Molte cose sono già state scritte e dette in occasione del 30º anniversario della Strage di Via D'Amelio, dove, insieme a Paolo Borsellino furono barbaramente trucidati Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina, Vincenzo Li Muli ed Emanuela Loi, donne ed uomini della sua scorta; cose scritte e dette da persone molto più
titolate di me.
La coscienza mi impone, tuttavia, di tributare a quel grande magistrato che è stato Paolo Borsellino a distanza di 30 anni da quel luttuoso evento, il mio ringraziamento per il coraggio da lui dimostrato ogni giorno lungo tutto il suo percorso, di vita e professionale ed in specie nell’ultimo periodo allorquando, una anima più pavida, avrebbe potuto farsi sopraffare dalla certezza del rischio incombente per la propria incolumità; si tratta di un percorso giustamente additato ad esempio per tutti i magistrati, dai giovani ai meno giovani, cui Paolo Borsellino ha insegnato un metodo di lavoro innovativo, fondato sulla condivisione delle informazioni e affrancato da quei lacci e lacciuoli
nei quali si vuole, da più tempo e con miopi riforme legislative, soffocare l'attività investigativa del Pubblico Ministero.
Mi sono spesso chiesto quale potesse essere il modo migliore, per un componente del Consiglio Superiore della Magistratura, per ricordare la figura di Paolo Borsellino, in specie in questi ultimi giorni nei quali il nostro lavoro giunge alle sue battute conclusive.
Mi sono spesso chiesto quale potesse essere il modo migliore, per un componente del Consiglio Superiore della Magistratura, per ricordare la figura di Paolo Borsellino, in specie in questi ultimi giorni nei quali il nostro lavoro giunge alle sue battute conclusive.
Uno dei modi per far sì che il suo sacrificio non resti vano, che la sua testimonianza resti cioè viva e vitale anche nella complessa e talvolta all’apparenza asfittica attività dell’Organo di governo autonomo, sarebbe certamente quello di rendere il Consiglio Superiore della Magistratura più vicino a quegli Uffici giudiziari e a quei magistrati, spesso prevalentemente giovani, che, operano nei territori ad alta densità di criminalità organizzata di tipo mafioso.
Si tratta di una vicinanza che può e deve essere declinata, a mio avviso, in 2 modi.
Anzitutto, questo C.S.M., dovendo procedere alla riscrittura del Regolamento Interno, che prenderà il nome di Regolamento Generale, potrebbe e dovrebbe cogliere l'occasione per reintrodurre la Commissione Antimafia autonoma e sganciata dalla VI Commissione, con compiti di studio della normativa antimafia, di monitoraggio degli
uffici impegnati nei processi di mafia, prevedendo altresì l'obbligo, nel corso della c.d. settimana bianca, di recarsi presso i medesimi uffici giudiziari al fine di ascoltare i colleghi, oltre che i Dirigenti degli Uffici.
Tale Commissione dovrebbe connotarsi per agilità e duttilità così da consentirle un agevole e sollecita interlocuzione con le altre Commissioni ed in specie con la Prima, la Quinta e la Settima; ciò le consentirebbe di fornire all’azione consiliare un contributo di conoscenze fondamentali per le decisioni riguardanti le altre articolazioni consiliari.
Situazioni di incompatibilità; verifica dei requisiti per incarichi direttivi e semidirettivi; assetti organizzativi degli uffici (giudicanti e requirenti) potrebbero in tal modo far acquisire elementi preziosi di valutazione così da contribuire a rendere le decisioni consiliari più ‘vicine’ alle reali esigenze dell’Ufficio giudiziario e dunque, in quanto
tali, più efficaci in un’ottica di sollecita ed efficiente gestione di indagini e processi per fatti di criminalità organizzata di tipo mafioso.
Una Commissione così congegnata potrebbe in tal modo farsi carico di individuare e comprendere le criticità legate al contesto criminale organizzato ed i suoi riflessi sull’organizzazione degli Uffici giudiziari in specie requirenti e sulla quotidiana attività dei magistrati che ne fanno parte; in tal modo sarebbe più facile prevenire il formarsi
di situazioni ‘anomale’ e ‘particolari’ nelle quali si annidano, assai spesso, gli errori nella conduzione di indagini e di processi anche delicati, così da scongiurare il rischio che alcune delle criticità emerse in relazione a procedimenti anche delicatissimi per la storia del nostro Paese vengano reiterate. Ne costituiscono un significativo esempio le
notizie emerse dalla celebrazione dei processi sulla Strage di Via D’Amelio.
Il secondo modo è quello di interpretare, sotto questo aspetto, in maniera maggiormente proattiva il ruolo consiliare nell’attività di formazione permanente, in specie di quei magistrati impegnati nel settore specifico della lotta alla criminalità organizzata ed al terrorismo e ciò mediante una più incisiva opera di individuazione, in questa materia, delle linee guida sulla formazione da rendere alla Scuola Superiore della Magistratura ed una scelta più impegnata e trasparente dei formatori.