ultimo aggiornamento
mercoledì, 10 aprile 2024 10:27

CIVILE

La prassi notarile tra le fonti del diritto vivente?

  Civile 
 martedì, 14 novembre 2017

Print Friendly and PDF

Massimo Palazzo, Notaio in Pontassieve e Presidente della Fondazione Italiana del Notariato

 
 

 

1.- Perché ancora una riflessione al tema delle fonti del diritto? Ma, soprattutto, perché dedicare queste note alla spinta evoluzionistica della prassi notarile al rinnovamento del diritto civile, attraverso le soluzioni negoziali elaborate dalla categoria dei notai? In effetti diversi convegni e seminari, nel corso degli ultimi anni, hanno ripreso il tema della molteplicità delle fonti, il rapporto tra fonti del diritto statuali ed extrastatuali, la creatività ed i limiti della interpretazione. Così, il secondo fascicolo del 2016 della Rivista Diritto Pubblico ospita un interessante dibattito su giudici e legislatori (p. 483 – 623). Nel 1973 il Congresso nazionale del Notariato proponeva un’analisi su “La prassi notarile come strumento di evoluzione del diritto”; nel 2001 ad Atene il XXIII Congresso Internazionale del Notariato Latino indagava “La funzione notarile creatrice del diritto”. La Fondazione del Notariato ha promosso un convegno romano l’8 giugno 2007 dedicato a “La prassi della contrattazione immobiliare tra attualità e prospettive” ed un altro convegno fiorentino l’8 maggio 2015 dedicato al “Contributo della prassi notarile alla evoluzione della disciplina delle situazioni reali” presieduto dal prof. Paolo Grossi[1].

La risposta ai superiori interrogativi, più che nella voce unilaterale di chi scrive, si ritrova nell’opinione sempre più condivisa che il nostro tempo sia caratterizzato da una “inarrestabile transizione da un diritto che si produceva in forma gerarchica a un diritto che viene scritto e riscritto da soggetti diversi, legislatore, giudici, autorità indipendenti, dottrina, privati”[2]. Ciò si traduce in un graduale ampliamento degli spazi di regolamentazione conquistati dai c.d. “poteri privati” che impone una rimeditazione della ripartizione di competenze tra autonomia dei privati e autorità dello Stato ricevuta dalla tradizione, come ampiamente dimostrato nelle relazioni che precedono questa postfazione.

Un’importante chiave di lettura del profondo cambiamento conseguente alla formalizzazione del principio di sussidiarietà contenuto nell’art. 118 comma quarto Cost. è stata individuata nelle sentenze della Corte Costituzionale 24 settembre 2003 nn. 300 e 301 che, facendo applicazione di quel principio, hanno ridefinito il rapporto tra competenza dello Stato e competenza dei privati, stabilendo che la fondamentale ripartizione di competenza tra lo Stato, nelle sue diverse articolazioni, e le organizzazioni in cui si esprimono le libertà sociali costituzionalmente garantite, si attua nel senso che a queste ultime spetta una competenza originaria e primaria in materia di beni privati. Il che induce a ritenere che vi siano almeno due forme del potere di autonomia dei privati: l’autonomia contrattuale, intesa come potere che si esprime in atti aventi forza di legge tra le parti secondo il principio generale dell’art. 1372 c.c. e che non producono effetti rispetto ai terzi che nei casi previsti dalla legge, ed il potere di autoregolamentazione, per indicare quello che ai sensi dell’art. 118 comma quarto Cost. esprime la competenza dei privati a regolare anche i rapporti in cui entrano in gioco interessi di carattere generale.

Diviene così ineludibile la riflessione sul ruolo di regole che sono private nella fonte ma che, grazie alla pubblicità legale, acquistano una normatività generalizzata e sono integrative del sistema complessivo dell’ordinamento e dunque idonee a produrre effetti anche nei confronti dei terzi. Si pensi, a titolo di esempio ai molteplici meccanismi contrattuali, analizzati in molte decisioni delle Corti o in saggi di dottrina, che vedono un ruolo risolutivo nell’autonomia privata, come le soluzioni negoziali della crisi di impresa ed i contratti con cui si regolano i rapporti nella crisi coniugale, cioè in due settori (la famiglia ed il diritto fallimentare) fino a pochi anni addietro ascritti all’area del diritto pubblico o, al massimo, ad un’area grigia tra pubblico e privato nella quale gli spazi per il diritto dei privati erano assai ridotti se non inesistenti.

A fronte di questi complessi fenomeni, nell’area civilistica la riflessione sul principio di sussidiarietà orizzontale è stata però, sin qui, condotta con riferimento a specifici problemi. Solo da poco tempo, invece, è iniziata una riflessione sistematica volta ad indagare l’impatto dell’introduzione del principio e dei profondi mutamenti del contesto culturale, istituzionale ed economico ad essa sottesi, sul sistema delle fonti e sull’attuale ripartizione di competenza dei poteri pubblici e di quelli privati alla luce di una visione d’insieme del diritto dei privati[3].

Un illustre storico del diritto, attualmente presidente della Corte Costituzionale, Paolo Grossi, ha sostenuto e recentemente ribadito[4] l’invito ad operare per dar vita ad un nuovo ordine giuridico, sensibilmente diverso da quello introdotto da circa due secoli nell’Europa continentale e poi esportato in altri Paesi, dall’America all’Asia.

L’auspicio è rivolto innanzitutto ai giuristi i quali sono quindi chiamati ad assumersi responsabilità non soltanto ai fini dell’interpretazione di norme da altri emanati, e sono essi i detentori del potere politico e di quello giudiziario , ma anche in particolare ai fini dell’ulteriore, diretta e autonoma creazione di specifiche e diverse regole giuridiche.

Traspare in tutto ciò una duplice e precisa consapevolezza. Da un lato, relativa all’incapacità delle regole esistenti a tenere sotto controllo la massa dei problemi che scaturiscono a seguito dell’intensa e costante evoluzione economico – sociale. Dall’altro consistente nella serena e convita sfiducia nei confronti della classe politica; nella consapevolezza delle difficoltà della giustizia civile, notoriamente in un ormai cronico ritardo, a calarsi autorevolmente nei panni di unici detentori del potere di dare vita con rapidità e completezza alle necessarie e continue modifiche dell’ordinamento giuridico.

In breve, l’itinerario che ha portato il già imperante normativismo a subire sul terreno dell’esperienza giuridica la propria sconfitta ed a restituire al diritto il suo carattere ordinamentale, conferendo vigore a fonti, come la prassi negoziale, un tempo estromesse dal recinto della produzione giuridica, rende non differibile l’esigenza di fermare l’attenzione sui mutamenti e movimenti rapidissimi di questa fase storica, alle soglie del terzo millennio.

 

2.- L’itinerario, cui sopra si accennava, si svolge durante tutto il Novecento. Una contemplazione attenta ed oggettiva degli itinerari della scienza giuridica non solo italiana durante il Novecento rende infatti persuasi che il ventesimo secolo è stato un torno di tempo in cui tutto è stato rimesso in discussione[5], specialmente nella seconda parte cioè nel segmento storico a noi più vicino.

Per limitarsi all’essenziale, la rivoluzione copernicana del Novecento, o meglio del secondo Novecento, ha seguito un duplice percorso. La strada pragmatica del passaggio, nel sistema delle fonti del diritto, dalla legge quale unica fonte del diritto capace di esprimere la volontà generale (sistema giuridico chiuso), al policentrismo normativo (sistemi giuridici aperti) con il ripensamento dell’immagine della piramide kelseniana, sostituita da quella della “rete delle fonti”[6]. La strada teorica del radicale cambiamento della concezione dell’interpretazione giuridica, abbandonando il metodo esegetico, poi quello dogmatico della dottrina pandettistica tedesca – che adottano una concezione rigidamente cognitiva dell’interpretare, secondo i canoni propri del positivismo giuridico[7] - e, infine, prendendo atto, grazie alla rivoluzione ermeneutica, che il punto di partenza non è il testo ma il fatto della vita in funzione del quale il testo viene interrogato dall’interprete, con una grossa rivalutazione del momento interpretativo/applicativo. E’ sufficiente qui evocare su tutti i nomi di Gadamer e Mengoni.

Secondo Gadamer la conoscenza del senso di un testo normativo e la sua applicazione al caso giuridico non sono due atti separati, ma un unico processo. Gadamer rende esplicita dunque la inseparabilità del momento di produzione della norma dal momento dell’interpretazione/applicazione. Conseguentemente l’interpretazione non si esaurisce nella spiegazione di un testo conchiuso e indisponibile, ma è, piuttosto, intermediazione necessaria e vitale tra le proposizioni astratte della norma e la ineludibile concretezza storica che l’interprete ha di fronte. Per esprimerci con il lessico filosoficamente pregnante di Gadamer, Egli ritiene che il passaggio dalla ontologia della comprensione alla epistemologia dell’interpretazione generi la consapevolezza di dare in tal modo una risposta soddisfacente all’eterno problema che ha sempre tormentato i giuristi e cioè “la tensione che sussiste tra l’identità dell’oggetto e la mutevolezza delle situazioni in cui esso deve venir compreso”, quelle situazioni di cui solo percettore è il soggetto interpretante. In tal modo il perno del processo produttivo della norma non è più un testo immobile nella sua cartaceità, ma un soggetto chiamato a vivere il proprio tempo e ad immettersi in quel testo[8].

Luigi Mengoni ha il grande merito, parlando da giurista ai giuristi, ma dopo essersi nutrito dei necessari approfondimenti filosofici e della rilevante lezione tecnico giuridica di Esser, di far proprio l’argomentare demolitivo /costruttivo dell’ermeneutica e di renderlo patrimonio della civilistica italiana[9]. Secondo Mengoni “punto di partenza dell’interpretazione non è il testo bensì il caso ossia il problema o il complesso di problemi per la cui soluzione il testo deve essere compreso. La legge è opaca sino a quando non si sappia rischiararla illuminandone il quadro dei riferimenti problematici, nel quale soltanto si può cogliere l’intero significato del programma condizionale in essa dettato[10].

Mengoni, nell’ambito della stessa linea di progetto culturale, rende proprie talune proposte della filosofia del diritto tedesca degli anni Cinquanta, consistenti nel ricorso alla “topica” quale tecnica del pensare problematico, cogliendo in esso non la dissoluzione del pensare sistematico , della dottrina pandettistica tedesca, bensì un prezioso strumento di controllo, validissimo ad evitare il rischio di assolutizzazione e di pericolose derive assiomatico – deduttive. Il pensiero problematico (orientato a porre esigenze o problemi) consente al pensiero sistematico (orientato a ragionare sulla base ed all’interno del sistema in forma deduttiva) di evolversi in ragione delle esigenze sociali, poiché l’ermeneutica giuridica muove dal problema, dal caso concreto dalle nuove esigenze. Un controllo che Mengoni, contemplatore assai critico della dottrina sull’uso alternativo del diritto, volentieri estendeva anche in senso opposto, e cioè a pesantezze ideologiche o ad eccessive politicizzazioni.

3.- Queste riflessioni, ben note ai teorici generali del diritto[11], sorprendentemente non sono penetrate a pieno nell’area che respirano i giuristi. Molti di noi continuano a vedere il diritto come un insieme di enunciati posti, cioè una forma che si impone alla società, piuttosto che una sostanza radicata nella società stessa e prodotta dalle forze sociali.

Il ruolo “creativo” dell’interpretazione giudiziaria, per la quale è stata coniata l’espressione “diritto vivente” è stato sin qui ben messo in evidenza dalla riflessione scientifica[12].

La stessa Cassazione in taluni casi definisce le proprie decisioni con l’incisiva formula “giurisprudenza normativa”. La nostra epoca è stata da più parti definita “l’età della giudizialità” ed i giudici individuati come i signori[13] o imperatori del diritto[14], per designare una nuova forma di normatività che vede il giudice procedere alla produzione del diritto attraverso modelli di decisione consolidati e, al contempo, controllarne l’applicazione. Con la necessità di ripensare criticamente la divisione dei poteri[15], teorizzata da Montesquieu, alla luce dell'evolversi delle forme politiche e soprattutto dell'esperienza giuridica. Tanto più che quella separazione dei poteri, da squisitamente garantistica, come era nell'enunciato montesquieuviano, si era pian piano risolta, durante il corso della modernità giuridica in una smodata preminenza del potere legislativo, se non in un monopolio di questo nella produzione del diritto.

Se il ruolo del giudice come artefice del diritto è stato diffusamente indagato, meno studiato è certamente il contributo della prassi notarile alla creazione del diritto vivente. Eppure, se spostiamo la nostra attenzione dai testi di legge alla prassi negoziale, contenuta negli atti notarili, scorgiamo un ricco serbatoio di formule di figure giuridiche extra legislative, di schemi tecnici, di istituti muniti di tipicità sociale, talora di nuovo conio, talora generati dalla trasformazione di figure giuridiche divenute desuete (p.es. la permuta di cosa presente con cosa futura) in nuovi schemi negoziali per rispondere a nuove esigenze della pratica degli affari (tipicamente per consentire al proprietario del terreno di acquistare un appartamento o una villetta che verrà edificata sul medesimo dal costruttore).

In una fase di rapidissime trasformazioni, quale quella che stiamo vivendo, è del tutto impensabile una interpretazione notarile meramente dichiarativa della volontà del legislatore, sino a poco tempo fa quasi divinizzato.

4.- Quotidianamente abbiamo la conferma nella realtà effettuale che il monopolio legislativo e la dichiaratività dell’interpretazione hanno ceduto il passo alla complessità e al pluralismo delle fonti, affidando al notaio - giurista il gravoso compito della interpretazione - applicazione[16]. Il notaio contemporaneo, dismessi i panni del pratico che compila l’atto con chiarezza e precisione, è diventato una sorta di “apprendista stregone”, chiamato quotidianamente a ricomporre il divario tra realtà legislativa e realtà sociale nel testo dell’atto pubblico notarile, utilizzando per nuove funzioni un diritto scritto per una realtà spesso superata dalla trasformazioni sociali, adattando a nuovi compiti antichi istituti, per consentire la soddisfazione di nuove esigenze attraverso un costante adattamento degli schemi tramandati dai formulari.

Come ben si può comprendere facendo riferimento a figure come le c.d. servitù reciproche o i diritti di uso esclusivo in ambito condominiale, alle diverse forme di proprietà funzionalizzata, ai diritti di usufrutto congiuntivo o successivo o di partecipazioni societarie o infine ai diritti edificatori, siamo di fronte a prassi negoziali sorte negli studi notarili in relazione a singoli casi concreti, che successivamente danno luogo a processi di provvisoria consolidazione in termini di modelli negoziali aventi portata generale, i quali spesso, dopo il vaglio giurisprudenziale vengono recepiti anche dal legislatore.

Per assolvere a questa complessa funzione il notaio, (al pari del giudice, pur con le ovvie distinzioni di ruolo) è chiamato a calarsi nella storia, ad assumere la diretta responsabilità di scelte interpretative complesse, che spesso lo costringono ad uscire fuori dai comodi ripari del testo legislativo; talvolta esponendolo a conseguenze non irrilevanti anche sul piano della responsabilità civile e disciplinare, come ci ricorda una severa giurisprudenza in materia di doveri di consulenza, informazione e chiarimento da parte del notaio[17].

5.- Quali sono i tratti salienti della prassi notarile? Vorrei segnalarne almeno due.

In primo luogo la coralità. La prassi notarile non scaturisce dalla creazione estemporanea o isolata del singolo notaio. Essa non rappresenta una creazione in termini assoluti e originali, tutta imputabile ai notai, ma neppure una creazione del tutto marginale. La prassi notarile si sostanzia in un’opera incessante, talvolta ardita, altre volte modesta di “rimodellamento del diritto” dando luogo a una tecnica di evoluzione graduale dell’ordinamento giuridico che avviene soavemente, di atto in atto, senza ribaltamenti o svolte dirompenti, garantendo la continuità del sistema, ma anche la sua evoluzione e il passaggio dal vecchio al nuovo senza traumi. Si tratta dunque del prodotto di uno sforzo collettivo di un’intera categoria professionale[18], in sinergia con l’accademia e il pensiero giurisprudenziale, dando luogo ad una contemporanea communis opinio.

Un fenomeno molto interessante, che testimonia la concretezza e la effettività del diritto notarile, è rappresentato dalle massime o orientamenti sul diritto societario elaborati dal notariato[19].

Questa soft law[20] di fonte notarile acquista inoltre spesso una normatività generalizzata attraverso l’opponibilità ai terzi che l’atto pubblico notarile assicura mediante il meccanismo della pubblicità legale (registri immobiliari, registri delle imprese, registri della proprietà industriale).

Un secondo carattere della prassi notarile è la socialità. Si tratta infatti di un diritto che nasce in basso e dal basso. E’ questo un pregio ulteriore della prassi notarile, che merita di essere evidenziato in una fase storica in cui la riflessione dei giuristi acquista sempre maggiore consapevolezza di un radicale mutamento di prospettiva nell’apprezzamento del fenomeno giuridico: non più un diritto che nasce dall’alto, nella rarefatta atmosfera di palazzi dove si fa sintesi di conflitti sociali, un’aula parlamentare, una camera di consiglio (peraltro nell’ottica valutativa di chi gestisce precariamente il potere) ma semmai in basso e dal basso dei luoghi in cui questi conflitti si consumano e trovano composizione in difficili mediazioni socio – economiche. Per dirla con Lipari, siamo passati da un diritto fondato sugli atti di posizione a un diritto fondato sugli atti di riconoscimento[21] .

La prassi notarile ha dunque questa ulteriore valenza positiva: è un diritto creato, attraverso la mediazione del notaio, dai destinatari stessi delle regole, i contraenti, che dunque saranno più facilmente portati ad osservarlo spontaneamente.

6.- In conclusione non pare inutile segnalare che, per comprendere a pieno questa singolare e post - moderna forma di normatività che è oggi la prassi notarile, è sufficiente recuperare il messaggio di Tullio Ascarelli il quale, con sguardo clamorosamente anticipatorio, nei primi anni Trenta, chiudendo il suo saggio sul negozio indiretto, prendeva atto della complessità dell’esperienza giuridica, riconoscendo nel diritto il prodotto di un’ampia pluralità di fonti “statuali” ed “extrastatuali[22]. Come ha efficacemente ricordato Paolo Grossi[23], in particolare Ascarelli riconduceva la “dinamica giuridica”, cioè il diritto “socialmente vigorante”, proprio alla interpretazione giurisprudenziale e alla prassi contrattuale[24].



[1]          Gli atti del convegno, con la prefazione e le conclusioni del Presidente Grossi, possono leggersi in Il contributo della prassi notarile alla evoluzione delle situazioni reali”, Quaderni della Fondazione italiana del notariato, 1/2015, Milano 2015.

[2]              A. PUNZI, Prefazione, in G. Benedetti, Oggettività esistenziale dell’interpretazione, Torino, 2014, p. XVI.

[3]              Un interessante contributo è costituito da M. NUZZO, (a cura di) Il principio di sussidiarietà nel diritto privato, voll. 1 e 2, Torino, 2014.

[4]              P. GROSSI, L’Europa del diritto, Roma – Bari , 2007 p. 254 – 255.

[5]              Cfr. P GROSSI, Introduzione al Novecento giuridico, Roma – Bari, 2012. Agli occhi di chi lo guarda storicamente il Novecento appare come un tempo di transizione verso nuovi approdi, con mutazioni che arrivano a trasformare il volto del diritto come lo aveva disegnato la modernità illuminista. Come ha notato L. MENGONI, Prefazione a Ermeneutica e dogmatica giuridica, Milano, 1996, p. VII: “il Novecento è un secolo in cui tutto è stato rimesso in discussione.”

[6]              B. PASTORE, Interpreti e fonti nell’esperienza giuridica contemporanea, Padova, 2014. Come nota questo autorevole studioso ”il diritto positivo appare come un’impresa solidale di soggetti istituzionali e non istituzionali, i quali, con la loro attività ermeneutica, individuano e articolano il discorso delle fonti all’interno di una prassi in cui la normatività giuridica si pone come risultato di fattori complessi che si combinano e interagiscono” cfr. B. PASTORE, Le fonti e la rete: il principio di legalità rivisitato, in G. BRUNELLI, A. PUGIOTTO P. VERONESI (a cura di ), Scritti in onore di Lorenza Carlassare. Il diritto costituzionale come regola e limite al potere, Napoli, 2009, 266.

[7]              Cfr. N. BOBBIO, Il positivismo giuridico, in Giusnaturalismo e positivismo giuridico, Milano, 1965; U. SCARPELLI, Cos’è il positivismo giuridico?, Milano, 1966.

[8]              HANS – GEORG GADAMER, (1900 – 2002), considerato uno dei maggiori studiosi dell’ermeneutica, afferma, muovendo dall’esistenzialismo di Martin Heidegger, che la comprensione non rappresenta una forma di conoscenza, ma un modo di essere dell’ Esserci, per cui l’essere sviluppa la capacità del poter essere, del poter conoscere, del poter affrontare determinate situazioni. “La comprensione è il carattere ontologico originario della vita umana stessa”. Cfr. H. G. GADAMER, Verità e metodo, (1965), trad. it., Milano, 1975, p. 307.

[9]              Si vedano i saggi raccolti in Diritto e valori, Bologna, 1985 ed Ermeneutica e dogmatica giuridica, Milano, 1996, con le due eloquentissime prefazioni che esprimono motivi e orientamenti dell’itinerario intellettuale di Mengoni.

[10]            Cfr. L. MENGONI, Problema e sistema nella controversia sul metodo giuridico, in Diritto e valori, Bologna, 1985, p. 37. Sulla figura di Mengoni (1922 – 2001), cfr. P. GROSSI, Luigi Mengoni nella civilistica italiana del Novecento, in Nobilità del diritto. Profili di giuristi, vol. 2, Milano, 2014,p. 155.

[11]            Sul diritto come fenomeno interpretativo cfr. S.PUGLIATTI, Istituzioni di diritto civile, III, L'attività giuridica, II ed. , Milano, 1935, p. 233 ss.; T. ASCARELLI, Problemi giuridici, I, Milano, 1959, p. 140 e 154; P.PERLINGIERI, Interpretazione e qualificazione: profili dell'individuazione normativa, in Dir. Giur. 1975, p. 826 ora in Idem., Il diritto del contratti fra persona e mercato. Problemi del diritto civile, Napoli, 2003, 10; L. PALADIN, Le fonti del diritto italiano, Bologna, 1996, p. 71; J. ESSER, Vorvestandis und methoden - wahl in der Rechtsfindung, 1972, trad it. a cura di G. Zaccaria e S. Patti Precomprensione e scelta del metodo nel processo di individuazione del diritto. Fondamenti di razionalità nella prassi decisionale del giudice, Esi, Napoli, 1983; H. G. GADAMER, Verità e metodo, cit.; L. MENGONI, Ancora sul metodo giuridico,(1983), in Diritto e valori, Bologna, Il Mulino, 1985; R. DWORKIN, Justice for hedgehogs, Cambridge MA,2011.

[12]            Sul diritto vivente come problema di ermeneutica giuridica afferente ai rapporti tra giudice e legge cfr. L. MENGONI, Voce “diritto vivente” in Dig. Disc. Priv., Dir. Civ. VI, Torino, 1990, p. 445 ss.; G. ZAGREBELSKY, La giustizia costituzionale, Bologna, 1988, p. 288. Sul rapporto fra legge e interpretazione – applicazione cfr. il non recente volume di P. BORGNA – M . CASSANO, Il giudice e il principe. Magistratura e potere politico in Italia e in Europa, Roma, Donzelli Editore, 1997.

[13]            Per usare la suggestiva immagine di R. VAN CAENEGEM, I signori del diritto, Milano, Giuffrè, 1991

[14]            Cfr. R. DWORKIN, L’impero del diritto, Milano, 1994.

[15]            Cfr. P. COSTA, Democrazia politica e stato costituzionale, Napoli, (Università degli studi Suor Orsola Benincasa, lezioni magistrali, 11 ), 2006, p. 65 “se allora il giudice non è organo di un'adiafora ragione tecnica ma è il protagonista di policies sempre più estese e incisive, la sua sottrazione alla logica della partecipazione del consenso, per un verso rende problematica la sua legittimazione e per un altro verso, diminuisce l'area di incidenza di ciò che resta della democrazia” con ampie citazioni sul rapporto tra democrazia e potere giudiziario; C. SALVI, Note critiche in tema di abuso del diritto e poteri del giudice, in Riv. Crit. Dir. Priv., 2014, p. 27; L’“espansionismo giurisprudenziale” è messo in evidenza dal penalista, attento osservatore dei mutamenti in atto nell’ordinamento positivo italiano, F. PALAZZO, La scienza giuridica di fronte alla giurisprudenza (diritto penale), in Riv. It. Sc. Giur., nuova serie, 4, 2013, p. 145. Il tema è stato recentemente ripreso anche da Questione giustizia, 4/2016, con contributi, tra gli altri di Nicolò Lipari e Alberto Giusti. Un' ampia riflessione sul ruolo del giudice civile in P.GROSSI, L'invenzione del diritto: a proposito della funzione dei giudici, in Id. L'invenzione del diritto, Roma Bari, 2017, p. 114 ss.

[16]            Cfr. F. D. BUSNELLI, Ars notaria e diritto vivente, in Riv. Not. , 1991, p. 2 ss.. Eventualmente M. PALAZZO, Per un ripensamento del ruolo del notaio nel mutato sistema delle fonti del diritto, in Notariato, 2014, p. 584 ss; ora in Id. La funzione del notaio al tempo di internet, Milano, 2017, p. 45 ss.

[17]            Cfr. M. COCCA, Gli obblighi di informazione del notaio, in Riv. Not., 2013, p. 1339, in giurisprudenza, Trib. Milano, 29 aprile 2014 n. 5667 in I Contratti, 12/2014, 1098; Cass. Civ. 21 ottobre 2014 n. 26369 in ilcaso.it.

[18]            Sulla tradizione dogmatica del ceto professionale cui appartiene l’interprete come fattore di controllo della condizione esistenziale in cui lo stesso opera cfr. L. MENGONI, Problema e sistema nella controversia sul metodo giuridico, in Diritto e valori, Bologna, 1985, p. 39: “nella situazione ermeneutica propria del giurista positivo gli elementi giuridici o pregiuridici (ideologici in senso ampio) della precomprensione sono filtrati dalla tradizione dogmatica del ceto professionale cui appartiene, dal deposito di nozioni teoriche, di orientamenti sistematici, di forme linguistiche tecnicizzate, di massime di applicazione accumulate dalla riflessione dottrinale e dall’esperienza giurisprudenziale precedente, cioè da elementi (concettuali e linguistici) specificamente giuridici, che condizionano l’approccio ai testi normativi e il modo di intenderne il significato in ordine alla regolamentazione dei conflitti di interesse da decidere” .

[19]            Per una riflessione sulla genesi e la funzione delle massime cfr. P. MARCHETTI, Il ruolo del notaio nella costituzione della spa: la questione dell’omologa (1875 – 2003) in Quaderni della Fondazione Italiana del Notariato, La modernità degli studi storici: principi e valori del notariato, Milano, 2014, p. 60.

[20]            L’espressione è generalmente usata, da qualche tempo, per indicare una serie di atti, non omogenei quanto ad origine e natura, che, benché privi di effetti giuridici vincolanti, risultano comunque, in vario modo, giuridicamente rilevanti. si tratta di una nozione di prevalente elaborazione dottrinale e nell'’odierno panorama giuridico, altamente pluralistico e caratterizzato da un notevole tasso di complessità, se ne conoscono svariati esempi. Per una panoramica degli strumenti di soft law cfr. E. MOSTACCI, La soft law nel sistema delle fonti: uno studio comparato, CEDAM, Padova, 2008; B. PASTORE, Interpreti e fonti nell’esperienza giuridica contemporanea, cit. p. 103 ss.

[21]            Cfr. N. LIPARI, Le fonti del diritto, Milano, 2008, p. 32.

[22]            Cfr. T. ASCARELLI, Il negozio indiretto (1931), in Studi in tema di contratti, Milano, 1952, p. 77.

[23]            Sulla figura di Tullio Ascarelli cfr. P. GROSSI, Le aporie dell’assolutismo giuridico (Ripensare, oggi, la lezione metodologica di Tullio Ascarelli), in Nobiltà del diritto. Profili di giuristi, Milano, 2008, p. 445.

[24]            L’impostazione di Ascarelli (1903 – 1959) può esser compresa nella sua pienezza ove si consideri la natura attribuita dal Maestro al fenomeno interpretativo. Per Ascarelli “l’attività dell’interprete è creativa e cioè concorre nello sviluppo del diritto; non è mai (neanche nell’interprete più legato alla lettera della legge), mera riproduzione fotografica del dato ma importa sempre l’intervento di valutazioni dell’interprete”. “L’interprete non costituisce un elemento esterno, ma un elemento interno al diritto che, anche per questa via torna a riportarsi all’opera collettiva dei consociati. E’ per ciò che, col volgere del tempo, l’interpretazione muta, non già perché si arrivi ad intendere meglio, col decorso del tempo, il testo interpretato, ma perché col decorso del tempo e il mutamento dei problemi, si è tratti ad un naturale affinamento di schemi, ad altre costruzioni e ricostruzioni, e così ad una continua adeguazione del corpus juris dato ad una mutevole realtà”, cfr. T. ASCARELLI, Contrasto di soluzioni e divario di metodologie, in Banca borsa e titoli di credito, 1953,1, p. 478.

 

 
 
 
 
 
 

© 2009 - 2024 Associazione Magistratura Indipendente
C.F.: 97076130588
Via Milazzo, 22 - CAP 00165 - Roma, Italia
segreteria@magistraturaindipendente.it

 
 

Magistratura Indipendente utilizza cookies tecnici e di profilazione. Alcuni cookies essenziali potrebbero già essere attivi. Leggi come poter gestire i ns. cookies: Privacy Policy.
Clicca il pulsante per accettare i ns. cookies. Continuando la navigazione del sito, acconsenti all'utilizzo dei cookies essenziali.