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ORDINAMENTO GIUDIZIARIO  

La riforma del concorso in Magistratura

  Giudiziario 
 giovedì, 19 maggio 2016

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LORENZO DELLI PRISCOLI

 
 



     SOMMARIO: 1. La proposta di legge delega di riforma dell’ordinamento giudiziario. – 2. I requisiti per accedere al concorso. – 3. Il contenuto delle prove scritte. – 4 Qualche suggerimento.

     1. La proposta di legge delega di riforma dell’ordinamento giudiziario.
     Una commissione di studio guidata da Michele Vietti ha di recente predisposto un progetto di riforma dell’ordinamento giudiziario sfociato in  una proposta di legge delega, la cui discussione in Parlamento è imminente. Tale proposta ha ad oggetto non solo la disciplina dell’accesso in magistratura ma si inserisce anche in un più ampio quadro di riforme della giustizia che riguardano anche: 1) una revisione della geografia giudiziaria, attraverso una più razionale distribuzione territoriale delle corti d’appello; 2) una riforma degli illeciti disciplinari e delle incompatibilità dei magistrati; 3) una riforma del sistema delle valutazioni di professionalità e di conferimento degli incarichi; 4) una riforma dei trasferimenti di sede e di funzioni dei magistrati; 5) una riorganizzazione degli uffici del pubblico ministero.
     Venendo alla riforma della disciplina del concorso in magistratura, le modifiche più rilevante sono due: i requisiti per accedere al concorso e i contenuti delle prove scritte.

     2. I requisiti per accedere al concorso.
     La prima modifica della disciplina del concorso in Magistratura consiste in un parziale ritorno al passato, consentendo l’accesso al concorso ai neolaureati in giurisprudenza ma non a tutti: soltanto a coloro che abbiano un voto di laurea pari o superiore a 108/110 e una media di almeno 28/30 negli esami più importanti[1].
  
    Condivido pienamente lo spirito della riforma nella parte in cui si sforza di contrastare l’eccessivo innalzamento dell’età media di coloro che superano l’esame. Nella relazione illustrativa si sottolineano giustamente le conseguenti ricadute previdenziali sui neogiudici entrati tardi in magistratura: io però vorrei evidenziare anche, e forse soprattutto, che attualmente, cn la legge attualmente in vigore, rischiamo di perdere molti giovani brillanti neolaureati, potenziali bravissimi magistrati. Oggi infatti, per quei giovani brillanti neolaureati, il concorso in magistratura non è più appetibile come un tempo, perché all’allungamento dei tempi dovuto al fatto di dover obbligatoriamente frequentare una scuola di specializzazione o uno stage formativo si aggiunge la quasi assoluta incertezza sui tempi successivi: il bando del concorso in magistratura non è coordinato con la fine della scuola e i requisiti per partecipare al concorso devono essere posseduti al momento della scadenza del bando e non al momento degli scritti. Accadrà così ad esempio che ai prossimi scritti in magistratura per 350 posti, che si svolgeranno ai primi di luglio, non potranno accedere, come invece sarebbe logico, coloro che avranno appena conseguito il diploma della scuola di specializzazione. Questa assoluta incertezza sui tempi, senza contare quelli relativi alla correzione degli scritti e, ultimamente, quelli che vanno dalla conclusione del concorso all’effettiva chiamata in servizio, rende quanto mai difficile per quel brillante giovane neolaureato, resistere alla tentazione di entrare immediatamente nel mondo del lavoro, magari presso lo studio legale del professore con il quale ha discusso la tesi.
     Non vorrei sembrare eccessivo nello scomodare l’art. 3, comma 2, della Costituzione, ma non possono poi nascondersi oggettivi problemi nell’assicurare l’uguaglianza sostanziale tra i candidati: spesso la scelta di entrare subito nel mondo del lavoro, per quel brillante giovane neolaureato, è quasi obbligata per l’impossibilità di chiedere alla famiglia di essere mantenuto negli studi a tempo indeterminato, senza oltretutto poter garantire a sé stesso e alla famiglia la sicurezza di diventare magistrato, e con la consapevolezza che, fallite le prove in magistratura e quindi a distanza di 5-10 anni, quel professore con il quale ha discusso la tesi potrebbe molto probabilmente non essere più interessato a quel dottore in giurisprudenza, pur sempre brillante ma ormai non più giovanissimo, non più neolaureato e quasi sicuramente anche avvilito e scoraggiato.
     Un suggerimento utile sarebbe quello di modificare e rendere più incisivo il testo dell’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 160 del 2006[2], prevedendo che debba svolgersi tutti gli anni uno scritto i primi giorni di luglio; che possano accedervi tutti coloro che prima di tali scritti siano in possesso del diploma della scuola di specializzazione o degli altri requisiti richiesti dalla legge e che i posti messi a concorso siano non solo tutti quelli scoperti ma anche quelli relativi ai Magistrati che sicuramente andranno in pensione nei successivi due anni, in modo da riuscire a garantire tendenzialmente l’obiettivo del pieno organico nella magistratura, che è uno dei problemi che maggiormente affligge e danneggia la giustizia italiana, soprattutto perché, come ampiamente risaputo, le maggiori scoperture riguardano i posti meno ambiti e dove invece più vi sarebbe bisogno di magistrati.
     La situazione è aggravata anche dalla circostanza che attualmente la selezione per l’accesso alle scuole di specializzazione per le professioni legali è di fatto praticamente nulla, dato che i posti messi a concorso sono superiori al numero delle richieste e che non sono indicati criteri, nemmeno in linea di massima, per la selezione dei candidati, di modo ché le commissioni incaricate possono decidere di promuovere anche coloro che, per ipotesi, abbiano errato tutte le risposte (si tratta in questo caso di una selezione a quiz, organizzata a livello nazionale con correzione centralizzata dei moduli a lettura ottica consegnati ai candidati). Si pensi poi che le Università hanno  il massimo interesse ad ammettere tutti coloro che fanno domanda, perché pagano una sostanziosa retta alle Università stesse. Una maggiore selezione in questa fase – aspetto sul quale invece il progetto di riforma non interviene - potrebbe forse aiutare a scoraggiare da subito quegli aspiranti magistrati non particolarmente brillanti che invece, accedendo alla scuola, si illudono di poter sostenere con successo il concorso in magistratura. Del resto in Francia la selezione dei magistrati avviene per entrare all’École nationale de la Magistrature (Scuola nazionale della Magistratura), e quindi prima, non dopo la Scuola, come invece avviene da noi. Sotto questo aspetto potrebbe essere utile rimeditare la distinzione, che avviene con la riforma, tra i “bravi”, che possono accedere subito al concorso, e coloro che invece devono prima frequentare la Scuola. L’esperienza infatti insegna che molto spesso lacune in un aspirante magistrato che hanno determinato voti non particolarmente brillanti all’Università non vengono colmate mediante la Scuola, e questo non per particolari carenze delle Scuole sesse, ma semplicemente perché spesso si tratta di lacune dei neolaureati per così dire “strutturali”, che cioè si trascinano dalla scuola dell’obbligo e dalle scuole superiori, e che si manifestano, prima che in carenze giuridiche, in gravi difficoltà nell’esprimere il pensiero in maniera corretta, sia da un punto di vista grammaticale che dell’organizzazione del pensiero (forse non del tutto irragionevolmente in passato l’accesso alla facoltà di giurisprudenza era consentito solo a coloro che avevano conseguito la maturità classica).
     Anche le Università non sono probabilmente del tutto esenti da colpe, in quanto troppo spesso trascurano del tutto l’esercizio della scrittura, dimenticando che la professione del giurista impone quasi sempre l’uso continuo dell’arte dello scrivere. Tirando le fila del discorso, sarebbe quindi forse paradossalmente più utile consentire senza distinzione a tutti i neolaureati in giurisprudenza di accedere subito al concorso, in modo da permettergli di sapere dopo un numero accettabile di anni (il tempo di partecipare a tre concorsi in magistratura), se la loro strada è quella della magistratura o se invece sono più adatti per altri lavori, parimenti dignitosi. Da ultimo non può non evidenziarsi come in questo modo si eviterebbe il rischio di una corsa verso le Università ritenute più facili e generose nei voti, il che, a catena, determinerebbe la forte tentazione, per le Università stesse, che delle rette universitarie vivono, di mostrarsi effettivamente più generose e maggiormente condiscendenti con gli studenti, con un prevedibile incremento in breve tempo degli aspiranti magistrati abilitati a partecipare al concorso con la sola laurea e senza ulteriori requisiti, con inevitabile ulteriore ingolfamento delle procedure concorsuali.

     3. I contenuti delle prove scritte.
     La seconda modifica della disciplina del concorso in Magistratura consiste nell’introduzione allo scritto, al posto di una delle prove di diritto civile, penale o amministrativo della “redazione di una sentenza, che postuli conoscenze di diritto sostanziale e di diritto processuale”[3].
     Quanto a tale proposta di modificare una delle prove dell’esame scritto, sinceramente non riscontro questa impellente esigenza di cambiare il taglio esclusivamente teorico del concorso, che per tanti anni ha prodotto ottimi risultati, selezionando per la magistratura italiana delle menti eccelse. L’introduzione di una prova pratica di redazione di una sentenza a scapito di una prova teorica, rischia di apparire solo l’indice (come lo era stata la disastrosa introduzione della prova preselettiva a quiz) di una ricerca della modernità a tutti i costi e di una certa acritica soggezione a modelli giuridici anglosassoni di common law che privilegiano la pratica rispetto alla teoria nei cui confronti la cultura giuridica romanistica e italiana ha davvero poco da invidiare. Il pericolo è infatti quello di dimenticare che per i vincitori del concorso è previsto un lungo, articolato e approfondito tirocinio prima di prendere le funzioni, che ha proprio lo scopo, tra le altre cose, di apprendere la tecnica di redazione delle sentenze, che solo attraverso una pratica reale a fianco di un magistrato può essere davvero compresa e digerita. Quello prima del concorso invece, sempre a mio sommesso avviso, è soprattutto il tempo dello studio, della riflessione teorica, che richiede tempo per sedimentare le idee e consentire i collegamenti, tempo che purtroppo, quando si entra nel mondo del lavoro, viene inevitabilmente ad essere sempre più carente. Conseguenza della modifica normativa oltretutto sarà quella di ampliare le discipline di studio per lo scritto: mentre attualmente per prassi il diritto processuale amministrativo già può sostanzialmente essere oggetto della prova scritta di diritto amministrativo, una notevole indiretta novità della riforma è quella di “costringere” gli aspiranti magistrati a preparare per lo scritto anche procedura civile e procedura penale, dato che la prova pratica che “postuli conoscenze di diritto processuale” viene decisa per sorteggio appunto tra penale, civile e amministrativo. Questo ampliamento delle discipline potrebbe apparentemente essere considerata una novità positiva: tuttavia è evidente che la quantità non può che andare inevitabilmente a scapito della qualità; inoltre le procedure difficilmente possono essere realmente comprese e fatte proprie senza la pratica sul campo di cui ho già parlato. Temo inoltre che le Scuole di specializzazione e le Università non siano attualmente in grado di fornire agli studenti un’adeguata preparazione per la redazione di una sentenza[4], con il forte rischio di un ulteriore rafforzamento delle scuole provate di preparazione al concorso in magistratura. Senza considerare che il sorteggio della prova pratica introduce inevitabilmente un fattore “fortuna” nel concorso, dato che i candidati potrebbero scegliere di non studiare una o due delle tre procedure astrattamente richieste[5] sperando nella buona sorte.
     4. Qualche suggerimento.
      Riterrei che lo scritto del concorso in magistratura dovrebbe selezionare coloro che hanno le maggiori capacità critiche, di ragionamento e di buona scrittura, privilegiando la scelta di argomenti non eccessivamente asfittici e circoscritti, i quali esaltano invece uno studio eccessivamente nozionistico e quindi inevitabilmente poco meditato. Un candidato deve poter ottenere un voto molto alto anche se non è a conoscenza dell’ultima sentenza sul tema oggetto di esame, purché dimostri spirito critico, capacità di orientarsi fra le norme e di sviluppare delle idee ragionevoli, non necessariamente in linea con la giurisprudenza prevalente o la dottrina dominante.
Si sottolineano poi nella relazione illustrativa della riforma le difficoltà incontrate, da parte dell’Amministrazione, per l’organizzazione delle prove d’esame, nella gestione di un sempre crescente numero di candidati, e da parte delle commissioni d’esami, per l’allungamento dei tempi necessari per la correzione degli elaborati scritti e per lo svolgimento delle prove orali: su questo punto ritengo che, data la lunghezza complessiva dei tempi che ho illustrato in precedenza, costituisca garanzia per tutti che la Commissione d’esame, chiamata ad un lavoro quanto mia delicato e importante, pur dovendo naturalmente lavorare a ritmi serrati, non abbia però anche “l’ansia di finire il prima possibile”, che potrebbe essere deleteria per il raggiungimento dell’obiettivo di selezionare davvero i migliori. Anche altri rimedi escogitati in passato, come una preselezione basata sui quiz, a mio avviso giustamente abbandonata, rischiavano di introdurre una selezione basata su un avvilente nozionismo che nulla ha a che fare con le doti che si richiedono ad un bravo magistrato.
     Per contemperare le avvertite e ragionevoli esigenze[6] da un lato di consentire a tutti i neolaureati di accedere immediatamente al concorso e dall’altro di non caricare la commissione d’esame del compito di correggere una quantità esorbitante di elaborati, che per un verso rende estremamente difficile il mantenimento un metro omogeneo di giudizio per l’intero periodo della correzione degli scritti e per un altro rende inevitabile la suddivisione in sottocommissioni, potrebbe pensarsi, prendendo spunto da quanto effettivamente escogitato dalla Camera dei deputati anni fa per la selezione dei suoi funzionari della carriera direttiva, ad una preselezione aperta a tutti e consistente nello svolgimento di due prove scritte di diritto civile e di diritto penale, senza l’ausilio dei codici, su tematiche ampie e relativamente semplici, con due o al massimo tre ore a disposizione per ciascun elaborato (in modo che non possano essere eccessivamente lunghi da correggere). Questa preselezione permetterebbe di escludere dai veri e propri scritti tutti coloro che hanno limitate capacità giuridiche, logiche o di scrittura che, come purtroppo dimostra l’esperienza dei concorsi, sono la maggioranza degli aspiranti magistrati, e consentirebbe alla commissione da un lato di elaborare tracce meno specifiche (che inevitabilmente rendono più nozionistico lo studio e accentuano il fattore “fortuna” nella selezione dei candidati) e dall’altro di correggere un numero molto minore di scritti, con conseguenti benefici quanto all’omogeneità dei criteri di correzione.
     Quanto all’ipotizzato intervento di riforma delle scuole di specializzazione per le professioni legali, attualmente disciplinate dall’art. 16 del d.lgs. n. 398 del 1997, si prevede, tra le altre condivisibili modifiche, un’ampia autonomia delle scuole, salvo che nelle materie oggetto di prova scritta. Valuto positivamente tale modifica purché tale norma possa interpretarsi nel senso che nelle materia oggetto di svolgimento della loro autonomia, le scuole possano decidere di impartire gli insegnamenti oggetto delle prove scritte, così da creare una scuola per le professioni legali in cui oggetto della didattica siano solo le materie dello scritto in magistratura (che poi sono anche le stesse della prova scritta per diventare avvocato): mi permetterei infatti di consigliare maggiore pragmatismo e prendere atto che gli specializzandi, dovendo superare un concorso che di fatto si vince quasi sempre con il superamento degli scritti dato il bassissimo numero di ammessi agli orali (tradizione che io suggerirei di non abbandonare, perché allontana quello che sarebbe un deleterio sospetto di possibili raccomandazioni per i futuri magistrati), sono concentrati quasi esclusivamente su diritto civile, penale ed amministrativo, potendo dedicarsi alle materie oggetto dell’orale nel significativo lasso di tempo che passa tra lo scritto e l’orale.
    Non a caso infatti, le frequentatissime (e molto costose) scuole private di preparazione al concorso in magistratura hanno sempre come insegnamenti esclusivamente quelli oggetto della prova scritta. A tale proposito appare irragionevole dimenticare, proprio in presenza del ricordato mancato coordinamento fra conclusione della scuola di specializzazione e prove scritte, l’assenza di una offerta formativa legata alle università per gli specializzati (nonché per tutti le categorie di coloro che possono accedere al concorso) che li accompagni fino al concorso: l’esperienza attuale dimostra che i più motivati fra gli specializzati, una volta finita la Scuola ed in attesa del concorso, si iscrivono alle già ricordate costosissime scuole private. Sotto questo punto di vista, l’indicazione nella legge delega di una riduzione della durata della Scuola può senz’altro considerarsi un passo avanti solo se si considera la frequentazione della Scuola come una necessità formale per ottenere il diploma necessario per accedere al concorso in magistratura; da un punto di vista sostanziale però una riduzione della durata delle Scuole non farebbe che aumentare ulteriormente gli spazi delle scuole private. Un suggerimento potrebbe dunque essere quello di strutturare il corso di studi delle Scuole su più anni, in modo da accompagnare il neolaureato dalla laurea al momento del concorso, rendendo però obbligatoria la frequentazione solo del primo anno. In questa maniera le Scuole verrebbero anche stimolate a puntare al massimo sulla qualità fin dal primo anno, nella speranza che i propri studenti, trovatisi bene, decidano di proseguire i loro studi all’interno della stessa Scuola.
     Un’ultima notazione su quello che potrebbe sembrare apparentemente un dettaglio e che invece dimostra la scarsa considerazione che, più o meno inconsciamente, si ha per coloro che abbiano una conoscenza delle lingue straniere, sicuramente utili, specie in una prospettiva futura, per un giovane magistrato. Attualmente, scelta confermata con la riforma, è previsto (art. 1, comma 4 del d.lgs. n. 160 del 2006) un colloquio su una lingua straniera: diventano magistrati coloro che ottengono un giudizio di idoneità nel colloquio sulla lingua straniera prescelta. Per quanto è a mia conoscenza, da quando è stata introdotta questa modifica, mai nessun aspirante magistrato è stato respinto all’orale solo per una inidoneità nella lingua straniera. Ciò è ben comprensibile: chi se la sentirebbe di respingere un aspirante magistrato che dopo aver superato gli scritti e tutte le numerose e complesse materie degli orali abbia poi mostrato una scarsa conoscenza della lingua straniera? Sarebbe allora forse più ragionevole attribuire alla lingua straniera la dignità di una materia come le altre, attribuendo alla commissione la possibilità di esprimere non un semplice giudizio di idoneità o meno ma un vero e proprio voto, in modo che il magistrato che abbia una perfetta conoscenza della lingua possa ottenere un giudizio più alto rispetto a chi riesca soltanto a biascicare e storpiare qualche parola straniera[7].
     Nel complesso la riforma appare senz’altro introdurre delle incisive e utili modifiche alla disciplina dell’accesso alla magistratura ordinaria, anche se l’impressione generale è che tali modifiche siano state talvolta proposte senza una reale visione d’insieme e senza una piena ed effettiva conoscenza di tutti gli effettivi problemi che affliggono non solo la giustizia italiana ma anche i tantissimi aspiranti magistrati.

[1] Questo il testo della proposta di un nuovo art. 2, comma 1-bis del d.lgs. n. 160 del 2006 (l’art. 2, comma 1, è dedicato ai requisiti necessari per accedere al concorso in magistratura):
Al concorso sono ammessi altresì, anche se privi dei requisiti di cui al comma 1 [ossia i dipendenti dello Stato laureati in giurisprudenza e con almeno 5 anni di servizio, i ricercatori o professori universitari, coloro che possiedono il diploma della scuola di specializzazione per le professioni legali o coloro che hanno frequentato uno stage formativo di almeno 18 mesi presso un ufficio giudiziario; con la riforma non sono invece più sufficienti il titolo di avvocato o il titolo di dottore in ricerca in materie giuridiche: mentre quanto al titolo di avvocato purtroppo, a seguito del sostanziale svuotamento dell’esame di abilitazione – e conseguentemente dell’art. 33, comma 5 Cost. - causato dalla possibilità – in nome della libera circolazione delle persone all’interno dell’Unione europea - di divenire avvocati all’estero senza un esame di abilitazione – attualmente questa possibilità esiste in Spagna o Romania – per poi trasferirsi in Italia, effettivamente questa modifica può avere un senso, ritengo che escludere dal concorso in magistratura i possessori di un titolo prestigioso e che soprattutto comporta una forte applicazione nello studio come il dottorato; tale esclusione appare altresì contraddittoria perché dimostra sfiducia nei confronti dell’Università, la quale al contempo è molto responsabilizzata perché gli si affida il compito di decidere quali laureati possano accedere direttamente al concorso perché possessori di voti alti e quali no; inoltre penalizzerebbe eccessivamente coloro che hanno iniziato il corso di dottorato contando poi di partecipare al concorso in magistratura, senza iscriversi ad una Scuola, oltretutto incompatibile con la frequentazione del dottorato], i laureati in possesso del diploma di laurea in giurisprudenza conseguito al termine di un corso universitario di durata non inferiore a quattro anni e che abbiano riportato una media di almeno 28/30 negli esami di diritto costituzionale, diritto privato, diritto processuale civile, diritto commerciale, diritto penale, diritto processuale penale, diritto del lavoro e diritto amministrativo, nonché un punteggio di laurea non inferiore a 108/110.
[2] La nomina a magistrato ordinario si consegue mediante un concorso per esami bandito con cadenza di norma annuale in relazione ai posti vacanti e a quelli che si renderanno vacanti nel quadriennio successivo, per i quali può essere attivata la procedura di reclutamento.
[3] Questo il testo della proposta di un nuovo art. 1, comma 3, del d.lgs. n. 160 del 2006.
3. La prova scritta consiste nello svolgimento di tre elaborati, rispettivamente vertenti sul diritto civile, sul diritto penale e sul diritto amministrativo. Due elaborati sono di natura teorica e il terzo di natura pratica, consistente nella redazione di una sentenza, che postuli conoscenze di diritto sostanziale e di diritto processuale. L’abbinamento fra i tre elaborati e le tre materie è sorteggiato dalla Commissione.
[4] La relazione illustrativa alla legge delega in tema di scuole di specializzazione prevede che nelle Scuole debbano essere tenuti  corsi sia di tipo pratico che teorico, ma è prevedibile che non tutte le Scuole riusciranno ad assicurare corsi del genere, anche perché, in assenza di precedenti, ancora non è chiaro in cosa possa consistere esattamente la prova pratica:
Art. [……] (Delega al Governo per la riforma della disciplina delle scuole di specializzazione per le professioni legali)
1. Il Governo, al fine di qualificare e definire il percorso formativo post universitario delle scuole di specializzazione di cui all’articolo 16 del decreto legislativo 17 novembre 1997, n. 398, quale canale di accesso al concorso per magistrato ordinario, è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per la modifica della predetta disciplina, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) prevedere l’istituzione di scuole esclusivamente destinate all’accesso in magistratura. Ridefinire i criteri per la determinazione del numero di laureati da ammettere alle scuole di specializzazione di cui all’articolo 16 del decreto legislativo 17 novembre 1997, n. 398, introducendo come parametro il numero dei posti relativi agli ultimi concorsi di magistrato ordinario;
b) ridurre la durata delle scuole di specializzazione di cui all’articolo 16 del decreto legislativo 17 novembre 1997, n. 398 sino ad un massimo di 18 mesi e, conseguentemente, ridefinire i modelli didattici di formazione, stabilendo che devono contenere corsi sia di tipo pratico che teorico e prevedendo la piena autonomia didattica delle scuole, salva l’omogeneità dell’insegnamento nelle materie oggetto di prova scritta del concorso per l’accesso in magistratura;
c) introdurre misure volte ad incentivare la possibilità delle scuole di specializzazione di consorziarsi al fine di ridurne il numero complessivo sul territorio nazionale per garantire un’offerta formativa maggiormente omogenea e qualificata;
d) prevedere un esame unico nazionale, cui far conseguire il rilascio del diploma di specializzazione;
e) prevedere che i laureati in possesso dei requisiti per l’accesso diretto al concorso in magistratura possano frequentare i corsi pratici delle scuole di specializzazione senza obbligo di sostenere l’esame finale.
[5] Procedura civile, procedura penale e diritto processuale amministrativo.
[6] Si legge infatti nella relazione illustrativa: la riflessione della Commissione ha preso le mosse dall’analisi di problemi emergenti dall’applicazione dell’attuale disciplina dell’accesso in magistratura: 1) quello relativo all’eccessivo innalzamento dell’età media di coloro che superano l’esame… 2) quello relativo alle difficoltà incontrate, da parte dell’Amministrazione, per l’organizzazione delle prove d’esame, nella gestione di un sempre crescente numero di candidati, e da parte delle commissioni d’esami, per l’allungamento dei tempi necessari per la correzione degli elaborati scritti.
[7] Dovrebbe altresì essere attribuita al candidato la facoltà di dimostrare la conoscenza di ulteriori lingue straniere, con conseguente possibilità per la commissione di innalzare il voto.

 
 
 
 
 
 

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