Premessa
La procedura di infrazione è uno degli strumenti più importanti, previsti dai Trattati, per assicurare che il diritto europeo sia applicato compiutamente ed uniformemente tra gli Stati membri ed è l’unico che conferisce alla Corte di giustizia dell’Unione europea un potere di controllo “diretto” delle loro legislazioni. La procedura de qua ha subito nel tempo una notevole trasformazione: da procedimento opaco, raramente usato e per lo più politicamente governato, a strumento trasparente di enforcement del diritto sovranazionale. Esso non ha quale scopo quello di punire lo Stato membro ma di indurlo ad adempiere; non deve dunque essere visto quale uno strumento di natura sanzionatoria diretto a reprimere un comportamento illecito ma quale strumento dalla natura più complessa i cui tratti si cercherà di riassumere nelle righe che seguono.
Quando la Commissione europea, nella sua qualità di "guardiana" dei Trattati a cui incombe di vigilare sull’adempimento, da parte degli Stati membri, degli obblighi ad essi incombenti in forza dei Trattati medesimi, ravvisa gli estremi per l’avvio di una indagine volta ad accertare eventuali violazioni del diritto UE, si instaura un processo dialogico che vede coinvolti la Commissione e lo Stato membro posto sotto osservazione.
Per quanto riguarda il nostro Paese, in tale processo un ruolo di particolare rilievo è assunto dalla Rappresentanza Permanente presso l’Unione europea, con sede in Bruxelles, la quale dispone di un apposito Ufficio “procedure di infrazione ed EU Pilot”, che svolge i seguenti compiti: opera quale interfaccia tra la Commissione e le autorità nazionali per le procedure d'infrazione che rientrano negli artt. 258 e 260 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), tramite il Dipartimento per le politiche europee e il Ministero degli Affari Esteri; assicura il necessario flusso informativo e segue nel dettaglio l’iter di ciascuna procedura di infrazione, dalla lettera di messa in mora sino alla eventuale decisione di ricorso alla Corte di Giustizia; è il punto di contatto nazionale per la notifica elettronica delle risposte italiane alle procedure di infrazione nella banca dati informatica “Procedure di infrazione – INFR” e per la notifica elettronica della trasposizione delle direttive UE nel diritto nazionale nella banca dati informatica “Misure nazionali di attuazione – MNA”; ha accesso al sistema EU Pilot e svolge una funzione di supporto, in coordinamento con il Dipartimento per le Politiche europee, soprattutto nella fase successiva all’eventuale chiusura negativa del caso (in effetti, la maggior parte delle procedure di infrazione aperte derivano da casi Pilot chiusi negativamente); fornisce consulenza e supporto specifici alle Amministrazioni interessate, per contribuire alla risoluzione del contenzioso in corso; facilita le relazioni con i Servizi della Commissione, inclusa l’eventuale organizzazione di riunioni sui singoli dossier; cura l’aggiornamento del quadro del contenzioso italiano ed elabora dati statistici al riguardo.
Le decisioni relative all'apertura, all'aggravamento o alla chiusura di una procedura di infrazione sono adottate dal Collegio dei Commissari europei, in apposite sessioni che hanno luogo a cadenza mensile. In tali occasioni il Collegio dei Commissari adotta una decisione di archiviazione quando lo Stato membro si conforma ai rilievi della Commissione europea o quando quest'ultima si ritiene soddisfatta dalle osservazioni dello Stato in questione.
Il sistema EU Pilot
Prima dell’apertura di una procedura di infrazione ex art. 258 TFUE, la Commissione può sollevare dubbi su eventuali profili di violazione del diritto dell’Unione attraverso il sistema “EU Pilot”.
Lanciato nel 2008 dalla Comunicazione della Commissione “Un’Europa dei risultati – Applicazione del diritto comunitario” (COM (2007)502), è un meccanismo istituito tra Commissione europea e Stati membri per lo scambio di informazioni e la risoluzione di problemi in tema di applicazione del diritto dell’Unione europea o di conformità della legislazione nazionale alla normativa UE, concepito per la fase antecedente all’apertura formale della procedura di infrazione ex art. 258 TFUE.
La Commissione utilizza l’EU Pilot per comunicare con gli Stati membri su questioni di conformità della legislazione nazionale al diritto dell’UE o di corretta applicazione del diritto dell’UE e per la prima gestione della “notizia di reato” di cui la Commissione sia venuta a conoscenza in via diretta ovvero sulla base di una denuncia individuale da parte di privati o di un’interrogazione a lei rivolta da un membro del Parlamento europeo.
Il sistema EU Pilot ha sostituito la pratica precedente, secondo cui la Commissione, prima di avviare una procedura di infrazione, inviava lettere di carattere amministrativo alle autorità nazionali per confrontarsi con loro sui profili del diritto interno che potevano sollevare dubbi di conformità a quello europeo.
Nel sistema EU Pilot, lo scambio di comunicazioni avviene invece direttamente, tramite un sistema informatico, tra la Commissione e l’amministrazione nazionale (per l’Italia, il Dipartimento per le Politiche europee, il quale si occupa a sua volta di coinvolgere le amministrazioni regionali o locali eventualmente interessate) in un termine generalmente stabilito in 20 settimane (10 per gli Stati membri e 10 per la Commissione). Se la Commissione non è soddisfatta del risultato del dialogo nel quadro dell’EU Pilot, può decidere di chiudere negativamente il caso e avviare una procedura di infrazione.
Le procedure di infrazione
Come anticipato, la procedura di infrazione è lo strumento con cui la Commissione europea svolge la propria funzione di controllo del rispetto del diritto UE da parte degli Stati membri; funzione che le è attribuita dall’articolo 17 del TUE e che – grazie al conferimento di ampi poteri istruttori, tra cui la richiesta di informazioni, l’avvio di procedure di inchiesta e di verifiche dirette – ha la finalità di porre rimedio all’inadempimento da parte di uno Stato membro.
Ai sensi dei Trattati, si parla di inadempimento quando un’amministrazione nazionale (centrale, regionale o locale) viola il diritto dell’Unione ponendo in essere un comportamento attivo o omissivo.
Le procedure di infrazione nascono per tre motivi principali: a) lo Stato membro non comunica per tempo le misure nazionali di trasposizione delle direttive UE (c.d. “mancati recepimenti”); b) la Commissione ritiene che la legislazione di uno Stato membro non sia conforme alla normativa UE; c) la Commissione considera che lo Stato membro non applica correttamente la normativa UE.
Esse si articolano in due fasi. La prima fase è quella c.d. “pre-contenziosa”, scandita dall’emissione da parte della Commissione della lettera di messa in mora e poi del parere motivato in base all’art. 258 TFUE. Data la grande importanza che i Trattati attribuiscono all'azione dell'Unione europea diretta a fare accertare un'infrazione, l'art. 258 ha assegnato al procedimento delle garanzie. È prevista infatti una prima fase di “contraddittorio stragiudiziale”, in cui vanno spiegati concretamente i fatti di cui lo Stato è accusato per metterlo in condizione di difendersi, dare spiegazioni o emendarsi. La fase pre-contenziosa è dunque destinata ad indurre lo Stato a conformarsi ai Trattati mettendo fine all'infrazione nel caso in cui si ritengano fondate le censure della Commissione ovvero a consentire allo Stato di giustificare il proprio punto di vista e di convincere la Commissione dell'inesistenza dell'infrazione (cfr. ECJ, C-439/99; C-431/02). Se lo Stato non mette fine all'infrazione lo scambio di osservazioni pone la Commissione in condizione di qualificare giuridicamente l'infrazione per mezzo delle informazioni raccolte. Sebbene la prima fase abbia solo carattere formalmente amministrativo essa condiziona in modo decisivo la successiva fase giudiziale: il ricorso non può infatti avere ad oggetto questioni non contestate nella prima fase. Scopo ulteriore della fase pre-contenziosa è dunque quello di delimitare i confini del ricorso che sarà eventualmente proposto (cfr. ECJ, C-135/01).
La messa in mora è invece l’atto che segna l’apertura formale della procedura di infrazione. Con essa la DG della Commissione competente per materia identifica la violazione del diritto dell’Unione che viene contestata e prevede un termine entro il quale lo Stato può comunicare le proprie osservazioni e argomentazioni di risposta alla richiesta della Commissione. La lettera che dà avvio alla fase pre-contenziosa della procedura di infrazione costituisce un atto preliminare con il quale si rende noto allo Stato membro quale azione o omissione viene ad esso imputata e quali siano le regole comunitarie che a parere della Commissione lo Stato ha violato. Con essa si richiede allo Stato, a carico del quale si presume l'esistenza di un'infrazione, di presentare le proprie osservazioni ed ha lo scopo di stimolare il contraddittorio: a tal fine essa deve precisare le obbligazioni violate circoscrivendo l'oggetto della controversia (cfr. ECJ, C-135/94; C-358/01). Sebbene l'articolo 258 TFUE non stabilisca i requisiti formali che la lettera di messa in mora deve soddisfare, si ritiene che essa non debba lasciar sussistere alcun dubbio sulla natura della procedura iniziata. Sebbene non sia necessaria una motivazione completa che esponga la giustificazione giuridica dettagliata della posizione che la Commissione intende sostenere, essendo sufficiente un primo e breve riassunto degli addebiti, è tuttavia possibile che la messa in mora contenga un'esposizione globale delle censure che la Commissione preciserà nel parere motivato. A tali indicazioni si deve aggiungere la fissazione di un termine per la presentazione delle osservazioni. All'interno della procedura di infrazione la messa in mora costituisce una condizione di forma sostanziale, ed invero i vizi della messa in mora producono l'irregolarità del parere motivato (sebbene non si traducano nella impugnabilità dell'uno o dell'altro atto, essi producono l'irricevibilità del ricorso alla Corte di giustizia per il mancato rispetto del principio del contraddittorio, a meno che lo Stato abbia potuto comunque esercitare il proprio diritto di difesa: cfr. ECJ, C-211/81).
Il contraddittorio con lo Stato che la Commissione ritiene essere venuto meno agli obblighi nascenti dal Trattato costituisce dunque un elemento essenziale della procedura di infrazione, collegato alla protezione dei diritti della difesa, che sono parte dei principi fondamentali dell’ordinamento giuridico dell’UE (cfr. art.47 Carta dei diritti fondamentali dell’UE). Data la gravità della procedura volta alla constatazione dell'infrazione, nella fase preliminare è previsto un certo formalismo, per cui ad esempio non può ritenersi soddisfare le esigenze del contraddittorio uno scambio di lettere seguito ad un invito della Commissione in cui lo Stato manifesti un dissenso rispetto a precedenti suggerimenti formulati dalla Commissione stessa. Dalla ricezione della lettera di messa in mora non discende peraltro a carico dello Stato l'obbligo di presentare osservazioni e richieste; anche se lo Stato rinuncia a presentare osservazioni la facoltà che gli è concessa costituisce una garanzia fondamentale voluta dai Trattati, la cui osservanza è prescritta ad substantiam nel processo di infrazione (cfr ECJ, C-476/98). Le osservazioni tardive presentate dopo l'emissione del parere motivato non obbligano la Commissione a riaprire la procedura ma, nell’ambito della leale collaborazione istituzionale che deve informare tutti i rapporti tra le Istituzioni europee e le amministrazioni nazionali, di esse la Commissione può tenere conto al fine di esercitare il proprio potere discrezionale di ricorrere.
Se non perviene risposta o se le informazioni trasmesse non sono considerate soddisfacenti, la Commissione adotta un parere motivato (art. 258, § 1, TFUE) con cui constata la sussistenza della violazione e invita lo Stato a prendere tutte le misure necessarie per porre fine a tale situazione. Condizioni per l'emanazione del parere sono la convinzione dell'esistenza della violazione e la (avvenuta) concessione allo Stato dell'opportunità di presentare osservazioni. Il parere motivato, in quanto contiene l'esposizione della posizione della Commissione come definitivamente stabilita, ha il duplice scopo di indicare i motivi di fatto e di diritto per i quali la Commissione ritiene che lo Stato abbia violato uno degli obblighi ad esso incombenti, e le misure per porre termine all'infrazione diffidandolo dal perpetuare oltre il termine indicato la violazione.
Le osservazioni dello Stato possono indurre la Commissione a precisare o anche a modificare i motivi che avevano determinato la sua convinzione iniziale, ma le esigenze di tutela del diritto di difesa dello Stato - espresse dalla necessità di un contraddittorio - impongono la coincidenza dei fatti su cui il parere motivato è basato con quelli indicati nell'atto di avvio della procedura di infrazione. Nel parere motivato possono dunque essere fatte valere solo le censure, di fatto e di diritto, mosse allo Stato nella messa in mora. La Commissione, oltre a modificare la sua tesi sulla fattispecie che realizzerebbe l'infrazione può dunque tenere conto delle osservazioni fornite dallo Stato per precisare o modificare i motivi sui quali la constatazione dell'infrazione era stata fondata, ma i termini sostanziali dell'infrazione devono essere stati discussi nella fase di contraddittorio.
Nel parere motivato la Commissione deve indicare le misure che lo Stato deve adottare per sanare l'infrazione. Nella scelta dei mezzi di adeguamento da indicare allo Stato la Commissione gode di ampia discrezionalità, sebbene in linea di principio debba chiedere la sanatoria dell'infrazione con effetto retroattivo e possa anche chiedere allo Stato di risarcire i danni causati dalla violazione del diritto UE. Il parere motivato contiene altresì l'indicazione di un termine ragionevole entro il quale le misure proposte devono essere adottate, la cui adeguatezza è giudicata in funzione delle circostanze del caso. Quanto alla determinazione in concreto del termine di cui si discorre, sebbene si ritenga che la Commissione goda sul punto di ampia discrezionalità, la particolare esiguità del periodo di tempo assegnato allo Stato, se non giustificata da motivi di urgenza, rende irricevibile il successivo ricorso basato sul mancato adeguamento nel termine (cfr. ECJ, C-293/85). Oltre che da ragioni di urgenza la fissazione di un termine particolarmente breve può essere giustificata dal fatto che lo Stato membro destinatario del parere motivato conoscesse la posizione della Commissione già da molto tempo prima della formalizzazione della procedura (cfr. ECJ, C-328/96). Nel caso in cui ritenga il termine troppo breve lo Stato può chiedere alla Commissione una proroga, ma in caso di rifiuto non può chiedere un'estensione del medesimo alla Corte di giustizia: può tutt'al più avvalersi della sua insufficienza per fare dichiarare il ricorso inammissibile.
Come anticipato, il parere reso dalla Commissione deve essere motivato per consentire allo Stato di difendersi e alla Corte di giustizia di esercitare un controllo sull'iniziativa della Commissione. Il parere deve ritenersi sufficientemente motivato quando contiene una esposizione coerente delle ragioni che hanno indotto la Commissione al convincimento che lo Stato ha mancato a uno degli obblighi che adesso incombevano in virtù dei Trattati (cfr. ECJ, C-439/99) ma non è necessario che la Commissione prenda posizione su tutte le osservazioni presentate dallo Stato. In quanto strumento di garanzia dello Stato la motivazione è un elemento sostanziale della procedura la cui mancanza comporta l'irricevibilità del ricorso. Si è sottolineato che il parere motivato non è un atto amministrativo soggetto a controllo di legittimità e che quindi non si può parlare di un vizio di forma consistente nella insufficiente motivazione, il quale si risolva nell'illegittimità dell'atto. Il parere motivato è destinato unicamente a precisare il punto di vista della Commissione per opportuna informazione dello Stato e della Corte di giustizia, e dalla sua insufficiente motivazione può derivare soltanto il rischio che la Corte non sia in condizioni di constatare un'infrazione e di conseguenza respinga il ricorso (si tratta dunque di una questione di sostanza e non di forma, come sottolineato nelle conclusioni dell’Avv. Gen. Lagrange in causa C-7/61).
Sono diverse le ragioni per le quali il parere motivato non è impugnabile per illegittimità. In primo luogo esso non ha carattere giuridicamente imperativo: anche se produce effetti giuridici non determina in modo definitivo i diritti e doveri dello Stato destinatario, che risultano solo dalla sentenza della Corte di giustizia. In secondo luogo il parere motivato rappresenta l'atto finale della fase pre-contenziosa di una procedura che potrebbe risolversi in un ricorso giurisdizionale: ne consegue che le critiche di cui può essere fatto oggetto devono essere esaminate in occasione del giudizio di fronte alla Corte di giustizia. Le questioni che toccano la regolarità del parere motivato rilevano infatti al fine del giudizio sulla ricevibilità del ricorso alla Corte di giustizia mentre la valutazione nel merito di detto parere coincide con quella dell'esame del merito del ricorso proposto dalla Commissione.
La non impugnabilità del parere motivato risulta inoltre dalla sua funzione, piuttosto che dalla sua natura giuridica; esso esaurisce infatti la propria funzione nel quadro della complessiva procedura nella quale ha la posizione di atto intermedio non conclusivo (TIZZANO). La censura dell'attività della Commissione non è ritenuta ammissibile nemmeno sotto il profilo del controllo della legittimità della mancata emanazione del parere motivato; a tal proposito vi è chi ha sostenuto l'ammissibilità di un ricorso in carenza contro la Commissione in riferimento alla violazione dell'articolo 17(1) TUE e all'interesse pubblico alla constatazione dell'infrazione. Secondo una posizione più moderata, invece, in linea di principio non esisterebbe un obbligo della Commissione di emettere un parere motivato, poiché se tale obbligo esistesse esso comunque dipenderebbe da un presupposto il cui accertamento è legato al punto di vista della Commissione stessa. In pratica la Commissione potrebbe sempre sostenere di non essersi fatta un'opinione, sottraendosi all'obbligo di emanare il parere motivato. Tuttavia nel caso in cui lo Stato non rispondesse alla messa in mora l'opinione già espressa dalla Commissione potrebbe essere ritenuta definitiva, tanto da far sorgere l'obbligo di emanare il parere motivato.
Per conformarsi al parere motivato lo Stato deve iniziare in tempo utile la procedura per eliminare in modo effettivo le misure ritenute costituire infrazione, non essendo sufficiente la richiesta di autorizzazione all'adozione di misure di salvaguardia. Se entro il termine fissato nel parere motivato lo Stato non si è conformato la sanatoria tardiva non priva la Commissione del diritto di ottenere una pronuncia della Corte di giustizia sulla violazione degli obblighi derivanti dai Trattati. La Corte di giustizia ha pertanto il compito di decidere se tale violazione sia stata commessa senza dover esaminare se, successivamente alla scadenza del termine fissato nel parere motivato, lo Stato abbia preso i provvedimenti necessari per porre fine alla violazione (Cfr. ECJ, C-328/96). Nonostante la sanatoria tardiva si ritiene residui l’interesse alla prosecuzione del giudizio al fine di far stabilire il fondamento della responsabilità eventualmente incombente sullo Stato membro, a causa dell'inadempimento, nei confronti di altri Stati membri, dell'Ue o dei privati, ma va da sé che deve essere considerato irricevibile il ricorso proposto dalla Commissione nei casi in cui lo Stato si sia conformato al parere motivato nel termine fissato (Cfr. ECJ, C-276/99).
Se lo Stato membro non si conforma al parere motivato, può aprirsi la seconda fase dell’infrazione, detta “contenziosa”. Questa si svolge dinanzi alla Corte di giustizia ai sensi dell’art 258(2) TFUE. Nel caso in cui la Corte condivida la valutazione effettuata dalla Commissione, viene pronunciata una sentenza che dichiara la sussistenza dell’infrazione e a cui lo Stato è tenuto a conformarsi, adottando tutte le misure necessarie per adeguare l’ordinamento interno a quello dell’Unione (art. 260(1) TFUE). Se lo Stato non esegue la sentenza, la Commissione ha la facoltà di adire nuovamente la Corte, chiedendo l’applicazione di una sanzione pecuniaria (art. 260(2) TFUE).
Merita un cenno inoltre la particolare situazione in cui la Commissione adisca la Corte a proposito di una presunta violazione da parte dello Stato dell’obbligo di comunicare alla prima le misure adottate in attuazione di una direttiva: in questo caso, l’art. 260(3) TFUE prevede che già il primo deferimento alla Corte possa essere accompagnato dalla richiesta da parte della Commissione dell’applicazione di una sanzione finanziaria.
La Corte di giustizia ha il potere di adottare anche nel corso di una procedura di infrazione i provvedimenti provvisori previsti dall'articolo 279 TFUE nonostante le perplessità della dottrina dovute alla circostanza che tali misure si risolvono in un ordine di sospendere l'applicazione di una legge o di un atto amministrativo nazionale. In tale misura, infatti, l'ordine cautelare della Corte di giustizia avrebbe una portata più incisiva o almeno immediatamente più efficace rispetto alla sentenza definitiva la quale, ai sensi dell'articolo 260 TFUE, lascia allo Stato membro di provvedere a trarne le conseguenze. Nell'ambito dei propri poteri cautelari la Corte di giustizia ha anche sospeso inaudita altera parte l'applicazione di una normativa nazionale in attesa dell'ordinanza conclusiva del procedimento cautelare (Cfr. ECJ, C-320/03). È stata parimenti ritenuta ammissibile la concessione di misure provvisorie anche nel quadro di una procedura di infrazione accelerata quale quella disciplinata dall'articolo 348 (2) TFUE in cui viene omessa la fase pre-contenziosa di contraddittorio, e la Corte ha ritenuto che eventuali considerazioni relative alle conseguenze del carattere più rapido della procedura potessero essere valutate solo sotto il profilo dell'esame delle circostanze da cui dipende la necessità dell'adozione di misure provvisorie (Cfr. ECJ, C-120/94).
Nella disciplina dello strumento di cui trattasi vi è infine spazio per la previsione di forme speciali di procedura di infrazione. La procedura di infrazione disciplinata dagli articoli 258-259 TFUE subisce infatti alcune modifiche in forza di particolari disposizioni del Trattato in riferimento a specifiche norme delle quali si tratta di garantire l'osservanza. In alcuni casi l'ordinaria procedura di infrazione risulta modificata per l'omissione della fase pre-contenziosa: ciò avviene in casi di particolare urgenza nei quali si presuppone che una forma di contraddittorio si sia già svolta prima dell'avvio della procedura formale, come ad esempio ai sensi dell'articolo 114(9) TFUE a mente del quale – nel caso in cui lo Stato membro abbia abusato del potere riconosciutogli di applicare norme interne giustificate da interessi superiori nonostante che esse siano contrarie a misure di armonizzazione adottate dal Consiglio – la Commissione o qualsiasi Stato membro può adire direttamente la Corte di giustizia in deroga alla procedura disciplinata dagli articoli 258-259. L'articolo 348(2) TFUE infine prevede la possibilità di ricorso diretto alla Corte di giustizia nel caso in cui la Commissione o un altro Stato membro ritengano che un altro Stato membro abbia fatto ricorso abusivo ai poteri ad esso riconosciuti dagli articoli 346 e 347 TFUE in tema di sicurezza nazionale.