Alle indicazioni concrete e costruttive degli operatori della giustizia si contrappongono il silenzio, l’inerzia, l’assenza di iniziativa, di capacità progettuale e di proposta dei responsabili politici, a cominciare dal Ministro della Giustizia.
Chi è al governo del paese sembra ignorare la questione che dovrebbe essere al centro delle sue cure - la giustizia come servizio ai cittadini - per concentrare le energie nel turbare, con polemiche sempre più veementi, lo svolgimento di procedimenti e processi sgraditi, nel minacciare punizioni, nell’evocare “riforme” ormai dichiaratamente concepite come strumenti di ritorsione nei confronti di una magistratura che si ostina a prendere sul serio la regola di indipendenza scritta nella Costituzione.
Non è questa la via per avviare a soluzione i problemi della giustizia e per fare il bene dell’Italia.
E’ ora che si ritorni a ragionare della giurisdizione nell’interesse di tutti i cittadini, senza esasperazioni e senza particolarismi, considerandola per ciò che essa è: un servizio prezioso per l’intera collettività e per l’economia, cui dedicare attenzione, intelligenza, rispetto, razionalità e fantasia innovatrice.
Si semplifichi, finalmente, il processo penale, svisato, sino a divenire irriconoscibile, farraginoso, ingestibile, da un innumerevole numero di modifiche legislative.
Si razionalizzi il sistema della giustizia civile, affiancandola con un ragionevole sistema di filtri delle domande di giustizia e di alternative alla soluzione giudiziale delle controversie.
Si rilanci la grande prospettiva dell’unità della giurisdizione e si operi per coniugare sempre più strettamente la necessaria indipendenza del giudiziario con canoni di efficienza e di responsabilità.
Chiunque sceglierà di muoversi coraggiosamente in questa direzione troverà nei magistrati italiani interlocutori aperti e responsabili.
1. LA GIUSTIZIA CIVILE
La lentezza della risposta giudiziaria nel settore civile costituisce una vera emergenza, in quanto incide profondamente sull’assetto dei rapporti fra i consociati, lede le fondamenta di ogni società civile, può far prevalere la logica del più forte, del più prepotente e dar luogo, come sovente avviene nel Meridione d’Italia, a forme alternative e criminali di giustizia.
Ed è indubbio che un efficiente svolgimento della giustizia civile può essere esso stesso un volano per la ripresa economica del paese.
Dunque, il funzionamento della giustizia civile interessa noi tutti. Noi tutti giudici, pubblici ministeri, avvocati, cittadini.
Dobbiamo, però, chiederci per quanto tempo sia ancora tollerabile che la pubblica amministrazione, per la propria intrinseca inefficienza, per l’incoerenza delle scelte politiche, per la quasi ontologica fuga da ogni etica di responsabilità pubblica, crei essa stessa, direttamente o indirettamente, contenzioso, scaricando sulla magistratura civile compiti di supplenza che essa non può, non vuole e non deve svolgere.
La magistratura in questi anni si è assunta il carico della responsabilità di dare una risposta più efficiente.
Dagli stessi dati della Cepej emerge, infatti, che la produttività media dei singoli magistrati è la più alta in Europa.
Negli ultimi anni il trend è ancora positivo: mediamente si definisce un numero pari o superiore alle cause o processi sopravvenuti.
Ma ovviamente ciò non basta a risolvere una situazione estremamente critica.
Né il malfunzionamento della giustizia può essere risolto solo con interventi normativi, che modificano regole processuali, in assenza di adeguate misure di supporto alla giurisdizione.
In tale prospettiva dobbiamo dire che al di là di facili ottimismi, le riforme adottate dal legislatore non hanno consentito affatto di risolvere i veri problemi della giustizia civile.
L’Anm chiede da tempo l’istituzione di un ufficio del giudice, quale stabile struttura di supporto al magistrato, cui resta affidato il compito istituzionale della decisione della causa, che rappresenterebbe uno strumento strategico per la riduzione degli arretrati e per una migliore funzionalità del sistema giudiziario.
Un ufficio del giudice che trasformi le articolazioni interne degli uffici giudiziari in unità operative dotate di adeguate tecnologie informatiche, di banche dati in costante aggiornamento, di personale amministrativo opportunamente riqualificato, di giudici onorari in funzione di collaborazione con il magistrato per la gestione delle singole fasi processuali al fine di evitare l’accumulo dei ruoli, di assistenti e “stagisti” che possano svolgere ricerche, coadiuvare il giudice nello studio dei fascicoli e nella tenuta dell’agenda e predisporre bozze di motivazione dei provvedimenti.
Tale intervento, da tempo reclamato sia dall’Anm sia dall’avvocatura, permetterebbe di ottimizzare le risorse e organizzare in maniera più moderna e razionale gli uffici giudiziari, in quanto consentirebbe di pervenire alla drastica riduzione dei tempi processuali, al recupero fisiologico e duraturo della funzionalità del processo e alla formulazione di programmi razionali di esaurimento degli arretrati.
Tale riforma deve essere, tuttavia, coordinata con modifiche che involgano l’organizzazione e la distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari, che devono essere dimensionati nell’organico dei magistrati e del personale amministrativo, sì da consentirne autonomia e capacità di funzionamento, e che siano dotati di strutture informatiche e banche dati idonee ad accelerare lo svolgimento delle attività processuali e per assicurare una migliore qualità delle decisioni; ovvero, in dimensioni più ridotte, la chiusura, ove mal funzionanti, delle sezioni distaccate di tribunale, reliquati storici delle vecchie preture mandamentali.
E’ indispensabile, infine, che venga realizzata la più volte richiesta semplificazione e drastica riduzione dei riti processuali.
2. GIUSTIZIA PENALE
Anche nel campo della giustizia penale la crisi di funzionalità della giustizia presenta aspetti drammatici e rischia di mettere in discussione principi fondamentali di legalità ed eguaglianza.
L’altissimo numero di procedimenti conclusi con la prescrizione del reato, numero in crescita esponenziale dopo la riforma del 2005 (cd. legge ex Cirielli), denuncia una situazione allarmante di impunità per intere categorie di reati e di autori.
Più in generale la giustizia penale appare sempre più caratterizzata da un’enorme divaricazione di effetti e di regole in ragione del tipo d’autore. Il contemporaneo aumento del numero delle prescrizioni e del numero dei detenuti testimonia nella maniera più evidente questo dato.
La giustizia penale è oggi in Italia rapida e inesorabile nei confronti di soggetti non assistiti, di soggetti deboli e marginali, spesso accusati di fatti di lieve entità, ed è, invece, inane, prigioniera di un coacervo di regole ormai ingestibili, nei confronti di coloro che hanno i mezzi e le possibilità per difendersi dal processo e per puntare, come unica strategia difensiva, alla prescrizione del reato.
Uno Stato moderno e democratico non può permettersi una tale violazione della legalità. La sostanziale certezza di impunità che l’attuale sistema garantisce agli autori di delitti gravi, come l’evasione fiscale, la corruzione, i reati societari, i reati contro l’ambiente, oltre ad essere in sé un’ingiustizia, è anche un pesante ostacolo alla crescita economica e allo sviluppo del paese. La diffusione di fenomeni di corruzione e di illegalità nel settore dell’economica scoraggia gli investimenti dall’estero, deprime lo sviluppo, favorisce la crescita della criminalità organizzata.
L’Anm in questa sede non può che ribadire le numerose proposte di intervento normativo, sulle quali esiste un ampio consenso da parte di tutti gli operatori del diritto e che sono rimaste, purtroppo, ad oggi inascoltate:
A) Nuova disciplina della risoluzione preventiva delle questioni di competenza, al fine di evitare che i relativi vizi, se mai rilevati o eccepiti, possano pregiudicare processi spesso già pervenuti alla sentenza di secondo grado.
Dovrebbe incentrarsi sulla Corte di Cassazione l'ultima parola sull'eccezione di incompetenza, anticipando tuttavia tale pronuncia alla fase degli atti preliminari al dibattimento (sul punto, la Corte Costituzionale, ord. 521/1991 e sent. 77/1977, ha già affermato come appartenga alla discrezionalità del legislatore limitare la rilevabilità dei vizi di competenza a tutela “dell'interesse all'ordine e alla speditezza del processo”, sempre che siano “chiaramente determinati in anticipo i criteri in base ai quali la competenza deve essere stabilita”).
In tal senso, sarebbe opportuno prevedere una formulazione delle eccezioni di incompetenza per territorio, per connessione e per materia entro la chiusura dell'udienza preliminare ovvero, se essa manchi, entro il termine di cui all'articolo 491 del codice di rito.
B) Più efficienti modalità di notificazione degli atti.
Il che significa riformare il sistema sulla base di alcune linee guida:
- innanzitutto, occorre neutralizzare gli effetti di tutte quelle disposizioni che contengono una serie di garanzie meramente formali, prive di utilità sostanziale sotto il profilo dell'effettivo esercizio del diritto di difesa, suscettibili di dilatare inutilmente i tempi del procedimento penale. In questo senso, le notificazioni successive alla nomina di difensore di fiducia ai sensi dell'articolo 96 dovrebbero essere eseguite mediante consegna di copia dell'atto al difensore medesimo, salvo che la legge espressamente non disponga altrimenti (atti che l'imputato debba ricevere “personalmente”), intendendo il rapporto fiduciario tra indagato/imputato e difensore nel senso più rigoroso del termine, sotto il profilo del soddisfacimento reale della esigenza di “conoscenza effettiva”. Il difensore potrà dichiarare all'autorità che procede di non accettare la notificazione solo nel caso di rinuncia al mandato difensivo;
- inoltre, si deve tendere alla riqualificazione del personale amministrativo degli uffici giudiziari, valorizzando i compiti degli ufficiali giudiziari, con affidamento a questi ultimi di una serie di attività qualificate funzionalmente nell'ottica della riduzione dei tempi processuali;
- andrebbero, poi, utilizzati in sede processuale i progressi della tecnica, che oggi consente il ricorso a forme “certificate” di comunicazione anche per via informatica e telematica. In tale prospettiva si propone di introdurre il concetto di notificazione di atti per mezzo di “posta elettronica certificata”, ciò consentendo, ove tecnicamente possibile, indubbi risparmi di mezzi e di personale (analoga previsione dovrebbe prevedersi per gli avvisi e le comunicazioni tra uffici giudiziari. E dovrebbe, pure, consentirsi ai difensori di inviare memorie o istanze, ove non diversamente disposto, per il tramite della medesima posta certificata; nonché l'invio delle minute delle richieste di provvedimenti e degli atti su cui esse si fondano anche per via telematica o su supporto informatico).
C) Nuove norme per la disciplina del processo contumaciale che tengano conto delle numerose sentenze di condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo nei confronti dell’Italia, onde evitare processi inutili.
Ciò significa prevedere che lo svolgimento del processo sia subordinato alla effettiva conoscenza dello stesso da parte dell’imputato. Nei casi in cui ciò non sia possibile per la irreperibilità dell’imputato il processo dovrà essere sospeso; prevedendo eccezioni a tale regola generale (per esempio per i fatti più gravi e per i processi in cui siano disposte misure cautelari), oltre alla possibilità di una remissione in termini a favore dell’imputato.
Più precisamente, appare necessario che i processi penali non si possano celebrare senza l'effettiva garanzia che l'imputato abbia avuto conoscenza almeno dell'inizio degli stessi. E’ un orientamento in sintonia con le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo e lo Statuto di quella Corte, relative alla sola fase “processuale” in senso stretto, senza riferimento alle attività prodromiche alla stessa (indagini preliminari ed udienza preliminare).
Di conseguenza si propone il mantenimento della possibilità di procedere ad indagini preliminari ed udienza preliminare anche nei confronti di indagato irreperibile ovvero nei cui confronti le notifiche vengano effettuate presso il difensore a norma degli artt. 159 c.2, 161, c.4, 165 c.1 e 169 che disciplinano ipotesi di conoscenza “legale” o “formale”.
Nella disciplina del processo in senso stretto, si potrebbe stabilire che, al momento della verifica della regolare costituzione delle parti, il giudice debba anche verificare se la conoscenza del procedimento da parte dell'imputato sia effettiva e non meramente formale.
All'esito delle verifiche in questione potrebbero prospettarsi due alternative:
se viene accertata la conoscenza effettiva da parte dell'imputato, può senz'altro avere luogo la celebrazione del processo;
nel caso contrario, il giudice (sempre che non debba essere pronunciata sentenza di proscioglimento o di non doversi procedere) dovrà normalmente disporre la “sospensione del processo”.
Solo ove venga successivamente raggiunta una ragionevole certezza in ordine alla consapevolezza dell'imputato, il processo potrà riprendere il proprio corso secondo le regole ordinarie.
Corollario di tale nuova impostazione sarebbe che il corso della prescrizione dovrebbe rimanere sospeso per tutta la durata della sospensione del processo.
Tale principio dovrebbe conoscere tuttavia alcune significative limitazioni.
Dovrebbero, infatti, essere previste alcune specifiche ipotesi, oltre al caso della presenza dell'imputato all'udienza dibattimentale, in cui il processo non deve essere sospeso (ad esempio nei casi in cui si proceda per delitti gravi ovvero nei processi in cui siano state disposte misure cautelari personali).
D) Predisposizione di soluzioni normative volte a disincentivare comportamenti delle parti strumentali al prolungamento del processo al di là della sua ragionevole durata e, in particolare, diretti ad ottenere la prescrizione (si intende qui far riferimento, ad esempio, alle impugnazioni dichiaratamente pretestuose, come ad es. quelle relative a gran parte delle sentenze emesse in esito all'applicazione della pena ai sensi dell'articolo 444 c.p.p.).
Ciò dovrà avvenire attraverso la restituzione della centralità al giudizio di primo grado e, il conseguente, ridimensionamento del giudizio di appello mediante l’ampliamento delle cause di inammissibilità (a cominciare dalla manifesta infondatezza) e l’impugnazione per motivi.
E) Applicazione limitata dell’avviso di conclusione indagini di cui all’art. 415 bis c.p.p.
Si propone l'eliminazione dell'obbligo di inviare l'avviso previsto dall'articolo 415-bis in tutti i procedimenti ove l'imputato abbia altrimenti avuto notizia dell'esistenza di un procedimento penale a suo carico, ovvero sia stata notificata nei suoi confronti l'informazione di garanzia (art. 369 c.p.p.) o altro atto ad essa equipollente.
Detta modifica è volta all'eliminazione di un adempimento che, attualmente, spesso non porta alcun effettivo vantaggio all'esercizio del diritto di difesa dell'indagato, ma che impone, viceversa, un notevole allungamento dei tempi procedimentali.
L'istituto va, invece, mantenuto per tutte le ipotesi – non molto numerose, attesa la disciplina attualmente vigente – in cui l'indagato non abbia altrimenti avuto conoscenza del procedimento nei suoi confronti, nell'ottica di consentire in ogni caso a quest'ultimo un intervento già in fase di indagini preliminari per la propria difesa.
Esigenze di bilanciamento tra gli interessi in gioco, in presenza della soluzione prospettata, comporta fisiologicamente una modifica rispettivamente gli articoli 418 e 419 del codice di rito.
Dovrebbe, infatti, essere previsto un ampliamento a trenta giorni del termine per la comunicazione degli avvisi relativi all'udienza preliminare ed a sessanta giorni il termine massimo consentito al giudice per la fissazione della medesima.
Dette modifiche vengono dettate dalla esigenza di consentire il pieno esercizio del diritto di difesa.
E’ parso, infatti, opportuno ampliare il lasso di tempo riconosciuto all'imputato ed al suo difensore per la adeguata preparazione della propria difesa, anche in considerazione dell'eliminazione nella maggior parte dei casi dell'avviso ex articolo 415-bis e della presa d'atto che la consistenza degli atti allegati alla richiesta di rinvio a giudizio in molti casi non consente un rapido disbrigo delle richieste di copia degli stessi da parte delle cancellerie.
F) Norme processuali con refluenza sull’organizzazione del lavoro del giudice penale. L’udienza di programma.
Sotto il profilo della accelerazione dei tempi di svolgimento del giudizio, potrebbe essere utile la previsione della c.d. “udienza di programma” che sollecita un adeguamento dei progetti organizzativi degli uffici e degli stili professionali della magistratura e della avvocatura. La soluzione appare come una sorta di indiretto riconoscimento della filosofia dei “protocolli di udienza”, da tempo promossi dalla Anm e adottati da varie realtà giudiziarie dopo un costruttivo confronto tra le varie figure professionali che operano nel processo (magistrati giudicanti, requirenti, avvocati, personale ausiliario).
Insomma tale istituto promuoverebbe una opzione fondata sul convincimento secondo cui l’udienza penale non è terreno di affermazione di una forma di potere del giudice su avvocati, testimoni, persone offese o imputati; ma, semmai, costituisce un delicato strumento finalizzato all’ordinato svolgimento dei lavori, da utilizzare con particolare attenzione verso le esigenze del cittadino fruitore del servizio.
L’udienza di programma, dunque, intende superare alcuni effetti negativi della segmentazione del processo e dei diversi ruoli, responsabilizzando i vari protagonisti attorno a scelte condivise. La programmazione dovrebbe consentire al giudice di giungere alla sentenza in tempi ragionevoli, determinati in due anni e sei mesi in primo grado, un anno e mezzo per l’appello e un anno in Cassazione, salvo che per i processi di particolare complessità.
G) Ridefinire l’istituto della prescrizione.
Sulla base delle esigenze generali sopra evidenziate, pare necessario predisporre soluzioni normative volte a disincentivare comportamenti delle parti strumentali al prolungamento del processo al di là della sua ragionevole durata e, in particolare, diretti ad ottenere la prescrizione, semplificando il meccanismo di calcolo dei tempi per la estinzione del reato.
Muovendosi in tale direzione, si propone quindi una ridefinizione dell'istituto della prescrizione che passa per alcuni snodi fondamentali in grado di semplificare il meccanismo di calcolo dei tempi:
- commisurazione del tempo della prescrizione esclusivamente alla pena massima edittale (in continuità, sotto questo aspetto, con la modifica normativa del 2005, a sua volta mutuata dai progetti di riforma del codice penale Pagliaro e Nordio) e, quando per il reato la legge stabilisce congiuntamente o alternativamente la pena detentiva e la pena pecuniaria, come nell'attuale disciplina, per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo soltanto alla pena detentiva;
- esclusione delle circostanze dal computo, ad eccezione di quelle c.d. “ad effetto o ad efficacia speciale”, in quanto espressione di un disvalore superiore a quello che il legislatore ordinariamente opera nel prevedere il regime delle circostanze “ordinarie”.
- previsione, in ogni caso, di un tetto minimo e massimo della prescrizione dei reati (la prescrizione non può: a) essere inferiore a sei anni per i delitti e quattro per le contravvenzioni, ancorché puniti con la sola pena pecuniaria. b) essere superiore a venti anni per i delitti, ad eccezione che per i delitti di maggiore gravità, per i quali il termine massimo è previsto nella misura di trenta anni. La prescrizione non estingue i reati per i quali la legge prevede la pena dell'ergastolo, anche come effetto dell'applicazione di circostanze aggravanti);
- adattare la decorrenza del termine di prescrizione alla diversa natura delle sanzioni, prevedendo termini differenti non solo tra delitti e contravvenzioni, ma anche tra le sanzioni “originarie” del codice e sanzioni di specie diversa.
L’Anm, poi, proprio nell’ottica del contrasto alle forme di abuso del processo, ad esempio attraverso atti o impugnazioni meramente dilatorie fa presente la necessità di adottare soluzioni innovative.
Si affacciano vari modelli di soluzione:
- disciplina che “sospende il termine di prescrizione” in casi espressamente previsti dalla legge;
- non prescrittibilità del reato se l’azione penale viene esercitata entro il termine di prescrizione;
- o, alternativamente, non prescrittibilità del reato una volta pervenuti alla pronuncia di primo grado.
(La prima delle tre soluzioni potrebbe congegnarsi facendo perno su alcune specifiche situazioni. Ad es., in caso di dichiarazione di inammissibilità del ricorso per cassazione, il termine di prescrizione potrebbe ritenersi sospeso al momento della pronuncia della sentenza di condanna di secondo grado (con esclusione, quindi, dei casi in cui ricorrente sia il pubblico ministero).
Parimenti, si ritiene che il termine prescrizionale non debba decorrere nei casi di sentenza di condanna nell'ipotesi di c.d. “doppia conforme”. In questo caso, infatti, la pronuncia che contiene un doppio accertamento di merito in ordine alla responsabilità è sicuramente connotata da una stabilità tale da superare l'opportunità di mantenere l'operatività dell'istituto della prescrizione, senza peraltro comprimere in alcun modo i diritti sanciti dall'articolo 14 del Patto Internazionale relativo ai diritti civili e politici, ratificato in Italia con legge 25 ottobre 1977, n. 881.
Tuttavia, nel caso in cui il ricorso per cassazione venga accolto, il tempo occorrente alla celebrazione del giudizio di cassazione verrà computato ai fini prescrizionali, così come quello necessario per la celebrazione dei successivi gradi di giudizio, ove presenti. In tal modo, l'imputato che faccia valere i propri diritti vittoriosamente non dovrà subire gli effetti negativi del decorso del tempo. E per gli stessi motivi, a tale ipotesi viene parificata quella in cui la pronuncia di appello abbia riformato la sentenza di condanna di primo grado limitatamente alla specie o alla misura della pena, anche con riferimento al giudizio di comparazione tra circostanze, in quanto tale pronuncia non tocca l'affermazione di responsabilità).
Ai tre modelli indicati potrebbe aggiungersene uno ulteriore che introduce due distinti meccanismi estintivi: prescrizione sostanziale e prescrizione processuale.
Il primo (prescrizione del reato) potrebbe operare prima dell’inizio dell’attività giurisdizionale ed il secondo (prescrizione endo-processuale) potrebbe regolare la durata massima del processo, nel caso venisse instaurato. L’esercizio dell’azione penale fungerebbe da termine ultimo per la prescrizione del reato e varrebbe come momento da cui computare la prescrizione processuale. Se il primo regime prescrizionale potrebbe rimanere pressoché invariato rispetto all’attuale configurazione codicistica, il secondo andrebbe a prevedere distinti intervalli estintivi da far valere per ciascun grado del processo.
In tale ultimo caso, non esisterebbe un tetto massimo della prescrizione ed il limite finale alla durata del processo si ricaverebbe sommando i termini valevoli per ciascun grado, termini che possono inoltre subire un allungamento in presenza di cause di sospensione, che però non possono mai dilatare i termini di oltre la metà.
H) Al fine di decongestionare i carichi penali, nel pieno rispetto del principio della obbligatorietà della azione penale, l’Anm propone l’introduzione nel codice penale dell’istituto della irrilevanza penale del fatto.
Per i fatti connotati da una marginale offensività, potrebbe essere opportuno offrire la possibilità al pubblico ministero e/o al giudice di pervenire a soluzioni di non punibilità, quando la situazione di fatto legittimi e giustifichi la rinuncia alla applicazione della pena (anche in una ottica di deflazione).
La previsione espressa degli indici fattuali di valutazione - quali la tenuità della offesa al bene giuridico e la occasionalità della condotta – dovrebbe disciplinare razionalmente l’istituto in questione, peraltro già utilizzato, come è emerso nel corso del dibattito, con una certa ampiezza nella prassi giudiziaria in sede di archiviazione al di fuori di qualunque regolamentazione (salvo i casi previsti dalla legge n. 448 del 1988 e dal decreto legislativo n. 274 del 2000).
Sulla formulazione di tale norma, da coordinare opportunamente con alcune norme processuali (ad. es. gli artt.129, 408 ss, 425 c.p.p.), si confrontano tra gli studiosi diversi modelli. Alcuni propongono una applicazione dell’istituto limitata ad alcune categorie di reati (ad es. quelli con pena massima non superiore ad anni cinque). Altri la vogliono estendere ad ogni reato. Vi è chi punta sui parametri di valutazione della “tenuità del fatto”. Altri richiedono “la particolare tenuità dell’offesa”. Altri ancora ritengono applicabile l’istituto solo se è da considerarsi “bagatellare” non solo la tenuità dell’offesa ma anche la modalità della condotta.
Allo scopo di evitare sia una interpretazione eccessivamente restrittiva sia una interpretazione indebitamente estensiva, l’Anm propone che le varie circostanze in astratto ipotizzabili siano indicate non quali “condizioni” ma quali “criteri di valutazione”, aggiungendo il requisito dell’assenza di violenza o minaccia alla persona.
I) Altre proposte sul piano penal sostanziale in materia di sospensione condizionale della pena, messa alla prova e mediazione penale.
La sospensione della pena deve essere sganciata dalla dimensione impropriamente clemenziale del diritto vivente per attribuirgli un ruolo effettivo nel percorso di reinserimento, ancorandola necessariamente ad attività risarcitorie e/o riparatorie o prescrizioni conformative.
Inoltre, nella stessa ottica, occorre estendere l’istituto della “messa alla prova” , già previsto dall’art. 28 del d.P.R. n. 448 del 1988, agli imputati maggiorenni per tutti i reati per cui è prevista una pena detentiva non superiore ai tre anni.
Non dovrebbe essere concessa più di due volte e l’esito positivo dovrebbe estinguere il reato.
Secondo l’intenzione dei proponenti, la “messa alla prova” potrebbe essere un terreno su cui sperimentare anche iniziative di “mediazione penale” in grado di rendere effettive le attese di giustizia della vittima del reato.
4. L'ANM PER L’INNOVAZIONE E L’INFORMATIZZAZIONE DELLA GIUSTIZIA
Indifferibile, a fronte dell’evidente arretratezza della maggior parte degli uffici giudiziari, è l’effettiva attuazione dei progetti informatici, quasi tutti ancora in fase sperimentale solo in pochissimi uffici.
La magistratura italiana è da sempre l’alfiere delle innovazioni e dell’informatizzazione nella giustizia. Emblematiche sono l’erogazione dal 3 giugno 1970 dei primi servizi di informatica giuridica da parte del Centro elettronico di documentazione della Corte Suprema di Cassazione e l’attuale possibilità di ricerca, mediante il servizio Italgiureweb, del dato giuridico globale. Mortificante per tutti i protagonisti della vita giudiziaria del paese è il confronto tra i servizi informatici resi dal Ministero della Giustizia e quelli organizzati dal Ministero dell'Economia e delle Finanze così come allarmante è la comparazione con le innovazioni realizzate negli altri paesi dell’Unione Europea.
Per queste ragioni, senza qui elencare i disservizi di inizio anno, l’Associazione nazionale magistrati si mobilita per l’efficienza nella giustizia come condizione imprescindibile per l’indipendenza della magistratura e come presupposto necessario perché vi possa essere tutela giudiziaria dei diritti dei cittadini.
Il governo dei fatti, la politica degli annunci, le continue conferenze stampa dei Ministri Alfano e Brunetta che pubblicizzano la piena informatizzazione degli uffici giudiziari, si scontrano con la dura realtà, svelando la triste verità: uffici senza personale, senza computer e con i nuovi programmi informatici in uso in pochi circondari.
Ma è anche, purtroppo, un fallimento per la giustizia che con il recente rischio di blocco dell’assistenza informatica ha già perso molti degli esperti che per conto di società esterne da anni lavoravano negli uffici giudiziari, accumulando conoscenze e competenze difficilmente sostituibili, dirottati altrove o licenziati.
E’ un fallimento per la giustizia perché si mette a rischio quanto già realizzato da avvocati, cancellieri, magistrati nelle sedi più avanzate: il decreto ingiuntivo telematico, le notifiche telematiche, la stessa prospettiva del Processo Civile Telematico. La tentazione di tornare alla carta sarà fortissima e il danno che si crea sul piano culturale e sull’affidabilità del canale telematico è enorme.
E’ un fallimento per il Paese perché i danni che si creeranno agli uffici giudiziari, ai cittadini, alle imprese coinvolte nelle cause, come perdita di ore lavoro e probabili inevitabili rinvii, sono molto superiori ai 5-6 milioni di euro che in modo miope oggi non si vuole spendere. Le spese di assistenza informatica sono essenziali per il funzionamento degli uffici giudiziari e come tali devono essere spese obbligatorie, comunque coperte.
L’assistenza informatica attualmente viene fornita in forza di un contratto (lotto 2 Servizio Pubblico di Connettività) stipulato dal Cnipa (Centro nazionale per l’informatica nella pubblica amministrazione) a seguito di gara europea. Un RTI composto dalle società Datamat - Telecom - Engineering si è aggiudicato la gara e ha stipulato un contratto con il Cnipa al quale possono aderire le singole pubbliche amministrazioni, usufruendo dei servizi previsti da tale contratto e pagandoli con i propri fondi di bilancio secondo le tariffe previste dal contratto stesso.
L’attuale dirigenza della Dgsia (Direzione generale per i sistemi informativi automatizzati) ha deciso di aderire al contratto nel 2009. Questo contratto è sicuramente economico se i servizi vengono forniti secondo la filosofia presupposta dal contratto stesso: ossia assistenza a distanza (tele-assistenza) per la maggior parte dei casi e poche sale server da presidiare. Infatti, il contratto prevede costi bassi per l’assistenza a distanza (prestata da un call center remoto tramite agent che permettono di prendere il controllo del Pc), mentre alti per l’assistenza in loco (alle sale server) e molto alti per l’intervento on-site (cioè presso l’utente finale). Quindi, per risparmiare con questo contratto, occorre ridurre al minimo l’intervento presso l’operatore e gestire poche sale server. L’attuale strutturazione delle installazioni sul territorio dei vari applicativi della giustizia non è sicuramente adeguata a tale configurazione dei servizi di assistenza in quanto:
- soprattutto nel penale, ma anche nel civile, gli applicativi sono installati nei singoli uffici (per esempio, il Rege, il registro generale che gestisce le iscrizioni delle notizie di reato, è un vecchissimo applicativo file-server elaborato ancora in Clipper, un linguaggio obsoleto, e installato su quasi 600 server parcellizzati sul territorio): ciò aumenta inesorabilmente i costi;
- la maggior parte delle richieste dagli utenti necessitano di interventi on-site estremamente costosi. Per rendere economico il contratto occorre reingegnerizzare gli applicativi in sistemi web-based, distrettualizzarli e ridurre le sale server ad un massimo di 7-10 su tutto il territorio nazionale: il che permette una maggiore sicurezza nel trattamento dei dati, un’assistenza più immediata e meno costosa. Ma per fare ciò occorre sostituire il Rege Clipper che è il costo maggiore dell’assistenza (oltre il 50%). Tale progetto, previsto nel 2006-2008 con la realizzazione e il rilascio del Sicp (Sistema informativo di cognizione penale), è attualmente fermo non si sa per quale motivo. Va poi osservato che il sistema di assistenza attualmente in vigore è poco adatto alla natura stessa del servizio giustizia. Tale assistenza si rivolge, infatti, soprattutto agli interventi sistemistici (per garantire il funzionamento del software di base dei vari sistemi) ed esclude interventi sui singoli applicativi propri dell’amministrazione (es. Rege, Sicid etc.).
Viceversa in ambito giudiziario la maggior parte delle richieste di assistenza riguarda aspetti applicativi in quanto:
- nel penale l’applicativo Rege-Clipper è un sistema vecchio dove gli interventi sistemistici e quelli applicativi difficilmente si possono distinguere: in realtà la maggior parte degli interventi è di natura applicativa (correzione e riallineamento delle basi dati, indicizzazione degli archivi, riattivazione di servizi caduti quali il “postino”, correzione degli errori degli utenti, estrazioni di query etc.) e pochi sistemistici (back-up, nessun tunig del db perché non esiste un db vero e proprio etc.);
- sia nel penale sia nel civile molti interventi riguardano la correzione degli errori degli utenti (solo il nuovo Sicp contiene procedure di auto-correzione da parte degli utenti che riducono tali interventi), nonché si tratta di interventi paraformativi (spiegazioni sull’uso di funzioni etc.). Insomma, interventi applicativi non direttamente coperti dal contratto;
- anche l’installazione di nuove release dell’applicativo richiede spesso interventi di tipo applicativo (migrazione dei dati, allineamento delle basi dati) che, quindi, non rientrano negli interventi standard di tipo sistemistica;
- gli interventi di natura sistemistica sono in realtà meno del previsto e la maggior parte deve essere effettuata nelle sale server disseminate su tutto il territorio (che vanno presidiate con aumento dei costi di gestione del contratto).
La conseguenza di tutto ciò è che le società che si sono aggiudicate l’appalto hanno dovuto subappaltare alle società più piccole (che erano già presenti negli uffici) per riuscire a svolgere l’attività di assistenza: la prevalenza degli interventi di natura applicativa richiede, infatti, un know-how che era del tutto sconosciuto alle società vincitrici della gara. In realtà, il servizio viene reso dalle stesse società e con le stesse modalità on-site con cui si svolgeva prima dell’adesione al contratto SPC con la differenza che prima i contratti erano fatti direttamente con le società che svolgevano il servizio di assistenza, mentre ora l’interlocutore contrattuale del Ministero è l’RTI che ha vinto la gara, a fronte di un servizio che viene reso in subappalto da altri soggetti che, però, non sono gli interlocutori del Ministero (ma sono di fatto gli interlocutori degli uffici). L’Amministrazione paga l’RTI che a sua volta subappalta a terzi buona parte dei servizi. L’RTI riceve un corrispettivo per la sua attività di coordinamento (e di fatto di subappalto) e, quindi, le società cui viene subappaltato il servizio vengono pagate meno di quanto venivano prima pagate direttamente dall’Amministrazione. Per l’Amministrazione, invece, i costi non sono cambiati: è come se l’Amministrazione pagasse una commissione del 20% a una società per l’attività di coordinamento e subappalto che questa svolge.In sostanza, le società subappaltatrici hanno ridotto i servizi resi (molte prestazioni precedentemente offerte non vengono più erogate perché non previste nel contratto e molti servizi che prima venivano comunque forniti nell’ambito dell’economia generale dei contratti ora non vengono più dati per insufficienza del personale delle ditte subappaltatrici). Pertanto gli utenti sono scontenti del servizio che ricevono perché hanno visto contrarsi i servizi di assistenza e la presenza dei tecnici. Nel contempo il Ministero non ha ridotto i costi del servizio e paga gli stessi oneri di prima per un servizio più ridotto. Se per di più il servizio fosse svolto direttamente dalle società in RTI si avrebbe una riduzione della qualità considerato che il reale know-how del servizio è tutt’ora nelle mani delle società subappaltatrici. I costi attuali del servizio sembrano viaggiare sui 36 milioni di Euro: in realtà, la Dgsia non dà alcuna visibilità sul bilancio e manca ogni trasparenza sul punto.
Prima dell’adesione al contratto di SPC i costi venivano contabilizzati in giornate/uomo come segue (dati di fine 2007 - inizio 2008): ogni mese venivano erogate circa 5000 giornate/uomo per l’assistenza applicativa ai sistemi legacy (Rege Clipper) e circa 5000 giornate /uomo per assistenza sistemistica; tenuto conto che ciascun tecnico lavora 22 giorni al mese ciò significa che sul territorio nazionale erano impiegati circa 500 tecnici, ossia almeno tre per ogni circondario. Il costo medio dei tecnici, secondo tariffe Cnipa, era di 220 Euro (+ Iva) al giorno. Il costo globale del servizio era, quindi, di circa Euro 1.100.000 + Iva. In un anno si prevedeva, dunque, una spesa globale di Euro 13.200.000 + Iva per un totale comprensivo di Iva pari a 15.800.000 Euro per l’assistenza applicativa e 14 milioni di Euro per la sistemistica.
A tali costi andavano poi aggiunti i costi relativi ai sistemi centrali del civile (PCT), nonché quelli relativi all’assistenza alle reti e alle postazioni di lavoro e altre voci. In totale, IVA compresa, il costo dell’assistenza si aggirava sui 36/38 milioni di Euro. A tali costi vanno poi aggiunti i costi dell’assistenza al casellario, al Ced Cassazione, Dna che portano il bilancio intorno ai 40 milioni di Euro. Con la sola distrettualizzazione dei sistemi del penale (e del civile) si prevedeva un risparmio nell’assistenza sistemistica e in quella applicativa di circa 10 milioni di Euro all’anno. Di fatto, una volta completata la distrettualizzazione, bandendo una gara, si prevedeva di poter aggiudicare l’intero servizio di assistenza agli uffici giudiziari (penale e civile), a livelli più che accettabili, intorno a 22-24 milioni di Euro cui aggiungere i costi dei sistemi centrali. Le risorse risparmiate (stimate in almeno 10 milioni di Euro) sarebbero state impiegate per la diffusione del processo civile telematico e del processo penale telematico. Viceversa oggi, non essendo state razionalizzate le sale server e non essendo stati innovati gli applicativi, si continuano a spendere cifre molto maggiori che peraltro poi a bilancio non vengono stanziate.
Il Contratto SPC, stando ai dati del 2008, prevedeva per il primo anno un costo di oltre 30 milioni di Euro (senza fornire l’assistenza applicativa).
Va segnalato, inoltre, che le spese per l’assistenza sono imputate al capitolo 1501 (spese in conto servizi) che viene finanziato annualmente (le spese pluriennali su tale capitolo devono essere autorizzate dal Ministro). Poiché spesso i fondi presenti su tale capitolo non sono sufficienti per tutto l’anno, con delle variazioni di bilancio verso marzo/aprile si integrano i fondi necessari recuperandoli dalle cosiddette “spese intermedie” che vengono di solito finanziate in quel periodo. Ciò ha sempre comportato difficoltà per una corretta gestione del bilancio. Mai era successo, però, che al primo gennaio il capitolo 1501 fosse completamente a secco; di solito non aveva capienza sufficiente per le spese di tutto l’anno, ma la situazione si sistemava tramite le spese intermedie e tramite l’assestamento di bilancio. Questa volta, invece, parrebbe che l’intero capitolo di spesa non sia stato finanziato, il che vuol dire chiudere l’esperienza informatica della giustizia. Per evitare queste decisioni “discrezionali” del Tesoro si dovrebbe seguire la strada di rendere obbligatorie le spese informatiche (e dunque il capitolo relativo sarebbe sempre finanziato come avviene, ad esempio per gli stipendi o per altre spese istituzionali). Se è vero che l’informatica è una delle grandi priorità del governo il finanziamento della spesa corrente in informatica è come il finanziamento delle spese per la luce, il riscaldamento e il telefono. Inoltre, se l’attuale budget di spesa del Ministero è quello sopra indicato (circa 36 milioni di Euro l’anno come da contratto SPC) la variazione di spesa di 5 milioni di Euro annunciata in questi giorni è un placebo: permette di finanziare l’assistenza per 2 mesi (scarsi) al massimo e, quindi, a fine febbraio il problema si riproporrà identico.
Denunciamo, ancora, la mancanza assoluta di trasparenza. Nessuno sa cosa il Ministero voglia fare davvero e cosa sia in grado di fare davvero. Dalla DGSIA non vengono né notizie precise né aperture di confronto vere con la magistratura. I dati indicati nella relazione sulla giustizia del Ministero sono imprecisi. Vaghe sono le notizie sul modo di ripartizione delle somme del Fondo Unico Giustizia (FUG). Le cifre assolute occultano l'arretratezza che oggi popola la maggior parte degli uffici giudiziari perché il 77 % degli atti telematici e l'85 % delle notifiche telematiche a livello nazionale dal 1.1.2009 al 31.12.2010 sono stati realizzati a Milano. Ciò significa che in tutti gli altri uffici si è pre-telematici. Ciò significa che PCT, Decreti Ingiuntivi Telematici, Notifiche Telematiche nel resto del paese sono una percentuale irrilevante degli atti giudiziari.
In molti uffici giudiziari poi il Sicid (Sistema informatico civile distrettuale) è arrivato da poco tempo e non ha dati caricati.
L'Anm prende atto che il Ministero sta rilasciando i nuovi sw in quasi tutti i tribunali, ma il percorso per poterli concretamente utilizzare è ancora quasi tutto da compiere.
E’ doveroso ricordare l’esperienza delle “best practices” che, realizzata in numerosi uffici giudiziari grazie all’accesso ai finanziamenti europei nonché, in alcuni casi, anche a quelli regionali, ha messo in luce una capacità di progettazione e innovazione degli uffici giudiziari coinvolti che, probabilmente, era tutt’altro che scontata. Lo stimolo indotto dalla possibilità di accedere ai fondi europei ha fatto emergere energie e potenzialità sconosciute forse anche allo stesso personale degli uffici giudiziari; è stata incoraggiata, tra l’altro, anche la crescita dell’autostima nei dirigenti e nel personale ad ogni livello.
Anche solo tali aspetti positivi sarebbero idonei a ritenere positiva in ogni caso questa esperienza, ma in realtà i vari progetti hanno anche apportato specifici miglioramenti alle procedure organizzative e alle modalità di lavoro dei singoli uffici. Sotto tale profilo la specificità delle singole iniziative ha posto in rilievo la specificità delle singole unità organizzative che compongono l’amministrazione della giustizia. Tali peculiarità derivano dalla diversità delle singole realtà territoriali in cui sono inserite, dalla preminenza di differenti fattori economici e sociali che caratterizzano ciascun territorio, dalla diversa dimensione degli uffici giudiziari che non sono riconducibili ad un unico modello organizzativo. Pertanto la pluralità di best practices non costituisce, di per sé, un fattore di disgregazione del comune tessuto giudiziario ma, al contrario, esalta le singole specificità cui l’organizzazione ministeriale non può fornire adeguate e puntuali risposte. Al Ministero compete invero la fornitura e l’organizzazione dei servizi di base, uguali e comuni a tutti gli uffici che poi, attraverso progetti locali, possono integrare e completare in modalità compatibile tali strumenti nonché porre in essere le scelte organizzative necessarie alla migliore diffusione degli stessi progetti ministeriali.
Da ciò consegue che il coordinamento delle best practices deve essere finalizzato non tanto ad irregimentare (o peggio limitare) la progettualità dei singoli uffici, ma a diffondere degli standard qualitativi nella progettazione e realizzazione delle singole esperienze. Preliminare è, quindi, l’informazione: per creare progetti di innovazione organizzativa e/o tecnologica occorre diffondere una cultura dell’innovazione attraverso l’illustrazione delle esperienze già realizzate. La diffusione delle best practices presuppone una capillare informazione sul contenuto dei progetti realizzati, sui benefici attesi, sulle modalità di progettazione e realizzazione. Per diffondere una cultura dell’innovazione occorre innanzitutto farsi carico del problema delle “resistenze” che ordinariamente si manifestano ogni qualvolta viene messa in moto qualunque modifica dello status quo. Tali resistenze si rivelano già nella fase della “mera pubblicizzazione” delle iniziative già adottate; raggiungere nuovi possibili utenti, stimolarne la curiosità, attirarne l’attenzione, richiede una progettazione anche della divulgazione delle esperienze fatte attraverso l’uso di strumenti agili e dinamici con una scelta precisa del target dei destinatari. D’altro canto, proprio per la natura “plurale” delle best practices, l’informazione sulle esperienze già realizzate può costituire un momento di maturazione della consapevolezza e dell’interesse di ciascun ufficio solo se tale informazione è ampia e dà conto di tutte le esperienze. Tale necessità si scontra, a sua volta, con la difficoltà di reperire e catalogare tutte le esperienze fatte, attività quest’ultima che rappresenta il primo step di qualunque iniziativa di coordinamento; difficoltà costituita non tanto dalla complessità delle informazioni da raccogliere quanto dalla laboriosità di tale lavoro, in relazione alla numerosità e distribuzione sul territorio degli interlocutori e dalla carenza di forze specificamente dedicate a tale obiettivo.
In occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario e prima di subire piani di razionalizzazione, come quelli preannunciati, chiediamo pertanto al Ministro, di rispondere ad alcuni nostri quesiti:
1) quale è il progetto di razionalizzazione dell’informatica della Dgsia? Viene proseguita la politica di distrettualizzazione dei sistemi (per cui sono stati investiti soldi nelle sale server nonché nella reingegnerizzazione degli applicativi anche con soldi europei)? In quali tempi intende completarla?
2) Verranno distribuiti i nuovi applicativi (abbandonando quelli vecchi e costosi) e in quali tempi?
3) La Dgsia intende predisporre un progetto di razionalizzazione delle spese di assistenza che si fondi su tali forme di razionalizzazione della spesa e non su meri “tagli lineari”?
4) La Dgsia intende proseguire nell’utilizzo di SPC e relativi subappalti (peraltro tale contratto scadrà nel 2012) ovvero ritiene di predisporre un progetto per riorganizzare l’intero servizio di assistenza e bandire una gara che farebbe sicuramente ridurre i costi?
5) La Dgsia intende impiegare le risorse interne (tecnici) nella gestione dei sistemi informatici per integrare i servizi di assistenza?
6) Quando si potrà avere un efficiente sistema che consenta il controllo di gestione del ruolo da parte del magistrato e da parte degli uffici?
7) Quali stanziamenti sono previsti nel bilancio del Ministero della Giustizia per il 2011 per investimenti e spese nei sistemi informativi della giustizia?
8) Secondo quali priorità verranno impiegati i 79 milioni di Euro derivanti dalla quota proveniente dal Fondo Unico Giustizia al Ministero della Giustizia?
9) Ci sono le risorse per adottare ovunque le notifiche telematiche nel settore civile? Con quali tempi? A quando la loro obbligatorietà?
10) Quando i cittadini potranno avere via internet tutti i certificati giudiziari?
11) Quali sono i tempi previsti per l'informatizzazione nel settore penale? Per i nuovi registri generali? Per il nuovo gestore documentale? Per la trasmissione telematica delle notizie di reato (progetto già collaudato e realizzato con fondi europei)?
12) Che fine ha fatto il datawarehouse (magazzino e dizionario dei dati giudiziari), finanziato e mai decollato?
5. LIBRO BIANCO
L’Anm redigerà un Libro Bianco sullo stato degli uffici giudiziari in Italia, raccogliendo i dati su: organico dei magistrati e del personale amministrativo, carichi di lavoro, livelli di informatizzazione, stato dell’edilizia giudiziaria. Tutto quello che gli uffici del Ministero dovrebbero fare e non fanno lo faremo noi, in modo da offrire una fotografia completa e chiara della situazione degli uffici giudiziari sul territorio.