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L'appello contro il trasferimento del Palazzo di Giustizia di Milano a Porto di Mare

 mercoledì, 24 febbraio 2010

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Il Comitato “Salviamo il Palazzo di Giustizia” – costituito, a seguito del convegno “Il Palazzo di Giustizia a Porto di Mare?” svoltosi il 3 febbraio 2010, da avvocati, magistrati, architetti ed esponenti della società civile -, ha come scopo di opporsi, con metodo  democratico e con partecipazione assolutamente a-partitica e trasversale, al progetto di trasferimento degli Uffici Giudiziari di Milano in luoghi diversi dall’attuale ubicazione e propone di fare dell’attuale Palazzo il centro di un “Borgo della Giustizia” all’altezza delle sfide di efficienza che i tempi impongono. Il primo atto in questo senso è costituito dalla predisposizione del documento sotto riportato, aperto alla sottoscrizione di avvocati, magistrati, architetti e di tutti i cittadini, considerata la natura generale della questione. Il documento, che già raccolto numerosi consensi, è inteso ad incidere sulla formazione del Piano Generale del Territorio in fase di approvazione in Consiglio Comunale, è perciò indirizzato a tutte le principali autorità politiche cittadine ed è destinato ad avere la massima pubblicità.
I destinatari di questa mail sono invitati alla sottoscrizione, mediate invio di una risposta, anche breve (es.: aderisco all’appello, con sottoscrizione ed indicazione dell'Ufficio di appartenenza), al presente messaggio ENTRO IL 2 MARZO 2010.
 
Angelo Mambriani
Giudice del Tribunale di Milano
 
Documento da aprire alle firme dei cittadini.
 
 
 
 
Il Comitato “Salviamo il Palazzo di Giustizia”
appreso
 
-         che la Giunta Comunale di Milano, predisponendo il progetto del nuovo Piano di Governo  del Territorio (PGT), ha previsto il trasferimento degli Uffici Giudiziari di Milano dallo storico  Palazzo di Giustizia ad una erigenda “Cittadella della Giustizia” in area Porto di Mare;
-         che il PGT è attualmente all’esame del Consiglio Comunale per l’adozione;
 
ritenuto
 
che il Palazzo di Giustizia, realizzato negli anni ’30 su progetto di Piacentini e che contiene importanti opere scultoree e pittoriche di prestigiosi autori del periodo, è, nello stesso tempo, un importante e storico esempio di architettura rilevante a livello nazionale, un palazzo che è nato ed è sempre stato destinato per l’esercizio della funzione giudiziaria e, nella sua imponenza e gravità, ne rappresenta plasticamente la dignità ed il prestigio;
che la funzione giudiziaria ha la possibilità di essere esercitata, oggi, a Milano, in un luogo ricco di simboli e di richiami forti,  che impone a tutti – operatori e utenti - la riflessione sui suoi scopi, sui suoi metodi e sui suoi effetti. La Giustizia italiana repubblicana si è appropriata del Palazzo e ne ha fatto un luogo di elezione, secondo a nessuno, come testimoniano gli importantissimi processi che ivi si sono celebrati e si celebrano e che hanno segnato la storia del Paese, e le riprese televisive che frequentissimamente, in quelle occasioni, lo hanno ritratto e continuamente lo ritraggono. Sbaglierebbe molto chi, ancor più nell'attuale società dell'immagine, sottovalutasse la portata simbolica del palazzo milanese e la sua funzione di storicizzazione della giustizia;
che la funzione giudiziaria è vitale nei rapporti tra i cittadini e tra questi e  la “civitas” sicchè  non può che rimanere collocata nel centro storico della città e, dunque, nel Palazzo che da sempre la ospita;
che tale collocazione è avvalorata dalla presenza, attorno al palazzo di Giustizia di funzioni amministrative e centri culturali che si collegano alla funzione giudiziaria, si pensi alle Facoltà umanistiche ed al Rettorato dell’Università Statale di Milano, alla biblioteca Sormani, alla Società Umanitaria, alle tante scuole che si trovano nelle vicinanze, senza dimenticare la presenza delle storiche chiese di S.Maria della Pace e di S. Pietro in Gessate;
che lo sfratto della Giustizia dal Palazzo sarebbe il segnale della marginalizzazione della Giustizia, fisicamente relegata in una periferia anonima, priva di identità, una Giustizia isolata, decontestualizzata, che và dove la speculazione immobiliare e finanziaria vogliono;
che la creazione di una “Cittadella della Giustizia”, provocando lo sradicamento dal cuore della città del “fruitore del Palazzo”, sia esso operatore del diritto o comune cittadino, ed il suo confinamento in un’area periferica, si pone in contrasto con i basilari principi di sociologia urbanistica che, viceversa, promuovono l’integrazione del cittadino con il territorio (nell’ottica dello sfruttamento razionale di servizi, strutture ed infrastrutture), e perseguono altresì l’obiettivo di scongiurare il declino del centro storico, seguitando a valorizzarne gli edifici più significativi sotto il profilo culturale;
che la decisione del trasferimento non trova ragione nella funzionalità del Palazzo, sia perché i suoi spazi interni non sono stati pienamente utilizzati e vi sono aree non ancora adeguatamente sfruttate, sia perché l’Archivio Notarile – che attualmente occupa l’intera torre – è già in trasferimento per essere collocato in zona limitrofa (palazzina Bauer), sia perché le riforme del processo civile e penale si muovono verso un crescente grado di informatizzazione, che renderà sempre meno rilevante l’ingombro cartaceo e degli archivi;
Che la decisione di delocalizzazione è addirittura contraddittoria e diviene incomprensibile a fronte della scelta, inizialmente adottata dalla precedente Giunta Comunale e fatta propria anche dall’odierna, di deliberare un ingente investimento (oltre 16 milioni di euro) per l’acquisto dei terreni ubicati tra la via S. Barnaba e la via Pace, adiacenti il Palazzo di Giustizia, e la costruzione su tali terreni di nuovi uffici giudiziari (per circa 12.000 mq.) che dovrebbero essere consegnati all’inizio del mese di luglio 2010;
che risulta evidente, a fronte della costruzione del nuovo edificio di via S.Barnaba – via Pace, ed alle nuove e concrete prospettive di utilizzo di nuovi spazi interni al Palazzo di Giustizia, che l’operazione di trasferimento degli uffici giudiziari a Porto di Mare, sarebbe nel contempo immotivata e decisamente antieconomica;
che, dunque, a Milano non è riscontrabile quell’esigenza di raggruppare uffici giudiziari sparsi sul territorio e distanti tra loro che ha determinato esperienze di delocalizzazione condotte in altre città metropolitane;
che dette esperienze, nella maggior parte dei casi, hanno partorito dei “mostri” per nulla funzionali e destinati ad un rapido degrado, con conseguenti disservizi di gran lunga peggiori di quelli, fisiologici, connaturati ad una struttura datata nel tempo ma passibile di migliorie e di adeguamenti mediante interventi meno radicali e meno costosi;
che il Consiglio di Zona 1, competente per territorio, ha espresso parere contrario al trasferimento;
che, con provvedimento in data 15 maggio 2008 del Ministero dei Beni Culturali,  il Palazzo di Giustizia è stato dichiarato “di interesse culturale  e particolarmente importante, ai sensi dell’art. 10, comma 1 e dell’art. 10, comma 3, lett. d) del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 … e rimane quindi sottoposto a tutte le disposizioni di tutela contenute nel predetto Decreto Legislativo”; ne deriva che l'edificio appartiene al demanio culturale inalienabile a norma dell'art. 54, comma 1, lettera e), del Codice dei beni culturali;
che, dunque, sono venuti meno i presupposti prefigurati nella bozza – peraltro non ancora firmata - dell’ Accordo di Programma tra gli Enti interessati, che era stata posta a base del progetto di trasferimento, e, in particolare, risulta impedita l’operazione di “valorizzazione” del Palazzo, attraverso il suo “riuso”, cioè la sua destinazione a funzioni commerciali, le uniche che consentirebbero di reperire una porzione essenziale delle risorse economico-finanziarie necessarie per la costruzione della “Cittadella della Giustizia” in Porto di Mare;
che l’individuata area in quartiere di Porto di Mare presenta gravi controindicazioni, essendo ubicata in area gravemente degradata, in precedenza destinata a discarica ove la costruzione degli edifici necessiterebbe della previa bonifica, non riqualificata dall’intervento pianificato nel vicino quartiere di S. Giulia, notoriamente teatro di una operazione urbanistica drammaticamente fallita;
che la decisione di delocalizzazione nemmeno risponde alle esigenze degli operatori del diritto, a fronte di un’iniziativa che, se portata a termine, comporterebbe una modifica radicale del luogo di lavoro per migliaia di persone, peraltro con pesanti ed irreversibili ripercussioni sull’attività di una zona che il Palazzo di Giustizia ha caratterizzato e consolidato negli anni;
osserva
 
che, mentre il progetto di costruzione della “Cittadella della Giustizia” appare funzionalmente immotivato e dannoso, urbanisticamente più che discutibile, enormemente dispendioso, simbolicamente disastroso, è già oggi in corso di edificazione e completamento un “Borgo della Giustizia” – composto di prestigiosi edifici storici o di edifici nuovamente adibiti ad uso giudiziario, della Facoltà di Giurisprudenza e dei tanti uffici di avvocati qui insediati, tutti limitrofi tra loro, animato da molteplici relazioni e rapidi collegamenti – che ben può rispondere, esaltando l’esistente e valorizzando il centro storico nel solco della sua tradizionale identità, alle sfide di efficienza che la modernità richiede alla funzione giudiziaria, rettamente intesa come armonica composizione di tutte le complesse competenze, pubbliche e private, che, interagendo, la compongono.
 
esprime
 
la propria netta contrarietà alla realizzazione di progetti che tendano a rimuovere l’amministrazione della Giustizia dalla sua attuale sede;
auspica
 
che le ingenti risorse, necessarie per la costruzione ex novo di una cittadella giudiziaria, vengano utilizzate per realizzare il “Borgo della Giustizia”, ristrutturando ed ammodernando l’esistente, creando nuovi spazi mediante il recupero di aree poste nelle immediate vicinanze, realizzando e potenziando ogni tipo di collegamento, architettonico o informatico che sia, tra i suoi protagonisti pubblici e privati;
 
si riserva
 
di formulare ulteriori e più articolate osservazioni allorchè le stesse saranno possibili all’interno dell’iter burocratico della pratica urbanistica; 
 
dispone
 
l’apertura del presente documento alle firme di tutti i cittadini;
 
dispone
la trasmissione del presente  documento al Sindaco di Milano, ai capigruppo ed ai segretari dei partiti politici presenti in Consiglio Comunale.
 
Milano, 18 febbraio 2010
 
 
Sottoscrivono:
 
Angelo Mambriani, magistrato; Vinicio Nardo, avvocato, Presidente Camera Penale di Milano; Alessandra Mottola Molfino, Presidente Italia Nostra; Marco Parini, Avvocato; Giovanni Losavio, già Pres. Sez. Corte Cass.; Guido Camera, Avvocato; Prof. Francesco Delfini, Avvocato; Prof. Ennio Amodio, avvocato; Armando Spataro, magistrato; Luisa Savoia, magistrato; Amina Simonetti, magistrato; Stefano Civardi, magistrato;  Luigi Domenico Cerqua, magistrato; Stefania Carlucci, magistrato

 
 
 
 
 
 

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