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PENALE

La tutela penale dei lavoratori all’estero

  Penale 
 martedì, 2 ottobre 2018

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di Pietro Pollidori, sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma

 
 

Il tema di questo scritto riguarda una problematica di assoluto rilievo, aumentato ancor di più negli ultimi anni - in modo esponenziale, negli ultimi quindici anni -  dalle drammatiche vicende dagli atti di terrorismo nei confronti di dipendenti di società italiane che operano all’estero. La questione tuttavia concerne una vasta tipologia di situazioni, riguardanti reati comunque commessi in danno di lavoratori all’estero.

Innanzitutto, dal punto di vista della procedura, si ricorda che recentemente è stata introdotta dalla L. 131/2016 la norma (art 10 cpp co 1 bis) che prevede, nei casi di reati commessi interamente all’estero in danno di cittadini, la competenza territoriale del Tribunale di Roma, e quindi della locale Procura, quando la stessa non può essere determinata altrimenti ai sensi del primo comma del predetto art. 10 cpp. I criteri indicati da tale norma sono il luogo di residenza, di dimora, del domicilio, dell’arresto o della consegna dell’imputato e, in caso di pluralità di imputati, il giudice competente per il maggior numero di essi.

Circa la giurisdizione italiana, invece, è prevista, a determinate condizioni tassativamente indicate, dall’art. 10 cp, nel caso di reato commesso dallo straniero - ad esempio organizzazioni criminali -  all’estero in danno di cittadino italiano.    
Per quanto concerne invece la commissione di illeciti, in danno di lavoratori, in territorio estero da parte di cittadini italiani, la giurisdizione italiana è indicata dall’art. 9 c.p.
In tale ambito, in ordine alle condizioni di procedibilità (rectius, di punibilità) nei casi di infortuni sul lavoro - morte o lesioni di lavoratori italiani all’estero - è stato ribadito dalla giurisprudenza di legittimità (Cass pen. 17/10/2014 n. 43480) la giurisdizione italiana ex art. 9 c.p., tra gli altri casi, anche ex co. 2 del medesimo articolo, su istanza della persona offesa nel caso di denuncia di prossimi congiunto del lavoratore deceduto.

In generale, dal punto di vista del diritto sostanziale, deve evidenziarsi che è prevista una responsabilità sia in ambito civile - derivante dall’art. 2087 cc, che però in questa sede non interessa -  che penale del datore di lavoro italiano. Concerne, in larga misura, vicende relative ad imprese italiane operanti al di fuori del territorio nazionale.
Il principio ispiratore è quello per cui il datore di lavoro è responsabile nei confronti dei dipendenti, avendo un obbligo di protezione; ciò vale non solo in relazione a tutti i rischi, non solo infortunistici ma anche di sicurezza per eventi di altra natura.
I soggetti nei cui confronti c’è il dovere di protezione sono tutti i dipendenti in servizio all’estero, a qualsiasi titolo, anche in servizio temporaneo.

La normativa vigente applicabile in sede penale è quella del d.l.vo. 81/2008, relativa alla sicurezza dei lavoratori, e del d.l.vo 231/2001, concernente la responsabilità delle imprese per illeciti amministrativi derivanti da reati.
Quest’ultimo decreto legislativo ha introdotto sanzioni, indicate dall’art. 9, quando vengono accertati reati - ivi compresi quelli nei confronti dell’incolumità personale - in danno di dipendenti, commessi nell’interesse dell’imprenditore da parte di soggetti riconducibili all’ente nell’ambito del ruolo funzioni. Si deve quindi verificare, nel procedimento penale, se nell’organizzazione dell’azienda erano state posti in essere congrui sistemi di prevenzione dei reati indicati specificamente.

Tra le altre fattispecie per cui si applica il d.l.vo n. 231, e quindi il sistema sanzionatorio amministrativo nei confronti degli enti per i quali viene accertata la trasgressione ad adeguate procedure organizzative, sono indicate quelle ex artt. 630 e 289 bis  cp, relative a sequestro di persona a scopo di estorsione,o di terrorismo, ma altresì (art. 25 del medesimo decreto legislativo )quelle relative all’omicidio colposo ed alle lesioni gravi commesse in violazione delle norme sulla tutela della salute e  della sicurezza dei lavoratori  .
Peraltro, tale normativa si applica, ex art. 4 del decreto 231, anche nelle ipotesi di enti che hanno la sede
principale in Italia per reati commessi all’estero dove sta operando, solo però se non proceda lo Stato del luogo in cui è stato commesso il fatto (co 1).

Ai sensi del citato Testo Unico 81/2008, il datore di lavoro, persona fisica, ha l’obbligo (art 28)  - sanzionato con pene previste da tale testo - di realizzare un adeguato Documento di valutazione di rischi (DVR), con riferimento a quelli connessi all’espletamento del lavoro nello specifico contesto estero dove i dipendenti andranno a svolgere il proprio servizio, e quindi anche in relazione all’ipotesi, come accennato precedentemente, del sequestro di persona e comunque per qualsiasi contesto. 
In particolare, l’art. 28 cit. prevede l’obbligo di valutare tutti i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari - tra cui, evidentemente, deve intendersi anche quelli connessi ad aggressioni da parte di organizzazioni criminali -  e di adottare le relative misure di prevenzione e protezione. Ovviamente, con l’espressione “rischi particolari” possono essere comprese innumerevoli categorie di eventi e di attività lavorative.
Sul punto, si è espressa chiaramente in conformità la “Commissione per gli Interpelli”, istituita presso il Ministero del Lavoro, in seguito a specifico quesito formulato nel 2016 da un’associazione sindacale, per un quesito relativo ai lavoratori delle compagnie aeree.

Tra le applicazioni, in sede giudiziaria, di tale complesso normativo, può citarsi a mero titolo di esempio quella, recente, relativa al procedimento per iniziativa della Procura di Roma a carico di dirigenti di impresa italiana per il decesso in Libia, nel marzo del 2017, di due dipendenti.
Il procedimento inerisce l’omessa adozione di doverose misure di protezione e precauzione nei confronti degli stessi in occasione del loro trasferimento, avvenute in mancanza di condizioni di sicurezza, nel luogo di lavoro, in occasione del quale avvenne il loro sequestro da parte di organizzazioni criminali.  

Ciò considerato, è utile ora esaminare brevemente la questione nell’ipotesi di distacco, che ben può verificarsi in relazione a dislocazione di lavoratori dipendenti in impresa, operante anche all’estero, collegata a quella –in Italia -  che effettua appunto il distacco.
Si verifica, ex art. 30 d.l.vo 276/2003, quando un datore di lavoro pone temporaneamente, per un effettivo interesse della propria impresa, i lavoratori a disposizione di altro soggetto per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa.
Orbene, ai sensi dell’art. 3 del d.l.vo 81/08, nel caso di distacco, tutti gli obblighi di prevenzione e protezione sono a carico dell’impresa a cui vengono inviati i lavoratori, salvo l’obbligo del soggetto che, invece, effettua tale dislocazione di informare e formare il lavoratore sui rischi connessi alle mansioni da svolgere. Per quest’ultimo (impresa italiana operante in Italia), permane, quindi, una posizione di garanzia
Tale principio - già di per sé chiaro - è stato altresì ribadito dalla giurisprudenza di legittimità (ex plurimis, Cass sez IV, 15/4/2015 n. 15696). La S.C. ha infatti precisato che il datore di lavoro che realizza il distacco conseguentemente, è responsabile quando la sua condotta omissiva ha anch’essa, oltre a quella dell’impresa ricevente  -  cagionato l’evento lesivo per il lavoratore per mancata adozione di misure precauzionali e di informazioni, al medesimo, in presenza di situazioni pericolose, o comunque di rischi.
La sua condotta, d’altronde, non potrebbe essere scriminata dal principio dell’affidamento, non applicabile in questo caso che non sussiste proprio per la colpevole inosservanza da parte del datore di lavoro di regole e norme precauzionali.

 
 
 
 
 
 

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