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CIVILE

Quando l’interesse ostensivo fronteggia quello alla riservatezza. Accesso agli atti e necessità dell’autorizzazione del giudice: il nodo (ancora) irrisolto dei procedimenti di famiglia.

  Civile 
 lunedì, 29 aprile 2019

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Emanuele Quadraccia, Giudice del Tribunale di Como

 
 

Quando l’interesse ostensivo fronteggia quello alla riservatezza. Accesso agli atti e necessità dell’autorizzazione del giudice: il nodo (ancora) irrisolto dei procedimenti di famiglia.

 

 Emanuele Quadraccia, Giudice del Tribunale di Como

 

Diritto di difendersi mediante l’accesso alla documentazione reddituale del partner vs tutela dell’interesse alla riservatezza: quale dei due è destinato a soccombere?

Nell’ipotesi – sempre più frequente nella pratica – di richieste ostensive avanzate all’Agenzia delle Entrate in pendenza di giudizio civile tra coniugi o conviventi, la giurisprudenza non fornisce, ad oggi, risposte univoche[1].

Procedendo per ordine, al fine di individuare la percorribilità o meno, nei procedimenti in materia di famiglia (separazione, divorzio, mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio, scioglimento dell'unione civile, ecc.), della via amministrativa finalizzata all'ottenimento di quelle informazioni (lato sensu) economiche la cui esistenza viene spesso celata da una parte all'altra (o da entrambe le parti al giudice), occorre anzitutto soffermarsi sul vigente quadro normativo.

Soccorrono, in tale senso:

a)                      l’art. 337-ter, ult. co., c.c., che, con statuizione avente portata generale ex art. 4, co. 2, l. n. 54/2006, prevede, nell’interesse dei figli, che “ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi”;

b)                      l'art. 5, co. 9, l. n. 898/1970, che prevede il potere del Tribunale, in caso di contestazione sulle emergenze reddituali e patrimoniali, di disporre “indagini sui redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria”;

c)                      l’art. 736-bis, co. 2, c.p.c., che, allorquando è richiesto un ordine di protezione contro gli abusi familiari (artt. 342-bis e 342-ter c.c.), demanda al giudice ampi poteri istruttori, ivi inclusa l’acquisizione, per mezzo della polizia tributaria, di informazioni “sui redditi, sul tenore di vita e sul patrimonio personale e comune delle parti”;

d)                     l'art. 492-bis (“Ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare”) c.p.c., introdotto dal d.l. n. 132/2014 nell’ambito del processo esecutivo, ma esteso, ex art. 155-sexies disp. att. c.p.c., ai procedimenti in materia di famiglia, che prevede che il “giudice che procede” possa autorizzare l'istante (tramite Ufficiale Giudiziario) a ricercare i beni, compresi gli investimenti finanziari, intestati alla controparte[2];

e)                      l’art. 7, co. 9, d.P.R. n. 605 del 1973, che stabilisce che le informazioni comunicate all’agenzia tributaria sono altresì utilizzabili dall’autorità giudiziaria nei procedimenti in materia di famiglia.

Declinando i criteri ermeneutici tracciati, sulla scorta degli enunciati normativi testé richiamati, dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato e dei TT.AA.RR., è possibile ravvisare l’esistenza di due contrastanti orientamenti, l’uno favorevole alla tesi ostensiva[3], l’altro contrario[4].

Ciò premesso, al fine di pervenire ad una ricostruzione sistematica del tema oggetto di dibattito, occorre anzitutto verificare se le “comunicazioni” relative ai rapporti finanziari, trasmesse all’Agenzia delle Entrate ex art. 7 d.P.R. n. 605/1973, rientrino nella categoria “documenti” ai sensi della legge sul procedimento amministrativo (l. n. 241/1990).

L’opinione, pressoché univoca, degli interpreti è nel senso di ritenere i dati tributari in questione ascrivibili all’ampia nozione di documento amministrativo di cui all’art. 22, l. n. 241/1990, trattandosi di atti utilizzabili dall’amministrazione finanziaria per l’esercizio delle proprie funzioni istituzionali, ancorché da questa non formati[5].  

 

Fornita risposta a tale questione preliminare – e presupposta la pendenza del giudizio in sede civile (le decisioni del giudice amministrativo sull’argomento si riferiscono, difatti, ad istanze ostensive avanzate in epoca successiva al deposito del ricorso nella lite separativa) – il punto controverso attiene, come si è poc’anzi anticipato, alla precipua questione del bilanciamento tra il diritto allo svelamento e l’interesse alla riservatezza.

In realtà, è stato osservato, nella prassi la richiesta di accesso diretto alla documentazione fiscale del coniuge (o dell’ex coniuge o convivente) non è usuale[6].

Ed invero, le parti, nella gran parte dei casi, sollecitano il potere officioso del giudice di disporre, sulla scorta delle disposizioni di legge innanzi richiamate, indagini di polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto di contestazione tra i coniugi particolarmente invasive (perché estendibili anche a terzi), a tutela, perlopiù, della prole o, comunque, della parte più debole del rapporto matrimoniale (cfr., infra)[7].

Ed è proprio da siffatto strumentario in uso al giudice della famiglia che prende le mosse la tesi contraria all’ostensibilità diretta dei documenti reddituali di cui si discorre. Spetterebbe così al giudice della lite privata il potere di governare il contraddittorio ed assicurare il rispetto del principio della parità delle armi anche nella fase di istruzione e di acquisizione documentale (artt. 24 e 111 Cost.; art. 6 C.E.D.U.; art. 47 Carta di Nizza; art. 101 c.p.c.). L’ingresso in giudizio di prove costituite, infatti, non può che avvenire, secondo tale impostazione, se non nella sede tipica processuale, mediante gli strumenti previsti dal codice di rito (artt. 210 e 213 c.p.c.). E ciò anche perché il giudice civile “deve cercare di conciliare nel miglior modo possibile l'interesse della giustizia col riguardo dovuto ai diritti del terzo”, se del caso ordinandone la citazione in giudizio (art. 211 c.p.c.). Sicché, «la possibilità di acquisire extra iudicium i documenti amministrativi dei quali una delle parti intende avvalersi in giudizio si traduce in una forma di singolare "aggiramento" delle norme che governano l'acquisizione delle prove e costituisce un vulnus per il diritto di difesa dell'altra parte, la quale, lungi dal potersi difendere nella sede tipica prevista dall'ordinamento processuale, si troverebbe a dover esporre le proprie ragioni non già dinanzi ad un giudice, bensì innanzi alla pubblica amministrazione, in qualità di controinteressato»[8]. Di talché, «nel giudizio tra parti poste in condizione di parità, le esigenze di tutela giurisdizionale devono essere soddisfatte secondo le norme del giusto processo, tenendo in debita considerazione la posizione della controparte; esse non possono in alcun modo costituire il "grimaldello" per la elusione di principi fondamentali dell'ordinamento, nazionale e sovranazionale, quale quello del contraddittorio, consentendo di acquisire in sede amministrativa, ab externo ed in dispregio delle regole processuali, documenti idonei ad influire sul (o a refluire nel) giudizio»[9]. Verrebbe conseguentemente meno, secondo l’orientamento in disamina, il carattere di necessarietà/stretta indispensabilità dell’accesso descritto dall’art. 24, co. 7, l. n. 241/1990, ossia l’impossibilità di soddisfare aliunde l’interesse alla conoscenza di determinati documenti[10].

Di tutt’altra opinione è, invece, quella giurisprudenza che ravvisa la prevalenza (o, quantomeno, il conveniente contemperamento) della tutela degli interessi economici e della serenità dell'assetto familiare, soprattutto in presenza di figli minori, rispetto al diritto alla riservatezza previsto dalla vigente normativa in materia di accesso ai documenti “sensibili” del partner. Secondo i giudici di Palazzo Spada, va pertanto «considerato dirimente, al riguardo, il fatto che nella specie la richiesta di accesso sia provenuta dal marito della controinteressata, e non da un quisque de populo, e che l'interesse dello stesso, attuale e concreto, alla cura dei propri interessi in giudizio si presentasse sicuramente qualificato: donde la condivisibilità, in via di principio, delle conclusioni del primo giudice laddove ha ritenuto meritevole di accoglimento l'istanza di accesso anche con riferimento alle comunicazioni suindicate»[11]. L'istanza di accesso deve, dunque, ritenersi meritevole di accoglimento, rinvenendosi in capo al richiedente la sussistenza di un interesse qualificato, con l'unica limitazione derivante dall’art. 5, lett. a), d.m. 29 ottobre 1996, n. 603, relativa alla “documentazione finanziaria, economica, patrimoniale e tecnica di persone fisiche e giuridiche, gruppi, imprese e associazioni comunque acquisita ai fini dell'attività amministrativa”, di cui va, in ogni caso, garantita la visione qualora la sua conoscenza “sia necessaria per la cura o la difesa degli interessi giuridicamente rilevanti propri di coloro che ne fanno motivata richiesta” (ragion per cui non potranno essere estratti dati in copia cartacea)[12].

Nel ritenere innecessaria l’autorizzazione giudiziale, la tesi “ostensiva” in rassegna ravvisa nel combinato disposto dell'art. 155-sexies disp att. c.p.c. e dell'art. 492-bis c.p.c. un semplice ampliamento dei poteri istruttori ad esercizio non vincolato del giudice della cognizione, già contemplati dal codice di procedura civile: in sostanza, la novella del 2014 non avrebbe comportato alcuna ipotesi derogatoria alla disciplina in materia di accesso alla documentazione contenuta nelle banche dati della pubblica amministrazione, avendo il legislatore semplicemente voluto estendere, con l’introduzione di norme ad hoc, lo strumentario ad impulso officioso del giudice nell'ambito del contenzioso familiare[13]. L’attribuzione al giudice della vicenda (lato sensu) matrimoniale della facoltà di operare una sua autonoma “ricerca telematica” dei beni delle parti sarebbe dunque complementare all’esercizio del diritto di accesso da parte del singolo coniuge. In altri termini, gli ampliati poteri giudiziali di accesso ai dati detenuti dagli uffici tributari non rappresentano, a ben vedere, un'esclusione dal diritto d'accesso dei documenti contenuti nell'archivio dei rapporti finanziari, dovendo pertanto conservarsi la possibilità per il privato di ricorrere agli ordinari strumenti offerti dalla l. n. 241/1990 per ottenere gli stessi dati che il giudice potrebbe, nell’esercizio di un potere che rimane discrezionale, intimare all'amministrazione finanziaria di consegnare.

Conclusivamente, secondo la tesi in indirizzo non appare perciò condivisibile la pur autorevole affermazione che qualifica gli atti richiesti come «documenti sensibili del coniuge»[14]. Si tratta, pur sempre, di dati patrimoniali e reddituali, e non di dati sensibili, nella definizione recata nel Codice della privacy (d.lgs. n. 196/2003), come aggiornata con Regolamento UE 2016/679 (art. 9)[15].

Il coniuge che ha avviato presso il Tribunale una causa di separazione avrebbe quindi diritto ad ottenere l'accesso ai documenti relativi all'altro coniuge detenuti dall'Agenzia delle Entrate e ricavabili dall'archivio dei rapporti finanziari; fermo restando, per l'Ufficio, il dovere di oscurare i dati personali di altri soggetti che dovessero comparire nella documentazione richiesta[16].

Quid iuris in assenza di figli da tutelare?

La giurisprudenza di legittimità ha precisato che, quando sono funzionali alla disciplina dei rapporti economici solo tra le parti, il coniuge (o convivente) che sollecita le indagini ha l’onere di proporre, in sede giurisdizionale, un’istanza circostanziata e fondata su fatti specifici, non essendo sufficiente la generica contestazione di quanto dedotto dall’altra parte[17]. Infatti, quello di disporre le indagini a mezzo della polizia tributaria è pur sempre un potere che rientra nella discrezionalità del giudice; di qui la possibilità di rigetto della relativa istanza di parte, purché «correlabile anche per implicito ad una valutazione di superfluità dell’iniziativa e di sufficienza dei dati istruttori acquisiti»[18].

Più di recente, la Suprema Corte ha riaffermato con chiarezza come il potere in oggetto costituisca una deroga alle regole generali sull’onere della prova, il cui esercizio non può dunque sopperire alla carenza probatoria della parte onerata, «ma vale ad assumere, attraverso uno strumento a questa non consentito, informazioni integrative del "bagaglio istruttorio" già fornito, incompleto o non completabile attraverso gli ordinari mezzi di prova; tale potere non può essere attivato a fini meramente esplorativi, sicché la relativa istanza e la contestazione di parte dei fatti incidenti sulla posizione reddituale del coniuge tenuto al predetto mantenimento devono basarsi su fatti specifici e circostanziati»[19].

Esclusa quindi la possibilità di attivazione, a fini esplorativi, del mezzo d’investigazione ad impulso giudiziale in rassegna, non resta allora che interrogarsi – ed è questione la cui conclusiva risposta, per quanto sin qui argomentato, sembra ancora di là da venire – se la parte economicamente “debole” possa (o, piuttosto, debba) corredare la propria domanda (ad es., per il riconoscimento dell’assegno divorzile), mediante un’istanza di accesso ai redditi della controparte da indirizzare all’Agenzia delle Entrate, scongiurando, per tale via, il pericolo di incorrere in preclusioni processuali fondate sulla mancata allegazione di fatti specifici e circostanziati.

Le ripercussioni applicative dell’una o dell’altra tesi sono, tenuto anche conto del dilagante contenzioso in materia, considerevoli ed il tema è, all’evidenza, dibattuto. Condivisibili si appalesano in questo senso, nondimeno in un’ottica deflattiva, le coordinate esegetiche che vedono il diritto alla riservatezza recedere quando l’accesso sia esercitato per la difesa di un interesse giuridico qualificato – nella specie, l’acquisizione al giudizio di un più completo quadro conoscitivo[20] – e sempre nei limiti in cui la discovery sia necessaria alla tutela di quell’interesse,

In ogni caso, i tempi appaiono maturi: dottrina e giurisprudenza sono chiamate, ancora una volta, ad uno sforzo interpretativo che sia in grado di fornire all’utente della giustizia un convincente responso.

________________________

[1] Per una sintetica (ma puntuale) disamina delle più recenti affermazioni del giudice amministrativo in argomento, cfr. G. VACCARO, Assegno all’ex: giudici divisi tra privacy e indagini sui beni del coniuge «forte», in Quotidiano del Diritto, 19/11/2018.

[2] Sul punto, cfr. R. GIORDANO, Anagrafe tributaria (accesso alla), in ilFamiliarista.it, 06/2016. Per una prima applicazione in punto di delegabilità alla polizia tributaria delle indagini telematiche in materia di famiglia, v. Trib. Milano, 3 aprile 2015, ord..

[3] Cons. Stato, sez. IV, 14 maggio 2014, n. 2472; T.A.R. Campania, sez. VI, 2 ottobre 2018, n. 5763; T.A.R. Lazio, sez. II, 8 febbraio 2017, n. 2161; T.A.R. Puglia, sez. III, 3 febbraio 2017, n. 94.

[4] Cons. Stato, IV sez., 13 luglio 2017, n. 3461; T.A.R. Lombardia, sez. I, 27 agosto 2018, n. 2024; T.A.R. Emilia-Romagna, sez. I, 2 febbraio 2017, n. 65.

[5] Cons. Stato, n. 2472/2014, cit.: «Le "comunicazioni" relative ai rapporti finanziari costituiscono documento ai sensi della normativa in materia di accesso rientrando nella nozione di documento amministrativo di cui all'art. 22, l. 7 agosto 1990 n. 241, trattandosi di atti utilizzabili dall' amministrazione finanziaria per l'esercizio delle proprie funzioni istituzionali, ancorché non formati da essa; infatti, è proprio l'art. 7, d.P.R. 29 settembre 1973 n. 605 a disciplinare compiutamente la forma, i contenuti e le modalità di trasmissione di dette "comunicazioni", nonché la loro destinazione e i loro possibili impieghi da parte dell' amministrazione, oltre alla loro conservazione e tenuta, di modo che non è possibile sostenere né che si tratta di atti interni privi di ogni rilevanza giuridica, né che si tratta di mere informazioni, rispetto alle quali sarebbe richiesta all' amministrazione una non esigibile attività di elaborazione e/o estrapolazione»).

[6] Secondo l’Agenzia delle Entrate (Direzione regionale Lazio), l’esercizio del diritto di accesso all’archivio dei rapporti finanziari è subordinato all’autorizzazione del giudice del procedimento, che è chiamato ponderare gli interessi in gioco. I risultati emersi dall’indagine su dati reddituali, atti del registro e anagrafe dei rapporti finanziari, così come l’elenco degli istituti di credito con i quali il debitore intrattiene rapporti vengono inviati al richiedente a mezzo di posta elettronica certificata (v., https://lazio.agenziaentrate.it/?id=2981).

[7] Trib. Salerno, 15 febbraio 2011, ord., qualifica la guardia di finanza alla stregua di un ausiliario del giudice, cui sono delegabili attività di acquisizione e comunicazione di informazioni, riconducibili alle ipotesi di cui all’art. 213 c.p.c., attività di valutazione degli elementi, ai sensi degli artt. 191 e 198 c.p.c., ed esecuzione di indagini, comprensive dell’assunzione di informazioni da terzi, dell’estrazione di eventuali documentazioni (art. 261 c.p.c.) e dell’effettuazione di ispezioni (art. 258 c.p.c.).

[8] In questi termini, Cons. Stato, n. 3461/2017, cit..

[9] T.A.R. Lombardia, n. 2024/2018, cit..

[10] Cfr., in argomento, A. SIMEONE, L’Agenzia delle Entrate deve comunicare al separando i dati bancari e finanziari dell’altro, in ilFamiliarista.it, 10/2017; più di recente, G. MILIZIA, Il coniuge separando ha diritto di accedere ai dati fiscali e patrimoniali dell’altro?, in Diritto&Giustizia, 182, 2018, p. 10.

[11] Così, Cons. Stato, n. 2472/2014, cit..

[12] Di contro, secondo una interpretazione evolutiva, «l'accesso si giustifica, ai sensi del comma 7 dell'art. 24 della legge n. 241 del 1990 (disposizione che, peraltro, non confina l'accesso alla sola visione degli atti, di talché deve ritenersi superata la limitazione contenuta in tal senso nel DM n. 603 del 1996), dalla necessità di “curare e difendere i propri interessi giuridici”)». Cosicché, si è specificato, il rilascio di copia deve avvenire «ove possibile con modalità telematiche, previo rimborso del costo di riproduzione e dei diritti di ricerca e visura» (T.A.R. Campania, n. 5763/2018, cit.).

[13] Per questa impostazione, cfr. T.A.R. Emilia-Romagna, n. 753/2016; T.A.R. Lazio, n. 2161/2017, cit..

[14] Consiglio di Stato, n. 3461/2017, cit..

[15] V. art. 22, co. 2, d.lgs. 10 agosto 2018 n. 101, secondo cui «a decorrere dal 25 maggio 2018 le espressioni «dati sensibili» e «dati giudiziari» utilizzate ai sensi dell'articolo 4, comma 1, lettere d) ed e), del codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo n. 196 del 2003, ovunque ricorrano, si intendono riferite, rispettivamente, alle categorie particolari di dati di cui all'articolo 9 del Regolamento (UE) 2016/679 e ai dati di cui all'articolo 10 del medesimo regolamento».

[16] T.A.R. Campania, n. 5763/2018, cit..

[17] Cass. civ., sez. I, 28 gennaio 2011, n. 2098.

[18] Così Cass. civ., sez. I, 6 giugno 2013, n. 14336; v., sul punto, anche la (di poco) successiva Cass. civ., sez. I, 20 settembre 2013, n. 21603.

[19] Cass. civ., sez. VI, 15 novembre 2016, n. 23263. Da ultimo, per un’analoga visuale prospettica, cfr. Cass. civ., sez. I, 4 aprile 2019, n. 9535: «In tema di divorzio, l'art. 5, comma 9, l. n. 898/1970 non impone al Tribunale in via diretta ed automatica di disporre indagini avvalendosi della polizia tributaria ogni volta in cui sia contestato un reddito indicato e documentato, ma rimette allo stesso giudice la valutazione di detta esigenza, in forza del principio generale dettato dall'art. 187 c.p.c., che affida allo stesso giudice la facoltà di ammettere i mezzi di prova proposti dalle parti e di ordinare gli altri che può disporre d'ufficio, previa valutazione della loro rilevanza e concludenza», con nota di primo commento di K. MASCIA, Assegno divorzile e contestazione dei dati reddituali della parte, in Diritto&Giustizia, 05/04/2019.

[20] Orbene, per tale via si darebbe attuazione, nelle controversie familiari, a quella «corretta valutazione di tutti gli elementi in gioco», massima espressione del principio del contraddittorio, che si compendia nell’espressione, mutuata, appunto, dalle discipline tributarie, “ben conoscere per ben provvedere” (cfr., per la terminologia utilizzata, A. MARCHESELLI-R. DOMINICI, Giustizia tributaria e diritti fondamentali. Giusto tributo, giusto procedimento, giusto processo, Torino, 2016, 85).

 

 
 
 
 
 
 

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